DOMANDA: Cosa è la chiesa che Dio vuole qui sulla terra?
RISPOSTA: Una riunione di persone con la Bibbia in mano, e che tutti abbiano
la possibilità di dire quello che pensano; un pastore, o maestro, un
uomo che si prende su di sé tutte le sue responsabilità verso
Dio, la responsabilità può essere una grande condanna per il pastore
insegnante, se lui non si attiene alla parola biblica, lui dovrà rendere
conto al ritorno del figlio di Dio, Gesù Cristo, che è l’erede,
che è il Signore, che è Dio.
LE CREAZIONI SPIRITUALI O ANGELICHE E LA CADUTA DI QUELLI RIBELLI. (Vita spirituale
prima della fondazione della terra).
L’ETERNO, Dio, Jahwè, è il Padre degli spiriti. Questi
spiriti sono creature celesti che vivono nelle regioni eteree dello spazio.
Essi non posseggono un corpo materiale come quello degli uomini, ma hanno un
corpo glorioso, almeno tutti quelli che sono fedeli a Jahwè. La gloria
dell’Eterno, manifestata mediante la sua presenza, non può essere
sopportata da alcun uomo, poiché Dio abita una luce inaccessibile e nessun
uomo l’ha visto né lo può vedere (1 Tim. 6:16). La prima
opera dell’Eterno è la creazione del Logos (1Giov. 1:1; Prov. 8:22).
Questo Essere glorioso è l’unico Generato dal Padre (Giov. 1:14;
Ebrei 1:5). Tutte le altre creature sono state formate dal Logos (la Parola),
che fu impiegato come Agente creatore.
Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, nulla è stato fatto senza
di Lui. Ciò dimostra quanto Egli sia stato onorato. Le vie dell’unico
Figlio di Dio sono sempre state integre e perfette. Egli si è sempre
interamente sottomesso alla volontà di Dio ed ha eseguito tutti i suoi
ordini. Per mezzo del Logos l’Eterno ha creato gli arcangeli, gli angeli,
i cherubini ed i serafini. Tutte queste creature spirituali formano il mondo
degli spiriti. Vi sono fra loro dei principati, delle dominazioni e dei poteri.
(Gli uomini non sono degli spiriti, ma sono animati da uno spirito più
o meno buono o malvagio).
Uno dei principali angeli creati dal Logos è, secondo la Parola, la
Stella del Mattino, detta figlio dell’Aurora. Il suo nome indica che egli
era il principe della luce. Questo cherubino era dunque un’autorità
fra tutti gli angeli gloriosi.
È evidente che la sua gloria sorpassava la gloria degli altri angeli.
Malgrado ciò egli era, per il suo rango, inferiore al Figlio generato
dal Padre, detto il Logos o la Parola. Esiste nel cielo, come si è detto,
una gerarchia nettamente stabilita fra gli esseri che l’abitano. Vi sono
gli arcangeli, i cherubini, i serafini e gli angeli. Un cherubino fu scelto
per venire sulla terra. Secondo le Scritture, questo inviato da Dio era un cherubino
dalle ali spiegate.
Tale linguaggio simbolico indica la sua missione pastorale: missione di pastore
protettore. Gli esseri celesti furono creati molto tempo prima della formazione
della terra, può darsi che esistessero già centinaia di migliaia
d’anni prima della creazione del nostro pianeta, questo non possiamo stabilirlo.
Comunque sia, questi esseri spirituali s’interessano moltissimo a tutto
ciò che si svolge nell’universo. La Bibbia li nomina sovente le
stelle di Dio.
Quando la terra fu creata, gli spiriti celesti l’ammirarono e cantarono
inni a gloria dell’Eterno. Le Scritture parlano di questo grande avvenimento
nei seguenti termini, indirizzati a Giobbe: «Dov’eri tu, quand’io
fondavo la terra? Dillo se hai tanta intelligenza… quando le stelle del
mattino prorompevano in canti d’allegrezza, e tutti i figli di Dio davan
in grida di giubilo?» (Giob. 38:4,7).
Le stelle del mattino sono i principati fra gli angeli mentre i figli di Dio
sono gli spiriti celesti sottomessi a questi principati. Il capo supremo di
spiriti è il Figlio, l’unico generato da Dio, il suo primogenito:
Colui che fu l’Agente creatore dell’Eterno e il sovrano Pastore
di tutti gli eserciti celesti. Egli è la gloria delle glorie celesti.
Quando l’Eterno ordina una creazione al Logos (incorporante in se stesso
la Parola divina) la potenza della parola pronunciata dal Figlio Unigenito riunisce
tutti gli elementi, questi obbediscono alla sua volontà e la cosa esiste.
Le Scritture ci dicono: «Dio disse (per bocca del Logos): Sia la luce!
E la luce fu» (Gen. 1:3). Nulla può sottrarsi alla potenza della
sua volontà. Gli elementi più disparati obbediscono, si riuniscono
e formano un corpo che Dio anima mettendone in movimento gli organi. È
in tal modo che Dio formò l’uomo: lo creò con la polvere
della terra, ossia mediante i diciassette elementi diversi che, trasformandosi
per mezzo della loro unione, formano il corpo umano. Questi elementi sono: il
carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo,
il cloro, il potassio, il sodio, il calcio, il magnesio, il ferro, il silicio,
il fluoro, il bromo, lo iodio ed il manganese.
Dio mise in movimento i polmoni dell’uomo; l’aria entrò
in essi, il sangue fu ossigenato ed affluì al cuore, che lo spinse con
forza in tutte le parti del corpo; l’uomo divenne così un’anima
vivente (Gen. 2:7). È il metodo che Dio usò per creare ogni cosa
nei cieli e sulla terra ed è pure in tal modo che per volontà
di Dio e mediante la potenza della sua Parola, pronunciata dal Logos, furono
creati tutti gli eserciti celesti. Dio dice e la cosa esiste! Le creazioni celesti
sono superiori a noi in quanto la gloria celeste è superiore alla gloria
terrestre.
Il Logos era dunque il sovrano Pastore degli eserciti celesti ed abitava una
gloria radiosa e potente. Le Scritture ci parlano della creazione di un cherubino
glorioso, che possedeva una gloria di gran lunga superiore a quella degli altri.
Dicono: «Tu eri pieno di sapienza, di una bellezza perfetta… Eri
coperto di ogni genere di pietre preziose: sardoniche, topazi, diamanti crisòliti,
ònici, diaspri, zaffiri, carbonchi, smeraldi ed oro».
Queste pietre simboleggiano delle attitudini veramente grandiose. Tale essere
possedeva tutto per glorificare Dio. Il suo carattere era sublime, colmo di
bontà, di grazia e di giustizia. Era dunque una creatura particolare
per la sua potenza e per la sua gloria. È detto di lui: «Tu mettevi
il suggello alla perfezione, eri pieno di sapienza e d’una bellezza perfetta».
Questo essere glorioso era stato incaricato dall’Eterno per divenire il
protettore della terra, affinché tutte le trasformazioni terrestri non
arrecassero alcun danno all’uomo, che abitava nel giardino dell’Eden.
La potenza e la gloria di tale protettore del nostro pianeta e di tutto ciò
che in esso è contenuto, potevano dunque influenzare gli elementi della
natura. Egli era, come dicono le Scritture, un cherubino protettore dalle ali
spiegate. Era posto sul monte santo di Dio, era un principe degli angeli davanti
al trono di Dio. Come detto, egli fu delegato dall’Eterno per essere il
protettore della terra ed in particolare della prima coppia umana. Il suo nome
era: «Il figlio dell’Aurora, la Stella del Mattino», che significa
principe degli angeli (Ezech. 28:12-15).
COME IL PRINCIPE DEGLI ANGELI, IL FIGLIO DELL’AURORA, È DIVENUTO
SATANA, IL DIAVOLO.
Quando il figlio dell’Aurora ricevette dall’Eterno la gloriosa missione
di cherubino protettore della terra, ebbe alle sue dipendenze legioni d’angeli,
tutti potenti in forza ed in grazia davanti al Signore. Aveva inoltre ricevuto
grandi poteri sugli elementi della natura e doveva vegliare sulla prima coppia
umana, ossia su Adamo ed Eva.
Egli sapeva che l’Eterno aveva dato a questa prima coppia il potere
di moltiplicarsi e di assoggettare la terra e che vi era una speciale benedizione
in tale potere. Allorché il figlio dell’Aurora rifletté
sui gloriosi poteri ricevuti in dono dall’Eterno, il suo cuore non riconobbe
l’immensità dell’amore che Dio gli aveva manifestato. Malgrado
la sua immensa sapienza, la sua grandiosa potenza, la sua giustizia senza ombra
né difetto, mancava a questo cherubino qualche cosa: la riconoscenza.
Il cuore di Lucifero non era sufficientemente pio e riconoscente ed il suo
amore per l’Eterno, che gli aveva donato tanta gloria e tanta maestà,
in breve s’affievolì. Egli vide di cattivo occhio il potere che
Dio aveva concesso all’uomo di procreare, di fondare una famiglia, d’avere
una posterità. Ben presto ne fu talmente indispettito che il suo amore
e la sua riconoscenza per il Signore diminuirono rapidamente l’egoismo,
l’amor proprio, penetrarono in lui.
Le immense benedizioni e la fiducia che l’Eterno gli aveva accordato
(dimostrazione dell’amore e della stima del Signore per il figlio dell’Aurora)
non furono più apprezzate in alcun modo. Fu allora che questo principe
degli angeli, dopo aver beneficiato di doni gloriosi, concepì il piano
inqualificabile di distaccarsi dal suo Benefattore, l’Eterno, e volle
divenire risolutamente il suo avversario. Ciò che incoraggiò Satana
a mantenere i suoi cattivi pensieri ed a studiare i suoi piani iniqui, di un’ingratitudine
senza limiti, fu soprattutto il fatto che Dio, che vede tutte le cose, non faceva
alcuna opposizione.
Colui che scandaglia le reni ed il cuore di tutte le creature, la cui potenza
e sapienza sono illimitate, Colui che prevede e conosce ogni cosa prima che
si manifesti, pareva non opporsi a questo cherubino protettore detto il figlio
dell’Aurora. È evidente che, prima ancora che il minimo atto di
ribellione si fosse manifestato da parte di questa creatura celeste, l’Eterno
conosceva già ogni particolare. Egli sapeva perfettamente cosa pesava
questo principe degli angeli, da Lui altamente onorato. Ma il suo cuore pieno
d’amore che crede tutto, spera tutto e sopporta ogni cosa, che è
caritatevole, paziente e colmo di bontà, che non ricerca il proprio interesse
e non sospetta il male (1 Cor. 13:4-6), questo carattere divino, meraviglioso
e glorioso di Jahwè non sarebbe intervenuto che al momento in cui il
figlio dell’Aurora avrebbe peccato contro la legge della giustizia e contro
l’Eterno.
Nel comportamento di Jahwè non constatiamo alcuna amarezza, alcuna
irritazione, ma una dolcezza, una pazienza, una longanimità ed una sopportazione
infinita verso quel suo figlio celeste che nei suoi pensieri aveva dimostrato
un’ingratitudine così terribile nei suoi riguardi. Il figlio dell’Aurora
s’allontanò sempre più dal Signore.
Egli servì della potenza e della gloria accordategli dall’Eterno
e concepì il progetto di elevarsi al di sopra delle stelle di Dio, ossia
di dominare ed ingannare gli angeli potenti in gloria ed in bellezza che erano
sotto i suoi ordini. Pensò pure d’ingannare la donna e di farla
cadere in peccato. Astuto com’era prevedeva che se fosse riuscito a far
cadere Eva nel peccato, avrebbe potuto far cadere anche Adamo.
Lucifero concepì un piano abominevole. Parlando del figlio dell’Aurora
divenuto l’avversario di Dio, le Scritture dicono: «Come mai sei
caduto dal cielo, o astro del mattino, figlio dell’Aurora? Come mai sei
precipitato? Tu dicevi in cuor tuo: io salirò in cielo, eleverò
il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, m’assiderò sul monte
dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione, salirò sulle
sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo» (Is.
14:12-14).
Nel suo piano colossale il figlio dell’Aurora già si vedeva adorato
quale dio di questo mondo, come era suo desiderio. Egli vedeva i figli degli
uomini moltiplicarsi all’infinito e obbedirgli, ed inoltre vedeva gli
angeli, di cui era il protettore ed il pastore, recargli omaggio e adorazione.
Questo cherubino, come ci dimostra il testo, aveva dunque concepito un piano:
fondare per conto suo un impero ed avere dei sudditi celesti (gli angeli) e
dei sudditi terrestri (l’uomo e la sua discendenza). Voleva sostituirsi
all’Eterno sulla terra ed in mezzo all’assemblea degli angeli a
lui sottomessi. Non siamo in grado di ammirare sufficientemente il carattere
nobile, glorioso e caritatevole dell’Eterno, che non è intervenuto
e serba la sua bontà fino all’ultimo momento, accordando il suo
amore senza dubbi e senza sospetti al figlio dell’Aurora.
La sapienza, la gloria e la scienza dell’Eterno vogliono che i figli
di Dio camminino nella gloria e nella libertà divina. L’Eterno
non vuole omaggi ed adorazioni forzate dalle sue creature. Al contrario, Egli
desidera che i sentimenti di apprezzamento, d’affetto e di riverenza e
dell’amore profondo che esse sentono per il loro Benefattore, il glorioso
Jahwè. Tutti questi sentimenti nobili e gloriosi erano stati completamente
abbandonati dal figlio dell’Aurora.
Egli pensava al progetto egoistico ed ingrato che avrebbe gettato nella più
grande catastrofe e nel più grande dolore miliardi d’esseri all’unico
scopo di regnare su di loro. Evidentemente il figlio dell’Aurora nutriva
in cuore il progetto di rendere questi esseri (che voleva separare dalla comunione
con Dio) più felici di quanto lo fossero sotto l’egida dell’Eterno.
Questo principe degli angeli, Satana, aveva notato che Dio faceva tutte le cose
secondo un piano determinato; per questo gli venne l’idea di progettare
lui pure un piano consistente nel separare l’uomo dalla comunione divina,
facendogli false promesse, e nel far peccare gli angeli che erano sotto la sua
sorveglianza per crearsi un regno indipendente. L’orgoglio lo fece cadere
così in basso, ch’egli divenne un mentitore ed un assassino (Giov.
8:44).
Satana si servì della sua grande potenza per suggestionare Eva, che
però conosceva bene la proibizione fattale dall’Eterno di non mangiare
il frutto d’un certo albero. Per giungere al suo scopo, Satana suggestionò
contemporaneamente un animale: il serpente.
Questo animale era più intelligente di tutti gli altri ed abitualmente
teneva compagnia all’uomo. Lo stesso si verifica ancora oggi. Certi animali
si affezionano all’uomo, che ritiene questi esseri più intelligenti
degli altri in quanto gli rendono dei servizi, ad esempio, il cane, il cavallo,
ecc. Il serpente come animale era stato dotato di una grande intelligenza e
non aveva l’aspetto ripugnante che ha attualmente.
Tale aspetto è dovuto alla condanna ed alla maledizione ed alla maledizione
ce lo colpirono quando cedette a Satana.
Non pensiamo che tale animale si sia servito delle parole per indicare alla
donna ciò intendeva dirle. Vediamo sovente gli animali domestici come
il cane ed il gatto, farsi capire; ad esempio quando vogliono uscire di casa,
sanno benissimo farlo intendere.
Lo stesso avvenne per il serpente, che in quel momento aveva un aspetto attraente
ed era molto dotato. Satana suggestionò contemporaneamente l’animale
e la donna. Il serpente era ai piedi dell’albero il cui frutto non si
doveva mangiare.
Eva ammirava l’animale e la sua intelligenza superiore a quella degli
altri, poiché sapeva farsi capire perfettamente. Ella amava molto la
sua compagnia.
Sotto la potenza della suggestione di Satana, il serpente mangiò alcuni
frutti dell’albero su cui il Signore aveva posto la sua proibizione. Ciò
si ripeté per un certo tempo. All’inizio Eva pensò che il
serpente sarebbe morto, ma non morì, anzi, sembrava che l’intelligenza
gli si fosse maggiormente sviluppata.
Eva ne fu stupita. Fu allora che la potenza della suggestione dell’avversario
si fece sentire particolarmente pressante e che il sospetto nacque nel cuore
della donna. Ella pensava: «Veramente gli altri non hanno molto valore
in confronto a questo serpente che è persino capace d’indicarmi
la via per acquistare una più alta intelligenza». Ecco ciò
che Eva pensava in fondo al cuore.
Esaminiamo ora in che cosa consiste la potenza della suggestione. La suggestione
è una forte potenza, capace di far nascere in un’altra persona
il pensiero che si desidera inculcare. Tale pensiero viene imposto al cervello
di colui che è suggestionato, mediante la potenza della volontà.
Troviamo degli esempi nella vita umana. Un individuo che possiede una forte
volontà, può imporla ad un suo simile più debole la cui
forza volitiva non è in grado di resistergli.
Quest’ultimo si sente dipendente ed accetta per tal fatto la volontà
del suggestionare quasi senza rendersene conto.
Questo è il metodo usato generalmente da Satana per suggestionare
l’umanità, secondo quanto è scritto: «Il principio
della potestà dell’aria, di quello spirito che opera al presente
nei figli della ribellione» (Efe. 2:2). Questo passo delle Scritture c’indica
come reagisce il principe della potenza dell’aria, Satana.
Mediante la suggestione egli impone la sua volontà agli uomini, i figli
della ribellione, che obbediscono perfettamente alla sua potenza. Satana li
fa agire senza che essi se ne rendano conto e si serve di ogni mezzo, d’ogni
artificio, pur di giungere a manipolarli come burattini.
L’avversario ed i demoni osservano gli uomini e spesso cercano d’influenzarli
inducendoli a commettere una cattiva azione; quando poi quest’azione è
compiuta, perseguitano il disgraziato con la paura del castigo, che spinge il
colpevole a continuare nella cattiva via.
Si può capire la potenza della suggestione mediante l’esempio
seguente: in una seduta d’ipnotismo e di suggestione un ipnotizzatore
presenta una persona completamente sotto il suo influsso e le fa compiere tutto
ciò che desidera, imponendole la sua volontà.
Ad esempio, può presentarle una patata cruda e imporle di credere che
si tratta di una pesca. Questa persona mangia la patata cruda con avidità
esente il gusto di una buona pesca, come l’ipnotizzatore le ha impulso.
D’improvviso egli può mutare i sentimenti di colui che gli obbedisce:
gli può far credere, ad esempio, che una parte della pesca è guasta.
Il suggestionato allora sente una sensazione di disgusto. Lo stesso ipnotizzatore
fa un’altra esperienza, non più su una sola persona, ma su chiunque
voglia prestarsi alla prova. Fa mettere in ginocchio tutti coloro che si sono
presentati, poi dice: «Alzatevi, se lo potete». Su una decina di
persone, sette sono in grado di resistere alla suggestione, ma tre non possono
alzarsi, pur desiderandolo, in quanto la loro volontà è stata
spezzata dalla potenza della volontà della persona che suggestiona.
Come spiegare tale fatto? Si spiega facilmente come segue: l’ipnotizzatore
ha una potenza di volontà fortissima, la quale è raddoppiata,
rinforzata dalla potenza diabolica. Questa potenza di volontà emette
onde (paragonabili alle onde elettriche) che impressionano il cervello del soggetto,
proprio come la potenza della volontà comanda alle membra del nostro
corpo che obbedisce.
Questa volontà agisce sulle corde vocali di una persona ed ella emette
suoni e parla. Da ciascuno di noi si sprigionano onde magnetiche più
o meno forti, dovute alla forza del pensiero e della volontà.
Questo spiega come tutti coloro che si occupano specialmente di magnetismo
possano trasmettere la loro volontà ad altri, non per mezzo del comando
e della parola, nel qual caso il potere suggestivo risulta enormemente rinforzato,
ma tramite il pensiero. L’esperienza citata delle tre persone che non
sono riuscite a resistere all’ipnotizzatore e che sono rimaste inginocchiate,
pur volendosi alzare, dimostra che tali persone avevano ricevuto onde magnetiche
superiori a quelle della loro propria volontà e non hanno potuto resistere
al forte comando poiché il loro cervello, indebolito sotto l’azione
potente della trasmissione del pensiero e della volontà dell’ipnotizzatore,
aveva formato con lui un’unica volontà e il loro corpo ha obbedito
alla parola di colui che sa bene come suggestionare.
Questi impone la sua volontà al cervello del suggestionato, che diventa
per tale fatto il suo schiavo, il suo giocattolo, poiché gli fa fare
tutto ciò che vuole. Tanto più è potente l’influsso
della volontà dell’ipnotizzatore, quanto meno il suggestionato
oppone resistenza alla sua azione.
Il suggestionato potrebbe persino cadere in ipnosi a grandi distanze unicamente
per la volontà e la potenza esercitate dall’ipnotizzatore. Ritorniamo
ora alla suggestione esercitata da Satana sulla donna e sul serpente.
È evidente che Eva avrebbe potuto perfettamente resistere, poiché
nulla in lei doveva provocare il desiderio d’un qualsiasi mutamento di
vita.
La sua felicità era completa. Le mancava però quella parte dell’amore
che si chiama riconoscenza. Eva non era abbastanza riconoscente.
Non aveva per l’Eterno un affetto veramente sincero ed adeguato, tale
da consentirle di ammirare il suo glorioso carattere e cercare di fargli piacere:
offrirgli omaggi, adorazione e la riconoscenza sincera e profonda del suo cuore.
Eva non cercava di sapere come avrebbe potuto meglio lodare e glorificare Dio
e non si preoccupava di ricordare tutto il bene che l’Eterno le aveva
fatto, procurandole tutte le cose necessarie alla vita. Al contrario, ella accettava
tutte le benedizioni divine considerando la nobiltà del Creatore, che
gliele elargiva, come una cosa naturale, dovutale. Per di più pensava
al modo di poter acquisire quell’intelligenza che le pareva tanto desiderabile.
Voleva conoscere; era curiosa ed era spinta, in questa via fatale, dalla suggestione
dell’avversario. Quante donne, anche attualmente, sono d’una tale
curiosità che commetterebbero facilmente qualsiasi cosa pur di riuscire
a sapere! E succede anche agli uomini di comportarsi in tale modo.
Come detto, Eva voleva conoscere ad ogni costo, ma aveva tutto per poter
resistere facilmente all’avversario. La sorprendeva soprattutto il fatto
che il serpente non moriva. Eppure Dio aveva detto all’uomo: «Il
giorno in cui mangerai del frutto proibito, morrai». L’avversario
si servì di tale circostanza per suggestionare la donna mediante un pensiero
d’ingratitudine e di diffidenza verso Colui che è l’Autore
d’ogni grazia eccellente e d’ogni dono perfetto (Giac. 1:17).
Satana, vedendo che la donna incominciava a dubitare delle buone intenzioni
di Dio nei suoi confronti, continuò ad eccitare la curiosità di
Eva per mezzo del serpente. Il dramma era impressionante, poiché stava
per causare la caduta della donna sotto la sferza della condanna.
I sentimenti di diffidenza di Eva verso Dio s’accentuarono sempre più
e da quel momento ella incominciò a sottostare alla suggestione dell’avversario,
che pensò: «Ancora uno sforzo e sarà vinta, privata per
sempre della comunione con Dio».
Egli suggerì alla donna il pensiero che il frutto proibito doveva essere
qualcosa di prezioso e di meraviglioso, che Dio non era sufficientemente buono
da fargliene parte, che forse tale frutto le avrebbe aperto l’intelligenza
a tal punto da diventare simile a Dio, grazie alla conoscenza del bene e del
male (Gen. 3:5), e forse le avrebbe dato addirittura l’immortalità.
Satana convinse Eva che non sarebbe morta anche se avesse mangiato il frutto
proibito, poiché il serpente lo aveva sufficientemente dimostrato.
Il dramma spaventoso della caduta d’Adamo dovrebbe servire da lezione
salutare a tutti gli uomini e spronarli ad apprezzare la bontà dell’Eterno.
L’ingratitudine è una colpa terribile che causa una quantità
di peccati. Sotto la potenza della suggestione di Satana, di cui già
abbiamo parlato, la donna non poté resistere a lungo: colse il frutto,
né mangiò, e ne mangiò pure Adamo.
Vedendo che la condanna era caduta su Eva, il nostro primogenitore non ebbe
il coraggio di unirsi al Donatore, all’Eterno, a Colui che gli aveva procurato
tanta felicità. Anch’egli mangiò del frutto, non perché
fosse stato sedotto (era cosciente dell’ingratitudine senza limiti della
sua compagna ed aveva apprensione per il terribile castigo che ne sarebbe seguito),
ma per il fatto che non voleva separarsi dalla sua compagna, divenuta nemica
di Dio in seguito alla trasgressione.
È in tal modo che la condanna si è estesa a tutti gli uomini
per mezzo di Adamo. L’avversario aveva così nelle sue mani la prima
coppia umana, che da quel momento era condannata! Si trattava, per poter realizzare
il suo piano, di far peccare gli angeli posti sotto la sua guida.
Conosciamo lo svolgimento di questa spaventosa tragedia, che ha causato la
condanna dell’uomo e la sua separazione dallo spirito di Dio. Essa si
è realizzata a causa degli intrighi e delle menzogne dell’avversario.
Il risultato ha fatto versare cocenti lacrime, commettere iniquità senza
nome e discendere nella tomba miliardi d’esseri umani.
Satana è divenuto così mentitore ed assassino, lui, il cherubino
protettore dalle ali spiegate, un principe degli angeli, il figlio dell’Aurora,
è divenuto Satana, il nemico di Dio! Egli sperava di riuscire ad avere
completamente nelle sue mani il genere umano, ed esserne il dio ed il protettore.
Voleva essere lui a procurare agli uomini la felicità e di stabilire
un regno terrestre del quale sarebbe stato il sovrano e il dio, incaricandosi
d’influenzare gli uomini per mezzo della suggestione, d’ipnotizzarli
all’occorrenza, per indurli ad eseguire i suoi piani. Ciò gli fu
molto facile, allorché la prima coppia si trovò separata dall’unione
con Dio.
Possiamo farci un’idea del potere di un essere come Satana, se pensiamo
che può influenzare gli elementi stessi della natura, al punto di provocare
tempeste e uragani come quello che si abbatté sul lago di Gennezaret,
quando i discepoli svegliarono il loro Maestro che dormiva nella barca (Mt.
8:23-27).
Un’altra dimostrazione della potenza di Satana si manifestò quando
gli spiriti puri uscirono dall’indemoniato ed entrarono nel branco di
maiali che la potenza diabolica precipitò in mare, per mezzo di un temporale
(Mar. 5:13).
MATERIALIZZAZIONE E SMATERIALIZZAZIONE DEGLI SPIRITI CELESTI.
La Bibbia ci dice che quando Adamo peccò, Dio gli fece conoscere la terribile
sentenza (equivalenza) che l’avrebbe colpito. Essa prosegue dicendo che
Dio scacciò Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. (In realtà
fu la loro coscienza che li obbligò a lasciare quel luogo benedetto).
In quel momento e più tardi ancora, Dio inviò sulla terra degli
spiriti celesti: angeli o messaggeri. Per poter essere visibili agli uomini,
tali spiriti devono materializzarsi, ossia prendere una forma materiale. La
Bibbia ci dà molti esempi di queste materializzazioni. Non è necessario
che lo spirito celeste assuma un corpo d’uomo per apparire sulla terra,
in altri termini, non è indispensabile che l’angelo abbia l’apparenza
esteriore d’una persona: la Parola divina parla d’un cespuglio ardente
visto da Mosè; questo cespuglio bruciava, ma non si consumava.
Tuttavia, in generale, la materializzazione degli angeli avviene piuttosto
sotto forma umana, come nel caso dei tre personaggi apparsi ad Abramo, uno dei
quali era chiamato il Signore. Tali personaggi avevano l’aspetto di stranieri
(Gen. 18:2). Si trattava di una forma di materializzazione appropriata e quindi
adottata il più delle volte. Numerose sono le materializzazioni di angeli
sotto forma umana. I tre uomini che apparvero ad Abramo mangiarono e bevvero.
In tale occasione essi ebbero un organismo esattamente simile a quello degli
uomini, malgrado fossero angeli materializzati (Gen. 18 e 19). Anche Giacobbe
fu posto di fronte all’angelo dell’Eterno, col quale combatté
fino al sorgere dell’aurora (Gen. 32:24-32). Giacobbe incontrò
degli angeli sul suo cammino (Gen. 32:1). La Parola di Dio ci parla di Manoah
e di sua moglie, genitori di Sansone, ai quali apparve un angelo. Per apparire
loro l’angelo dovette materializzarsi. La moglie di Manoah pensò
che si trattasse di un uomo pio, di un uomo di Dio, ma ben presto entrambi assistettero
alla smaterializzazione dell’Angelo. Nel momento in cui Manoah offriva
all’Eterno un olocausto, l’angelo salì in cielo nella fiamma
che si sprigionava dall’offerta (Giudici 13:20).
I discepoli del Signore assistettero ad una materializzazione di Gesù,
quando il Salvatore apparve in mezzo a loro. In un primo tempo furono presi
dal panico, ma Gesù li rassicurò e mostrò loro le mani
ed i piedi che erano stati trafitti dai chiodi della croce. Il Signore apparve
loro quando erano adunati. Precedentemente il Salvatore si era smaterializzato
ad Emmaus, quando disparve dalla vista dei due discepoli. Il Signore apparve
dunque ancora in mezzo ai suoi discepoli, materializzandosi di nuovo. In tale
occasione disse espressamente: «Uno spirito (ossia uno spirito celeste
nella sua condizione naturale) non ha carne e ossa come voi vedete che io ho»
(Luca 24:30).
Le Scritture rilevano che se da un lato gli spiriti celesti si sono spesso
materializzati dall’altro Dio dà agli uomini il potere di percepire
la presenza degli angeli senza una loro effettiva materializzazione. Un esempio
di questo genere è in 2 Re 6:14-17. Mediante la potenza di Dio fu accordato
al servitore d’Eliseo di vedere gli eserciti spirituali celesti; visione
che gli occhi umani non possono percepire, a meno d’un intervento soprannaturale.
I siriani, nemici di Eliseo, avevano inviato i loro soldati per catturare il
profeta. Eliseo disse al suo servitore: «Non temer poiché quelli
che sono con noi più numerosi di quelli che sono con loro». Egli
pregò l’Eterno, affinché il suo servitore potesse discernere
gli eserciti celesti. L’Eterno aprì gli occhi del servitore, che
vide attorno ad Eliseo il monte coperto di cavalli e carri di fuoco.
Questi fatti dimostrano anzitutto il potere che Dio dà gli angeli di
materializzarsi e di smaterializzarsi, ed inoltre la facoltà che Dio
dà agli esseri umani di sentire e discernere le creature spirituali celesti.
L’apparizione che il servitore di Eliseo ebbe fu possibile per il fatto
che l’Eterno gli diede tale discernimento per mezzo del potere divino,
esercitato mediante lo spirito di Dio. La potenza divina ha dunque agito sul
cervello del servitore, per renderlo capace di discernere cose che gli sfuggivano
con i mezzi umani. È interessante rilevare che anche il diavolo ha il
potere di dare all’uomo il discernimento degli spiriti, ma unicamente
di quelli decaduti. Ne parleremo più avanti.
Il potere esercitato da Satana sul cervello di Eva fece pressione su di lei
per mezzo d’una manifestazione esteriore: quella del serpente, al fine
di indurla a credere in cose che non esistevano. Far dubitare la donna e provocare
nel suo cuore pensieri di sospetto e di malevolenza, ecco lo scopo dell’avversario.
La suggestione spinse Eva a prendere il frutto proibito, avendo constatato che
era piacevole alla vista e prezioso per l’intelligenza (Gen. 3:6). In
definitiva tutto ciò che la donna constatò ed imparò con
la sua disubbidienza fu che era nuda, ossia condannata. La sua coscienza le
rimproverava il suo misfatto e la sua disubbidienza, per questo si nascose;
tuttavia non immaginava le terribili conseguenze della sua separazione della
comunione con Dio.
COME UNA PARTE DEI SANTI ANGELI DI DIO DIVENNERO DEMONI
Abbiamo potuto renderci conto, da ciò che precede, che gli spiriti celesti,
detti angeli, apparivano sulla terra in piena libertà, ma non il cherubino
protettore, divenuto Satana, il diavolo. Questo cherubino, che doveva manifestare
una potente protezione sugli uomini, ha terribilmente abusato del potere concessogli.
Invece di proteggere l’umanità, l’ha fatta cadere nel peccato.
Era il primo passo nella realizzazione del suo progetto di formare un impero
per proprio conto, per questo divenne l’avversario di Dio, proclamandosi
egli stesso di Dio (Isaia 14:14). Il suo piano, che pareva riuscire, gli riservò
la sorpresa d’una terribile delusione. Satana non poté custodire
in vita l’uomo. La sentenza di morte pronunciata dal Signore si compì
malgrado tutto. Tale sentenza e la sua esecuzione dovevano spingere l’uomo
a ricercare i favori di Dio, l’unico che possiede la vita in se stesso.
Stana, malgrado tutte le sue menzogne, ha condotto il genere umano alla tomba,
ed è divenuto il suo omicida (Giov. 8:44). La discesa nel sepolcro è
stata inevitabilmente una terribile delusione per l’umanità; le
Scritture ci dicono: «Nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è
più lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza»
(Eccl. 9:10).
Avere quale eredità e risultato di tutta una vita i dolori, la corruzione
e la putrefazione, non fa certo sorridere nessuno. Bisognava dunque che Satana
immaginasse una menzogna o piuttosto che continuasse nella menzogna, facendo
credere all’uomo che egli non poteva morire, che la morte era soltanto
apparente e non era la cessazione della vita. A tale scopo l’avversario
escogitò la dottrina dell’immortalità dell’anima umana.
Questa menzogna è il principale insegnamento di Satana infatti tutta
la sua impalcatura d’inganni è basata su questa falsa dottrina,
negata da tutta la Bibbia. Citeremo un sol brano, sufficientemente chiaro, per
dimostrare la falsità di questa credenza: «I viventi sanno che
morranno ma i morti non sanno nulla, e non vi è più per essi alcun
salario, poiché la loro memoria è dimenticata» (Eccl. 9:5).
La morte è la cessazione del funzionamento dell’organismo e la
perdita di ogni sensazione d’esistenza (La Divina Rivelazione). Satana
non si accontentò di questa affermazione poiché davanti ai fatti
evidenti della morte, della corruzione e del sepolcro, risultati della condanna,
l’avversario temeva che gli uomini gli sfuggissero. Concepì dunque
un piano che gli permettesse di rendere vitale l’umanità e, nello
stesso tempo, di continuare a propagare la sua menzogna relativa all’immortalità
del’anima umana. Satana influenzò gli angeli nel periodo precedente
il diluvio; li spinse ad approfittare del potere che Dio aveva loro concesso
di materializzarsi a somiglianza degli esseri umani, per avere relazioni sessuali
con le figlie degli uomini. Tale fatto è indicato nelle Scritture con
le seguenti parole: «…gli angeli che non serbarono la loro dignità
primitiva, ma lasciarono la loro propria dimora; nello stesso modo Sodoma e
Gomorra e le città circonvicine si abbandonarono alla fornicazione ed
a vizi contro natura» (Giuda 6 e 7).
Questa dichiarazione della Bibbia c’indica che cosa risultò di
fatto che Dio aveva dato agli angeli di potersi materializzare. Questi, o almeno
un certo numero di essi, hanno scandalosamente abusato di tale potere ed hanno
avuto, come abbiamo detto, relazioni con le figlie degli uomini. La Genesi (cap.
6) ce lo insegna in questi termini: «Quando gli uomini cominciarono a
moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono nate delle figliole… i
figli di Dio (angeli) ne presero per mogli». Il risultato d’un tale
incrocio fu la nascita di giganti. La Bibbia dice: «Furono gli eroi famosi
nell’antichità». La loro storia, più o meno esagerata
e più o meno ricamata d’ogni genere di menzogne, è citata
in parte dalla mitologia, che considera come dei gli angeli che ebbero tali
traffici e come semidei la progenie nata da tali relazioni.
Qualche dotto ha creduto di vedere nella mitologia (che cita la vita di esseri
soprannaturali i quali avrebbero avuto relazioni con gli uomini) l’inizio
di certe religioni. La Bibbia ci dà una chiara spiegazione su questi
esseri ibridi: i giganti e gli eroi dell’antichità cono nati dal
traffico illecito di angeli con le figlie degli uomini (Gen. 6). Specialmente
gli Egiziani davano grande importanza alla mitologia, da loro definita in altro
modo. In tale popolo i semidei ebbero una certa popolarità e gli abitanti
dell’Egitto costruirono templi in loro onore. Si citano quali divinità
Iside ed Osiride. Evidentemente si tratta di una leggenda che ha uno spunto
di verità. Questi giganti, nati dall’incrocio delle figlie degli
uomini con gli angeli decaduti, sono stati conosciuti da Seth, figlio di Adamo,
il cui nome è riportato nella leggenda egiziana insieme a quelli di Iside
e di Osiride.
Anche i Greci ebbero una grande conoscenza della mitologia. È evidente
che tutti questi fatti furono esagerati; l’avversario, che mediante la
suggestione tiene sotto il suo potere l’intera umanità, poteva
farlo con estrema felicità. Satana sperava dunque di rendere vitali gli
uomini generando esseri ibridi che, secondo lui, avrebbero potuto sfuggire alla
morte dovuta alla vecchiaia, essendo nati da esseri spirituali. Il diluvio venne
e distrusse questi giganti con tutta l’umanità, eccetto Noè
e la sua famiglia. Inoltre la Bibbia afferma che l’Eterno colpì
con una terribile condanna gli angeli che si erano prostituiti con le figlie
degli uomini. Le Scritture dicono a tale proposito: «Dio non risparmiò
gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò confidandoli in antri
tenebrosi (il tartaro, lo strato d’aria che circonda la terra) per esservi
custoditi per il giudizio» (2 Pietro 2:4).
Le menzogne e le malvagità continuarono a manifestarsi. Gli angeli
decaduti, colpiti da tenebre ed imprigionati nello strato d’aria che circonda
la terra, risentono la loro disgraziata situazione. Essi aggravano la loro infelicità,
tormentandosi vicendevolmente. Resteremo in tale condizione fino al giorno del
giudizio. Satana ha approfittato della loro situazione infelice per inventare
la spaventosa bestemmia dell’inferno, che sotto la suggestione dell’avversario
viene insegnata dalle dottrine pagane. È questa l’origine di tale
dottrine abominevole. Il regno di Satana si è costituito completamente
con esseri decaduti: da un lato gli angeli infedeli e dall’altro l’umanità
privata della comunione con Dio e colpita dalla condanna. Ecco in che cosa consiste
il regno dell’avversario il dio di questo mondo, colui che avrebbe dovuto
essere l’intermediario fra Dio e gli uomini, poiché Iddio l’aveva
incaricato di proteggerli. Invece egli è stato il loro seduttore ed il
loro omicida (Giov. 8:44). Le Scritture definiscono il regno di Satana: «Questo
mondo di tenebre».
Le tenebre del mondo consistono nel far passare la morte per vita (mediante
la menzogna dell’immortalità dell’anima umana), le tenebre
per luce, l’odio per amore, l’ingiustizia per giustizia. Il Regno
della luce è in opposizione, col suo spirito, al mondo delle tenebre.
Questo Regno di luce è formato dall’Eterno, il Dio delle luci,
dal suo Figlio degli spiriti celesti o angeli fedeli. Il regno di Satana, attualmente
stabilito sulla terra, comprende il mondo pagano, maomettano e la grande Babilonia:
la cristianità nella quale le autorità civili, militari e religiose
sono stabilite sotto la potenza di Satana, il dio di questo mondo.
La grande seduzione, come abbiamo detto, consiste in questo: nessuno suppone
che le varie religioni comprese quella cattolica, quella ortodossa e quelle
protestanti siano opera di Satana. Le persone che vengono in contatto con i
veri figli di Dio, i figli della luce, trovano che questi sono insensati, poiché
sono miti e perdonano chi li offende, senza chiedere giustizia, intercedono
per i colpevoli e amano i loro nemici, non difendono i loro interessi materiali,
hanno fiducia illimitata in Dio ed una fede completa. I figli della luce si
lasciano guidare da Dio, si accontentano di ciò che è dato loro
e non desiderano le ricchezze umane, né si impegnano nella lotta per
la sopravvivenza. Essi amano il loro Padre che è nei cieli ed hanno una
totale fiducia in Lui; amano i figli di Dio, ossia i loro fratelli e le loro
sorelle. Per questo sono nella luce e non vi è in loro alcuna occasione
di caduta (1 Giov. 2:10).
Tali cose non si trovano in Satana e nemmeno nel suo regno. La potenza dello
spirito del seduttore fa apparire i tratti discepoli come insensatezze; Satana
infatti predica l’egoismo, ossia la difesa degli interessi personali e
terreni, che generano la discordia fra gli uomini e li rendono disgraziati ed
incapaci di uscire dalla loro terribile situazione, malgrado tutti i loro sforzi.
Abbiamo chiaramente dimostrato in che modo gli angeli di Dio sono divenuti dei
demoni ed in che modo sono stati colpiti dalle tenebre con il loro capo Satana,
che è divenuto il principe delle tenebre dopo essere stato il principe
della luce ed aver vissuto in armonia con Dio. Le Scritture lo definiscono principe
o dio di questo mondo. Gli angeli decaduti detti demoni, imprigionati nello
strato d’aria che circonda la terra, sotto la guida del loro capo suggestionato
continuamente gli uomini. Essi desiderano avere e mantenere relazioni con le
creature terrestri mediante l’eccitazione di passioni per mezzo di fascini
seduttori.
LA RELIGIONE CATTOLICA NELLE SCUOLE
Nell’ora di religione, che cosa insegnano?: NIENTE; perché niente?
Perché se insegnano qualche cosa vanno contro le “Sacre Scritture”
e non possono insegnare qualche cosa, perché insegnano “idolatria”
nella testa degli alunni e devono rendere conto ai genitori, soprattutto a Dio.
Allora cosa serve insegnare la religione Cattolica? Per combattere le altre
religioni, per paura che altre religioni prosperano e cosi sempre meno vanno
nelle chiese Cattoliche. (La chiesa con il campanile, non è la vera chiesa
di DIO).
NOME DI DIO - YHWH. Questi antichi ebrei gli hanno dato un nome.
(Esodo 3:13,14,15)
COSA DOVETE FARE PER VIVERE PER SEMPRE QUI’ SULLA TERRA E SU ALTRI PIANETI
O IN CIELO CON L’ETERNO DIO:
L’Eterno DIO vi offre un’opportunità meravigliosa, quella
di vivere per sempre nel suo giusto sistema di cose. (II Pietro 3:13)
(Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei
quali abiti la giustizia).
Ma per viverci dovete fare ora la volontà di Dio. L’attuale mondo
malvagio, inclusi tutti quelli che continuano a farne parte, sta per scomparire,
“ma chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”, in Eterno.
(I Giovanni 2:17) Dovete quindi scegliere fra due strade. Una conduce alla morte
e l’altra alla vita eterna. (Deuteronomio 30:19, 20) Quale sceglierete?
(Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho
posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque
la vita, affinché tu viva, tu e la tua discendenza, amando il Signore,
il tuo Dio, ubbidendo alla Sua voce e tenendoti stretto).
Come potete dimostrare di aver scelto la vita? Innanzi tutto dovete avere
fede nell’Eterno Dio e nelle sue promesse. Siete fermamente convinti che
Dio esiste “e che è il rimuneratore di quelli che premurosamente
lo cercano” ? (Ebrei 11:6) (Or senza fede è impossibile piacergli;
poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa
tutti quelli che lo cercano).
Dovete confidare in Dio come un figlio o una figlia confida in un padre amorevole
e misericordioso. (Salmo 103:13,14; (Come un padre è pietoso verso i
suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono)(Poiché
egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere.) (Proverbi
3:11,12) (Figlio mio, non disprezzare la corruzione del Signore, non ti ripugni
la sua riprensione; perché il Signore riprende colui che egli ama, come
un padre il figlio che gradisce.) ( Se avete questa fede, non dubiterete della
saggezza dei suoi consigli e della giustezza delle sue vie, anche se a volte
non li comprenderete pienamente. La fede da sola, però, non è
sufficiente. Devono esserci anche opere che dimostrino quello che realmente
provate per l’Eterno Dio. (Giacomo 2:20,26) Insensato! Vuoi renderti conto
che la fede senza le opere non ha valore?. Infatti come il corpo senza lo spirito
è morto, così anche la fede senza le opere è morta. Avete
fatto qualcosa per mostrare che vi dispiace di aver compiuto in passato azioni
non giuste? Vi siete sentiti spinti a pentirvi o a fare cambiamenti per mettere
la vostra vita in armonia con la volontà dell’Eterno? Vi siete
convertiti, abbandonando qualsiasi precedente comportamento errato, e avete
cominciato a fare le cose che Dio richiede? (Atti 3:19; 17:30) (Ravvedetevi
dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati Dio dunque,
passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti,
in ogni luogo, si ravvedano).
SCEGLIETE LA VITA ETERNA SULLA TERRA PARADISIACA
Non ci sono che due possibilità. Cristo spiegò che era come scegliere
fra due strade. Una strada, disse, “è ampia e spaziosa”.
Chi la percorre è libero di fare come gli pare. L’altra strada,
invece, è “angusta”. Sì, quelli che la percorrono
devono ubbidire alle istruzioni e alle leggi di Dio. La maggioranza, osservò
Gesù, sceglie la strada larga; pochi quella stretta. Quale strada sceglierete
voi? Nel fare la vostra scelta, tenete presente questo: la strada larga finirà
all’improvviso in un vicolo cieco, la distruzione! La strada stretta,
invece, vi condurrà diritto nel nuovo sistema di Dio. Lì potrete
partecipare all’opera di fare della terra uno splendido paradiso, in cui
potrete vivere felici per sempre. – Matteo 7:13,14. (Entrate per la porta
stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce
alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è
la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la
trovano).
Non illudetevi che ci siano altre strade o modi per ottenere la vita nel nuovo
sistema di Dio. Ce ne una sola. Ci fu solo un’arca che superò il
Diluvio, non varie imbarcazioni. E ci sarà un’unica organizzazione
– la visibile organizzazione di Dio – sopravvivrà alla “grande
tribolazione” che s’avvicina rapidamente. Non è affatto vero
che tutte le religioni portino allo stesso luogo. (Matteo 7:21-23; 24:21) (Non
chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel Regno dei cieli, ma chi
fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Allora dichiarerò
loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori”.
Perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è
stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà.
Se volete ricevere dall’Eterno la benedizione della vita eterna, dovete
far parte della Sua organizzazione, facendo la Sua volontà. – Salmo
133:1-3. (Ecco quanto è buono e quanto è piacevole che i fratelli
vivono insieme! È come olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla
barba, sulla barba d’Aronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestiti;
è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion; là
infatti il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno. Tenete
quindi vivo nella mente e nel cuore il quadro del promesso nuovo sistema di
cose di Dio. Pensate ogni giorno al grande premio che l’Eterno Dio ha
in serbo per voi: la vita eterna sulla terra paradisiaca. Non è un sogno.
È una realtà! L’adempimento di questa promessa biblica è
infatti certo: “I giusti stessi possederanno la terra, e risiederanno
su di essa per sempre . . . Quando i malvagi saranno stroncati, tu lo vedrai”.
– Salmo 37:29,34. (I giusti erediteranno la terra e l’abiteranno
per sempre. Spera nel Signore e segui la sua via; egli ti esalterà perché
tu possiedi la terra, e veda lo sterminio degli empi.
Vuoi far parte ai 144.000? Se ti è possibile. Sarà in tali condizioni
paradisiache che Gesù Cristo e i suoi 144.000 re associati giudicheranno
l’umanità. Coloro che sceglieranno di servire l’Eterno Dio
potranno ricevere la vita eterna. Ma anche nelle migliori delle circostanze
alcuni rifiuteranno di servire Dio. Le Scritture dicono: “Benché
al malvagio si mostri favore, egli semplicemente non imparerà la giustizia.
Nel paese della dirittura agirà ingiustamente”. (Isaia 26:10) Quindi
dopo aver ricevuto ogni opportunità di cambiar vita e di imparare la
giustizia, quei malvagi saranno distrutti. Alcuni saranno messi a morte anche
prima della fine del Giorno del Giudizio. (Isaia 65:20) Non sarà permesso
loro di rimanere per corrompere o rovinare la terra paradisiaca.
I COSIDETTI CRISTIANI, MA NON LO SONO: sono cristiani Cattolici
Politicanti, conoscono bene i nomi dei mafiosi, ma non lo dicono, vanno confessarli
e li fanno la comunione liberandoli da tutti i peccati, questi cristiani Cattolici:
Papa, Cardinali, Vescovi, ecc. Hanno delle Basiliche, Monasteri, Cattedrali,
Tesori, ricchezze di ogni genere.
Il Papato, con i suoi vescovi, sono rimasti con la legge che c’era prima
che venisse Gesù Cristo, combattendo contro la Città Santa Gerusalemme,
ammazzando Ebrei, scribi, Farisei e facendo crociate, sante inquisizioni, rubando
terreni e beni di ogni genere. Ancora oggi sono occhio per occhio e dente per
dente, naturalmente lo fanno con astuzia, mandando altre persone perché
loro non muovono neanche un dito, questi politicanti vescovi. La loro politica
è di fare soldi, con l’assistenza sociale rubano i bambini ai propri
genitori e li portano nei conventi di suore e così gestiscono il denaro
che il Governo li passa, i soldi non li danno ai propri genitori, che si accontenterebbero
di molto meno.
Dopo anni i bambini vengono dati ai genitori, finalmente, ormai i ragazzi
sono diventati rincretiniti, non sanno di niente. Ora queste suore, che tante
sono state raccolte dalla strada, è naturale che non possono darli una
buona educazione. Si è visto che tanti preti vanno per gli ospedali per
assistere i moribondi poi si è sentito dai parenti che i beni sono andati
ai bisognosi, dove sarà mai la verità? Dove andranno finire questi
beni dopo che li hanno fatto firmare queste carte.
Gesù Cristo interverà presto affinché ci sia pace qui sulla
terra.
Gesù condanna gli scribi e i falsi cristiani cattolici e i farisei.
Matteo 23:1,36
Allora Gesù parlò alla folla e ai suoi discepoli, dicendo: “Gli
scribi e i farisei (e tutti quelli che non mettono in pratica la mia parola,
cioè i falsi cristiani cattolici e tutto il papato che non hanno insegnato
la Bibbia) siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte
le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono
e non fanno. Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle
della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito. Tutte le loro
opere le fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro
filatterie e allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti,
i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ad essere chiamati dalla
gente: “Rabbi!” Ma voi non vi fate chiamare “Rabbi!”;
perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli.
Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è
il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide,
perché una sola è la vostra Guida, il Cristo; ma il maggiore tra
di voi sia vostro servitore.
Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà
sarà innalzato”. “Ma guai a voi, (falsi cristiani) scribi
e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente;
poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano
di entrare. Guai a voi, (e a tutti quelli che non insegnano le Sacre Scritture)
scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate
lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna.
Guai a voi (Vescovi della chiesa romana) scribi e farisei ipocriti, perché
viaggiate per mare e per terra per fare un proselito; e quando lo avete fatto,
lo rendete figlio della geenna il doppio di voi.
Guai a voi, guide cieche, che dite: Se uno giura per il tempio, non importa:
ma se giura per l’oro del tempio, resta obbligato. Stolti e ciechi! Che
cosa è più grande: l’oro o il tempio che santifica l’oro?
E se uno, voi dite, giura per l’altare, non importa; ma se giura per l’offerta
che c’è sopra, resta obbligato. Ciechi! Che cosa è più
grande: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? Chi
dunque giura per l’altare, giura per esso e per tutto quello che c’è
sopra, e chi giura per il tempio, giura per esso e per Colui che lo abita; e
chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi siede sopra.
Guai a voi scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta,
dell’aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della
legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava
fare, senza tralasciare le altre. Guide cieche, che filtrate il moscerino e
inghiottite il cammello. Guai a voi, (preti e frati) scribi e farisei ipocriti,
perché pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, mentre dentro
sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno
del bicchiere del piatto, affinché anche l’esterno diventi pulito.
Guai a voi, (che vi fate chiamare maestri) scribi e farisei ipocriti, perché
siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono
pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi,
di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia
e d’iniquità.
Guai a voi, (falsi cristiani) scribi e farisei ipocriti, perché costruite
i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: “Se fossimo
vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere
sangue dei profeti!” In tal modo voi testimoniate contro voi stessi di
essere figli di coloro che uccisero i profeti. E colmate pure la misura dei
vostri padri! Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna?
Perciò ecco, io vi mando dei profeti dei saggi e degli scribi; di questi
alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre
sinagoghe e li perseguiterete di città in città, affinché
ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto
Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra
il tempio e l’altare. Io vi dico in verità che tutto ciò
ricadrà su questa generazione.
Apocalisse 16:15
Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti perché
non cammini nudo e non si veda la sua vergogna. (che vuol dire, senza la parola,
cioè, la conoscenza della Bibbia).
PASSI BIBLICI DIMOSTRANTI GLI ERRORI DELLE RELIGIONI
L’uomo non ha un’anima immortale, ma egli è un’anima
vivente (o essere sensitivo) in virtù della circolazione del sangue nell’organismo.
Genesi 2:7 E l’Uomo divenne un’anima vivente. Genesi 2:17 Perché
nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai. Genesi 3:4,5 Satana disse alla
donna: No, non morrete affatto. Levitico 17:14 Perché la vita d’ogni
carne è il sangue. Ecclesiaste 3:19,20 Come muore l’animale, così
muore l’uomo, hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha alcuna
superiorità sulla bestia. Ecclesiaste 9:10 Nel soggiorno dei morti dove
vai, non vi è più né lavoro, né pensiero, né
scienza, né sapienza. Ezechiele 18:4,20 L’anima che pecca sarà
quella che morrà. Matteo 10:28 Temete quelli che possono far perire l’anima
e il corpo. Matteo 12:40 Gesù restò tre giorni nella terra (nel
soggiorno dei morti). Giovanni 3:13 Nessuno è salito in cielo, se non
Colui che è disceso dal cielo: il Figliuolo dell’uomo. Atti 2:34
Davide non è salito in cielo. Romani 2:7 Coloro che cercano gloria, onore
e immortalità. 1 Corinzi 15:45 Adamo fu fatto anima vivente. 1 Timoteo
6:15,16 Iddio solo possiede l’immortalità. 2 Timoteo 1:10 Gesù
mise in evidenza vita e immortalità mediante l’Evangelo. Romani
6:23 Il salario del peccato è la morte.
LA RISURREZIONE DALLA TOMBA (DALLA MORTE)
Isaia 26:19 Risorgano i tuoi morti! La terra ridarà alla vita le ombre.
Isaia 38:17,19 Non è la morte né il sepolcro che ti possano lodare.
Ezechiele 37:1-14 E lo spirito entrò in esse, e tornarono alla vita.
Daniele 12:2 Coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno.
(Matteo 27:51-53 Versetti inesistenti negli antichi manoscritti). 2 Timoteo
2:18 La risurrezione non ha ancora avuto luogo. Giovanni 5:28,29 Tutti coloro
che sono nei sepolcri udranno la Sua voce e risorgeranno. Giovanni 11:24,25
Marta disse: Io so che Lazzaro risorgerà nell’ultimo giorno. Giovanni
20:9 e Atti 17:31 Gesù risuscitato dai morti. Atti 26:23 Il Cristo è
il primo risuscitato dai morti. Atti 26:8 Vi pare incredibile che Iddio risusciti
i morti? Atti 23:6 L’apostolo Paolo predice la risurrezione (ed è
giudicato per questo). Atti 24:15 Vi sarà la risurrezione dei giusti
e degli ingiusti. 1 Corinzi 15:20,23 Tutti risorgeranno in Cristo, ma ognuno
nel proprio ordine, Cristo la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla
sua venuta. 1 Tessal. 4:16,17 I morti in Cristo risusciteranno i primi, alla
sua venuta. Apocalisse 20:6 Beato e santo è colui che partecipa alla
prima risurrezione.
CONTRO LA DOTTRINA DELL’INFERNO
Ebrei 12:29 Perché il nostro Dio è anche un fuoco ardente. Ebrei
1:7 Gli angeli sono fiamme di fuoco. Marco 9:49 Ogni uomo sarà provato
col fuoco (vi sono tre inferni):
1) Ebrei Capitolo 2° Purificazione degli antichi dignitari.
2) 1 Pietro 4:12 Purificazione dei discepoli. “Non meravigliatevi della
fornace che è in mezzo a voi per provarvi”.
3) Malachia 4:1 (Gli uomini) Il giorno viene ardente come una fornace. Malachia
3:2 Egli è come un fuoco d’affinatore, come la potassa dei lavatori
di panni. Luca 12:49 Io son venuto ad accendere un fuoco sulla terra (con la
verità). 2 Samuele 22:9 Un fuoco ardente usciva dalla sua bocca (la verità).
Isaia 10:17 La luce d’Israele diverrà un fuoco, e il suo Santo
una fiamma. Isaia 31:9 L’Eterno ha il suo fuoco in Sion e la sua fornace
in Gerusalemme. Isaia 48:10 Ti ho affinato nel crogiuolo dell’afflizione.
Isaia 33:14 Chi di noi potrà resistere al fuoco divorante? Chi potrà
resistere alle fiamme eterne? (con i figli di Dio e la verità).
1 Corinzi 3:12,14 Il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera
di ognuno. Apocalisse 20:7,10 Stagno di fuoco e di zolfo (Kolasin distruzione)
vedi: Apocalisse 20:14 La morte e l’inferno furono gettati nello stagno
di fuoco (cioè nella seconda morte). Salmo 37:20 Gli empi periranno.
Ebrei 2:14 Egli distrusse colui che ha il potere della morte, il diavolo. Apocalisse
21:4 La morte non ci sarà più, né cordoglio, né
grida, né dolore, ed ogni cosa sarà nuova. Daniele 7:9,10 Fiamme
di fuoco erano il suo trono.
ADORAZIONE: PAPA OD ALTRI TITOLI DELLA CHIESA
Matteo 4:10 Adora il Signore Iddio tuo ed a Lui solo rendi il culto. Matteo
23:7,12 Non fatevi chiamare maestro, padre o dottore ecc. Atti 10:26 Pietro
dice a Cornelio: alzati, anch’io sono uomo! Atti 14:14,15 Paolo disse
a Listra: Anche noi siamo uomini. Apocalisse 19:10 L’angelo rispose a
Giovanni: Attenzione, non adorarmi, io sono un tuo conservo, ma adora Iddio
solo.
IL PAPA NON È IL SUCCESSORE DI PIETRO
Atti 11:2 I fedeli di Gerusalemme fecero dei rimproveri a Pietro. 1 Corinzi
3:11 Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già
posto, cioè Gesù Cristo. Atti 1:26 Dio solo conosce i suoi; esempio:
Mattia e Paolo. 2 Corinzi 11:5 Paolo dice: Non son stato inferiore in nulla
ai sommi apostoli. Galati 2:11 Quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistetti
in faccia. Efesini 1:22 Gesù è il capo supremo della Chiesa. Efesini
2:20 Gesù stesso è la Pietra angolare dell’edificio. Efesini
4:15 Il Cristo è il capo. 1 Pietro 5:1 Pietro dice: Io anziano con loro.
1 Pietro Noi siamo tutti delle pietre viventi. 2 Pietro 1:1 Pietro, servitore
ed apostolo di Gesù Cristo. La supremazia del vescovo di Roma fu riconosciuta
al concilio di Efeso nel 431 e confermata al concilio di Calcedonia nel 451.
Il primo papa fu Leone I° dall’anno 440 al 461. Alla fine del I°
secolo, s. Ignazio, vescovo di Antiochia, fece delle epistole; è lui
il primo che dice: Questa chiesa cattolica, cioè universale. (Papato)
2 Tessalonicesi 2:7-9; Ezechiele 28:2-10.
IMMAGINI, RELIQUIE ECC.
Atti 17:29 La divinità non è simile ad oro, argento, o idoli terrestri.
Isaia 44:10-20 Idoli delle nazioni; Isaia 45:20; 46:5-9; Geremia 10:1,5. Deuteronomio
5:8 Non ti fare scultura alcuna, né immagini tagliate. Giovanni 4:24
Occorre adorare Iddio in spirito ed in verità.
ASSOLUZIONI, INTERCESSIONI, CONFESSIONE, SALVEZZA
2 Corinzi 5:10 Dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo. Giacomo
5:16 Confessate i vostri falli gli uni agli altri. 1 Timoteo 2:5 Vi è
un solo Dio e un solo Mediatore fra Dio e gli uomini, Gesù Cristo. Efesini
1:7 In Gesù Cristo abbiamo la redenzione, nel suo sangue la remissione
dei peccati. 1 Giovanni 1:7 Il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato.
1 Giovanni 2:1,2 Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre.
Romani 14:4 Se il servitore cade, ciò riguarda il suo Maestro. (Confessioni).
Atti 4:12 Non vi è salvezza in nessun altro. Giovanni 14:6 Io sono la
via… Nessuno viene al Padre se non per me. Giovanni 14:13 Ogni cosa che
avrete chiesta in nome mio, quella farò. 1 Timoteo 4:10 Iddio è
il Salvatore di tutti gli uomini, principalmente dei credenti.
MESSE
Ebrei 7:25,27 Gesù si è offerto una volta per tutte, ed egli non
ha bisogno, come i sacrificatori, di offrire ogni giorno dei sacrifici. Ebrei
9:25,28 Gesù apparve una sola volta per abolire il peccato, con il suo
sacrificio. Ebrei 10:10,14 Siamo santificati mediante l’offerta del corpo
di Gesù Cristo, fatta una volta per tutte. 1 Pietro 3:18 Cristo ha sofferto
una volta per i peccati. Romani 6:10 È per i peccati che Egli è
morto una volta per sempre. Salmo 51 (Miserere); Salmo130 (Deprofundis).
VERGINE MARIA
Matteo 12;47,50 Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Dice Gesù.
Matteo 13:53,58; Marco 6:3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria,
fratello di Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone? E le sue sorelle non stanno qui
da noi? Marco 3:32,34 La famiglia di Gesù. Luca 8:19,21 Chi è
mia madre?
LA TRINITÀ
Il Padre è una persona, il Figlio è una persona ed il santo spirito
è la potenza di Dio… e non una persona (Atti 1:8). Giovanni 14:28
Il Padre è più grande di me (versetto 31). Giovanni 5:19,21 Non
faccio nulla da me stesso (versetti 26,30,37,43). Giovanni 8:17,18 Io rendo
testimonianza di me stesso, il Padre rende testimonianza di me (versetto 42).
Filippesi 2:6 Gesù essendo in forma di Dio. Atti 17:31 Dio ha risuscitato
Gesù. Giovanni 12:49 Il Padre che mi ha mandato, Lui stesso mi ha ordinato
ciò che io devo dire e annunciare (Giovanni 17:7,8). 1 Giovanni 2:1 Noi
abbiamo un avvocato presso il Padre. Luca 2:49 Occupato negli affari del Padre
suo. 1 Corinzi 11:3 Dio è il capo di Cristo. 1 Corinzi 15:28 Allora il
Figlio sarà sottoposto al Padre.
IL SANTO SPIRITO
Giovanni 3:6 Ciò che è nato dallo spirito è spirito. Giovanni
3:34 Iddio non dà lo spirito con misura. Numeri 11:17 Io prenderò
dello spirito che è sopra di te. Atti 2:4 Tutti furono ripieni dello
spirito santo. Isaia 11:2 Lo spirito dell’Eterno riposerà sopra
di lui, spirito di sapienza. Atti 1:8 Voi riceverete la virtù dello spirito
santo (che è una potenza).
L’APPELLO CELESTE: (I NUOVI CIELI, I 144.000) ELETTI)
Matteo 5:3 Beati i poveri in spirito, perché di loro è il Regno
dei cieli. Matteo 24:22 A cagione degli eletti quei giorni saranno abbreviati.
Giovanni 14:3 Quando io sarò andato e vi avrò preparato un posto,
verrò di nuovo e vi accoglierò con me, affinché dove sono
io siate anche voi. Giovanni 14:19 Fra poco tempo il mondo non mi vedrà
più. Giovanni 17:24 Padre, io voglio che dove io sono, quelli che Tu
mi hai dato siano anche con me. Giovanni 18:36 Il mio Regno non è di
qui. Atti 15:14 Dio ha dato uno sguardo sulle nazioni per scegliersi un popolo.
Atti 8:33 La sua vita è stata tolta dalla terra (quella di Gesù).
Efesini 1:20,21 Egli lo fece sedere alla propria destra nei luoghi celesti…
non soltanto in questo secolo, ma anche nei secoli futuri. Filippesi 3:20 La
nostra cittadinanza è nei cieli… il Signore trasformerà
il nostro corpo vile per l’umiliazione… simile al corpo della sua
gloria. 2 Timoteo 4:18 Il Signore mi farà entrare nel suo Regno celeste.
Ebrei 3:1 Fratelli santi che avete parte alla vocazione celeste. Ebrei 10:12
Gesù si è seduto per sempre alla destra di Dio. Ebrei 12:14 Senza
la santificazione (cambiar di carattere) nessuno vedrà il Signore. 1
Pietro 1:4 Per l’eredità… custodita nei cieli per voi. 2
Pietro 1:4 Affinché possiate divenire partecipi della natura divina.
Apocalisse 14:4,5 Essi sono stati riscattati di fra gli uomini per essere primizie
a Dio…
L’APPELLO TERRESTRE, L’ESERCITO DELL’ETERNO (LA NUOVA TERRA)
Matteo 5:5 Beati i mansueti perché essi erediteranno la terra. Giovanni
10:16 ho anche delle altre pecore, che non son di questo ovile, anche quelle
devo raccogliere (i mansueti). Salmo 37:29 I giusti erediteranno la terra e
l’abiteranno in eterno. Proverbi 2:21 Perché gli uomini giusti,
retti, abiteranno la terra. Ezechiele 16:53,55 Sodoma, Samaria e le loro terre
ritorneranno al loro stato primitivo. Michea 4:4 Siederanno ognuno sotto la
sua vigna e sotto il suo fico. Isaia cap. 35 Il deserto fiorirà come
la rosa, ecc.. Isaia 11:1,10-11 Il lupo e l’agnello vivranno insieme ecc.
(versetti 6,7). Isaia 65:17,25 Edificheranno delle case e vi abiteranno. Daniele
2:44,34 E la pietra (il Regno di Dio) empie tutta la terra. Gioele 2:2-17 Come
l’alba si spande sui monti viene un popolo numeroso e potente . . . mai
visto prima . . . (Habacuc 3:16-19).
LA BIBBIA
2 Timoteo 3:16 Tutta la Scrittura è utile per insegnare, istruire e correggere.
Atti 17:10,11 Quelli di Berea esaminavano ogni giorno le Scritture. Giovanni
5:39 Le Scritture rendono testimonianza di me. Luca 16:29 Hanno Mosé
ed i profeti, ascoltino quelli. 1 Tessalonicesi 5:20,21 Non disprezzare le profezie,
ma esaminate ogni cosa. Ebrei 4:12,13 Perché la Parola di Dio è
vivente ed efficace. Giovanni 14:26 Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni
cosa (1 Giovanni 2:27). 1 Corinzi 2:10,15 Lo Spirito Santo investiga ogni cosa,
anche le cose profonde di Dio.
IL SERVITORE FEDELE E PRUDENTE
Matteo 24:45-47 Qual è mai il servitore fedele e prudente che il padrone
abbia costituito sui suoi domestici per dar loro il vitto a suo tempo? Beato
quel servitore . . . Giobbe 33:14-30 Se v’è un interprete, uno
solo fra i mille, che mostri all’uomo il suo dovere, Iddio gli dice: Risparmialo,
che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto (versetti 23,24). Apocalisse
1:3 Beato chi legge e beati coloro che ascoltano questa profezia. Malachia 3:1
Vi mando il mio messaggero, egli preparerà la via davanti a me . . .
Malachia 4:5 Vi mando Elia il profeta (la Chiesa) prima del Giorno dell’Eterno
. . .
LA RINUNCIA PER GLI ELETTI
Luca 14:26-33 Chi non rinuncia a tutto ciò che ha non può esser
mio discepolo. Matteo 5:8 Beati i puri di cuore . . . Matteo 19:10-12 Vi sono
degli eunuchi che si son fatti per il Regno (Isaia 56:4,5). Romani 6:12-20 Non
prestate le vostre membra all’iniquità. Romani 12:1 Vi esorto a
presentare i vostri corpi in sacrificio vivente. 2 Timoteo 2:21 Chi si serba
puro sarà un vaso santificato . . . 1 Giovanni 2:15 Non amate il mondo
né le cose del mondo. Giacomo 4:4 Non sapete che l’amicizia del
mondo è contro Dio. Apocalisse 3:5,12,21 Chi vince sarà vestito
di veste bianca, ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita,
e confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e dei suoi angeli
. . . Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.
NON ABBIATE “FEDE” IN NESSUNA RELIGIONE, SOPRATTUTTO QUELLA CHE
SVIA LE PERSONE DALLA “VERITÀ”. ASCOLTARE LA “PAROLA”,
CHE È NELLA ”BIBBIA”, SI HA LA “VERA FEDE” E
IL DONO DELLO “SPIRITO SANTO”. “GESÙ” È
SALITO IN CIELO (NON LA MADONNA) E HA MANDATO UN CONSOLATORE, ORA SIAMO SULLA
BUONA STRADA PER LA SALVEZZA ETERNA. COME CHIAMARLO; DIO? SI PUÒ CHIAMARLO
“DIO”, “ETERNO”, “SIGNORE”, “PADRE
CELESTE CHE SEI NEI CIELI”. PREGANDOLO PER DELLE COSE UTILI CHE SONO NECESSARIE,
E LUI, C’È LE DA, SEMPRE CHIEDENDOLO, SOLO NEL NOME DEL SIGNORE
GESÙ. SOLO LUI HA PAGATO PER IL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI. SOLO LUI
PUÒ PARLARE CON IL PADRE CHE È NEI CIELI E NESSUN ALTRO PUÒ
INTERCEDERE.
MOSÉ DISSE A DIO: “ECCO, QUANDO SARÒ ANDATO DAI FIGLI D’ISRAELE
E AVRÒ DETTO LORO: “IL DIO DEI VOSTRI PADRI MI HA MANDATO DA VOI”,
SE ESSI DICONO: QUAL È IL SUO NOME?” CHE COSA RISPONDERÒ
LORO?” DIO DISSE A MOSÉ: “IO SONO COLUI CHE SONO”.
POI DISSE: “DIRAI COSÌ AI FIGLI D’ISRAELE: “L’IO
SONO MI HA MANDATO DA VOI”. DIO DISSE ANCORA A MOSÉ: DIRAI COSÌ
AI FIGLI D’ISRAELE: “IL SIGNORE, IL DIO DEI VOSTRI PADRI, IL DIO
D’ABRAAMO, IL DIO D’ISACCO E IL DIO DI GIACOBBE MI HA MANDATO DA
VOI”. TALE È IL MIO NOME IN ETERNO; COSÌ SARÒ INVOCATO
DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE. ESODO 3:13,14,15. DIO È SEMPRE ESISTITO
DAL PRINCIPIO, PERSONE IN FUTURO LI HANNO DATO NOMI VARI.
(6)QUELLI CHE CONOSCONO IL TUO NOME, CONFIDERANNO IN TE, O ETERNO. (Salmo
9:10)
(Quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te, perché, o Signore,
tu non abbandoni quelli che ti cercano).
Per poter aver fiducia di una persona è necessario conoscerla (non è
possibile fidarsi di qualcuno che non conosciamo) e che questa conoscenza ci
offra fondate garanzia sulle sue capacità e sulle sue potenzialità.
Sappiamo bene purtroppo come a volte può succedere che più conosciamo
una persona e meno ci fidiamo di lei. L’affermazione del salmista Davide
esprime una certezza: le persone che conoscono Dio avranno sicuramente fiducia
di Lui! che equivale a dire che non è possibile conoscere Dio e non avere
fiducia in Lui. Ne consegue che l’incredulità è frutto dell’ignoranza.
Chi non ha fede in Dio non si è mai neppure minimamente impegnato a conoscerLo,
perché il conoscerLo lo avrebbe inevitabilmente condotto alla fede. L’ateo,
quindi, non è uno che non crede in Dio, ma è piuttosto uno che
si rifiuta ostinatamente di conoscerLo: prima della scelta di non credere, egli
ha compiuto la scelta di non conoscere. La fede nasce, infatti, dall’ascolto
e dalla conoscenza della Parola di Dio (Romani 10:17).
(Cosi la Fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta
viene dalla parola di Cristo). Ascoltare per conoscere: questa è la prima
scelta da compiere per giungere alla fede. p.m.
MARIA MADDALENA non ha lavato i piedi a Gesù. È Maria di Betania
che ha lavato i piedi a Gesù; Gesù dunque, sei giorni avanti la
Pasqua, venne a Betania dov’era Lazzaro ch’egli aveva risuscitato
dai morti. E quivi gli fecero una cena: Marta serviva, e Lazzaro era uno di
quelli ch’erano a tavola con lui. Allora Maria, (Maria di Betania, sorella
di Lazzaro) presa una libbra d’olio odorifero profumato, di nardo schietto,
di gran prezzo, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi
capelli; e la casa fu ripiena del profumo dell’olio. (Giov. 12:1-3) (Giov.11:32)(Luca
10:39)
MARIA MADDALENA fu liberata da sette demoni; Con Lui vi erano i dodici e alcune
donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta
Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni (Luca 8:2). Gesù risorto
apparve a lei per prima; Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del
primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva
scacciato sette demoni (Marco 16:9). LA DONNA ADULTERA non era MARIA MADDALENA;
Gesù andò al monte degli Ulivi. All’alba tornò nel
tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e,
fattala stare in mezzo, gli dissero: “Maestro, questa donna è stata
colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di
lapidare tali donne; tu che ne dici?” Dicevano questo per metterlo alla
prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con
il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo,
disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra
contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito
ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando
dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la
donna che stava là in mezzo. Gesù alzatosi e non vedendo altri
che la donna, le disse: “Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno
ti ha condannata?”. Ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù
le disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più”.
PADRE NOSTRO. (Dio è sempre esistito anche prima di formare la terra
e il sole e tutte le stelle).
“PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI, (sei per tutto l’universo)SIA SANTIFICATO
IL TUO NOME; (gli Ebrei li hanno dato un nome). Mosè disse a Dio: “Ecco,
quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro:
“Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono:
“Qual è il suo nome?” Che cosa risponderò loro?”.
Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. Poi disse: “Dirai
così ai figli d’Israele: “ l’IO SONO mi ha mandato
da voi ”. Dio disse ancora a Mosè: “Dirai così ai
figli d’Israele: “Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abraamo,
il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe mi ha mandato da voi”. Tale
è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione
in generazione. “Esodo 3:13,14,15” ( noi veri Cristiani andiamo
al Padre solo tramite Gesù e non tramite santi e madonne).VENGA IL TUO
REGNO; SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ (la volontà di Dio, non è
quella del Papato, dell’uomo e del mondo). ANCHE IN TERRA COME È
FATTA IN CIELO. (Noi dobbiamo fare un paradiso qui sulla terra, se non siamo
capaci di andare in cielo con i 144.000). DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO;
(la tua Parola SIGNORE che si trova nella Bibbia). RIMETTICI I NOSTRI DEBITI
COME NOI GLI ABBIAMO RIMESSI AI NOSTRI DEBITORI; (la Parola del SIGNORE, dobbiamo
farla conoscere a tutta l’umanità anche se ci costa sacrifici).
E NON CI ESPORRE ALLA TENTAZIONE, (non fare che l’avversario Satana l’abbia
vinta su di noi veri Cristiani).MA LIBERACI DAL MALIGNO. (Dalle grinfie di Satana,
dai cattivi insegnamenti, dal Papato, dai Cattolici da chi vuol essere Dio in
terra, dai stregoni, dai idolatri, dall’indovini, dai filosofi, dalle
religioni che non si attengono alla parola di Gesù, il Cristo. PERCHÉ
A TE APPARTENGONO IL REGNO, LA POTENZA E LA GLORIA IN ETERNO, AMEN, Amen…”
NOSTRADAMUS, dopo l’11 settembre, Nostradamus spopolava su Internet;
era una delle parole più cliccate sui motori di ricerca. La biografia
del veggente francese divenne il libro più venduto e più richiesto
on-line. Insomma, Nostradamus era dappertutto. Questa profezia, che veniva attribuita
a Nostradamus, compariva su molti siti Internet due giorni dopo i tragici attacchi
alle Torri:
“Nella città di Dio ci sarà un gran tuono. Due fratelli
fatti a pezzi dal caos, mentre la fortezza resiste, il grande leader soccomberà.
La terza grande guerra comincerà quando la grande città brucerà”.
Nostradamus è morto nel 1566, quindi non può aver scritto questi
versi nel 1654; la quartina inoltre non è stata trovata nei suoi scritti.
Queste profezie è dunque un falso?. Ma? I fratelli KENNEDY sono morti
nel caos è un fatto, Bin Laden Osama soccomberà? (Nella città
di Dio ci sarà un gran tuono) dove? A GERUSALEMME, alla MECCA (Islam),
alla città del VATICANO (Roma). Il profeta, inoltre, scrisse molte profezie
che riguardavano il futuro del Papa e della sua Casa.
“Perseguitata sarà la Chiesa di Dio, E saranno spogliati i santi
Il figlio la madre nuda in camicia metterà Gli Arabi e i Polacchi saranno
collegati”.
“La grande stella per sette giorni brillerà, La nube farà
apparire due soli Il grosso mastino urlerà tutta la notte, Quando cambierà
regione il grande pontefice”.
Appariranno due Papi, uno eretico e uno vero. Purtroppo, prenderà il
sopravvento l’anti-Papa e il papa angelico sarà costretto alla
fuga lontano da Roma. Ma per la Chiesa le sciagure non finiscono qui. In II,
93, è prevista la fine anche fisica della Santa Sede che dovrebbe affondare,
come un vascello, trascinando nella piena del Tevere il suo capo, con tutti
i significati allegorici del caso.
“Si spargerà il sangue del popolo della Chiesa Come in una grande
abbondanza d’acqua Non più sarà rinnovato per tanto tempo
E gli uomini di chiesa vedranno disastro e sofferenza”.
“La luna oscurata da profonde tenebre, Suo fratello diventa di colore
ferruginoso Per lunga pezza nascosto nelle tenebre, Terrà il fendente
nella ferita sanguinante”.
La Chiesa cadrà nella procella dello scisma, attaccata da nemici che
le imporranno la loro legge. Nostradamus sembra voler prevedere un nuovo martirio,
il più esteso e feroce mai subito dalla Chiesa Cattolica Romana. Questa
dura prova non sarà limitata al solo clero, ma si allargherà anche
ai danni della popolazione civile. La seconda quartina riporta a nuova modernità
quanto espresso dalla precedente. Il fratello della Luna è Marte, il
dio della guerra. Questo qualcuno, che è rimasto per tempo immemore nascosto
nelle latebre, se ne verrà fuori per far strage. Potrebbe insidiarsi
nei movimenti religiosi non-cattolici, nelle sette che – come i fatti
di cronaca ci attestano – non esitano a ricorrere alla forza delle armi
tecnologicamente più avanzate. La pietra squadrata potrebbe essere la
“pietra angolare” sulla quale Cristo, nei Vangeli, dice che sarà
fondata la sua Chiesa, nientemeno cioè che S. Pietro, il primo Papa della
Storia (così fanno intendere, ma Pietro era un vero cristiano e non è
mai stato a Roma). Dunque la profezia potrebbe essere la formulazione del desiderio,
da parte del veggente, che in futuro tutto torni a riferirsi al papato e in
certo qual modo a un potere di origine divina.
“Pontefice Romano guardati dall’avvicinarti, Alla città
bagnata da due fiumi: Lì accanto sputerai il tuo sangue Tu e i tuoi quando
la rosa fiorirà”.
È emblematico di questi nostri tempi l’ossessivo pensiero della
morte del papa Wojtyla, che ritorna come previsione in molti degli astrologi
del nostro periodo. Vero è che il Santo Padre ha subito un attentato
il 13 Maggio del 1981 a opera di “Ali Agca” un turco, che venne
poi condannato, per il grave atto compiuto, all’ergastolo. Vennero fatte
indagini per stabilire i mandanti del grave gesto, che ebbe ripercussioni internazionali
e pareva frutto di una tarma ben precisa. Si formularono varie ipotesi e si
batté anche la pista araba, ma nessuno riuscì a dipanare l’intricata
matassa dei perché e, nonostante le supposizioni, rimane tuttora un mistero
il meccanismo esatto che portò al ferimento di Giovanni Paolo II.
“Il grande senato decreterà la cerimonia, Uno verrà esiliato
dopo vinto Saranno i suoi seguaci a suon di tromba I beni saranno posti all’incanto
e i nemici scacciati”.
Il nuovo Papa, appena eletto al soglio pontificio dai Cardinali fedeli, sarà
costretto a fuggire sotto la minaccia delle armi di un grande nemico (i Russi
fino a qualche tempo fa erano molto accreditati in questo ruolo, ma gli ultimi
avvenimenti sembrano non permettere la consueta sicumera). Verranno confiscati
i beni di tutti i religiosi di ogni ordine e grado e, costretto all’esilio,
il Papa sarà proclamato nemico della Chiesa. Ma non andrà tutto
bene nemmeno al pontefice scismatico, poiché prima verrà imprigionato
e poi ucciso.
“Otterrà per sette mesi e non di più la prelatura Con al
sua dipartita un grande scisma farà nascere, Un altro terrà la
pretura per sette mesi, Presso Venezia rinascerà concordia e pace”.
L’imperatore del grande Nord, il “grande mentitore”, mai soddisfatto
di rivendicare territori e ricchezze per la propria nazione, otterrà
di farsi incoronare Imperatore dal suo Antipapa, dal “grande subdolo”.
Dopo, solo lontano dalla patria cambierà le disposizioni e gli ordini
impartiti quando era presso i suoi sudditi, addirittura li smentirà con
i fatti.
“Per la potenza dei tre Re temporali, In altro luogo sarà posta
la santa sede, Dove la sostanza dello spirito corporeo, Sarà posta e
in adeguata sede ricevuta”.
“Allorché sarà trovato il sepolcro del gran Romano, Sarà
eletto Pontefice il giorno dopo: Per dispute non sarà approvato dal conclave,
Nel calice sacro il suo sangue verrà avvelenato”.
Nella profezia si legge della futura elezione a Pontefice di un uomo di grande
personalità, un cardinale originario del terzo mondo, il quale, sotto
l’influenza delle sue origini, introdurrà , nella dottrina cristiana,
innovazioni discordanti con la teologia classica. I tutori dell’ortodossia,
preoccupati per tale situazione, si opereranno per sopprimerlo, ma facendo apparire
l’evento non determinato da cruente mani umane, bensì come se fosse
da ascrivere a cause naturali. Qualche tempo fa David Yallop in suo libro: In
nome di Dio (1984) sosteneva una tesi inquietante a proposito della morte di
papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, il cui mandato durò
dal 26 Agosto al 28 Settembre del 1978.
Asserì cioè che il prelato fosse stato assassinato per ragioni
di stato e che esistesse una catena di corruzione che legava importanti prelati
a esponenti dell’alta finanza. Fece soprattutto risaltare alcuni nomi:
monsignor Marcinkus presidente dello IOR, il segretario di stato Jean Vallot,
il banchiere Sindona, l’altro Banchiere Roberto Calvi, l’Arcivescovo
di Chicago Cody e Licio Gelli. Secondo l’autore, Luciani venne avvelenato
in quanto era, per i suoi modi semplici e per la sua genuina proposta innovativa,
un grande pericolo. Non si fecero indagini o, meglio, le indagini non parevano
necessarie. La posizione e la caratura stesse del personaggio in questione resero
facile far sembrare davvero naturale la sua morte. La definizione di Anticristo,
in senso lato, si riferisce a tutti quelli che hanno alterato la dottrina di
Cristo e a tutti quelli che hanno perseguitato la Chiesa.
Nostradamus venne sepolto in una chiesa francescana a Salon. Per duecento anni
la sua anima riposò in pace. Ma nel 1789, durante i disordini provocati
dalla Rivoluzione francese, la sua tomba venne profanata da alcuni ladri.
L’evento fece nascere la leggenda secondo cui i ladri avrebbero trovato
i resti del suo scheletro e un medaglione di rame intorno al collo su cui era
riportata la data esatta in cui la tomba sarebbe stata aperta. Quello stesso
anno i resti mortali di Nostradamus furono raccolti e trasferiti nella Chiesa
di Saint Laurent a Salon de Provence. “In origine – svela lo storico
Bridges, - Nostradamus era stato sepolto in posizione eretta, come era stato
trovato la mattina in cui morì. In seguito alla profanazione della tomba,
(Al collo aveva una medaglia di rame, con la scritta di quella stessa data di
quello stesso giorno dalla profanazione della tomba e con una grande maledizione
per quelli che l’avessero trovato e forse anche a chi lo ha trasportato
in un altro luogo) sono state raccolte le poche ossa rimaste che ora sono conservate
in questo luogo”. La sua cripta occupa un posto d’onore nella Cappella
Notre-Dame, che da lui ha preso il nome. Questa, quindi, è la seconda
sepoltura di Nostradamus. Sull’iscrizione si legge: “Le ossa benedette
di Michel Nostradame, che secondo l’opinione di ogni essere umano, con
la sua penna divina profetizzò le catastrofi future con l’ausilio
degli astri…”.
Nostradamus era un conoscitore della Bibbia, ma non poteva dire quello che
era scritto perché sarebbe stato perseguitato dal clero, dal Papato e
sarebbe stato messo al rogo come tutti quelli che a quel tempo non si sottomettevano
alla santa inquisizione. È meglio leggere l’Apocalisse per sapere
più di preciso quello che avverrà in futuro, senza tormentarsi
tutta la vita su cose che rassomigliano. Peggio sono quelli che credono ai maghi,
ai veggenti, agli oroscopi, e a tutte le superstizioni.
Queste profezie di Nostradamus ci tengono schiavi fino all’anno 3797 e
noi non dobbiamo credere a Nostradamus, ma solo a Gesù Cristo, qui sta
la salvezza.
ERESIE ED INVENZIONI UMANE ADOTTATE E PERPETUATE DALLA CHIESA CATTOLICA ROMANA
NEL CORSO DI 1.600 ANNI
Le invenzioni umane contrarie al Vangelo, praticate dalla Chiesa Cattolica Romana
nel corso dei secoli, sono:
(1) Le preghiere per i defunti ed il segno della croce che hanno avuto inizio
verso l’anno 310, e ufficialmente adottate verso il . . . . . . 500
(2) Le candele di cera furono in uso verso il . . . . . . 320
(3) La venerazione dei santi e degli angeli datano dal . . . . . 375
(4) Il dogma della trinità è iniziato verso l’anno . .
. . . . 381
(5) La Messa in latino quotidiana fu istituita nell’anno . . . . . 394
(6) L’acqua santa venne usata verso l’anno 400 e autorizzata nell’anno
. . . 850
(7) L’adorazione di Maria come “Madre di Dio” cominciò
nell’anno . . . 431
(8) I preti vestirono diversamente dai laici a partire dal . . . . . 500
(9) I conventi dei monaci iniziarono nel 528 – (Gesù ordinò
di evangelizzare tutta la terra e non di rinchiudersi in conventi o monasteri
(Matteo 10:5-8; 28:19-20; Marco 16:15-20).
(10) La dottrina del purgatorio fu introdotta circa l’anno . 593
(11) Il latino come lingua di culto fu imposto da Papa Gregorio I nel . .
. 600
(12) Le preghiere a Maria e ai santi ebbero origine verso il . . . . 600
(13) Il Papato è di origine pagana. Il titolo di Papa (Vescovo universale
fu dato dall’imperatore Foca al vescovo di Roma nel . . . . . . . . .
610
(14) Il bacio del piede del Papa fu istituito nell’anno . . . . . 709
(15) Il potere temporale del Papa (dominio di governo politico), iniziò:
. . . 750
(16) Il culto della croce, immagini e reliquie fu adottato nel 788 (La Bibbia
chiama questi culti “Idolatria” e li condanna severamente) (Esodo
20:4-6; Deuter. 27:15; Salmo 115; Geremia 10:1-5).
(17) La quaresima e il digiuno iniziarono nell’anno . . . . . . 800
(18) Il culto a San Giuseppe iniziò nell’anno . . . . . . . 890
(19) La canonizzazione dei santi iniziò . . . . . . . 995
(20) La Messa quale sacrificio fu sviluppata e stabilita nel secolo XI (Il
Vangelo insegna che il sacrificio di Cristo fu offerto una sola volta per tutte,
e non deve essere ripetuto, ma solo com memorato nella Santa Cena (Ebrei 7:27;
9:26-28; 10:10-14).
(21) Il celibato dei preti fu decretato da Papa Gregorio VII nel . . . . 1079
(22) La corona del rosario fu introdotta da Pietro l’eremita nel 1090
(Questa fu copiata dai Maomettani. Il contare le preghiere è pratica
pagana severamente condannata da Cristo) (Matteo 6:5-13).
(23) La dottrina dei 7 sacramenti fu elencata nel 1160 e proclamata nel .
. . 1439
(24) L’inquisizione per gli eretici fu istituita dal Concilio di Verona
verso il 1184 (Gesù condanna la violenza e non obbliga nessuno).
(25) La vendita delle indulgenze incominciò verso il . . . . . 1190
(26) Il dogma della Transustanziazione, da Papa Innocenzo III nel . . . .
1215
(27) La confessione auricolare dei peccati (all’orecchio) verso il .
. . . 1215
(28) L’adorazione dell’ostia da Papa Onorio III nell’anno
. . . . . 1220
(29) La Bibbia proibita al popolo e messa all’indice nel 1229 al Concilio
di Tolosa (Gesù dice che tutti devono leggere la Bibbia).
(30) Il celibato obbligatorio dei preti proclamato nell’anno . . . .
. 1287
(31) Il battesimo dei bambini obbligatorio al Concilio di Ravenna nel . .
. 1311
(32) La dottrina del purgatorio fu considerata dogma al Concilio di Firenze
nel 1439 (Nel Vangelo non vi è alcun accenno al purgatorio, è
il sangue di Cristo che ci purifica dai peccati (1 Giov. 1:7-9)
(33) La recitazione dell’Ave Maria iniziò nel IV secolo e fu
adottata nel 1568 (La Bibbia esorta a pregare unicamente Dio, il pregare altri
è idolatria) (Apocalisse 22:8-9).
(34) Il Concilio di Trento (nel 1545) dichiarò che la tradizione ha
autorità come la Bibbia (Gesù rimproverò gli Ebrei poiché,
con le loro tradizioni, gli uomini annullano la Parola di Dio) Mar. 7:7-13.
(35) I libri apocrifi furono aggiunti alla Bibbia al Concilio di Trento .
. . 1564
(36) L’immacolata concezione di Maria proclamata dogma da Pio X nel
1854 (Il Vangelo dice: tutti gli uomini, eccetto Cristo, sono peccatori).
(37) Pio IX stabilì il dogma dell’infallibilità del Papa
nel 1870 (È il colmo della bestemmia, il segno dell’anticristo
annunciato dalle Scritture (2 Tessalonicesi 2:2-12); (Apocalisse 13:5-8-18).
(38) Papa Pio X condannò assieme al “Modernismo” tutte
le scoperte della civiltà che non piacciono al Papa, nell’anno
. . . . . . . . . 1907
(39) Pio XI condannò le scuole pubbliche nell’anno . . . . .
. 1930
(40) L’ultimo dogma venne proclamato da Pio XII e fu: l’assunzione
della vergine Maria in cielo. Questo dogma fu stabilito nell’anno . .
. . . . . . 1950
La Chiesa Cattolica Romana asserisce di non cambiare mai; mentre quante cose
non ha essa inventate contrarie alla Bibbia, praticando riti e cerimonie presi
nel paganesimo!... Nell’anno 300 dopo Cristo, i cattolici non conoscevano
il purgatorio, l’ostia, le preghiere per i morti, le candele, le processioni,
i sacramenti, la trinità, le reliquie, i santi, le madonne ecc. –
Come potranno salvarsi i primi cristiani senza tutto ciò?... Il Cristo
stesso, gli Apostoli e tutti i veri discepoli dovettero abbandonare le loro
religioni, a causa delle loro tradizioni e dei loro comandamenti umani fallibili.
Durante l’età evangelica, tutti i discepoli, cioè dal Cristo
ad oggi, dovettero uscire da Babilonia, dalle loro religioni, (Apocalisse 18:4),
per seguire il Cristo crocifisso , e per accettare e fare la sua volontà,
rinunciando a loro stessi per divenire delle vittime con il loro Maestro, onde
formare il Corpo di Cristo, i 144 mila eletti (Apocalisse 14), i quali sono
decapitati a causa della testimonianza che devono dare al mondo (Apocalisse
6:9).
Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo saranno perseguitati
(2 Tim. 3:12). “Nessuno può essere mio discepolo se non rinuncia
a tutto ciò che possiede per seguirmi” (Luca 14:26, 27-33). “E
se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a cagione degli
eletti quei giorni saranno abbreviati” (Matteo 24:22). “Quali non
dovete essere per condotta santa e per pietà, affrettando la venuta del
Giorno di Dio!” (2 Pietro 3:10-14).
L’unica speranza, l’unico Nome per il quale possiamo essere salvati
è il Cristo, la Pietra angolare che edifica i Nuovi Cieli “Beati
i poveri in spirito perché di loro è il Regno dei cieli”
(Matteo 5:3) e la Nuova Terra: “Beati i mansueti perché essi erediteranno
la Terra” (Matteo 5:5). Come preghiamo nel “Padre Nostro”:
“Venga il tuo Regno e sia fatta la tua volontà in terra come è
fatta nel cielo” (Matteo 6:9). Leggete: “Il Messaggio all’Umanità”,
scritto dal Servo fedele e prudente indicato in Matteo 24:45.
Questo prezioso libro contiene l’Evangelo eterno, la Legge e la Costituzione
della Nuova Terra per liberare gli uomini dagli errori, dai timori, dalle sofferenze
e per aiutarli a ricevere la grazia divina a schiudersi al glorioso influsso
dello spirito di Dio, spirito di luce, di pace e di consolazione per tutti i
cuori assetati di giustizia e di verità.
Molti vedono il numero 666 nelle lettere romane, (VICARIVS FILII DEI) sarà
così? Si, Io credo.
VICARIVS FILII DEI –V-5, I-1, C-100, I-1, V-5, I-1 L-50, I-1, I-1, D-500,
I-1, Totale 666.
Il calcolo dei numeri avviene così: 5+1+100+1+5+1+50+1+1+500+1= 666
ADAMO ED EVA
Abele (Abele fu ucciso da Caino)(Adamo ed Eva ebbero un altro figlio dal nome
Set).
Set
Enosh
Chenan
Mahalaleel
Jared
Enok
Methuselah
Lamek (Visse 182 anni e generò un figlio e gli pose nome Noè).
Noè (Noè ebbe 3 figli, Sem, Cam, Jafet).
Sem
Cam
Jafet
Sem (da Sem nacque 5 figli, Elam, Assur, Arpakshad, Lud e Aram).
Elam
Assur
Arpakshad
Scelah
Eber
Peleg
Reu
Serug
Nahor
Tera
Abraamo (generò Ismaele e Isacco).
Ismaele
Isacco (generò Giacobbe).
Giacobbe (generò 12 figli).
Ruben
Simeone
Levi
Giuda
Issacar
Zabulon
Giuseppe
Beniamino
Dan
Neftali
Gad
Cusim
Ascer
DISCENDENZA DI CAINO
Caino
Enok
Irad
Methusael
Lamek (si prese 2 mogli Ada e Tsillah) (da Ada nacque Jabal, da Tsillah nacque
Tubalcain).
Con la venuta di Noè finisce la discendenza di Caino.
GENEALOGIA DI GESÙ CRISTO
Gesù figlio di Abraamo, figlio di Davide, Abraamo generò Isacco;
Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli;
Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom
generò Aram; Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson;
Naasson generò Salmon; Salmon generò Boos da Raab; Boos generò
Obed da Rut; Obed generò Iesse, e Iesse generò Davide, il re.
Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria; Salomone
generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asa; Asa
generò Giosafat; Giosafat genrò Ioram; Ioram generò Uzzia;
Uzzia generò Ioatam; Ioatam genrò Acaz; Acaz generò Ezechia;
Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò
Giosia; Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione
in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel;
Salatiel generò Zorobabel; Zorobabel generò Abiud; Abiud generò
Eliachim; Eliachim generò Azor; Azor generò Sadoc: Sadoc generò
Achim; Achim generò Eliud; Eliud generò Eleàzaro; Eleàzaro
generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; Giacobbe generò
Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato
Cristo.
VIVIAMO IN ASPETTAZIONE DELL’ADEMPIMENTO DELLA PROMESSA.
UN INTERO ORDINE MONDIALE DEVE CAMBIARE. Ne dovrà risentire ogni aspetto
della vita umana. Questo cambiamento è inevitabile poiché l’infallibile
“Parola di Dio” ha decretato la fine dei cieli e della terra attuali
e la loro sostituzione mediante nuovi cieli e nuova terra gloriosi. Che significheranno
per noi questi avvenimenti? Come possiamo mostrare di vivere in aspettazione
dell’adempimento di ciò che l’Eterno Dio ha promesso? Dopo
aver fatto riferimento al diluvio universale dei giorni di Noè, l’apostolo
Pietro scrive: “I cieli e la terra che sono ora son custoditi per il fuoco
e sono riservati al giorno del giudizio e della distruzione degli uomini empi”
(II Pietro 3:7) L’apostolo prosegue, dicendo che “i cieli passeranno
con rumore sibilante, ma gli elementi, essendo intensamente caldi, saranno dissolti,
e la terra e le opere che sono in essa saranno scoperte”. – II Pietro
3:10.
In base a queste parole ispirate, dobbiamo forse concludere che sia la nostra
terra letterale che il sole, la luna e le stelle saranno distrutti? Per rispondere
a questa domanda, dobbiamo considerare come Dio giudica le sue proprie opere.
In riferimento alla fine del periodo creativo, il racconto di Genesi ci dice:
“Dio vide poi tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”.
(Genesi 1:31) Dinanzi ai primi uomini era la prospettiva di un’eternità
di vita felice sulla terra, purché rimanessero ubbidienti. (Genesi 2:16,17
3:3) Nel racconto di Genesi non c’è nulla che faccia pensare che
la terra sarebbe stata per l’uomo solo una dimora temporanea, per essere
infine distrutta in qualche futuro giorno di giudizio. Logicamente ne consegue
che il proposito di Dio è che l’universo materiale, inclusa la
terra, continui a esistere senza fine. Inoltre, l’apostolo Pietro fece
una distinzione fra 1° i cieli dei tempi antichi e la terra che era solidamente
fuori dell’acqua e nel mezzo dell’acqua e 2° “i cieli
e la terra che sono ora”. (II Pietro 3:5,7)
Tuttavia, la terra che esisté prima del Diluvio è lo stesso
pianeta che esiste ancora. È vero che il diluvio portò in effetti
dei cambiamenti negli aspetti fisici della terra. Poiché non c’era
più acqua in sospensione al di sopra della superficie della terra, questo
influì sull’aspetto dell’universo visibile dal punto di vista
dell’osservatore umano. Comunque, questi cambiamenti furono semplicemente
effetti collaterali del Diluvio. Il suo scopo non fu di distruggere il pianeta
letterale ma di distruggere la società umana empia fuori dell’arca.
Per mezzo del diluvio, tutte le opere e le disposizioni edificate dalla società
umana empia perirono.
Quindi, perché ci sia qualcosa che corrisponda al diluvio universale,
tutto ciò che ha relazione con la società umana malvagia attuale
deve perire, come se fosse consumato dal fuoco. Si, l’intera struttura
delle cose umane venuta all’esistenza dopo il Diluvio è stata riservata
alla distruzione e al giorno del giudizio o della resa dei conti. Che il “fuoco”
sia qui usato in maniera rappresentativa dalla completezza della distruzione
è confermato nel libro biblico dell’Apocalisse, dove il Signore
Gesù Cristo è raffigurato come un re guerriero. Si dice che l’azione
della sua battaglia lasci molti cadaveri sparsi sulla superficie della terra,
perché siano consumati da uccelli necrofagi: (uccelli che mangiano i
morti) (Apocalisse 19:15-18) Tale quadro non potrebbe essere adempiuto in nessun
grado se questo pianeta dovesse essere letteralmente ridotto a un tizzone spento
privo di vita. Or dunque, la raffigurazione di Pietro della distruzione della
terra e dei cieli attuali si riferisce all’annientamento della società
umana empia.
I governi istituiti dagli uomini che hanno dominato sulla società umana
come “cieli” scompariranno dall’esistenza. (Confronta Isaia
34:2-5 Michea 1:3,4). Il suono che si produrrà quando si dissolveranno
nella rovina, descritto come un “rumore sibilante” simile a quello
del vapore che sfugge sotto pressione, aumenterà di intensità.
Gli “elementi”, cioè lo spirito che spinge l’empio
genere umano a pensare, predisporre, parlare e agire nella loro maniera che
disonora Dio, saranno dissolti o ridotti a nulla. (Confronta Atti 9:1 Efesini
2:1-3). Questo significherà la fine per tutte le filosofie, le teorie,
le intese e gli schemi che riflettono lo spirito del genere umano alienato dall’Altissimo.
“La terra e le opere che sono in essa saranno scoperte” o esposte
come meritevoli di distruzione. Non ci sarà scampo per nessun membro
della società umana malvagia, la “terra”. (Confronta Genesi
11:1 Isaia 66:15,16 Amos 9:1-3 Sofonia 1:12-18).
Tutte le opere degli uomini illegali – sia le istituzioni e le organizzazioni
che quanto è stato edificato in relazione con queste – saranno
rivelate come disapprovate da Dio, per essere eliminate come rifiuti senza valore.
Noi servitori di Dio vogliamo perciò vivere in una maniera tale da dimostrare
che crediamo realmente che ogni parte di questo sistema empio attuale perirà
per sempre. Questo ciò che l’apostolo Pietro ci esorta a fare,
dicendo: Giacché tutte queste cose devono quindi esser dissolte, quale
sorta di persone dovete essere voi in santi atti di condotta e opere di santa
devozione, aspettando e tenendo bene in mente la presenza del giorno di Dio,
per cui i cieli essendo infuocati saranno dissolti e gli elementi essendo intensamente
caldi si fonderanno!” – II Pietro 3:11,12.
Quando ogni parte di questo sistema sarà dissolta dal fuoco dell’ira
di Dio espressa per mezzo del Signore Gesù Cristo, scamperanno solo le
persone che avranno tenuto una condotta retta e che avranno mostrato santa devozione.
La vera adorazione non è passiva, riflettendosi unicamente nella propria
astinenza da certi errori. Mentre è essenziale mantenere la purezza morale
e spirituale, abbiamo anche l’obbligo di dimostrare amore ai nostri simili
e di essere disposti e desiderosi di appagare le loro necessità fisiche
e spirituali. E questo contribuisce a una grande gioia, poiché “vi
è più felicità nel dare che nel ricevere”. –
Atti 20:35.
IL MIRACOLO DI DIO
Quando una persona è morta, cosa viene risuscitato? Non lo stesso corpo
che è morto. La Bibbia lo indica quando descrive la risurrezione celeste.
Anche quelli risuscitati sulla terra non riceveranno il medesimo corpo che avevano
prima di morire. Quel corpo probabilmente si è decomposto ed è
tornato alla terra. Col tempo gli elementi del corpo morto possono essere divenuti
parte di altre creature viventi. Perciò Dio non risuscita lo stesso corpo,
ma la stessa persona che è morta. A quelli che vanno in cielo dà
un nuovo corpo spirituale. A quelli risuscitati sulla terra dà un nuovo
corpo fisico. Questo nuovo corpo fisico sarà senz’altro simile
a quello che l’individuo aveva prima di morire, di modo che questi sarà
riconoscibile da chi lo conosceva.
LA RISURREZIONE
La risurrezione è davvero un miracolo stupendo. Nel corso di una vita
l’individuo può aver accumulato una grande esperienza, conoscenza
e molti ricordi, e sviluppato una personalità che lo distingueva da qualsiasi
altra persona vissuta. Eppure l’Eterno Dio ne ricorda ogni particolare,
e quando lo risusciterà ne ricostruirà l’intera personalità.
Riguardo ai morti che saranno risuscitati, la Bibbia dice: “Per lui sono
tutti viventi”. Gli uomini possono registrare la voce e l’immagine
di una persona, e riascoltarla o rivederla molto tempo dopo che la persona è
morta. Ma Dio può riportare in vita tutti quelli che vivono nella sua
memoria, e lo farà!
LA BIBBIA
La Bibbia dice molte altre cose sulla vita nel Paradiso dopo la risurrezione
dei morti. Per esempio, Gesù parlò di alcune persone che sarebbero
venute fuori a una “risurrezione di vita”, e di altre a una “risurrezione
di giudizio”. A cosa si riferiva? La situazione in cui verranno a trovarsi
i “giusti” risuscitati sarà diversa da quella degli “ingiusti”?
Conosceremo la risposta esaminando l’argomento del Giorno del Giudizio.
IL GIORNO DEL GIUDIZIO: DURANTE E DOPO
Cosa vi fa venire in mente l’espressione “Giorno del Giudizio”?
Alcuni pensano a un grande trono davanti al quale si snoda una lunga fila di
risuscitati. Man mano che passano davanti al trono, vengono giudicati in base
alle loro opere passate, tutte scritte nel libro del giudice. A seconda di quello
che hanno fatto, vengono mandati o in cielo o in un inferno di fuoco. La Bibbia
però dà un’idea molto diversa del Giorno del Giudizio. Non
è un giorno di cui aver paura. Notate cosa dice la Bibbia: “[Dio]
ha stabilito un giorno in cui si propone di giudicare la terra abitata con giustizia
mediante un uomo che ha costruito”.
Questo giudice costituito da Dio è ovviamente Gesù Cristo. Possiamo
essere certi che Cristo sarà un giudice giusto ed equo. Ce lo assicura
Isaia 11:3,4, una profezia che parla di lui. Contrariamente all’opinione
comune, egli non giudicherà le persone in base ai loro peccati passati,
molti dei quali commessi forse per ignoranza. La Bibbia spiega che alla morte
l’individuo è prosciolto o assolto da tutti i peccati commessi.
Essa dice: “Colui che è morto è stato assolto dal suo peccato”.
Questo significa che i risuscitati saranno giudicati in base a quello che
faranno durante il Giorno del Giudizio, non a quello che hanno fatto prima di
morire. Il Giorno del Giudizio, quindi, non è un giorno letterale di
24 ore. La Bibbia lo indica chiaramente quando parla di quelli che saranno giudici
insieme a Cristo. (I Corinti 6:1-3) “E vidi dei troni”, dice lo
scrittore biblico, “vi erano quelli che sedettero su di essi, e fu data
loro la potenza di giudicare”. Questi giudici sono i fedeli unti seguaci
di Cristo che, come prosegue la Bibbia, “vennero alla vita e regnarono
col Cristo per mille anni”. Perciò il giorno del Giudizio durerà
mille anni”. È lo stesso periodo di mille anni nel quale Cristo
e i suoi 144.000 fedeli unti seguaci regneranno come “nuovi cieli”
sulla “nuova terra”. – Apocalisse 20:4,6; II Pietro 3:13.
BATTESIMO DEI BAMBINI.
IL PECCATO ORIGINALE
Benché Gesù Cristo abbia chiaramente insegnato che non sussiste
miglior condizione spirituale di quella goduta dai bambini, da più parti
si afferma che essi nascono con il peccato originale. Che significato hanno
infatti le Sue parole- “di TALI è il Regno dei Cieli” (Luca
18:16)- se non proprio quello che i bambini sono ‘ TALI ’ quali
sono coloro che regnano con Cristo? Nei bambini esiste una tale innocenza e
purezza spirituale che Cristo ha dichiarato che tra Sé e loro esistono
la stessa comunione ed identità che sussistono tra Egli e Dio: “E
preso un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro; e recatoselo in braccio,
disse loro: chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli nel nome mio, riceve
me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato.”
(Marco 9:36-37).
LA SCELTA DI UN MODELLO.
Nel plasmare il modello della Sua Chiesa, il Maestro aveva ben poca scelta.
C’erano gli angeli, ma essi appartengono ad una matura celeste e perciò
irraggiungibili, nella loro pietà, dall’uomo peccatore. Cristo,
dunque, additò un piccolo bambino come unico esempio e modello esistente
nel mondo: “In verità io vi dico: se non mutate e non diventate
come i piccoli fanciulli, non entrerete punto nel Regno dei Cieli.” (Matteo
18:3). E quando nell’uomo peccatore subentra questo mutamento, in virtù
del quale si accede nel Regno di Cristo, egli diventa “TALE-QUALE”
quel bambino. Per questo motivo – e come “conditio sine qua non”
– chiunque desidera “entrare” nella Chiesa, deve prima “nascere
di nuovo” (Giovanni 3:3,5,7). “Nascere di nuovo” significa
ritornare al primordiale stato spirituale dell’anima, allorché
ebbe inizio la nostra esistenza terrena. L’Apostolo Pietro lo afferma
a chiare note: “Avendo purificate le anime vostre con l’ubbidienza
alla verità… essendo stati rigenerati (nati di nuovo) mediante
la parola di Dio… gettando lungi da voi ogni malizia, e ogni frode, le
ipocrisie, e le invidie, ed ogni sorta di maldicenze, come BAMBINI PUR ORA NATI,
appetite il puro latte spirituale, onde per esso cresciate per la salvezza.”
(I° Pietro I:22-2:2).
Se questi insegnamenti non affermano che i bambini sono privi di qualsiasi
peccato o colpa, neppure affermano che colui che è “rigenerato”
si trova senza peccato o colpa! Ma la Scrittura ribadisce e conferma che l’uomo
rinnovato e purificato spiritualmente diventa “una nuova creatura in Cristo”
(2° Corinzi 5:17). Per poter “nascere di nuovo… nascere d’acqua
e di spirito” (Giovanni 3:3,5) occorre la fede: prerequisito del quale
i bambini sono naturalmente ed integralmente sprovveduti: “Chiunque crede
che Gesù è il Cristo, è nato da Dio… Questa è
la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.” (I° Giovanni 5:1-5).
Lo stesso Apostolo Giovanni ci riconferma che soltanto “coloro che credono
nel Suo nome… sono nati da Dio.” (Giovanni I:12-13).
Giova dunque ripetere che se un neonato non è esente da ogni colpa, non
lo è neppure colui che realizza la propria “rinascita” spirituale
per “diventare come i piccoli fanciulli”! Soltanto se i bambini
nascono “vivi”, il Cristo può parlare di una “nuova
nascita”; soltanto se sono “generati” è possibile parlare
di “rigenerazione”! Sarebbe impossibile “rinnovare”
ciò che non è mai stato “nuovo” (cfr. 2° Corinzi
4:16 e Romani 12:2) e d’altra parte sarebbe assurdo predicare e praticare
la necessità di “essere riconciliati con Dio” (2° Corinzi
5:18-21) se non si crede che i bambini nascono già “conciliati”,
cioè nel favore divino.
Cristo non si limita ad additare i bambini come esempio d’innocenza
spirituale, ma esalta anche le loro condizioni d’animo e le loro virtù
sociali: “Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo,
è lui il maggiore nel Regno dei Cieli” (Matteo 18:4). Ecco la vera
grandezza: quella di chi non vuole farsi grande! Questa umiltà sociale,
questa mancanza di ambizione per pervenire a qualsiasi posizione di preminenza,
sono così evidenti nei bambini da indurre Cristo ad insegnare che “chi
non avrà ricevuto il Regno di Dio come un piccolo fanciullo, non entrerà
punto in esso.” (Marco 10:13).Il Maestro sottolinea non solo le nobili
virtù sociali dei bambini, ma anche la loro innocenza spirituale. Lungi
dall’insegnare che il loro rapporto di Adamo, Cristo afferma senza possibilità
di equivoci: “Guardatevi dal disprezzare alcuno di questi piccoli; perché
io vi dico che gli angeli loro, nei cieli, vedono del continuo la faccia del
Padre mio che è nei cieli.” (Matteo 18:10). Oh! Quanto è
grande la dignità di quelle anime che hanno gli angeli di Dio come guardiani!
Come è consolante sapere che anche tutti coloro che sono “nati
di nuovo” godono la stessa benedizione! Come gli angeli hanno cura del
benessere spirituale dei bambini, così essi sono anche “spiriti
ministratori, mandati a servire a pro di quelli che hanno da predare la salvezza.”
(Ebrei I°:14).
IL << LIBERO ARBITRIO >> DIFESO
È ovvio che il Maestro sapeva che i fanciulli sarebbero cresciuti e che
con il trascorrere del tempo avrebbero acquisito una conoscenza ed una personalità
proprie. Tramite i Suoi Apostoli, Cristo ha insegnato che i figli, nati in una
famiglia cristiana, debbono << essere allevati in disciplina ed in ammonizione
del Signore… ubbidire nel Signore ai loro genitori, poiché ciò
è giusto. Onore il padre e tua madre (è questo il primo comandamento
con promessa, alfine che ti sia bene e tua abbia lunga vita sulla terra. >>
Efesini 6:1-4). Imparando ad ubbidire ai loro genitori << nel Signore
>>, allorché avvertiranno di avere trasgredito la Legge, essi ricercheranno
anche, tramite Cristo, il perdono dei propri peccati. E quando giunge quel momento,
essi non debbono mai essere né ostacolati né forzati: <<
Lasciate i piccoli fanciulli venire a me, e non glielo vietate. >> (Matteo
19:14; Marco 10:13; Luca 18:15).
E se è vero, come è vero, che Cristo non costringe alcuno a servirLo,
nemmeno ai bambini deve mai essere sottratto quel inestimabile dono costituito
dal << libero arbitrio >>. << E lo spirito e la sposa dicono:
vieni. E chi ode dica: vieni. E chi ha sette venga; chi vuole, prenda in dono
dell’acqua della vita. >> (Apocalisse 22:17).
E’ sempre nella facoltà di ciascun uomo il voler sapere quanto
Dio esige da tutte le creature: “Se uno vuol fare la volontà di
Dio, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio.”
(Giovanni 7:17).. Ma se l’uomo si rifiuta di ambire a questa conoscenza,
nessuno può sottrargli questa facoltà. In tal caso – e come
conseguenza della propria scelta – l’uomo si perderà perché
“NON HA VOLUTO venire a Cristo per avere la vita.” (Giovanni 5:50).
Quando il messia pianse sulla sorte della città di Gerusalemme che Lo
aveva respinto, nel Suo grido patetico possiamo riscontrarne l’intima
determinazione di non violare quella libera scelta che è offerta a tutti:
“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti
sono mandati; quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina
raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi NON AVETE VOLUTO!” (Matteo
23:37-38). Con Cristo è sempre e soltanto “CHI VUOLE”! “CHI
VUOLE” e “QUANDO VUOLE”! Il libero arbitrio – anche
quello dei bambini – va sempre e comunque rispettato! Cristo non voleva
che i bambini fossero impediti di andare a Lui – “non glielo vietate”
– ma neppure voleva che fossero prepotentemente spinti ad un battesimo
che personalmente non possono richiedere, non essendo in grado di apprezzarne
il significato. “Lasciate che i bambini vengano a me”; ma lasciamo
che siano essi stessi a deciderlo!
BAMBINI NON BATTEZZATI
E’ importante notare che i bambini di cui Cristo parlava sovente, che
“prendeva in braccio e benediceva” scegliendoli come modello per
il Suo Regno, ERANO TUTTI FIGLI DI EBREI; nessuno di loro era figlio di genitori
Cristiani, né alcuno di loro era stato battezzato. Ciò formava
che né Cristo né il popolo ebraico credevano nella “iniquità
eredata”, nella “colpa trasmessa”, nel “peccato originale”.
E’ per questo motivo che gli Ebrei non hanno mai esercitato alcuna pratica
rituale, né hanno mai offerto alcun sacrificio o insegnato alcuna dottrina
al fine di rimuovere un tale preteso “peccato ereditario”, ignoto
anche e soprattutto a Cristo stesso!
Le anime di quei bambini aditati da Cristo erano nello stesso stato spirituale
in cui si trovavano al momento della loro nascita poiché nessuno, a quei
tempi, credeva di dover espletare qualche rito per cambiare il proprio stato
spirituale. E, come i bambini ebraici, anche tutti gli altri bambini che nascono
sulla faccia della terra si trovano e si troveranno sempre nella loro stessa
ed identica condizione!Ogni infante che “fresco-fresco” dalle mani
creatrici del “Padre degli Spiriti” (EBREI 12:9) è nello
stesso stato spirituale in cui si trovava Adamo prima che peccasse, anche se
ovviamente non è nello stesso suo stato fisico. Non c’è
alcun passo in tutta la Bibbia che insegni, suggerisca e dal quale si possa
desumere la dottrina della “colpa trasmessa” o del “peccato
ereditario”. Al contrario, vi sono molteplici insegnamenti che negano
categoricamente la validità di una così assurda idea! Qualsiasi
dottrina, dogma o teoria che affermi una tale ipotesi si mette in evidente opposizione
con l’esplicito e chiaro insegnamento della Scrittura che – non
dimentichiamolo mai! – è PAROLA DI DIO!
Se è vero che Cristo ha voluto farci credere nella trasmissione del
peccato di Adamo su tutti gli uomini, perché ci ha lasciato molti Suoi
insegnamenti che contraddicono tale dottrina? Non è possibile che Iddio
imputi ai bambini un tale peccato e che Egli Stesso non si sia premuto di lasciare
il debito insegnamento al fine di concedere all’uomo la possibilità
di porvi riparo! Com’è possibile credere che Cristo abbia trascurato
di spiegarci un fatto di così rilevante importanza? Perché dovremmo
credere che Egli ha trascurato le Sue creature più indifese? Perché
non ci ha detto chiaramente che i bambini debbono essere battezzati? Eppure
non Gli sono mancate le occasioni: quante volte Lo vediamo abbracciarli teneramente!
LA “PROVA” NON PROVA!
Anche noi conosciamo i vari passi della Scrittura dai quali si può affermare
la trasmissione delle cattive abitudini, delle funeste conseguenze, della stessa
morte fisica; ma nella Bibbia non esiste alcun passo che insegni la trasmissione
di una colpa! Anche noi conosciamo i vari passi biblici che vengono addotti
– erroneamente! – per suffragare la falsa tesi del peccato ereditario.
Nel proporci di esaminare tutti i passi della Scrittura che vengono citati a
sostegno di una simile dottrina, non soltanto ci rendiamo conto che questi stessi
passi negano tale idea ma emergerà anche e palesemente la futilità
di ogni tentativo compiuto da parte di chi è alla ricerca di una “PROVA
SCRITTURALE” a sostegno delle proprie tesi.
I° – GENESI 8:21: “I disegni del cuore dell’uomo sono
malvagi fin dalla sua fanciullezza …” Notiamo: (a) Questo passo
allude ai proponimenti del cuore degli uomini e Non ai “peccati ereditati”.
(b) La tendenza alla malvagità può risalire alla giovinezza di
una persona, NON alla sua infanzia. (c) Un bambino appena nato NON ha disegno
alcuno nel proprio cuore. (d) NON è menzionato il peccato di Adamo che
dovrebbe sussistere anche laddove i disegni malvagi non esistono.
II° - I° RE 8:46: “Quando peccheranno contro di te – poiché
non v’è uomo che non pecchi…” Notiamo: (a) Il passo
NON parla di una colpa ereditata. (b) Il testo si riferisce ai peccati personali
e NON al peccato di Adamo. (c) Il passo dice che “non v’è
uomo che non pecchi”; NON parla dei bambini.
III° - GIOBBE 14:4: “Chi può trarre una cosa pura da una
impura?” Notiamo: (a) Le nostre anime provengono da Dio, NON da Adamo;
e Dio è puro! (b) E’ vero anche il rovescio della medaglia: “chi
può trarre una cosa impura da una pura?” (c) Molte volte Gesù
ha insegnato questa verità: “O voi fate l’albero buono e
buono pure il suo frutto, o fate l’albero cattivo e cattivo pure il suo
frutto; perché dal frutto si conosce l’albero.” (MATTEO 12:33).
(D) Poiché Iddio è “l’albero” e le nostre anime
sono il “frutto”, stiano attenti a ciò che insegnano coloro
i quali adducono questo passo di Giobbe quale “PROVA” della loro
tesi!
IV° - SALMO 51:5: “Ecco, io sono stato formato nella iniquità
e la madre mia mi ha concepito nel peccato.” Notiamo: (a) Il peccato in
questione NON era né quello di Adamo né quello di Davide. (b)
Il nascere NON costituisce un peccato! V° - LAMENTAZIONI 5:7: “I nostri
padri hanno peccato, e non sono più; e noi portiamo la pena delle loro
iniquità.” Notiamo: (a) I figli portano la “pena”,
MAI la “colpa”! (b) NON furono i peccati di Adamo a causare la prigionia
in Babilonia, ma quelli commessi dai padri! VI° - ROMANI 5:12-19: Questo
passo sarà attentamente considerato nel prosieguo di questo studio. Questi
sono gli unici passi che vengono addotti a sostegno della tesi del “peccato
originale”. Come abbiamo visto, nessuno di essi parla di “colpa
trasmessa”; anzi, spesse volte, la negano.
UNA STRANA CONFUSIONE
L’unica possibilità per la quale un figlio può essere ritenuto
colpevole dei peccati commessi dal proprio padre, comporta e postula questo
quesito: una colpa può essere trasmessa? La teologia cattolica risponde
“sì” poiché Adamo, capostipite del genere umano, ha
peccato e perciò tutta la razza umana è colpevole al pari di Adamo.
Agostino ed Ambrogio furono i principali fautori dell’espandersi di una
tale idea. Pur essendo reputati dalla Chiesa Cattolica quali Padri e Dottori
della Chiesa stessa, noi sosteniamo che il loro insegnamento non era ispirato
e ribadiamo altresì che essi non hanno compreso né la Scrittura
né il suo insegnamento.
E’ mai possibile che un peccato – un peccato qualunque, anche
quello di Adamo! – possa essere trasmesso? I figli possono essere condannati
per una trasgressione commessa dal proprio padre? Una simile credenza ci sembra
non soltanto ingiusta ed immorale, ma viene energicamente negata e combattuta
dalla Bibbia stessa. Infatti proprio in quelle Leggi che sono state date da
Dio al popolo ebraico – Leggi che proteggono i diritti di tutti e difendono
la innocenza degli innocenti – è stata inserita anche questa Legge:
“Non si metteranno a morte i padri per i figliuoli, né si metteranno
a morte i figliuoli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio
peccato.” (Deuteronomio 24:16). Iddio considera ogni individuo singolarmente,
cioè per i peccati che commette personalmente: una Legge, questa, immutata
ed immutabile perché Legge divina. Una così chiara ed inequivocabile
dichiarazione non avrebbe dovuto far sorgere tra gli Ebrei alcun dubbio. Purtroppo
non è stato così.
L’UVA ACERBA
Proprio la confusione tra ciò che è la conseguenza e ciò
che è la colpa, ha spinto alcuni ad affermare la “ereditaria della
colpa”. Chi non discerne la colpa dalla pena può essere indotto
a confondere l’una per l’altra oppure a non fare alcuna distinzione
considerando l’una uguale all’altra. Durante la cattività
babilonese una tale confusione era penetrata anche nella dottrina giudaica.
Gli Ebrei confondevano le conseguenze dei peccati dei loro padri con le colpe
dovute a quei peccati. E’ ben vero che, in un certo qual modo, essi subirono
alcune ripercussioni materiali a causa dei misfatti commessi dai loro padri
giungendo però alla illogica conclusione che stavano “ANCHE”
subendone la colpa. Per questo motivo gli Ebrei accusarono Iddio di averli imputati
ingiustamente. E Dio stesso intervenne – tramite i profeti Ezechiele e
Geremia – per smentire una così esecrabile idea: “E la parola
dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: perché dite nel paese
d’Israele questo proverbio: “i padri hanno mangiato l’agresto
e ai figliuoli s’allegano i denti? – Com’è vero che
io vivo, dice il Signore, l’Eterno, non avrete più occasione di
dire questo proverbio in Israele.
Ecco, tutte le anime sono mie; è mia tanta l’anima del padre
quanto quella del figliuolo: l’anima che pecca sarà quella che
morrà.” (EZECHIELE 18:1-4). Il voler affermare con questo proverbio
un’assurdità spirituale che si riflette e si ripercuote negativamente
sulla stessa giustizia di Dio, indusse Dio Stesso ad intervenire per negare
la banalità di una simile dottrina. Il fatto è che la posta in
gioco riguarda le anime degli uomini e Iddio ci dice: “tutte le anime
sono mie”! Perciò soltanto Lui ha il potere di stabilire “CHI”
è colpevole e per “QUALI” peccati! Questo passo del profeta
Ezechiele non soltanto contraddice la tesi della “colpa trasmessa”,
ma ribadisce altresì il concetto che “l’anima che pecca sarà
quella che morrà”. Ciò significa che fino a quando l’anima
non pecca, essa “vive”. E “vive” spiritualmente. Come
è assurdo affermare che se il padre mangia l’uva acerba, ai figli
– che non hanno mangiata – gli si allegano i denti, così
è altrettanto assurdo sostenere che l’anima di un bambino può
o deve portare la colpa commessa dal padre. Entrambe le idee sono ridicole e
vengono chiaramente condannate dal testo biblico che stiamo meditando.
CHI E’ IL COLPEVOLE?
<< La parola dell’Eterno mi fu rivolta >> - dice Ezechiele.
Affinché nessuno fraintenda l’applicazione pratica dell’insegnamento
di Dio e allo scopo di impedire qualsiasi affrettata ed imprudente conclusione,
il profeta ribadisce che << l’anima che pecca è quella che
morrà. Il figliuolo non porterà l’iniquità del padre
e il padre non porterà l’iniquità del figliuolo; la giustizia
del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell’empio sarà
sull’empio. >> (vs. 20).
Il figlio, dunque, potrà subire le conseguenze del peccato paterno, MAI
LA COLPA!
Allorquando il profeta Geremia – contemporaneo di Ezechiele – parlò
contro l’abuso derivato da quell’assurdo proverbio, egli l’incluse
in un testo che si riferisce all’era cristiana: << In quei giorni
non si dirà più: ‘i padri han mangiato l’agresto,
e i denti dei figliuoli si sono allegati ’; ma ognuno morrà per
la propria iniquità; chiunque mangerà l’agresto ne avrà
i denti allegati. >> (Geremia 31:29-30).
Dunque, soltanto coloro che hanno violato personalmente la Legge di Dio morranno.
I bambini non possono essere imputati di alcun peccato e perciò essi
<< vivono>>. I padri – Adamo compreso – possono avere
mangiato l’agresto (cioè aver peccato, come vuole la figura); ma
ciò non avrà alcun effetto sui denti dei loro figli (cioè
sulle loro anime, come vuole l’allegoria). Un figlio può essere
chiamato ‘figlio di un ladro ’ se il suo padre ha rubato; ma finché
egli personalmente non ruba non può né deve essere chiamato ‘ladro’!
C’è dunque una grande differenza tra la conseguenza per un peccato
e la colpa dovuta ad esso. Tale confusione crea una grave responsabilità
morale in chi non sa discernere questo principio di così vitale importanza.
FRUTTI DEL BENE E DEL MALE
La Scrittura non soltanto ammette che i figli possono subire le conseguenze
derivate dal peccato dei propri genitori, ma ci dice anche che possono essere
benedetti mediante la loro giustizia. Non è una strada a senso unico!
Nel dare la Legge a Mosè, Iddio dichiarò questa fondamentale verità
decretando il secondo comandamento con il quale intese vietare l’uso di
qualsiasi immagine ed il relativo culto: << Io, l’Eterno, il tuo
Dio, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri sopra
i figliuoli fino alla terza e quarta generazione di quelli che m’odiano,
ed uso benignità fino a mille generazioni verso quelli che m’amano
e osservano i miei comandamenti. >> (Deuteronomio 5:9-10).
Se non fosse così, la legge dell’influenza paterna sarebbe davvero
una legge ingiusta. Chi crede nel peccato originale non si illuda di aver trovato
qualche sostegno alla propria tesi adducendo quale prova il secondo comandamento
che, d’altra parte, non può essere citato dal Cattolicesimo in
quanto tale comandamento è << scomparso >> dal decalogo contenuto
nel cosiddetto catechismo. Infatti i Cattolici evitano, con comprensibile paura,
questo argomento quando parlano del loro dogma. Non soltanto questo testo nega
la << continua>> trasmissione della colpa, ma insegna che le conseguenze
esauriscono il loro corso nel ciclo di tre o quattro generazioni, mentre la
trasmissione delle conseguenze benefiche dureranno mille generazioni! Il bene,
dunque, è superiore al male e le conseguenze del bene dureranno mille
volte più a lungo che non il frutto del male. Inoltre lo stesso testo
insegna che i figli non sono moralmente colpevoli fino a quando non imitano
il cattivo esempio dei loro padri e tanto meno il contesto allude al peccato
di Adamo.
<< Com’è vero ch’io vivo, dice il Signore, l’Eterno,
non avrete più occasione di dire questo proverbio! >>. Dura sentenza,
dalla quale traspare evidente l’offesa che gli Ebrei avevano recato a
Dio tacciandoLo di << ingiustizia >>! E per rimuovere un concetto
così indegno della Sua giustizia, Dio Stesso intervenne per affermare
categoricamente che la Sua Legge non è iniqua, irragionevole, disonesta
e sleale! Dio non può essere accusato di abusare dell’innocenza
degli innocenti. La Sua Legge è pura ed imparziale . E chi osa contraddire
il giudizio pronunciato da Dio? Il male morale dei genitori non può essere
esteso alle anime della loro prole e nemmeno la giustizia morale può
essere travasata da una persona all’altra!
LE TRE GENERAZIONI CONSECUTIVE
Al fine di esporre ogni possibile combinazione morale, il profeta presenta ben
tre generazioni consecutive: un padre giusto che ha un figlio ingiusto il quale,
a sua volta, ha un figlio giusto. Se ci fosse qualche responsabilità
morale, essa dovrebbe apparire in questa triplice combinazione! Ma Dio afferma
che << se uno è giusto >> (Ezechiele 18:5) << ma ha
generato un figliuolo che è violento, che spande il sangue >> (vs.
10-12) la giustizia del padre non salverà il figliuolo poiché
<< questo figlio vivrà egli? No, non vivrà! >> (vs.
13). E nemmeno l’iniquità del figlio potrà condannare il
padre perché << quel tale è giusto; certamente egli vivrà
>> (vs. 9). E di fronte a questa argomentazione noi diciamo << amen
>>, perché ciò è giusto!
Ma è vero anche il rovescio della medaglia! Se questo << figliuolo
ch’è un violento >> genera un figlio che vede l’iniquità
del proprio padre e << vi pon mente e non fa cotali cose >>, allora
<< il figliuolo non morrà per l’iniquità del padre;
egli certamente vivrà! >> (vs. 14-17). E noi diciamo nuovamente
<< amen >>! Il padre, però, dovrà pur << morire
per la sua iniquità >> (vs. 18).
Perciò, per esaurire ogni controversia, Iddio conclude: << l’anima
che pecca è quella che morrà >>! Un insegnamento che elimina,
una volta per sempre, ogni possibilità di << trasferimento >>
della colpa e della giustizia. Di fronte a Dio non esiste un << travaso
>> di meriti o demeriti: NESSUNO DOVRA’ MORIRE PER I PECCATI ALTRUI:
NEMMENO PER QUELLO DI ADAMO!
Così come nessuno potrà essere salvato per la fede, la giustizia
o l’altrui merito. Nemmeno per i << meriti >>dei cosiddetti
<< Santi >>!
In tutti i peccati del mondo non c’è sufficiente potenza per
condannare un uomo giusto, così come non ci sono sufficienti <<
meriti >> per salvare un solo peccatore! Soltanto tramite Gesù
Cristo – espressione dell’amore e della grazia di Dio - il peccatore
può aspirare e pervenire alla propria salvezza!
CHI SEMINA … RACCOGLIE!
Nella Scrittura vi sono molteplici passi i quali attestano che l’uomo
dovrà rendere conto soltanto dei propri peccati, Giammai di quelli altrui:
<<Non v’ingannate; non si può beffarsi di Dio, perché
quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché
chi semina per la propria carne, mieterà dalla carne corruzione; ma chi
semina per lo spirito, mieterà dallo spirito vita eterna. >> (Galati
6:7-8). << Nel giorno del giusto giudizio di Dio, Egli renderà
a ciascuno secondo le sue opere… tutto ciò si vedrà nel
giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù
Cristo. >> ( Romani 2:5,16). << Poiché dobbiamo comparire
tutti davanti al tribunale di Cristo affinché ciascuno riceva la retribuzione
delle cose fatte quando era nel corpo, secondo quel che avrà operato,
o bene, o male. >> (2° Corinzi 5:10). << Così dunque
ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio >>. (Romani 14-12).
<< Perché il Figliuol dell’uomo verrà nella gloria
del Padre suo, con i suoi angeli, ed allora renderà a ciascuno secondo
l’opera sua. >> (Matteo 16:27). << E vidi i morti grandi e
piccoli che stavano ritti davanti al trono; ed i libri furono aperti. E un altro
libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati
dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro… ed essi furono giudicati,
ciascuno secondo le sue opere. >> (Apocalisse 20:12-13).
Com’è possibile credere diversamente? Chi ci autorizza a sovvertire
ed a pervertire un così chiaro insegnamento? Non è blasfemo arrogarsi
il diritto o la pretesa di capovolgere la dottrina di Dio? Potremmo citare molti
altri passi analoghi a quelli or ora menzionati; ma ci sembra superfluo farlo.
Basti ricordare quanto è scritto proprio al termine della Bibbia: <<
Ecco (dice il Signore), vengo tosto, e il mio premio è meco PER RENDERE
A CIASCUNO SECONDO CHE SARA’ L’OPERA SUA. >> (Apocalisse 22:12).
LA SALVEZZA PER I <<NOSTRI>> PECCATI
Ci sono alcuni i quali – o perché mantenuti nella loro ignoranza
oppure male istruiti – si pongono questa domanda: Se non esiste il peccato
originale, quale è lo scopo della venuta di Cristo?
Se Cristo non è venuto per salvarci dal peccato originale, perché
è stato crocifisso?. Altri chiedono:
Se non dobbiamo essere battezzati per togliere quel peccato, per quale altro
motivo dovremmo farsi battezzare?. Un simile ragionamento è assurdo se
si considera che abbiamo già un notevole carico di peccati personali,
anche se escludiamo quello << ereditato >> da Adamo! Il fatto è
che Cristo è morto per riscattarci dai NOSTRI peccati. La Scrittura insegna
che tutti gli uomini debbono farsi battezzare affinché possano ricevere
il perdono dei propri peccati; ma in essa non è citato MAI un solo esempio
di un credente che si sia fatto battezzare per il peccato di Adamo!
L’Apostolo Pietro nel suo discorso pentecostale, disse: << Ravvedetevi,
e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione
dei VOSTRI peccati. >> (Atti 2:38).
Allo stesso Saulo, divenuto poi Paolo Apostolo, fu rivolta questa esortazione:
<< Ed ora che indugi?
Lèvati, e sii battezzato, e lavato dei TUOI peccati, invocando il suo
nome. >> (Atti 22:16).
Se un bambino fosse colpevole di un peccato che non ha mai commesso e responsabile
di fronte ad una legge che non è in grado di conoscere, desiderare, adempiere
– restando così in balìa di una sorte che non può
né potrà mai personalmente controllare – quella legge non
avrebbe alcuna parvenza di giustizia! E nessuna legge ingiusta può essere
attribuita a Dio senza ledere la Sua Stessa DIGNITA’ PERSONALE!
Erano gli Ebrei che dicevano: “la via del Signore non è retta!”.
Perché? Perché essi credevano – come abbiamo già
sottolineato – che Iddio li ritenesse responsabili dei peccati commessi
dai loro padri! Ma Dio Stesso li redarguì: “Sono proprio le mie
vie quelle che non sono rette, o casa d’Israele? Non sono piuttosto le
vie vostre quelle che non sono rette?” (EZECHIELE 18:29). No! L’anima
dei bambini è integra anche senza il battesimo! Anche la stessa giustizia
umana – una giusta che spesso manca della “G” maiuscola –
non permetterà mai che un bambino sia punito, imprigionato o condannato
perché suo padre ha commesso qualche delitto! O forse siamo divenuti
talmente trionfi da voler addirittura sostenere che la giustizia umana supera
quella di Dio? Nemmeno dei bambini che nascessero dentro una prigione sarebbero
tenuti prigionieri. Se sosteniamo il peccato originale e le conseguenze che
ne derivano, con la stessa superficialità possiamo affermare che tutti
i figli nati da un genitore condannato per qualche crimine, dovrebbero essere
mandati in prigione al momento stesso della loro nascita. Non accetteremo mai
un sistema giuridico così palesemente ingiusto; ed allora, perché
dovremmo ledere la dignità stessa di Dio imputandoGli una così
orrenda ingiustizia?
CHI HA BISOGNO DI TORNARE A CASA?
Rivolto al Suo popolo – abbiamo già detto quale fosse l’errato
concetto che Ebrei avevano riguardo il peccato – il Signore pose questo
quesito: “Provo io forse piacere se l’empio muore? Non ne provo
piuttosto quand’egli si converte dalle sue vie e vive?... Poiché
io non ho alcun piacere nella morte di colui che muore… convertitevi dunque,
e vivete!” (Ezechiele 18:23,32). Quando l’anima pecca, essa “muore”
spiritualmente ed ha quindi bisogno di “convertirsi e vivere”. Ma
i bambini sono esclusi da una simile prassi poiché né possono
peccare, né possono convertirsi. Soltanto i figli “prodighi”
cioè soltanto coloro che hanno abbandonato la casa paterna, hanno bisogno
di ritornarvi: “Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni
per le quali avete peccato, e fatevi un cuor nuovo spirito nuovo; e perché
morreste, o casa d’Israele?” (Ezechiele 18:30-31). Queste parole
confermano che anche agli Ebrei la Legge di Dio imponeva il “rinnovamento”
interiore quale condizione indispensabile per essere realmente convertiti. Anche
Cristo ribadì la stessa necessità per poter accedere nel Suo Regno.
Né gli Ebrei, né Cristo intesero mai che i bambini dovessero seguire
una simile prassi poiché questi già “vivono” in Dio
senza alcun bisogno di essere “spiritualmente rinnovati”!
LA MORTE DEL CORPO NON QUELLA DELLO SPIRITO
Abbiamo già visto – esaminando diversi passi dell’Antico
Testamento – che v’è una chiara distinzione tra il peccato
e le conseguenze che ne derivano. Lo stesso principio è chiaramente ribadito
anche dal Nuovo Testamento. L’Apostolo Paolo – nel passo che, all’inizio
di questo studio, ci siamo proposti di approfondire più dettagliamene
– afferma che tutti gli uomini subiscono le conseguenze del peccato di
Adamo, NEGANDO però categoricamente l’ereditarietà della
colpa: “Perciò, siccome per mezzo d’un sol uomo il peccato
è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v’è entrata
la morte, e in questo modo la morte è passata su tutti gli uomini, perché
tutti hanno peccato. Poiché fino alla legge (di Mosé) il peccato
era nel mondo; ma il peccato non è imputato quando non v’è
legge. Eppure la morte regnò, da Adamo fino a Mosé, anche su quelli
che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo,
il quale è il tipo di colui che doveva venire.” (Romani 5:12-14).
L’Apostolo distingue nettamente il peccato di Adamo dalle conseguenze
che ne derivano. Quel peccato portò la colpevolezza SOLO alla sua anima,
pur avendo recato la ripercussione della morte fisica a tutti gli uomini. Ciò
che è “passata su tutti” non è il “peccato”,
ma la conseguenza materiale, cioè la “morte” fisica! Fino
alla legge di Mosé “il peccato era nel mondo” ma non era
imputato. Nessuno ne fu tenuto responsabile. Iddio non accusò alcuna
anima del peccato di Adamo semplicemente perché “il peccato non
è imputato quando non v’è legge!”. Però gli
uomini “morirono” fisicamente da Adamo a Mosé, anche se “non
avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo”!
Tutti “morirono” fisicamente! Ma questa non è una colpa!
E’ una semplice – anche se brutta – conseguenza! Se gli uomini
sono da ritenersi colpevoli è solo “perché tutti hanno commesso
il peccato” e NON per la cosiddetta “COLPA EREDITATA”! L’Apostolo
Giovanni ribadisce che “chi fa il peccato, commette una violazione della
Legge; e il peccato è la violazione della Legge.” (I° Giovanni
3:4). Ma quando non c’è Legge da violare, è impossibile
che Dio imputi il peccato poiché “il peccato è la violazione
della Legge.” Dunque: quale Legge violano i bambini? Sotto quale Legge
vivono? Non è possibile che la morte cui allude Paolo sia quella dello
spirito. Lo conferma lo stesso Apostolo: “Ma ora Cristo è risuscitato
dai morti, primizia di quelli che dormono. Infatti, poiché per mezzo
d’un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d’un
uomo è venuta la resurrezione dei morti. Poiché come tutti muoiono
in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati. Ma ciascuno
nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo,
alla sua venuta; poi verrà la fine.” (I° Corinzi 15:20-23).
Questo passo è perfettamente analogo a quello di Romani 5:12-14! In
entrambi si parla della “morte fisica”, introdotta nel mondo per
mezzo di Adamo, per cui “tutti muoiono”: Cristo compreso! Proprio
“mediante la morte” Cristo “distrusse colui che aveva l’impero
della morte, cioè il diavolo, e liberò tutti quelli che per il
timor della morte erano per tutta la vita soggetti a schiavitù.”
(Ebrei 2:14-15). Anche Cristo “morì” fisicamente, proprio
“come tutti muoiono in Adamo”! Ma Cristo è Realmente “risuscitato
dai morti, primizia di quelli che dormono” e perciò “tutti
coloro che muoiono in Adamo…in Cristo saranno tutti vivificati”!
IL DOGMA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE.
Per togliere ogni difficoltà inerente la tesi del peccato originale,
è stato inventato uno strano dogma. L’idea della “IMMACOLATA
CONCEZIONE” è stata promulgata soltanto nel 1854 dal Papa Pio IX;
ma di essa non esiste alcun riscontro in tutta la Bibbia. Anzi la Scrittura
insegna che tutti gli uomini sono “immacolatamente concepiti” nel
senso che non sono imputabili di alcuna colpa quando nascono. E’ mai possibile
che una dottrina così importante (almeno per i Cattolici) sia stata completamente
trascurata da tutti gli Scrittori Sacri e lasciata così alla mercé
dell’umana speculazione? Cristo non è stato risparmiato o esentato
– in qualche maniera speciale – dalla sorte comune di tutti gli
uomini: “Egli doveva essere fatto in ogni cosa simile ai suoi fratelli…
perché in quanto Egli stesso ha sofferto essendo tentato, può
soccorrere quelli che sono tentati.” (Ebrei 2:17-18).
La Sua “distinzione” spirituale deriva soltanto del fatto che
Egli non si è mai contaminato peccando. Se fosse stato favorito in qualche
odo con un purezza “originale” preclusa agli altri uomini, la Sua
posizione di “Mediatore” cadrebbe nel ridicolo. Se avesse goduto
rispetto a noi il benché minimo vantaggio spirituale (anche se i Cattolici
sostengono che il peccato originale ci danneggia enormemente) allora avremo
tutti i diritti di dirGli: “Tu parli bene, perché non hai avuto
la mia nativa debolezza”! Ma l’assurdità di una simile tesi
è palesemente contraddetta dalla Scrittura, la quale afferma e conferma
che Cristo si è perfettamente identificato con noi, senza alcun vantaggio:
“Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare
con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è
stato tentato come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena
facilità al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia
e troviamo grazia per essere soccorsi nel momento opportuno.” (Ebrei 4:15-16).
Cristo è stato tentato proprio << come noi >> e <<
in ogni cosa >>! Egli non ha usufruito di alcuna potenza divina –
che non sia anche a nostra disposizione – per vincere il diavolo. E nemmeno
ha usato la propria potenza per << cambiare i sassi in pane >>;
ché, in tal caso, non avrebbe potuto lasciarci l’esempio derivato
dal Suo rifiuto agli allettamenti satanici. Se Cristo, nelle Sue tentazioni,
fosse stato favorito rispetto a noi con qualche vantaggio fisico o spirituale,
la Sua vittoria sul peccato costituirebbe una farsa e ci ridicolizzerebbe a
causa della nostra ‘ DEBOLEZZA EREDITARIA ’! No! Questo non può
essere! Cristo ha incontrato Satana sullo stesso terreno in cui noi stessi l’incontriamo!
Cristo è morto affinché tutti gli uomini – Adamo compreso
– fossero liberati dalla morte fisica; cattivi e buoni ereditano questo
beneficio scaturito dalla Sua morte. Egli visse perfettamente immacolato –
non perché dotato di un dono speciale conferitoGli da Dio – ma
perché seppe vincere ogni tentazione: (cfr. Matteo 4:1-11). E così
– adempiuta ogni Legge morale – Cristo << morì come
agnello senza difetto né macchia >> appunto perché tutti
– Adamo compreso – avessimo la possibilità di << essere
riscattati dal vano modo di vivere. >> ( I° Pietro 1:18-19).
La visione di queste mirabili realtà indusse Paolo ad esclamare: <<
L’amore di Dio ci costringe; perché siamo giunti a questa conclusione:
che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e che Egli morì
per tutti affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi,
ma per Colui che è morto e risuscitato per loro… Se dunque uno
è in Cristo, egli è una nuova creatura… >> (2°
Corinzi 5:14-17).
I FIGLI DI DIO NASCONO NELLA SUA CASA
Benché anche i bambini abbiano bisogno, tramite Cristo, di essere liberati
dalla morte fisica – perché Cristo, << morendo per tutti
>>, è morto anche per loro – tuttavia essi non necessitano
di alcuna liberazione spirituale non avendo commesso alcun peccato.
Infatti, secondo Gesù, ciò che condanna una persona è <<
ciò che viene dal suo cuore; ed è quello che contamina l’uomo.
>> (Matteo 15:19). Se non proviene dal ‘ Suo ’ cuore, non
può contaminarne l’anima. Inoltre il Maestro insegna che solo <<
chi commette il peccato è schiavo del peccato. Or lo schiavo non dimora
per sempre nella casa: il figliuolo vi dimora per sempre. >> (Giovanni
8:34-35).
I figli di Dio nascono nella Sua casa e quivi dimorano col Padre fino a quando,
cadendo nel peccato – che li allontana dalla casa paterna – divengono
<< schiavi del maligno >>. Solo lo schiavo << non dimora nella
casa di Dio >>. Poiché Iddio è il << Padre degli Spiriti
>> (Ebrei 12:9) le nostre anime provengono direttamente ed esclusivamente
da Lui, senza passare attraverso il crogiuolo del fuoco infernale. Salomone
ci conferma l’origine divina dell’anima asserendo che, quando muoiamo,
il corpo << tornerà alla polvere com’era prima >>,
ma << lo Spirito tornerà a Dio che l’ha dato. >> (Ecclesiaste
12:9).
Tutte le Creature nascono sotto la grazia di Dio. Soltanto tramite il loro
libero arbitrio, la loro libera scelta, i loro peccati personali, possono divenire
<< prodighi >>. Nella parabola di Gesù, ad esempio, il figlio
non era << prodigo >> fino a quando non decise personalmente di
abbandonare la casa paterna. Quel figlio né nacque << in quel paese
lontano >>, né << nel porcile >>! Nacque nella sua
casa; ed in quella casa – pentito di averla abbandonata – vi ritorno
come chi << era morto, ed è tornato in vita; era perduto, ed è
stato ritrovato.>> (Luca 15:8-32). Fintantoché si trovava nella
casa paterna – cioè sotto la grazia di Dio – non era né
morto né perduto!
LA LEGGE DELLA VITA E DELLA MORTE
L’Apostolo Giacomo ci descrive le cause che conducono l’uomo verso
la morte spirituale: << Nessuno, quand’è tentato, dica: ‘
io sono tentato da Dio ‘. Perché Dio non può essere tentato
dal male né Egli Stesso tenta alcuno. Ma ognuno è tentato dalla
propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza, avendo
concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quand’è compiuto,
produce la morte. Non errate fratelli miei diletti.>> (Giacomo 1:13-16).
Nessuna eccezione, dunque, alla regola! E’ così per tutti! Questo
è l’ineluttabile succedersi degli eventi allorché il peccato
produce la morte spirituale. Non c’è alcuna eccezione! Fintantoché
il peccato non è compiuto, << OGNUNO >> vive! Il peccato
non può essere << compiuto >> se prima non è stato
<< concepito dalla propria concupiscenza >>. E, prima ancora che
possa sussistere la concupiscenza, debbono esservi le << tentazioni >>
che << attraggono e adescano >> l’uomo inducendolo a violare
la Legge. E’ finché non avvengono tutte queste cose, l’uomo
<< vive >>!
Ci si astenga dal pensare e dal credere che Dio sia il nostro tentatore o
che infligga la pena spirituale a chi non ha commesso alcun peccato! Iddio non
tenta i bambini, << né Egli stesso tenta alcuno >>! Egli
non imputa ai bambini alcun peccato, perché sa che essi non hanno violato
alcuna delle Sue Leggi! Essi non << hanno compiuto >> alcuna cosa
illecita; la loro volontà non ha mai << partorito >> alcun
peccato! La << morte spirituale >> non li riguarda perché
<< dove non c’è Legge il peccato non è imputato. >>!
La Legge di Dio non riguarda i bambini: << Or noi sappiamo che la Legge
è buona se uno l’usa legittimamente, riconoscendo che la Legge
è fatta non per il giusto, ma per gli iniqui. >> (I° Timoteo
1:8-9).
Di quale << iniquità >> sono colpevoli i bambini? Nessuna.
Dunque, << la Legge non è fatta >> per loro!
IL BATTESIMO CATTOLICO
Dopo avere esposto il pensiero della Bibbia riguardo la condizione spirituale
dei bambini e aver dimostrato l’impossibilità della << trasmissione
della colpa >> di Adamo, è utile esaminare quanto afferma in merito
la dottrina della Chiesa Cattolica Romana. Vedremo quanto questa contrasti con
gli insegnamenti della Scrittura.
Per scoprire la teologia del loro dogma non c’è disponibile miglior
fonte d’informazione dello stesso rito o cerimonia del battesimo dei bambini,
così come è praticato dai sacerdoti della Chiesa Romana. Ben pochi
Cattolici laici conoscono tutte le strane cose che vengono insegnate e praticate
durante tale rito. (Forse è questo il motivo per cui si preferisce l’uso
del latino?).
La prassi seguita durante lo svolgimento del battesimo di un bambino può
essere rinvenuta in qualsiasi breviario o messàle comunemente usato dai
sacerdoti Cattolici. Sarà utile altresì notare le spiegazioni
che essi adducono per questo rito, così pieno di significative rivelazioni
sugli errori che tale pratica comporta.
Seguendo l’intera cerimonia – il cui testo l’abbiamo integralmente
desunto dall’opuscolo <<BATTESIMO, RITO >>, Edizioni Paoline,
pubblicato con il ‘ nihil obstat ’ dal Sac. Pietro Ribri, Revisore
Delegato. Frascati, 20 novembre 1955 – di tanto in tanto porremo qualche
domanda suggerita dallo stesso cerimoniale.
Ecco come viene presentato il rito:
‘Un gruppo di persone sorridenti sta fermo sulla soglia della Chiesa.
C’è un neonato sorretto dalle braccia di una donna; è chiaro
quindi, che si tratta di gente convenuta per il battesimo di quel piccino. Ma
cosa si aspetta? Si aspetta il sacerdote! Eccolo con i suoi chierichetti. Egli
viene incontro al battezzando indossando cotta e stola violacea. Quel colore
di penitenza indica la mestizia della Chiesa alla vita di un’anima ancora
nelle grinfie del demonio ’. (DOMANDA: ma il bimbo è sotto la cura
degli << Angeli di Dio >> - come disse Cristo – oppure, come
dice il sacerdote, è ‘ ancora nelle grinfie del demonio?’).
La spiegazione Cattolica così continua: ‘ Quell’anima ancora
schiava del demonio è l’anima del neonato! Egli, poverino, non
sa di portare in sé la brutta eredità del peccato originale di
Adamo e Eva, peccato che gli tiene chiuse le porte del Paradiso.’ (DOMANDA:
Può Iddio ritenere il bambino responsabile di ciò che egli ‘
non sa ’, né potrebbe sapere? Ma, secondo Cristo, chi <<
è schiavo del peccato? >>. Colui che << commette il peccato
>>, oppure colui che ‘ eredita ’ i peccati altrui? <<
può il figliuolo portare l’iniquità del padre? >>).
Il racconto così procede: ‘ Ma lo sanno bene i padrini che rispondono
per lui alle domande del sacerdote e che fanno da testimoni e da portavoce alla
sua professione di fede! E lo sa la gente che è venuta – parenti
ed amici – ad assistere al bel rito di quel Sacramento che trasformerà
il bimbo da pagano (!) in << Cristiano >>, ovvero in seguace di
Gesù ’. (DOMANDA: Si può credere << per procura >>?
Non ha detto l’apostolo Paolo che << ciascuno esamini invece l’opera
propria; e allora avrà motivo di gloriarsi rispetto a se stesso soltanto,
e non rispetto ad altri. Poiché ciascuno porterà il proprio carico.
>>?!? (Galati 6:4-5). E, se ciò non bastasse, << quando >>
e << dove >> mai troviamo che qualcuno sia stato battezzato sull’altrui
fede? Se ‘ quel bel rito trasformerà il bimbo da pagano in <<
Cristiano >>, perché Cristo ha scelto proprio un << pagano
>> (!) per insegnarci che se vogliamo entrare nel Suo Regno dobbiamo <<
mutare e divenire >> come quel ‘ pagano ’ o ‘ schiavo
di Satana ’? Era proprio un ‘ pagano ’ quel bambino del quale
Cristo ebbe a dire: << di tali è il Regno dei Cieli >>?
Il rito prosegue: << Tra il sacerdote ed il battezzando si svolge questo
dialogo: ‘ Carlo, che cosa domandi alla Chiesa di Dio? ’. I padrini
rispondono: ‘ La Fede ’. ‘ Che cosa ti procura la Fede? ’.
‘ La Vita Eterna ’. Se dunque vuoi entrare nella vita eterna, osserva
i comandamenti: ‘ Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il cuore, con
tutta la tua anima, con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso
’. (DOMANDA: Che significa questo ‘ cosa comandi ’? E’
proprio il bambino che può domandare qualche cosa? Perché, chiamando
il bambino per nome, il sacerdote gli pone queste domande? Il bambino può
essere in grado di ricevere la Fede che altri gli fanno ‘ chiedere ’?
Quei comandamenti che il bimbo deve osservare << per entrare nella vita
eterna >> non sono quelli contenuti nella Legge? Ma, allora, Carlo è
<< con >> o << senza >> la Legge? Si può passivamente
diventare peccatori ed altrettanto passivamente essere salvati?).
A questo punto, il sacerdote << soffia tre volte, in onore della Santissima
Trinità, sulla faccia del bimbo. Poi dice: ‘ Esci da lui, spirito
immondo, e cedi il posto allo Spirito Santo Consolatore ’. Questo è
il primo esorcismo operato sul bambino dal ministro di Dio, che da Lui ha ricevuto
il potere di cacciare il demonio >>. (DOMANDA: Ma << chi >>
ha messo quel demonio nell’anima del neonato? Iddio? E’ proprio
da colui che è dotato di una perfetta identità e comunione con
Cristo che si deve cacciare il demonio? Il bambino riceve in quel momento lo
Spirito Santo, oppure ne rimane privo fino alla Cresima? Si può ammettere
una teologia che inventa l’idea dei bambini indemoniati ed usurpa il potere
di esorcizzarli? (cfr. Atti 19:15)!
Il racconto prosegue: << Il sacerdote fa un segno di croce sulla fronte
del battezzando… poi sul petto… dicendo una preghiera. Indi stende
la destra sul capo del bambino… per indicare che la Santa Chiesa lo accoglie
tra i suoi figli e, tenendo il braccio teso su di lui, dice: ‘ Preghiamo!
Dio Onnipotente e Sempiterno, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, dègnati
di riguardare con tenerezza questo tuo servo Carlo che ti degnasti chiamare
ai primi elementi della Fede; caccia da lui ogni cecità di cuore; spezza
tutti i legami con cui fu legato da Satana; aprigli, o Signore, la porta della
tua pietà onde, pervaso dal segno della tua sapienza, vada immune dalle
sozzure di ogni cupidigia, sì che seguendo l’odore dei tuoi precetti,
ti serva lietamente nella tua Chiesa e faccia progressi nel bene di giorno in
giorno. Per lo stesso Cristo Signor Nostro. I padrini rispondono: ‘ così
sia ’.>> (DOMANDA: Quando mai Iddio decretò di << chiamare
>> i bambini al battesimo o – ancor più stranamente –
alla Fede? Questi ‘ legami con cui il bimbo è legato da Satana
’, sono gli stessi legami che lo uniscono a Cristo? Non ha detto Gesù
che << chi riceve un piccolo fanciullo in nome mio, riceve me >>?
Ricevendo un bimbo, si riceve Cristo oppure il diavolo?).
<< Poi il sacerdote benedice il sale, dicendo questa preghiera: ‘
Ti esorcizzo, creatura del sale, nel nome di Dio, Padre Onnipotente, e per la
carità di nostro Signore Gesù Cristo e nella virtù dello
Spirito Santo. Ti esorcizzo per Dio vivo, per Dio vero, per Dio santo…
affinché tu diventi sacramento salutare atto a scacciare il nemico…
affinché divenga per tutti coloro che la ricevano, medicina perfetta,
stabile dentro di loro…>>. (DOMANDA: Si deve prima cacciare i demoni
dal sale, e poi esso diverrà atto ad esorcizzare i demoni? Il nostro
medico è il sale, oppure lo è Cristo?).
<< Il sacerdote mette un po’ di sale benedetto nella boccuccia di
Carlo, dicendo: ‘ prendi il sale della sapienza e ti sia di propiziazione
per la vita eterna. ’ (DOMANDA: Lo ha insegnato Cristo che il sale materiale,
una volta purificato, diventa ‘ atto a cacciare Satana ’??? E se
non lo ha insegnato Cristo chi ha voluto immettere una così banale ed
assurda innovazione nel rito del battesimo?).
<< Dopo un’altra preghiera, il sacerdote traccia tre segni di croce
sul bimbo. Per la seconda volta comanda poi al demonio di uscire dall’anima
di quella creatura, dicendo: ‘Ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome
del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché esca e ti allontani
da questo servo di Dio… Perciò, diavolo maledetto, riconosci la
tua sentenza e rendi onore a Dio vivo e vero, a Gesù Cristo Suo Figliuolo,
allo Spirito Santo e discostati da questo servo di Dio, perché Iddio
e nostro Signor Gesù Cristo si è degnato invitarlo alla Sua santa
grazia e benedizione, e al fonte battesimale! >> (DOMANDA: Iddio, Cristo
e lo Spirito Santo sono veramente disposti ad accertare ‘ onori resi dal
diavolo maledetto ’? Ma il Vangelo non ci dice piuttosto che Cristo sgridò
i demoni, non permettendo loro di parlare? (cfr. Luca 4:41). Dov’è,
nella Scrittura, il passo in cui Cristo comanda ai bambini di battezzarsi? Si
può << inventare >> degli insegnamenti estranei al pensiero
e alla dottrina di Cristo e poi pretendere che siano originati da Lui? Se i
bambini sono già << santi >>, anche senza il battesimo (I°
Corinzi 7:14), non si trovano già, per natura, nella ‘ santa grazia
di Dio ’? E non godono già la << benedizione dei Suoi Angeli
>> in conformità a quanto disse Cristo: cioè che <<
gli Angeli loro vedono del continuo la faccia del Padre mio che è nei
Cieli >>).
<< Poi il sacerdote traccia con il pollice un nuovo segno di croce sulla
fronte del bimbo, dicendo:
‘ Non aver mai l’ardire, o diavolo maledetto, di violare questo
segno della santa croce che imprimiamo sulla sua fronte. Per lo stesso Cristo
Signor Nostro.’ I padroni rispondono: ‘ Così sia. ’
(DOMANDA: Perché il sacerdote continua ad imprecare contro il diavolo,
se << invece l’arcangelo Michele quando contendendo col diavolo,
disputava circa il corpo di Mosè, non ardì lanciare contro a lui
un giudizio ingiurioso, ma disse: ‘ Ti sgridi il Signore ’? <<
Ma costoro dicono male di tutte le cose che non sanno >>!!! (Giuda 9-10).
<< Il sacerdote poi stende la mano destra sopra la testina di Carlo e
fa un’altra preghiera, implorando la ‘ pietà ’ di Dio
sopra questo ‘ suo servo ’. Inoltre mette sul bimbo un lembo della
propria stola (che è insegna del potere di Dio a lui conferito) e lo
introduce nella Chiesa dicendo:
‘ Entra nel Tempio di Dio, per avere parte con Cristo alla Vita Eterna
’. >> (DOMANDA: << Chi riceve un piccolo fanciullo in nome
mio, riceve me >> non significa che i bambini, senza essere battezzati,
‘ hanno già parte con Cristo ’? I bambini non solo <<
tali- quali >> coloro che già si trovano nel Regno di Dio? Il lembo
della stola sacerdotale possiede qualche speciale virtù taumaturgica?).
<< Avviandosi al battistero, recitando il Credo ed il Padre Nostro, il
sacerdote volge le spalle al battistero (terzo esorcismo) dicendo: ‘ Ti
esorcizzo, spirito immondo, nel nome di Dio Padre Onnipotente e nel nome di
Gesù Cristo Suo Figliuolo Nostro Signore e Giudice, e nella virtù
dello Spirito Santo; lascia definitivamente questa creatura di Dio che Nostro
Signore si è degnato chiamare al Tempio Suo santo, perché divenga
tempio di Dio vivo, e lo Spirito Santo abiti in lui. Per lo stesso Cristo Signor
Nostro il quale verrà a giudicare i vivi e i morti e il mondo con il
fuoco. ’ Il bimbo è detto ‘ creatura di Dio ’ perché
Iddio l’ha creato. E di Dio deve tornare ad essere. Non lo era per colpa
del peccato ereditario, gli dona la vita della grazia, lo fa figlio adottivo
di Dio, lo unisce a Gesù e lo rende membro della Chiesa. >> (DOMANDA:
Poiché è Iddio che ha creato l’anima del bimbo, che significa
questa tiritèra sui demoni? Dio ha creato l’anima per poi subito
inserirvi uno ‘ spirito immondo ’? Se il bimbo deve ‘ tornare
ad essere di Dio ’, di chi è o a chi appartiene se non è
battezzato? Come mai Cristo non ha dato alcun insegnamento in merito?).
<< Accostandosi al fronte battesimale, il sacerdote inumidisce con la
saliva della propria bocca il suo pollice destro. Poi tocca l’orecchio
destro dicendo: ‘ apriti ’. Tocca anche le narici del bimbo dicendo:
‘ in odore di soavità. E tu diavolo, vattene via, poiché
è vicino il giudizio di Dio ’. >> (DOMANDA: La saliva del
sacerdote è dotata di qualche virtù spirituale che le consente
di cacciare i demoni? Ma quante volte deve essere cacciato questo diavolo?!?
Questo toccare qua e là con la saliva del sacerdote corrisponde a qualche
insegnamento che Cristo o gli Apostoli hanno decretato riguardo al battesimo?).
<< Il sacerdote chiede al battezzando i ‘ voti battesimali ’
ed interroga il bimbo per sapere se ha davvero intenzione di rinunciare a Satana
per essere di Cristo. I padrini rispondono invece del neonato per lui compiono
i ‘ voti battesimali ’; cioè prendono per lui l’impegno
di rinnegare il diavolo per affermare il suo attaccamento a Dio. ‘ Rinunzi
a Satana ’? I padrini rispondono: ‘ Rinuncio ’. ‘ E
a tutte le sue opere ’? ‘ Rinuncio ’. ‘ E a tutte le
sue pompe ’? ‘ Rinuncio ’. >> (DOMANDA: Donde questo
‘ rinuncio ’ vicario? Come può il bimbo ‘ rinunciare
a Satana e a tutte le sue opere e pompe per essere di Cristo ’ se non
sa né può sapere che esistono l’uno e l’altro? Che
valore può avere per il bimbo il ‘ rinuncio ’ altrui? Ma,
ammesso e non concesso che sussistano dei motivi, che cosa succederebbe se il
bimbo rispondesse ‘ no ’? Quanti sono, infatti, i bambini che crescendo
non si sono sentiti affatto ‘ legati ’ a Cristo?!?).
<< Dopo che l’olio santo viene messo sul bimbo, e quindi tolto,
il sacerdote interroga il battezzando sulle verità della Fede. Per l’ultima
volta il sacerdote sottopone il neonato, chiamandolo per nome, ad un interrogatorio:
‘Credi in Dio Padre Onnipotente, Creatore e Signore del Cielo e della
terra? ‘I padrini rispondono: ‘ credo ’. ‘ Credi nello
Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi, la remissione
dei peccati, la resurrezione della carne, la vita eterna ’? ‘ Credo
’. ‘ Vuoi essere battezzato ’? ‘ Lo voglio ’!
(DOMANDA: Perché il sacerdote interroga il bambino, chiamandolo per nome,
se sono i padrini a rispondergli? Forse si vuol creare l’impressione che
il bimbo sia conseziente a questa costrizione ed a questo abuso della sua ingenuità,
oppure si vuol dimostrare che il bambino può davvero credere a tutte
queste dottrine cattoliche? L’Apostolo Paolo ha insegnato una confessione
di fede più semplice, ma è una confessione che riguarda soltanto
coloro che HANNO VERAMENTE FEDE: << La Parola è presso di te, nella
tua bocca e nel tuo cuore; questa è la parola della fede che noi predichiamo;
perché se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai
creduto col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti
col cuore si crede per ottener la giustizia, e con la bocca si fa confessione
per essere salvati. >> (Romani 10:8-10) Il bimbo crede davvero? Confessa
tale fede con la propria bocca? Crede davvero col suo cuore? Se i padrini rinunciano
al diavolo per il bimbo, se fanno per lui i ‘ voti battesimali ’,
perché allora non si battezzano per lui? Se si può credere <<
per procura >>? Il bimbo è consenziente a tutto questo? Oppure
il rito cattolico comporta soltanto la più assoluta indifferenza, ingenuità
e passività del bimbo? E tutto questo viene fatto senza alcun rispetto
verso il libero arbitrio del bimbo stesso!!! E forse lui che ha chiesto di essere
battezzato?).
<< Il sacerdote, invitati i padrini a tenere il bimbo sul fonte battesimale,
gli versa tre volte l’acqua sul capo dicendo le parole della formula:
‘ Carlo, io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo. ’ E’ in questo istante che il bimbo diventa figlio di Dio,
fratello di Gesù Cristo, membro della Chiesa: è qui tutta l’essenza
del battesimo. Quando il bimbo stesse per morire, il ‘ ministro ’
(che in questo caso può essere chiunque, anche un fanciullo) lascia da
parte ogni altra cerimonia e compie solo questo atto essenziale: ‘ Io
ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello spirito Santo! >>
(DOMANDA: Chi battezza i bambini dimostra di avere completamente dimenticato
che Cristo insegna che prima del battesimo il candidato DEVE essere ammaestrato
e DEVE credere personalmente: << Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli,
battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando
loro d’osservar tutte quante le cose che v’ho comandate. >>
(Matteo 28:19-20) La fede – ribadisce il Signore – è condizione
indispensabile per essere battezzati: <<Andate per tutto il mondo e predicate
l’Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato
battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato.
>> (Marco 16:15-16). Se basta il semplice rito composto di poche parole
e di acqua, allora perché si fanno tutte quelle altre cose? Credono forse
di abbellire questo rito voluto da Cristo in una forma così semplice?
E poiché la parola ‘ battesimo ’ significa ‘ immersione,
sepoltura ’, perché si asperge l’acqua sul capo del bimbo
invece di immergerne l’intero corpo, come si faceva per gli adulti nella
Chiesa primitiva? (cfr. Romani 6:3-5).
<<Dopo questa lunga e fantasiosa cerimonia, il sacerdote fa alcuni segni
di croce, pone sul corpo del bimbo una veste bianca, consegna ai padrini una
candela accesa e così (dopo il relativo pagamento!) si chiude il rito>>.
IL CONTRASTO CON CRISTO E’ PALESE.
Nella cerimonia cattolica che abbiamo descritto ed esaminato, c’è
un enorme differenza, un pesante contrasto con quanto Cristo ha insegnato. C’è
ben poca affinità tra la dottrina cattolica e l’insegnamento di
Cristo. Nessuno può accampare la pretesa di ignorare quanto Cristo ha
decretato circa il battesimo ed i bambini, per inserire cose che Egli non ha
MAI insegnato, inventare dogmi che contrastano la Sua dottrina e chiamare la
confusione risultante un “battesimo cristiano”!!! Se il battesimo
che amministra un sacerdote è un “battesimo cristiano”, come
dovremmo chiamare il battesimo decretato da Cristo? A parte ogni ovvia inconsistenza
ed incoerenza nella teoria del peccato originale, a parte il suo contrasto con
la verità scritturale, a parte il fatto che la teologia cattolica insegna
che i bambini nascono “indemoniati”, a parte l’assurdità
di una fede “vicaria e dei “voti battesimali” fatti “per
procura” – a parte ogni altra considerazione – resta il fatto
incontestato ed incontestabile che Cristo NON HA MAI inteso, insegnato o comandato
che i bambini debbono essere battezzati. La pratica del battesimo degli infanti
– che riassume il dogma cattolico del peccato originale – è
una pratica totalmente estranea a tutti i principi neo-testamentari e contraria
anche alla pratica del Cristianesimo primitivo. Se il peccato originale fosse
vero, allora il battesimo dei bambini non avrebbe avuto inizio né con
Cristo (come ai Cattolici piace credere!) né con Mosè e neppure
con Noé; bensì con i primi figli di Adamo! Poiché non appena
il peccato di Adamo incominciò a trasmettersi ai suoi figli, Iddio avrebbe
dovuto comandare in quel istante stesso il loro battesimo a almeno qualche rito
di pari efficacia per cancellare quella colpa!
NON E’ PER I MOTIVI DI POLEMICA.
La nostra avversione al battesimo dei bambini, non scaturisce da un sentimento
anti-cattolico, ma dalla diretta applicazione di tutto quello che l’ispirata
Parola di Dio decreta e stabilisce riguardo ai bambini ed alla impossibilità
di trasmettere il peccato di Adamo ad altri. La nostra convinzione che il battesimo
dei bambini non fu mai praticato nella Chiesa apostolica non è una teoria
avventurosa, ma è il frutto diretto della ricerca storica e dello studio
delle Scritture. E le nostre convinzioni sono anche PIENAMENTE CONFERMATE DAGLI
STESSI TEOLOGI CATTOLICI E DAGLI STORICI DELLA CHIESA ROMANA! Infatti difficilmente
troveremo una voce più autorevole di quella del sommo e noto teologo
Bernard Bartmann, autore di un’imponente opera, << TEOLOGIA DOGMATICA
>> recante tutte le autorizzazioni ecclesiastiche e che serve, come testo
di studio, nei seminari cattolici.
AMMISSIONI CATTOLICHE
Ecco quanto scrive il Bartmann circa il dogma cattolico: <<Il battesimo
è il sacramento della remissione dei peccati e della rigenerazione. E’
di fede. Cristo indica come effetto del battesimo la rigenerazione spirituale
e l’ammissione al Regno di Dio.>> (Giovanni 3:5) (op. cit. pg. 1205-1206).
Commentandone la dottrina della Chiesa del primo secolo il teologo afferma:
<<I fedeli sono dunque ‘tuffati o immersi ’ in Cristo, entrando
nella sua appartenenza diretta e vitale; essi possono così beneficiare
di tutta la sua potenza e dei suoi favori. Se si esamina più profondamente
l’espressione greca ‘ pisteuein eis ’ – cioè
dare la propria fede e fiducia a qualcuno, donarsi cioè totalmente a
Lui – si trova qui la concezione fondamentale della fede primitiva che
riassume tutta la vita cristiana nella persona di Cristo.>> (op. cit.
pg. 1215). Noi sosteniamo che ciò che fu la pratica della Chiesa primitiva
è cosa molto diversa da quanto si fa ora tramite i padrini, poiché
il bimbo non può dare il proprio ‘ pisteuein eis ‘!
Il teologo continua: <<Nei primi tempi della Chiesa, Cristo non era
un dogma, una concezione, un ideale più o meno astratto, ma una persona
viva, qualcuno. Essere di Cristo significa credere all’insegnamento di
Gesù, fidare nei suoi soccorsi imitare i suoi esempi, vivere sotto il
sguardo consacrarsi al suo servizio, donarsi a Lui come ci si dona ad un amico
che si stima infinitamente, nel quale si ha una confidenza assoluta e si ama
senza misura; in una parola, essere cristiani è appartenere a Cristo…
S. Paolo dice che mediante il battesimo noi siamo stati immersi nella morte
e nella resurrezione di Cristo per condurre con Lui una vita nuova… E’
l’insegnamento cui risponde S. Paolo in Colossesi 2:11-12: <<Siete
stati con Lui sepolti nel battesimo, ed anche con Lui resuscitati, per la fede
nell’onnipotenza di Dio che lo risuscitò da morte.>> E’
questa fede; il neofita aderisce formalmente ala realtà salvatrice della
Passione; e quindi il battesimo lo fa entrare in uno stato di santità,
nel senso biblico del termine, stato che consiste in una somiglianza reale,
una conformazione a Cristo.>> (loc. cit.). La fede primitiva era così!
Dunque, non ci vengano a dire che il battesimo dei bambini rispecchia ‘
quella ‘ fede! E non ci vengono a criticare perché noi, nella Chiesa
di Cristo, seguiamo proprio quella prassi, rifiutandoci di battezzare i bambini
– che non possono avere una tale fede – e tanto meno facendolo ‘
per procura ‘! E’ fin troppo ovvio che la Chiesa Cattolica ha scarsa
affinità con la fede apostolica!
LA FEDE: PREREQUISITO ESSENZIALE
Le affermazioni del Bartmann si trovano subito in difficoltà con la dottrina
cattolica e con la storia dei primi secoli della Chiesa: << Benché
il Concilio di Trento, esponendo la dottrina dei sacramenti, accentui l’<<
opus operatum >>, tuttavia quando parla della grazia fa pure spiccare
l’<< opus operantis >> (s. 6 cap. 6 Denz. 798) ossia lo sforzo
e la collaborazione di chi riceve il sacramento, in quanto richiede come disposizioni
per la giustificazione, la fede, la speranza, il timor di Dio, l’amore
iniziale e la penitenza. La Scrittura dice che chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo (Marco 16:16). Secondo l’insegnamento dei
Padri, il battesimo – per produrre la vita nuova – deve essere preceduto
dalla penitenza e da una seria conversione. Anche gli Scolastici, nonostante
la loro insistenza sull’<< opus operatum >>, non conoscono
altra dottrina. >> (op. cit. pg. 1140).
Dunque: né la Scrittura, né Cristo, né i << Padri
>>, né la Scolastica conoscono altra dottrina che questa: <<
Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato >>!
Ma la Chiesa Cattolica ha sovvertito questo principio e poi pretende che si
creda che ‘ E’ sempre stato così ’!!!
Infatti, continua il Bartmann: << Più tardi la prassi del battesimo
dei bambini fece perdere al sacramento parte del suo primitivo prestigio; già
in un Concilio a Parigi dell’829 constata con rincrescimento il fatto.
Nel Cristianesimo primitivo il battesimo significava una rottura consapevole,
totale e definitiva, con il passato! Si abbandonava la via delle tenebre e della
morte per entrare in quella della luce e della vita. Ora che riceviamo il battesimo
ancora bambini, senza l’uso della ragione, non possiamo essere consapevoli
degli atti di penitenza che un tempo lo precedevano, né delle gravi e
serie obbligazioni che assumemmo per mezzo dei padrini. Proprio per questo è
maggiormente necessario che i fedeli abbiano piena conoscenza del più
importante e del più necessario dei sacramenti. >> (op. cit. pg.
1192).
Noi chiediamo: se Cristo ha dato originariamente al battesimo il significato
di << una rottura consapevole con il passato >>, chi è stato
a dare << Più tardi >> quell’altro significato? E se
nella Chiesa primitiva lo si << precedeva con atti di penitenza >>,
perché non dovrebbe essere << sempre così >>? Ed inoltre:
perché si vuole sostenere ora che << la prassi del battesimo dei
bambini >> non è stata introdotta << più tardi >>?
C’era forse qualche imperfezione nel battesimo decretato da Cristo, oppure
c’era qualche lacuna della pratica della Chiesa primitiva?
La teoria cattolica si confessa da sé affermando che tutto ciò
è avvenuto << più tardi >>! Il Bartmann ammette che
il battesimo dei bambini non è fatto << con il pieno prestigio
>>, così come lo stesso Concilio di Parigi constatava <<
con rincrescimento >> la dolorosa << perdita di parte del suo primitivo
prestigio >>! E la data dell’anno 829 è assai significativa
poiché dimostra che il battesimo dei bambini non era ben consolidato
nella Chiesa Cattolica neppure in quel periodo ampiamente posteriore all’epoca
apostolica.
UN NUOVO SACRAMENTO INVENTATO
Quando il battesimo era accompagnato dalla fede, dal ravvedimento e da <<
una seria e consapevole conversione >>, non era necessario rimandare per
otto o più anni la
<< confermazione >> del battesimo stesso onde ricevere lo Spirito
Santo. Nella Chiesa del primo secolo non esisteva il battesimo dei bambini e
tanto meno esisteva l’idea della << cresima >> degli adolescenti
come conferma della validità del loro << infantile >> battesimo.
Siamo davvero agli antipodi con quanto è decretato dalla Scrittura!!!
Il battesimo ha come effetto immediato il dono dello Spirito Santo; dono che
l’Apostolo Paolo descrive con queste parole: << In lui voi pure,
dopo avere udito la parola della Verità, l’Evangelo della vostra
salvazione, in Lui avendo creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito
Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità
fino alla piena redenzione di quelli che Dio s’è acquistati, a
lode della Sua gloria. >> (Efesini 1:13-14). Tale dono non proveniva né
dagli Apostoli né per mezzo dell’imposizione delle loro mani. E’
Dio stesso che << ci rende fermi in Cristo, e ci ha unti, il quale ci
ha pur segnati col proprio sigillo, e ci ha dato la caparra dello Spirito nei
nostri cuori.>> (2° Corinzi 1:21-22). E questo dono è così
chiamato: << quei tempi di refrigerio che vengono dalla presenza del Signore.
>> (Atti 3:20).
La prassi della dottrina Cristiana dimostra che questo dono era una diretta
conseguenza del battesimo. Proprio nel giorno della Pentecoste, allorché
la Chiesa ebbe i propri natali, Pietro rispose così a coloro che, <<
compunti nel cuore >>, gli avevano chiesto << che cosa dobbiamo
fare? >>: << Ravvedetevi – disse loro – e ciascun di
voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri
peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi
è la promessa, e per i vostri figliuoli e per tutti quelli che sono lontani,
per quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà. >> (Atti 2:38-39).
Questo dono proviene al battezzando DIRETTAMENTE da Dio, e non tramite presunti
<< ministri >> umani intrinsecamente incapaci a donare od a rifiutare
<< la caparra dello Spirito Santo >>!
Commentando tale argomento, il Bartmann – nel paragrafo riguardante il
<< Battesimo e Cresima verso il 200 >> - afferma: << Già
a partire dagli Atti degli Apostoli, battesimo e cresima sono storicamente e
liturgicamente uniti insieme. E lo sono anche teologicamente; i due sacramenti
infatti hanno come effetto la comunicazione dello Spirito Santo. Di più,
nella Scrittura e nei <<Padri >> hanno lo stesso nome. >>
(op. cit. pg. 1227). Nella Scrittura – che è la norma per ogni
prassi – la comunicazione dello Spirito Santo proviene, secondo il Bartmann,
dal Battesimo e dalla Cresima che sono << storicamente e liturgicamente
uniti insieme. >>! Hanno lo stesso nome, cioè un nome unico! Questa
arbitraria divisione dell’integro rito del battesimo come Cristo l’ha
istituito – per farne due riti, dei quali uno è largamente posteriore
all’ altro – distrugge l’integrità di tutto il rito!
Ora comprendiamo perché << la prassi del battesimo dei bambini
fece perdere al sacramento parte del suo primitivo prestigio. >>! Bartmann
avrebbe dovuto dire piuttosto che tale prassi << fece perdere TUTTO il
primitivo prestigio. >>!!!
L’imposizione delle mani degli Apostoli non aveva nulla a che fare con
<< la caparra dello Spirito Santo >>, né con il battesimo
inteso come rito. Il cosiddetto << sacramento della cresima >> non
ha motivo di insistere né << storicamente e liturgicamente >>,
né secondo la Scrittura, né secondo i <<Padri >>,
né secondo la storia!
Allorché Paolo si incontrò con << circa dodici uomini>>
che erano stati battezzati ad Efeso, senza prima essere stati istruiti intorno
allo Spirito Santo, si premurò di illuminarli sull’argomento; ed
essi, << udito questo, furono battezzati nel nome del Signor rito, essi
non furono ri-battezzati, ma semplicemente << battezzati >>. Infatti
il battesimo che non concede immediatamente << la caparra dello Spirito
>> non è battesimo! E’ come se una persona non sia stata
mai battezzata; e perciò urge che si battezzi veramente!!!
FUTILE RICERCA PER UN SOSTEGNO
Come tutti i Cattolici, anche Bartmann tenta di trovare una prova per il battesimo
dei bambini affermando che nella Scrittura << si possono trarre alcune
testimonianze dalle quali è lecito presumere il fatto del battesimo dei
bambini. Non è inverosimile supporre che nel battesimo di intere famiglie,
di cui si narra nel libro degli Atti, venissero battezzati anche i bambini:
famiglie di Cornelio (10:44-48), di Lidia (16:14ss), del carceriere di Filippi
(16:33), del capo della sinagoga Crispo (18:8ss), di Stefana a Corinto (I°
Corinzi 1:16). Questa ipotesi è ragionevole se si pensa che l’ordine
di battezzare, come pure le parole di Gesù in Giovanni 3:5, hanno una
portata assolutamente universale. >> (op. cit. pg. 1221).
Dunque, << si presume >>, << si suppone >>, <<
è un’ipotesi non inverosimile >>! Ma come si può seriamente
sostenere l’esistenza del peccato originale e la necessità del
battesimo dei bambini basandosi sulle << ipotesi >>, sulle <<
supposizioni. >>?!?
E’ vero che è stato Cristo stesso a decretare l’universalità
del battesimo, ma nel comandare ciò non ha lasciato idea alcuna da “presumere”,
da “supporre”. Il Suo comando fu ed è chiaro: “Ammaestrare
tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre del Figliuolo e dello Spirito
Santo… Predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto
e sarà battezzato, sarà salvato.” Cristo ha decretato che
senza la predicazione dell’Evangelo, senza l’ammaestramento, senza
la fede, non si può parlare di “battesimo cristiano”! Più
chiaro di così!?!? Non c’è idea alcuna da “supporre”
o da “presumere”; altrimenti si rischia di tramutare la storia in
storiella e la Bibbia in una modesta catechesi ingombra di grossolane contraddizioni!!!
ESEMPI NON… ESEMPLARI.
Esaminiamo, comunque, quei casi addotti dal Bartmann dai quali egli “presume”
il battesimo dei bambini. Il primo caso che viene citato è quello relativo
a Cornelio. Si “suppone” che nella famiglia di Cornelio vi fossero
dei bambini, e si “presume” che essi fossero battezzati. Però,
allorché Pietro giunse da Cornelio, questi gli disse: “Or dunque
siamo TUTTI qui presenti davanti a Dio, per UDIRE tutte le cose che ti sono
state comandate dal Signore.” (ATTI 10:33). “E mentre Pietro parlava,
lo Spirito Santo cadde su TUTTI coloro che udivano la parola… e cominciarono
a parlare in altre lingue e a magnificare Iddio.” (vs. 44-46). E’
davvero strano che questi bambini – che si “suppone” fossero
nella casa di Cornelio – abbiano “ASCOLTATO” la predica di
Pietro e che abbiano “parlato in altre lingue e magnificato Iddio”!
Più tardi Pietro ebbe occasione di rammentare quel battesimo “di
Cornelio e della sua casa” con queste parole: “Iddio scelse me,
affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo, e
credessero. E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo
Spirito Santo a loro, come a noi. E non fece alcuna differenza tra noi e loro,
purificando i cuori loro MEDIANTE LA FEDE.” (Atti 15:7-9).
Se si “presume” che nella casa di Cornelio vi fossero dei bambini,
prima del loro battesimo essi debbono avere avuto la FEDE, debbono avere PARLATO
in altre lingue e debbono altresì avere ricevuto il DONO dello Spirito
Santo! Una “supposizione” che crolla ineluttabilmente, priva com’è
di logica e di buon senso!
UN ALTRO ESEMPIO VACUO.
Il secondo caso – dal quale di Bartmann “presume” il battesimo
dei bambini – è quello di Lidia. L’Apostolo Paolo ed i suoi
compagni di viaggio, giunti nella città di Filippi, “nel giorno
di sabato andarono fuori della porta presso il fiume, dove supponevano fosse
un luogo d’orazione: postisi a sedere, parlavano alle donne che erano
quivi radunate. E una certa donna, di nome Lidia, negoziante di porpora, della
città di Tiatiri, che temeva Iddio, stava ad ascoltarli. E il Signore
le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. E dopo
che fu battezzata con quei di casa, li pregò dicendo: ‘Se mi avete
giudicata fedele al Signore, entrate in casa mia e dimoratevi’.”
(Atti 16:13-15).Questa donna era sposata? Aveva dei figli? E se li aveva, erano
di età infantile? Erano battezzati?
Se diciamo “sì”, perché Paolo non rispettò
l’insegnamento di Cristo: “chi avrà creduto e sarà
stato battezzato sarà salvato”? Le “ipotesi” sono infinite
quanto l’immaginazione umana che spesso non ha limiti!
ALTRI STRANI CASI.
Il terzo caso citato da Bartmann è quello relativo al carceriere di Filippi,
il cui testo dice semplicemente: “Fu battezzato lui con tutti i suoi.”
Ma, prima di battezzare, Paolo e Sila “annunziarono la parola del Signore
a lui e a TUTTI COLORO CHE ERANO IN CASA SUA.” Dopo essere stato battezzato,
il carceriere condusse Paolo e Sila in casa sua e “apparecchiò
loro la tavola, e GIUBILAVA CON TUTTA LA SUA CASA, perché AVEVA CREDUTO
IN DIO.” (Atti 16:32-34) Non ci sembra né “lecito”
né “verosimile” SUPPORRE che anche in questa circostanza
vi fossero dei bambini battezzati! Del caso riguardante Crispo, è detto
soltanto questo: “E Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore
con tutta la casa sua; e molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano ed erano
battezzati.” (Atti 18:8). Il testo specifica che Crispo “credette
con tutta la sua casa” e che insieme ad altri Corinzi “aveva UDITO
la predica di Paolo, aveva CREDUTO e tutti erano battezzati”. Ci vuole
davvero una fantasiosa immaginazione per poter “presumere” il battesimo
dei bambini da questo racconto! Com’è possibile dire “si
presume”, si “suppone” e pretendere poi che tali “ipotesi”
diventino realtà storiche”?!? L’ultimo caso è quello
riguardante Stefana di Corinto. Abbiamo già notato che “i Corinzi
udivano Paolo, credevano, ed erano battezzati.” Scrivendo appunto ai Cristiani
di Corinto (I° Corinzi 1:16) Paolo menziona loro di aver battezzato anche
la famiglia di Stefana. Lo stesso Bartmann cita tale fatto nel suo libro. Ma
perché egli non cita anche quanto è descritto nel versetto che
segue, laddove Paolo prosegue il proprio discorso dicendo: “perché
Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad evangelizzare”?!? Bartmann
tace e tace perché lo sa che Cristo ha decretato per essere battezzati
bisogna PRIMA essere stati “evangelizzati”!
UNA DIMENTICANZA MOLTO COMODA.
C’è un’altra cosa che il Dr. Bartmann finge di dimenticare.
Nel libro degli Atti – dal quale il teologo ha desunto quei casi dai quali
si “presume” il battesimo dei bambini – vi sono riferiti molti
altri episodi nei quali si parla del battesimo di grandi masse di persone, episodi
dai quali si potrebbe ugualmente “supporre” il battesimo dei bambini.
Perché Bartmann trascura di citarli? La risposta è ovvia, se questi
racconti vengono letti attentamente. Anche se si “presume” che tra
queste masse vi fossero dei bambini, il racconto però esclude categoricamente
la possibilità che essi fossero battezzati poiché è detto
che solo “gli uomini e le donne” ricevettero il battesimo. Ad esempio,
in Atti 5:14 si legge che “di più in più si aggiungevano
al Signore dei credenti, uomini e donne in gran numero”. Sempre nel libro
degli Atti (Atti 6:7) è scritto che “la Parola di Dio si diffondeva,
e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente in Gerusalemme; e anche
una gran quantità di sacerdoti ubbidiva alla fede.” Dunque, a quei
tempi erano aggiunti alla Chiesa i “discepoli”, cioè “coloro
che ubbidivano alla fede”. Non si può “presumere” che
ci fossero dei bambini “aggiunti” alla Chiesa perché Luca,
dopo avere citato “uomini, sacerdoti, donne”, avrebbe dovuto menzionare
anche i bambini! Al contrario, questi esempi confermano la prassi voluta da
Cristo: prima l’ammaestramento, poi il battesimo! C’è poi
il caso citato in Atti 8:12 ove viene detto che Filippo si recò in Samaria
e che tutta la città andò ad ascoltarlo. Era presente anche un
mago di nome Simone, e “tutti, dal più piccolo al più grande,
gli davano ascolto.” Più oltre è detto però che “quando
ebbero creduto a Filippo che annunziava loro la buona novella relativa al Regno
di Dio e al nome di Gesù Cristo, furono battezzati uomini donne.”
Dunque, il testo dice che in Samaria vi erano i “piccoli”, ma precisa
altresì che “furono battezzati GLI UOMINI E LE DONNE che avevano
creduto a Filippo che aveva annunziato loro la buona novella.” Perché
– se le “ipotesi” del Bartmann e dei suoi colleghi sono degne
di attendibilità – l’Evangelista LUCA non ha indicato che
il battesimo fu conferito ai bambini? Strano, almeno per i Cattolici. Per noi
invece non c’è nulla di strano in quanto il racconto accurato e
diligente di LUCA conferma che la Chiesa primitiva si attenne fedelmente e scrupolosamente
agli insegnamenti di Cristo. Se il Cattolicesimo arranca nel tentativo di poter
addurre delle prove a sostegno del proprio dogma, si convinca che non si può
parlare di Cristianesimo quando si alterano artificiosamente gli insegnamenti
del Maestro!
E’ UNA PURA INVENZIONE UMANA.
Tutta la tesi cattolica riguardante il battesimo dei bambini è basata
sulla pura immaginazione; non è altro che un’invenzione umana!
E quando la pretesa “prova” viene esaminata alla luce della Scrittura,
essa viene spogliata da ogni verosimiglianza. Gli episodi biblici addotti smentiscono
la teoria che al tempo degli Apostoli i bambini fossero battezzati, poiché
né Cristo né gli Apostoli hanno mai ritenuto od insegnato che
i bambini siano colpevoli di questo preteso “peccato ereditario”.
Tutta la tesi cattolica è priva di qualsiasi “prova”: è
senza alcun fondamento. Le “ipotesi” dimostrano quanto sia vano
e futile il loro tentativo di trovare nella Scrittura un solo episodio che suffraghi
la teoria del battesimo dei bambini. Come può la fede cristiana sussistere
basandosi su quello instabile, volubile e friabile terreno costituito dalla
supposizione ed immaginazione umana?!?
CHE DIRE DEI PROTESTANTI.
Anche quei Protestanti che battezzano i bambini si pongono più che mai
in una situazione davvero critica. Alcuni di essi negano la malattia (il peccato
originale) pur mantenendone al cura (il battesimo dei bambini). Pur sapendo
che Cristo non ha mai decretato il battesimo dei bambini e pur negando che quel
battesimo costituisca il rimedio per il peccato originale, tuttavia battezzano
i loro bambini! E allorché si chiede loro il motivo scritturale del loro
comportamento, anch’essi – come i Cattolici – si appellano
a quegli stessi episodi descritti nel libro degli ATTI per “presumere”,
per “supporre” la validità della loro decisione. Perché
battezzano i bambini, dal momento che essi non sono né possono essere
dei peccatori? “Per dedicarli a Dio” – dicono – come
se questa giustificazione sia conforme alla dottrina di Cristo riguardante il
battesimo.
I Protestanti non hanno il coraggio di ammettere che tale pratica l’hanno
“prelevata” dal Cattolicesimo, anche se non la giustificano con
gli stessi argomenti. Essi non vogliono rinunciare al frutto gradito di una
massa di persone impegnate, fin dalla loro nascita, ad una fede estranea alla
Bibbia ed a dottrine che rinnegano l’autorità di Cristo! E non
è da escludere che questo “ipoteca il futuro” dei bambini
sia il motivo principale perché i Cattolici sono così attaccati
al loro dogma ed i Protestanti così ugualmente attaccati alle loro usanze.
CHI HA INCOMINCIATO IN PEDOBATTESIMO?
Quando si sa – come lo sanno tutti gli storici cattolici – che “il
battesimo è segnalato la prima volta da S. Ireneo (op. cit. pg. 1222)
quasi due secoli dopo Cristo, perché si vuole tentare di far risalire
questo rito ai tempi apostolici? Anche se è stato “segnalato”
da S. Ireneo, ciò non significa che era comunemente praticato né
che fosse approvato dalla Chiesa. Se il battesimo dei bambini fosse stato istituito
da Cristo, certamente non sarebbe stato Ireneo a “segnalarlo la prima
volta”. Il Bartmann ci informa che era il Concilio di Trento che dichiarò
per la prima volta la necessità e l’obbligatorietà del battesimo
dei bambini.” (op. cit. pg. 1221). Millecinquecento anni sono troppi per
poter asserire “la necessità e l’obbligatorietà del
battesimo dei bambini” e per pretendere che una tale dottrina possa essere
e chiamarsi Cristiana!!!
LA BIBBIA CONDANNA IL BATTESIMO DEI BAMBINI.
I teologi sanno che la loro tesi è priva di qualsiasi collegamento diretto
con l’insegnamento di Cristo e degli Apostoli. Ed è proprio per
questo che tentano di creare tale collegamento adducendo “ipotesi”
e “supposizioni”. Dovendo difendere una pratica estranea alla Bibbia,
cercano di inserirla nella Sacra Scrittura con l’intento di poter affermare
che tale pratica esisteva tra i primi Cristiani. Ed è ovvio che simili
tentativi di sovvertire la realtà dei fatti la stessa Storia, costituiscono
altrettanti anacronismi. Certo deve essere poco agevole per i Cattolici il non
poter dimostrare che il battesimo dei bambini scaturisce dalla dottrina Cristiana.
Infatti così afferma il Bartmann: “Quantunque tale battesimo
non si possa provare apoditticamente con la Scrittura, è così
poco opposto alla Bibbia che corrisponde perfettamente al suo spirito, come
dice giustamente il Pohle.” (op. cit. pg. 1223). La Bibbia “si oppone”
al battesimo dei bambini, ma “così poco” che quasi quasi
si potrebbe dire che è proprio quello che la Bibbia vuole!!! Con tali
elucubrazioni si potrebbe affermare tutto ciò che la Bibbia nega e negare
tutto ciò che essa afferma!!! La verità è che se il Cattolicesimo
potesse addurre un solo passo scritturale in cui è detto che i bambini
debbono essere battezzati, lo avrebbe fatto scrivere a caratteri cubitali nella
navate delle proprie basiliche o cattedrali, così come ha fatto a Roma
in S. Pietro con le parole: “Tu es Petrus…”!!!
IL PECCATO ORIGINALE NON E’ NELLA BIBBIA.
Per quanto riguarda il peccato originale e la sua trasmissibilità, la
Chiesa Cattolica, tramite il Bartmann, afferma: “Il peccato di Adamo,
in quanto peccato del genere umano, si è trasmesso a tutta la sua posteriorità.
E’ di fede.” (op. cit. pg. 495). Tuttavia, allorché il teologo
si ripromette di dimostrarlo con la Scrittura, è costretto ad ammettere
che “l’Antico Testamento contiene al massimo alcune oscure allusioni.
S’incontrano abbastanza spesso nell’Antico Testamento espressioni
di lamento sulla diffusione generale del peccato. Mai però si fa derivare
tale stato di cose ‘ dal peccato di origine ’.” (op. cit.
pg. 496). Se il peccato di Adamo è una realtà spirituale, lo è
stata fin da Adamo. Ma è strano, quanto mai strano, che tale realtà
“non si trova mai né nella Scrittura dell’Antico Testamento,
né nella teologia ebraica antica”. Inoltre – come afferma
il Bartmann – “bisogna notare che l’odierno pensiero teologico
giudaico non conosce l’idea di un peccato originale.” (loc. cit.).
Sembra che siano proprio i libri non canonici, gli apocrifi, a speculare maggiormente
su questo argomento. Sono essi a fare affiorare di più le “ipotesi”.
Infatti Bartmann afferma che “mentre i libri canonici dell’Antica
Legge parlano così poco e solo per oscure allusioni del peccato originale,
gli ‘ apocrifi ‘ vi si diffondono frequentemente. Del resto si trovano
in codesti libri (apocrifi) ampie e varie speculazioni sul peccato di Adamo
ed Eva, senza però che emerga mai la nozione cristiana del peccato originale.”
(loc. cit.). Dunque, tale “ipotesi” non è mai stata insegnata
né ai tempi dell’Antico Testamento, né da Cristo, né
dagli Apostoli. Perché allora si vuol parlare di una “nozione cristiana
del peccato originale”?!?
Ci sono alcuni i quali – bramosi di reperire nell’Ebraismo qualche
sostegno alle proprie tesi – hanno ingenuamente creduto di averlo trovato
nella ‘ circoncisione ‘, sostenendo che senza dubbio questo rito
era stato istituito per togliere il peccato originale, poiché gli Ebrei
venivano circoncisi nell’ottavo giorno dopo la nascita. Per provarlo adducono
un passo dell’Apostolo Paolo nel quale viene presentato appunto un paragone
tra il battesimo e la circoncisione (Colossesi 2:11-13) in quanto il battesimo
è chiamato “la circoncisione di Cristo che consiste nello spogliamento
del corpo della carne, essendo stato con Lui sepolti nel battesimo, nel quale
siete stati anche risuscitati con Lui mediante la fede nella potenza di Dio…”.
E con questo credono di aver trovato una miniera di polvere a sostegno sia del
peccato originale, sia del battesimo dei bambini. Come i bambini ebraici erano
circoncisi all’età di otto giorni – essi dicono! –
così i bambini Cristiani debbono essere battezzati a quella stessa età.
Ma basteranno alcune considerazioni per guastare la loro <<festa>>
e demolire questo loro friabile <<castello>>:
Primo. La circoncisione riguardava solo i maschi. E le femmine? Non <<ereditavano>>
anch’esse il peccato originale?!?.
Secondo. La circoncisione non esisteva prima di Abramo e riguardava soltanto
la sua progenie. E tutti gli altri non avevano modo di salvarsi?!?.
Terzo. La circoncisione NON fu data per togliere qualche peccato, tanto meno
quello di Adamo! MAI fu congiunta all’idea del peccato; anzi era stata
istituita proprio per motivi opposti!
Quarto. La circoncisione non fu data per conferire qualche grazia spirituale;
era solo un segno carnale dell’appartenenza nazionale alla stirpe scelta
da Dio. Abramo ricevette <<il segno della circoncisione, qual suggello
della giustizia ottenuta per la fede che avea quand’era circonciso. >>
(Romani 4:11). Sarebbe più logico se i bambini fossero battezzati come
segno di perdono già ottenuto <<tramite la fede>> prima del
loro battesimo!
Quinto. La circoncisione era un rito materiale in virtù del quale si
entrava a far parte della nazione ebraica, e consisteva nello <<spogliamento
>> di una parte <<del corpo della carne>>. Solo con questo
significato il battesimo viene paragonato ad un atto spirituale, nel quale viene
<<spogliato>> dall’anima ogni atto <<carnale>>
che l’uomo ha commesso!
Sesto. Nella Chiesa primitiva furono battezzati anche coloro che erano già
circoncisi, per divenire “come bambini pur ora nati”. Poiché,
in fin dei conti, “la circoncisione è nulla e l’incirconcisione
è nulla; ma l’osservanza dei comandamenti è tutto.”
(I° Corinzi 7:19). E di nuovo: “Poiché tanto la circoncisione
che l’incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l’essere
una nuova creatura.” (Galati 6:15). – Anche Cristo fu circonciso!!!
GESU’ NON CONOBBE IL PECCATO ORIGINALE!
Allorché Bartmann si ripromette di reperire la idea del peccato originale
negli insegnamenti di Cristo, il suo imbarazzo diventa quanto mai notevole.
Infatti il teologo è costretto ad ammettere che “Gesù insegna
a tutti a chiedere perdono per i propri peccati” (Matteo 6:12 –
Luca 11:4). Gesù suppone lo stato di colpevolezza generale, senza però
riallacciarlo ad Adamo. Donde viene questa colpevolezza generale? Gesù
indica spesso la tentazione causata da Satana… dalla propria sensualità…
ma la radice vera è “il cuore”, sono le cattive disposizioni
personali. Ma tutte le volte che parla del peccato e delle sue origini, Gesù
si limita praticamente ai peccati personali senza risalire al peccato di Adamo.
Non è proprio dell’insegnamento di Cristo sviluppare a lungo le
dottrine; al contrario, S. Paolo ne ha spiccata tendenza.” (op. cit. pg.
497).
Anche noi abbiamo tratte le stesse conclusioni allorché abbiamo esaminato
il pensiero di Cristo riguardo ai bambini. Ma che significa “non è
proprio dell’insegnamento di Cristo sviluppare a lungo le dottrine”?
Se il Signore ha parlato così tanto dei bambini, stabilendone e difendendone
i diritti e ammonendo contro ogni abuso o cattivo giudizio verso di loro; se
ha descritto il loro rapporto con Se Stesso, con Dio, con gli Angeli di Dio,
con il Suo Regno; se ha parlato così tanto del male che è nel
mondo e dei peccati di tutti (bambini esclusi!) – perché si vuol
affermare che Cristo non ha parlato a lungo dei bambini? E che significa “sviluppare
a lungo le dottrine? E’ proprio così? Chi può affermare
che Cristo non abbia sviluppato la propria dottrina intorno all’Eucaristia,
la missione degli Apostoli, la morale Cristiana, il giudizio? Se fosse vera
la tesi della “colpa ereditata”, non avrebbe elaborato anche questa
dottrina così come ha fatto per tutte le altre? La verità è
che quando non conviene ai Cattolici, Cristo “non sviluppa la dottrina”;
ma quando conviene loro, allora “lo sviluppo” è più
che esauriente!!! Non è salutare – anzi è deleterio –
sostenere dei dogmi estranei alla Bibbia e poi, incapaci di poter produrre qualche
prova, scusarsi accusando Cristo di non “aver sviluppato a lungo le dottrine”!
A nostro avviso, Cristo ha parlato in termini chiari e sufficienti; e noi siamo
ben felici di attenerci al Suo pensiero. E’ mai possibile che nella presuntuosa
mente di questi teologi non sia mai entrata la convinzione che se Cristo non
ha mai parlato del peccato ereditario di Adamo, il motivo consiste appunto nel
fatto che tale peccato non esiste? Può dirsi ‘ teologo ‘
colui il quale scarta aprioristicamente una tale eventualità? E se Cristo
non ha mai decretato il battesimo dei bambini, perché non credere –
e non è necessario essere teologi per capirlo! – che non ne avessero
bisogno?
L’ORIGINE DELL’IDEA.
Dove ha tratto i propri natali una simile dottrina? Forse dalla Scrittura? Come
abbiamo già visto, la Bibbia non solo esclude ma combatte una simile
concezione. Piuttosto, come abbiamo già rilevato, questo dogma è
scaturito dalla confusione che si è fatta tra le conseguenze e la colpa
del peccato. Bartmann sembra voler coinvolgere in tale confusione lo stesso
Paolo asserendo che è stato proprio l’Apostolo ad insegnare per
primo tale dottrina. A dimostrazione di ciò Bartmann – e di fatto
tutti i sacerdoti Cattolici – ricorre al passo di Romani 5:12 e ss.. Esaminando
questo testo – all’inizio del presente opuscolo – abbiamo
già rilevato che non sussiste alcun pretesto per accusare Paolo di aver
suscitato della confusione con il proprio linguaggio. Bartmann, comunque, deve
ammettere che questo passo può avere un significato ben diverso da quello
che conviene alla propria tesi: “Le sue celebri parole (di Paolo) possono
avere una duplice interpretazione, senza però che per questo il pensiero
centrale venga essenzialmente alterato. Quando Paolo spiega che “gli uomini
hanno peccato” non è perché è stata loro trasmessa
la colpa di Adamo, ma appunto “perché tutti hanno peccato”.
Ed è su questo punto che Bartmann confessa che “ciò può
essere inteso innanzitutto, od anche unicamente, nel senso che tutti hanno peccato
personalmente e che quindi il peccato di Adamo si riduce semplicemente ad un
cattivo esempio” (pg. 498). Per quanto riguarda la colpa, siamo più
d’accordo con quanto dice Paolo, e cioè che deve essere inteso
UNICAMENTE perché tutti hanno peccato PERSONALMENTE!
COME SPIEGARLO?
Non è facile per i teologi presentare una spiegazione plausibile circa
la propagazione del peccato originale. Il grande “MAESTRO” della
fede Cattolica – cioè il “MAGISTERO DELLA CHIESA” che
crede di saper sempre tutto di tutti – questa volta, come dice il Bartmann,
“non si è pronunciato a motivo del suo mistero impenetrabile. Quando
San Agostino ed altri iniziarono per la prima volta a sostenere l’idea
della trasmissibilità del peccato di Adamo, i Pelagiani chiedevano: ‘
Come è possibile che noi siamo stati in Adamo, se le nostre anime che
sono il soggetto del peccato, vengono create da Dio che non può produrre
nulla di impuro? ‘. Mentre la maggior parte dei Padri, nella dottrina
dell’anima, optava per il creazionismo, S. Agostino fu appunto spinto
da questa obbiezione a non condividere la loro concezione. Il generazionismo
permetteva di rispondere assai più facilmente a questa obbiezione; ma
presentava delle conseguenze inaccettabili.” (pg. 506-507). Nonostante
il fatto che a maggior parte dei Padri fossero contrari, il grande Agostino
dovette ricorrere alle idee con ‘ conseguenze inaccettabili ’ per
affermare la propria tesi! E la Chiesa Cattolica – che non è disposta
ad ‘ accettare tali conseguenze ‘ – è però ben
disposta ad accettare una dottrina costruita sulla ‘ inaccettabilità
’ ! Che squallore!
UNO SBAGLIO DOPO L’ALTRO
Poiché altri sostenevano che l’anima dell’uomo << è
creata da Dio >> (come dice la Bibbia), S. Agostino insegnò e propagò
l’assurda tesi che l’anima fosse << generata >> da Adamo
ed Eva: diversamente non avrebbe potuto spiegare le propria falsa dottrina.
Ma la Chiesa Cattolica sa fin troppo bene che S. Agostino ha preso lucciole
per lanterne poiché la sua tesi va scartata senza esitazione. Resta,
comunque, il problema della trasmissibilità del peccato, almeno per chi
vi crede. Come spiegarlo?
Il Bartmann dice semplicemente che la sua Chiesa non lo sa: << Come noi
abbiamo peccato in lui (Adamo) rimane un mistero impenetrabile. Né la
generazione (come aveva detto S. Agostino) né l’unione dell’anima
col corpo (la nascita stessa), né Dio, com’è evidente, e
d’altronde neppure le nostre volontà sono la causa di questo fatto.
La nostra volontà può certo renderci peccatori personali, ma non
renderci colpevoli del peccato originale: essa non poteva peccare in Adamo perché
la sua esistenza è incominciata con noi. La colpa del peccato originale
è stata unicamente contratta da Adamo… Il peccato originale non
può essere conosciuto adeguatamente se non mediante la fede.>>
(pg. 508).
Ma questo, illustre teologo, non è un problema che riguarda la fede;
è credulità! Come potremmo avere fede in ciò che la Bibbia
ignora completamente? Se il peccato non può essere trasmesso, è
logico credere che non può essere stato trasmesso! Oh! Umana fantasia:
quanto sei labile!!!
LO VORREMMO SAPERE ANCHE NOI
Il Dr. Bartmann si pone una domanda la cui risposta ci interessa enormemente:
<< E perché Adamo non è il solo responsabile, ma bensì
lo siamo anche noi? Ricordiamo che Iddio ha insegnato che solo << l’anima
che pecca >> è unicamente responsabile per il suo peccato >>.
Ma il teologo risponde alla sua stessa domanda con il solito girovagare , tipico
di tutti coloro che si immergono con le proprie mani in difficoltà e
bisticci dottrinali: << Non possiamo rispondere, in ultima analisi, che
ricorrendo al mistero (2° Tessalonicesi 2:1). >> (pg. 508).
E’ mai possibile credere attendibile una teologia che deve frequentemente
ricorrere al << mistero>> per risolvere tutti i problemi che essa
stessa crea al fine di evitare sia le contraddizioni che le inesattezze e che
inoltre deve basarsi sulle << inaccettabili conseguenze >> per formulare
le proprie dottrine sulle << ipotesi >> o << supposizioni
>>? Una teologia simile non è certo degna del nome che porta!
Bartmann presenta inoltre – come conferma del dogma cattolico –
il <<mistero>> cui allude Paolo, quasi che questo passo si riferisca
al << mistero del peccato originale >>! Ma doveva scegliere proprio
questo << mistero >>? Nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi,
Paolo non sta parlando del peccato originale, né sta trattandone la trasmissibilità
e né Adamo né i bambini costituiscono l’oggetto del suo
argomento! Egli sta parlando dell’APOSTASIA, cioè dell’abbandono
dalla purezza dagli insegnamenti del Vangelo. Questo brano piuttosto afferma
proprio quello che è accaduto nella Chiesa Cattolica che non è
rimasta fedele a quell’insegnamento della << fede che è stata
una volta per sempre tramandata ai santi. >> (Giuda 3).
L’Apostasia cui Paolo allude doveva portare alla luce << l’uomo
del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza
sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto, fino al punto
da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che egli
è Dio. Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi
dicevo queste cose? E ora voi sapete quel che lo ritiene onde egli sia manifestato
a suo tempo. Poiché il mistero dell’empietà è già
all’opra. >> (2° Tessalonicesi 2: 3-7).
Apostata è quella Chiesa che ha abbandonato la fede giusta, che ha
innalzato abusivamente un uomo << sopra il tempio di Dio >> conferendogli
poteri che spettano solo alla Divinità; ecco il <<mistero>>
di cui parla Paolo!!!
L’apostolo dice inoltre che quella oscura << empietà >>
- la quale produce il più completo allontanamento dalla fede genuina
– era << già all’opera >> in quei tempi poiché
l’apostasia incominciò proprio nel periodo apostolico.
Ma, per noi, il vero << mistero >> consiste nel non comprendere
come i Cattolici possano credere davvero a così tanti e strani <<
misteri >>!!!
DOVE VANNO I BAMBINI NON BATTEZZATI?
Un’altra importante questione da risolvere è quella riguardante
il destino di tutti i bambini ebraici, pagani e non Cattolici, che sono morti
e che muoiono tuttora senza essere battezzati. Se il <<peccato ereditario>>
sussiste, che cosa farà il Padre Eterno quando deve giudicare un bimbo
macchiato di tale colpa? Se è una colpa nascere, che cosa dirà
Iddio allorquando riscontrerà tale colpa nel bimbo? Poiché le
Scritture tacciono su questo argomento, dovremo tornare alle <<ipotesi>>
e alle << supposizioni >> degli uomini Non Ispirati per avere un’altra
<< presunta >> spiegazione?!?!?
E’ utile notare e ricordare che la Bibbia non accenna minimamente la <<
ereditarietà del peccato >>: e questo resta un << mistero
impenetrabile >>! Così come non accenna la sorte dei bambini che
muoiono con la << colpa ereditata >>! Ma il << magistero della
chiesa >> sa tutto! La realtà è che non sa proprio nulla.
Nulla di nulla!!!
Dice infatti il Bartmann: << Il problema dei bambini morti senza battesimo
è oggi nuovamente discusso negli ambienti teologici. >> (pg. 511).
Dunque, << è nuovamente discusso >>; e la ragione ovvia è
che non sono soddisfatti di quanto avevano precedentemente stabilito in merito,
appunto perché questa << soluzione >> comporta alcune <<
conseguenze inaccettabili >>!!! Il teologo ci informa che << la
Chiesa ha definito al Concilio di Firenze (1438) che gli uomini che muoiono
con il solo peccato originale vanno all’inferno, ma sono puniti diversamente
da quelli che muoiono in peccato attuale grave. (Denz. 693 – cfr. 712).
Questa condanna dell’uomo macchiato dal peccato originale è una
conseguenza immediata della natura del peccato d’origine che il Concilio
di Trento chiama << morte dell’anima >>. Alla morte quaggiù
corrisponde la morte nell’al di là. >> (pg. 510).
IL << LIMBO >> NON È UN DOGMA!
Bartmann rivela che S. Agostino non credeva nel << limbo >>. Il
suo pensiero lo costringe a <<negare>>, contro i Pelagiani, il luogo
intermedio cui essi sostenevano si potesse giungere senza il battesimo. Egli
disse semplicemente: << colui che non è con Cristo, è col
demonio. >> (De peccat. merit. 1,21; Serm. 294,2).
Bartmann ci informa che << nelle linee essenziali, la Chiesa si attiene
ancor oggi a questo punto di vista, come lo dimostra la summenzionata definizione
del Concilio di Firenze. Già S. Agostino stesso, che stabilisce per i
bambini morti col peccato originale il castigo completo dell’inferno,
addolcisce però questo castigo considerandolo come il più piccolo
di tutti. >> (pg. 510).
Benché il << limbo >> non sia un dogma cattolico, benché
questa idea << si sia introdotta >> - come afferma il Bartmann –
benché il Concilio di Firenze ed Agostino ne neghino l’esistenza,
benché il Concilio di Trento stabilisca che tale peccato è uguale
alla << morte dell’anima >> e benché l’idea dell’esistenza
di un tale luogo sia combattuta anche nel Concilio di Rilevi (pg. 511), nonostante
tutto ai Cattolici piace credere che il << limbo >> esiste! Ma non
esiste!!! Non perché non è un dogma cattolico e nemmeno perché
è stato combattuto in vari Concilii, ma perché la Bibbia non ne
fa menzione alcuna – e la Bibbia, ricordiamolo sempre, è l’unica
fonte di rivelazione divina! – così come non menziona né
la << trasmissibilità del peccato di Adamo >> e neppure la
<<colpa ereditata>>!!!
Inoltre, se questi venerandi Concilii hanno già stabilito che i bambini
vanno all’inferno, perché se ne << discute nuovamente oggi
>>? E perché il Bartmann afferma che “la sorte dei bambini
morti senza battesimo è stata giudicata nella Chiesa con sempre maggiore
mitezza”?!? La sorte dei bambini dovrà dipendere dalla mutevole
dottrina del Cattolicesimo? La loro sorte dipende dalla Chiesa? E’ la
Chiesa che li castiga e li condanna, che allevia o appesantisce il castigo secondo
il momento storico e secondo il pensiero del teologo più qualificato
del momento?!? Ma come: Iddio invierebbe all’inferno delle creature innocenti
– per un peccato che non hanno commesso e per non avere ottemperato al
comandamento del battesimo – e tutte queste ingiustizie le vorremo attribuire
a Dio?!? Ma in quale specie di Dio credono questi teologi? E’ mai possibile
che la buona o la cattiva sorte dei bambini dipenda dalla fedeltà o dall’infedeltà
altrui?
L’ESPERIENZA UMANA PORTATA IN CAUSA.
Non sta a noi giudicare se il Bartmann sia serio o meno quando afferma: “Benché
il peccato originale sia un mistero impenetrabile, tuttavia questo dogma corrisponde
alla nostra esperienza personale e all’esperienza umana generale.”
(pg. 515). Seguendo un simile ragionamento, dovremmo dire che se un padre ha
rubato, il suo figliuolo deve essere messo in prigione. I genitori hanno compiuto
cose illecite e “l’umana esperienza generale” dice di colpire
i figli!!! Da ultimo, citiamo un’ulteriore affermazione del Bartmann,
dopo di che abbandoneremo questi vani, umani e futili ragionamenti che non hanno
alcuna base di verità biblica, storica, logica: “Gli ultimi enigmi
del peccato originale, come del peccato in genere, saranno risolti soltanto
dal giusto giudizio di Dio” (pg. 516). Ed allora, perché si è
tentato di risolverli a priori?!?!?
CRISTO HA TRADITO LA SUA MISSIONE?
Il Messia avrebbe dovuto avvertirci che se non battezziamo i nostri figliuoli,
essi andranno inevitabilmente all’inferno. Avrebbe dovuto dircelo! Ma
non l’ha fatto, né lo farà mai! E noi dobbiamo trarre una
duplice conclusione: o il peccato originale non esiste – e Cristo lo sapeva
– oppure esiste e Cristo non l’ha saputo. Però è strano
che l’abbia saputo S. Agostino! Ed è altrettanto strano che l’abbiano
saputo la Chiesa Cattolica ed il Concilio di Firenze. Perché –
è ovvio – se Cristo l’ha saputo, Egli ha tradito la Sua missione,
cioè quella di rivelare Dio all’uomo. Ma chi è disposto
ad accettare una simile idiozia? Caro lettore: se hai avuto la bontà
di seguirci fin qui, avrai certamente notato lo stridente contrasto che intercorre
tra il pensiero della Bibbia e quello Cattolico. La logica ci insegna che la
Bibbia ha sempre ragione. Gli uomini possono sbagliare – “errare
humanum est” – la Bibbia non sbaglia mai! La Bibbia dice che “ogni
Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere,
a educare alla giustizia affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno
fornito per ogni opera buona.” (2° Timoteo 3:16). “La Scrittura
non può essere annullata”, diceva il Cristo. (Giovanni 10:35).
La Bibbia non ha mai sbagliato ed è per questo che essa è atta
a correggere tutte queste false tesi riguardanti i bambini, l’ereditarietà
del peccato e cose consimili!
UN ESEMPIO CHIARIFICATORE!
Prima di concludere questo studio, desideriamo presentare un esempio che può
aiutare ogni ricercatore della Verità e discernere il vero dal falso.
Un giorno nacque un bambino da genitori di umile stato. Visitato da un medico
di fama, questi diagnosticò una grave malattia: “Questo bambino
ha un cancro; bisogna operarlo subito”. Dopo l’intervento, il bambino
fu ricondotto nella propria casa dove i genitori erano in festa per lo scampato
pericolo e perché il bambino aveva avuta salva la propria vita. Ma il
fatto era che quel bimbo NON AVEVA AFFATTO IL CANCRO! Il medico aveva sbagliato,
evidentemente perché era un incompetente. Il bimbo era sano, come il
più sano tra i bambini esistenti al mondo. I genitori si erano completamente
fidati di quanto aveva detto loro il medico. Quella operazione non fece alcun
male al bimbo, ma nemmeno gli recò alcun bene: IL MALE VERRA’ DOPO,
LO CONTAMINERA’ PIU’ TARDI! Infatti, passato del tempo, il bimbo
venne in contatto con altri infermi ed allora si prese davvero il malaccio.
Andrebbe subito operato poiché la sua vita ora è in pericolo.
Ma lo stesso “pseudodottore” sconsigliò l’intervento
dicendo che il bambino aveva già subito l’operazione e che questa
non era più necessaria. Gli somministrò qualche pillola e lo rimandò
a casa CON LA SUA MALATTIA facendogli credere che bastava qualche pillola a
guarirlo. Purtroppo il malaccio rimane e rimarrà o fino alla operazione
o fino alla morte del bimbo. Amico, lo sai chi è quel bambino? Se i proprio
tu! Ma non è una semplice malattia fisica che ti affligge e nemmeno una
semplice morte fisica che ti minaccia. Questa malattia è spirituale e
la morte è quella dell’anima. Tu non hai preso questo male dai
tuoi genitori, nonni, bisnonni, avi o da Adamo! L’hai contratta tu stesso
quando hai violato la Legge divina, trasgredendola. Non devi dimenticare però
che Iddio ha mandato il Suo Figliuolo come “medico”. Un “medico”
competente, che non sbaglia mai! Egli ha detto: “Non sono i sani che hanno
bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma
dei peccatori.” (Marco 2:17). Egli ti potrà guarire perché
“Egli stesso ha preso le nostre infermità ed ha portato le nostre
malattie” (Matteo 8:17). “Cristo stesso ha portato i nostri peccati
nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la
giustizia e mediante le cui lividure siamo stati sanati. Poiché eravamo
erranti come pecore; ma ora siamo tornati al Pastore e Vescovo delle anime nostre.”
(I° Pietro 2:24-25). Cristo è il nostro “medico, vescovo, pastore”.
Ma, più che questo, Egli è la nostra “medicina”: “Egli
stesso ha preso le nostre infermità e mediante le sue lividure”
possiamo guarire. Se sofisticheremo la Sua ricetta con qualche alchimia umana,
ne ricaveremo maggior danno poiché tali ”presunte” medicine
aggraveranno la malattia. Chi si serve di una ricetta manomessa può anche
ritenersi guarito; ma la sua è e sarà sempre una mera illusione!
L’AUTOGIUSTIFICAZIONE E’ PERICOLOSA.
Alcuni, allorquando vengono a sapere che il loro battesimo non è valido,
restano indifferenti. Si giustificano credendo di essere ugualmente a posto
davanti a Dio, convinti che Egli dovrà pure accettare come valido il
fasullo battesimo imposto dai genitori, sollecitati da una teoria umana, errata
e confusa. Si giudicano guariti, anche se non sono stati “operati”
come e quando Cristo esige. Resta però il fatto che costoro non sono
né il Giudice, né il Legislatore, poiché è scritto
che “uno soltanto è il Legislatore e il Giudice, Colui che può
salvare e perdere” (Giacomo 4:12). E così “quelli che confidano
in se stessi di essere giusti”, credono che il battesimo sia valido anche
se non scaturito dai decreti del Signore; in altre parole, credono che il loro
sia ugualmente un battesimo Cristiano, fatto per motivi Cristiani, praticato
nella forma Cristiana! Esiste però un principio additato da Cristo stesso
allorché ebbe a trovarsi davanti a persone che credevano di essere giuste
dinanzi a Dio. Cristo aveva indicato la via della salvezza; ma poiché
questa via era diversa dalla consueta via da loro percorsa, essi la respinsero
credendo e illudendosi che l’altra via li salvasse ugualmente. Anche ai
tempi di Gesù c’erano dalle persone alle quali Cristo non poteva
insegnare nulla perché esse “sapevano tutto”! Ed ancor oggi
c’è che pretende di saperne più dello stesso Cristo! Ma
Paolo dà questo avvertimento: “Io dico a ciascuno fra voi, che
non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere,
ma abbia di sé un concetto sobrio.” (Romani 12:3). Ed altrove:
“Se alcuno si pensa di conoscere qualche cosa, egli non conosce ancora
come si deve conoscere.” (I° Corinzi 8:2). Proprio a queste “dotte”
persone, proprio a questi “maestri” Cristo dice: “Io sono
venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non
vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi.” Quando Cristo pronunciò
questo mirabile verdetto, fra gli astanti c’erano alcuni che “credevano
di vedere” (cioè si credevano giusti dinanzi a Dio) e, udendo le
parole di Gesù, Gli chiesero: “Siamo ciechi anche noi?” Il
Maestro rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato: ma
siccome dite ‘ noi vediamo ’, il vostro peccato rimane.” (Giovanni
9:39-41). E noi non soltanto diciamo il nostro “amen”, ma ripetiamo
con Cristo: “Chi ha orecchi da udire, oda”!
CONCLUSIONE.
Paolo scrisse che “v’è un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti.” (Efesini 4:5-6). Qualsiasi
altro battesimo non potrà mai togliere i peccati, così come qualsiasi
altra fede non giustificherà o così come qualsiasi altro Signore
non salverà! Sta’ scritto: “Beati quelli le cui iniquità
sono perdonate, e i cui peccati sono coperti. Beato l’uomo al quale il
Signore non imputa il peccato!” (Romani 4:7-8). Soltanto per mezzo di
questo battesimo i nostri peccati possono essere “coperti” da Cristo:
“perché siete tutti figliuoli di Dio per la fede in Cristo Gesù.
Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti
di Cristo.” (Galati 3:26-27). Ecco l’unico modo per “coprire”
i nostri peccati: “rivestirci di Cristo”!!! E tutto ciò è
possibile “per la fede in Lui”!
Se tu, amico lettore, desideri essere battezzato come si conviene a chi sottomette
interamente alla Legge del Signore e se ci dovesse chiedere: “Ecco dell’acqua:
che impedisce che io sia stato battezzato?”, noi dovremmo risponderti
con le stesse parole dell’evangelista Filippo: “ Se tu credi con
tutto il cuore, è possibile.” (Atti 8:36-37). Non solo è
necessaria la fede, ma occorre che essa si manifesti “con tutto il cuore”
perché sei tu stesso che devi chiedere: “Ecco dell’acqua:
che impedisce che io sia battezzato?”. L’Apostolo Pietro che “il
battesimo ora salva anche voi”, ma a condizione che sia accompagnato da
una personale “richiesta di buona coscienza fatta a Dio” (I°
Pietro 3:21). Se nella tua coscienza sai di essere “cieco”, l’unico
modo decretato dal Cielo è quello di presentare la tua personale “richiesta
a Dio” per essere perdonato “mediante il battesimo”! Ed ora,
nel lasciarti, ti proponiamo la stessa domanda che un tempo fu rivolta a colui
che più tardi divenne l’Apostolo delle genti, cioè Paolo:
“Ed ora che indugi? Lèvati, e sii battezzato, e lavato dei tuoi
peccati, invocando il Suo nome.” (Atti 22:16).
Caro amico: perché indugi?
Mi battezzo solo in Cristo, e avrò degli amici veramente cristiani; credo
che tutte le religioni non hanno la verità. Cerco la verità, la
conoscenza, ho la fede e farò le opere, per ricevere le benedizioni che
Gesù mi ha promesso, questa mia speranza non morirà mai.
11 Settembre 2001
E-mail: novarinio@virgilio.it
E-mail: novarini1@interfree.it
www.problemireligiosipolitici.4t.com
http://novarini1.interfree.it
Distinti Saluti
Oreste Novarini
I PRIMI VERI CRISTIANI.
Quando Gesù rivelò ai suoi discepoli quale sarebbe stata la sorte
di Gerusalemme, parlò loro anche delle scene relative al suo secondo
avvento, e predisse l’esperienza del suo popolo dal momento in cui Egli
sarebbe stato accolto in cielo a quello del suo ritorno con potenza e gloria
per la loro liberazione. Dall’alto del monte degli Ulivi, il Salvatore
vide l’uragano che stava per abbattersi sulla chiesa apostolica: e, addentrandosi
ancor più nel futuro, i suoi occhi scorsero le furiose e devastatrici
tempeste che avrebbero colpito i suoi seguaci nel corso dei secoli di tenebre
e di persecuzione. Con pochi e brevi cenni di tremenda portata, Egli predisse
quello che i capi di questo mondo avrebbero escogitato contro la chiesa di Dio
(Matteo 24:9,21,22). I seguaci di Cristo avrebbero dovuto percorrere lo stesso
sentiero di umiliazioni, di scherni e di sofferenze calcato dal Maestro. L’inimicizia
che si era manifestata contro il Redentore del mondo si sarebbe manifestata
anche contro tutti coloro che avrebbero creduto nel suo nome. La storia della
chiesa primitiva testimonia del pieno adempimento delle parole del Salvatore.
Le potenze terrene e quelle infernali si allearono contro Cristo nella persona
dei suoi seguaci. Il paganesimo, prevedendo che, se il Vangelo avesse trionfato,
i suoi templi e i suoi altari sarebbero stati spazzati via, riunì le
sue forze per annientare il Cristianesimo e accese i fuochi della persecuzione.
I cristiani furono privati di quanto possedevano, strappati alle loro case e
sottoposti a tremende afflizioni (Ebrei 10:32). Essi subirono: “scherni
e flagelli; ed anche legami e prigione” Ebrei 11:36 (D). Innumerevoli
furono coloro che suggellarono col sangue la loro testimonianza.
Nobili e schiavi, ricchi e poveri, colti e incolti, tutti furono trucidati
senza pietà. Queste persecuzioni, cominciate con Nerone pressappoco al
tempo del martirio dell’apostolo Paolo, proseguirono – con maggiore
o minore violenza – attraverso i secoli. I cristiani venivano falsamente
accusati dei più abietti crimini e considerati la causa di ogni calamità:
carestie, pestilenze, terremoti. Diventati, così, oggetto dell’odio
e del sospetto popolare, erano ingiustamente accusati da informatori assetati
di guadagno. Venivano condannati come ribelli all’impero, nemici della
religione e “peste” sociale. Numerosissimi furono quelli che vennero
gettati in pasto alle belve o arsi vivi negli anfiteatri. Alcuni furono crocifissi;
altri, coperti con pelli di animali selvatici, vennero gettati nell’arena
per essere dilaniati dai cani. Il loro martirio, spesso, costituiva la parte
centrale delle feste pubbliche. Grandi moltitudini di persone si riunivano per
godersi quello spettacolo, e salutavano l’agonia di chi moriva con risa
e applausi. Ovunque cercassero rifugio, i cristiani erano braccati come animali
da preda, ed erano perciò costretti a nascondersi in luoghi solitari
e desolati: “bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era
degno), vaganti per deserti e monti e spelonche e per le grotte della terra”
Ebrei 11:37,38. (Questi erano i veri Cristiani e non i falsi cristiani cattolici
di oggi). Le catacombe offrirono un riparo a migliaia di essi. Sotto le colline
di circostanti Roma, lunghe gallerie erano state scavate nella terra e nella
roccia; questa buia e intricata rete di corridoi si estendeva per chilometri
oltre le mura della città. In tali rifugi sotterranei, i seguaci di Cristo
seppellivano i loro morti. Quando, poi, erano sospettati e proscritti, vi trovavano
una casa. Allorché il Datore della vita sveglierà tutti coloro
che hanno contribuito il buon combattimento, molti martiri di Cristo usciranno
da queste sinistre caverne. Sotto la più violenta persecuzione, questi
testimoni di Gesù serbarono incontaminata la loro fede. Sebbene privi
di ogni comodità, separati dalla luce del sole, perché costretti
ad abitare nel buio ma amico rifugio sotterraneo, non si lamentavano. Con parole
di fede, di pazienza e di speranza si incoraggiavano a vicenda a sopportare
le privazioni e la distretta. La perdita di ogni vantaggio terreno non poteva
costringerli a rinunciare alla loro fede in Cristo. Prove e persecuzioni erano
solo altrettanti passi che li avvicinavano al loro riposo e alla loro rimunerazione.
Come i servitori di Dio dell’antichità, molti furono “martirizzati
non avendo accettata la loro liberazione affin di ottenere una risurrezione
migliore” Ebrei 11:35. Essi ricordavano le parole del Maestro: perseguitati
per amore di Cristo, dovevano stimarsi felici perché grande sarebbe stata
la loro ricompensa in cielo, in quanto prima di loro anche i profeti erano stati
ugualmente perseguitati.
Essi si rallegravano di essere stati considerati degni di soffrire per la
verità, e canti di trionfo salivano di mezzo alle fiamme crepitanti.
Guardando in alto con fede, vedevano Gesù e gli angeli chinarsi oltre
i bastioni celesti e osservarli con profondo interesse, approvando la loro fermezza.
Una voce, procedente dal trono di Dio, annunciava: “Sii fedele fino alla
morte, e io ti darò la corona della vita” Apocalisse 2:10.
Vani furono gli sforzi di Satana per distruggere la chiesa di Cristo con la
violenza. Il grande conflitto nel quale i discepoli di Cristo perdettero la
vita non finì quando questi fedeli vessilliferi caddero al loro posto
di combattimento. Sconfitti, furono vincitori. Gli operai di Dio furono trucidati,
è vero, però l’opera andò avanti speditamente; il
Vangelo continuò a essere predicato, e il numero dei suoi aderenti aumentò
sempre di più. Esso penetrò anche nelle regioni che fino ad allora
erano state inaccessibili perfino alle aquile romane. Un cristiano, nel corso
di una discussione con governanti pagani che propugnavano la continuazione delle
persecuzioni, affermò: “Voi potete ucciderci , torturarci, condannarci…
La vostra ingiustizia è la dimostrazione della nostra innocenza…
A nulla serve la nostra crudeltà”. Essa, infatti, non era altro
che un efficace invito a spingere altri alla persuasione cristiana. “Più
noi siamo da voi falciati, più il nostro numero aumenta: il sangue dei
martiri è una semenza!” Tertulliano, Apologia, par. 50.
Migliaia furono imprigionati e uccisi; ma altri vennero a colmare i vuoti
da essi lasciati. Quelli che venivano martirizzati per la loro fede erano assicurati
a Cristo e da lui considerati vincitori. Essi avevano combattuto il buon combattimento
e avrebbero ricevuto la corona della gloria all’avvento di Cristo. Le
sofferenze sopportate valsero a spingere i cristiani ancora più vicini
gli uni agli altri e al loro Redentore. L’esempio dato con la loro vita
e la loro testimonianza in punto di morte era una costante conferma della verità.
Accadde- cosa del tutto inattesa - che dei sudditi di Satana si sottrassero
al giogo del peccato e si schierarono sotto la bandiera di Cristo. Satana, allora,
cercò di elaborare dei piani che gli consentissero di lottare con maggior
successo contro il governo di Dio, piantando la sua bandiera addirittura nella
chiesa cristiana. Se i seguaci di Cristo potevano essere ingannati e sedotti,
e così indotti a dispiacere a Dio, la loro forza e la loro compattezza
sarebbero venute meno, ed essi sarebbero diventati una facile preda. Il grande
avversario fece in modo di vincere con l’astuzia là dove non era
riuscito con la forza. La persecuzione finì, e al suo posto subentrò
la pericolosa attrattiva della prosperità temporale e dell’onore
del mondo. Gli idolatri furono indotti ad accettare una parte della fede cristiana
pur rigettando altre verità essenziali. Essi dicevano di accettare Cristo
come Figliuolo di Dio e di credere nella sua morte e nella sua risurrezione;
però non avevano la convinzione del proprio peccato e perciò non
sentivano alcun bisogno di pentimento e di cambiamento del cuore. Con alcune
concessioni da parte loro, proposero che i cristiani, a loro volta, ne facessero
altre per modo che tutti potessero unirsi sulla comune base della credenza in
Cristo. La chiesa venne a trovarsi in un serio pericolo. La prigione, la tortura,
il fuoco, la spada erano delle benedizioni in confronto con la nuova situazione
che si era andata determinando. Alcuni rimasero fedeli, dichiarando di non poter
addivenire a compromessi di sorta. Altri, però, furono del parere che
si poteva fare qualche concessione e modificare alcuni elementi della loro fede
per unirsi a coloro che avevano accettato una parte del Cristianesimo, insistendo
sul fatto che ciò poteva significare il mezzo più idoneo per la
conversione dei pagani. Fu quello un tempo di profonda angoscia per i fedeli
seguaci di Cristo perché, sotto il manto di un preteso Cristianesimo,
Satana si insinuò nella chiesa per corrompere l’integrità
della fede dei credenti e distogliere la loro mente dalla verità.
Alla fine, la maggior parte dei cristiani acconsentirono a fare delle concessioni
e si addivenne, così, all’unione del Cristianesimo col paganesimo.
Quantunque gli adoratori degli idoli asserissero di essersi convertiti e di
essersi uniti alla chiesa, in realtà erano tuttora attaccati all’idolatria:si
erano unicamente limitati a cambiare gli oggetti del loro culto ricorrendo alle
immagini di Gesù, di Maria e dei santi. Il lievito dell’idolatria
fu messo nella chiesa e continuò la sua opera nefasta. Dottrine false,
riti superstiziosi, cerimonie idolatriche furono incorporati nella dottrina
e nel culto. Essendosi i seguaci di Cristo congiunti con gli idolatri, la religione
cristiana si corruppe e la chiesa finì col perdere la sua purezza e il
suo vigore. Non mancarono, è vero, quelli che non si lasciarono fuorviare
da questi inganni, che rimasero fedeli all’Autore della verità
e che adorarono solo Iddio. Fra quanti si professano seguaci di Gesù,
ci sono sempre state due classi: mentre una studia la vita del Salvatore e cerca
sinceramente di correggere i propri difetti e di conformarsi al Modello divino,
l’altra sembra evitare di proposito le chiare e precise verità
che mettono a nudo l’errore. Anche quando la chiesa si trovava nelle sue
migliori condizioni, non è mai stata composta unicamente di elementi
fedeli, puri e sinceri. Il nostro Salvatore insegnò che quanti volontariamente
indulgono nel peccato, non debbono essere accolti nella chiesa; nondimeno Egli
accolse degli uomini dal carattere difettoso e accordò loro il beneficio
del suo insegnamento e del suo esempio perché avessero l’opportunità
di riconoscere i propri sbagli e di correggersi. Fra i dodici apostoli c’era
un traditore. Giuda fu accettato non per i suoi difetti di carattere, ma nonostante
i difetti stessi.
Egli fu aggiunto agli altri discepoli perché, tramite l’insegnamento
di Cristo e il esempio, egli potesse sapere in che cosa consiste un carattere
cristiano ed essere indotto a riconoscere i suoi sbagli e a pentirsi, e con
l’aiuto di Dio giungere alla purezza dell’anima, mediante l’ubbidienza
alla verità. Ma Giuda non camminò nella luce che risplendeva su
di lui, e cedendo al peccato lasciò il campo libero alle tentazioni di
Satana. I lati negativi del suo carattere ebbero il sopravvento, ed egli abbandonò
la propria mente al controllo delle forze delle tenebre. Ogni volta che i suoi
errori venivano rimproverati, egli si adirava e così, a poco a poco,
di caduta in caduta, giunse al crimine supremo: il tradimento di Gesù.
Altrettanto accade a chi accarezza il male, pur indossando il mantello della
devozione. Tali persone odiano chi turba la loro pace, condannando il peccato
che stanno commettendo. Quando poi, come fu il caso di Giuda, si presenta l’opportunità
favorevole, finiscono col tradire chi li aveva richiamati al dovere unicamente
per il loro bene. Gli apostoli, nella chiesa, ebbero a che fare con gente che
si diceva pia, ma che segretamente coltivava il peccato.
Anania e Saffira, ad esempio, recitarono la parte degli ingannatori, asserendo
di fare un grande sacrificio per il Signore, mentre in realtà avevano
fraudolentemente trattenuto una parte del denaro per se stessi. Lo Spirito di
verità rivelò agli apostoli qual era il vero carattere di questi
impostori, e il castigo si abbatté immediato e severo, liberando la chiesa
da una macchia che ne avrebbe offuscato la purezza. Questa azione evidente dello
Spirito di Cristo in seno alla comunità cristiana terrorizzò gli
ipocriti e coloro che agivano male. Essi non potevano rimanere uniti con quanti,
per abitudini e disposizioni, erano fedeli testimoni di Cristo. Quando sopraggiunsero
le prove e le persecuzioni, desiderarono diventare discepoli di Cristo unicamente
coloro che erano disposti ad abbandonare tutto per amore della verità.
Così, finché ci furono persecuzioni, la chiesa si mantenne relativamente
pura; però quando le persecuzioni cessarono, si aggiunsero alla comunità
cristiana delle persone parzialmente sincere e devote, e fu così che
Satana riuscì a mettere il piede nella chiesa. Non c’è unione
fra il Principe della luce e il principe delle tenebre, come non può
esservene fra i loro seguaci. Quando i cristiani acconsentirono a unirsi con
chi, provenendo dal paganesimo, era solo a metà convertito, cominciarono
a calcare un sentiero che li avrebbe condotti sempre più lungi dalla
verità. Satana esultava nel vedere la riuscita dei suoi piani nel sedurre
un così gran numero di seguaci di Cristo, e si adoperò per indurli
a perseguitare coloro che rimanevano fedeli a Dio.
Nessuno sapeva meglio combattere la verità di coloro che un tempo ne
erano stati i difensori. Questi cristiani apostati, unendosi ai compagni tuttora
a metà pagani, si accanirono contro gli aspetti fondamentali della dottrina
di Cristo. Questo richiese una lotta asperrima da parte di coloro che intendevano
rimanere fedeli, nonostante gli inganni e le abominazioni che sotto i parametri
sacerdotali venivano introdotti nella chiesa. La Bibbia non era più considerata
come regola di fede. La dottrina della libertà religiosa era definita
eresia, e i suoi sostenitori erano odiati e proscritti. Dopo una lotta dura
e prolungata, i pochi rimasti fedeli decisero di separarsi dalla chiesa apostata
se questa avesse continuato ad aderire alla falsità e all’idolatria.
Essi videro che tale separazione si imponeva se volevano ubbidire alla Parola
di Dio: non ardivano tollerare oltre gli errori fatali alle loro anime e dare
un esempio che avrebbe messo in pericolo la fede dei loro figli e dei loro discendenti.
Per garantire la pace e l’unità essi erano disposti, sì,
a fare delle concessioni, purché esse fossero coerenti con la fedeltà
a Dio. Non potevano, però, assolutamente addivenire a compromessi che
significassero il sacrificio delle proprie convinzioni religiose. Se l’unità
poteva essere raggiunta solo compromettendo la verità e la giustizia,
allora erano pronti a tutto, anche a lottare. Sarebbe bene per la chiesa e per
il mondo che i principi che sostennero queste anime generose, rivivessero nel
cuore di quanti si dicono figliuoli di Dio.
C’è un’allarmante indifferenza per quel che riguarda le
dottrine fondamentali della fede cristiana, e si va rafforzando l’idea
che dopo tutto esse non sono di importanza vitale. Questa degenerazione fortifica
le mani degli agenti di Satana, sì che tali false teorie e inganni fatali,
che i cristiani dai tempi andati affrontarono con grave rischio della propria
vita, sono oggi considerati favorevolmente da migliaia di persone che si dicono
seguaci di Cristo. I primi cristiani formavano davvero un popolo particolare.
Il loro comportamento irreprensibile e la loro fede incrollabile, costituivano
un costante rimprovero per i peccati ostinati. Quantunque essi fossero numericamente
pochi, privi di ricchezze, di posizioni, di titoli onorifici, erano un motivo
di terrore per chi agiva male, e ovunque il loro carattere e la loro dottrina
erano conosciuti. Perciò erano odiati dagli empi, come Abele era odiato
dal malvagio Caino. Per la stessa ragione che spinse Caino a uccidere il fratello,
coloro che cercavano di sottrarsi ai richiami dello Spirito Santo misero a morte
il popolo di Dio. In fondo, era la stessa ragione che aveva indotto i giudei
a rigettare il Salvatore e a crocifiggerlo: la purezza e la santità del
suo carattere erano un costante rimprovero al loro egoismo e alla loro corruzione.
Dai giorni di Cristo in poi, i suoi discepoli fedeli hanno provocato l’odio
e l’opposizione di chi ama e segue le vie del peccato. Ci si potrebbe
chiedere, allora, in che modo il Vangelo può essere definito un messaggio
di pace. Quando il profeta Isaia predisse la nascita del Messia, gli attribuì
il titolo di “Principe della pace”. Quando gli angeli annunciarono
ai pastori la nascita di Cristo, cantarono nelle pianure di Betlemme: “Gloria
a Dio ne’ luoghi altissimi, pace in terra fra gli uomini ch’Egli
gradisce!” Luca 2:14.
C’è un’apparente contraddizione fra queste affermazioni
e quella di Gesù: “Non son venuto a metter pace, ma spada”
Matteo 10:34. Se giustamente comprese, queste parole si armonizzano fra loro.
Il Vangelo è un messaggio di pace; il Cristianesimo è un sistema
che, se accettato e messo in pratica, dà pace, armonia e felicità
a tutta la terra. La religione di Cristo unisce con vincoli di fratellanza tutti
coloro che ne accettano gli insegnamenti. La missione di Gesù, quale
fu se non quella di riconciliare gli uomini con Dio e gli uni con gli altri?
Purtroppo, però, il mondo si trova sotto il dominio di Satana che è
il più acerrimo nemico di Cristo. Il Vangelo presenta principi di vita
che sono in netto contrasto con le abitudini e i desideri del mondo. Ne deriva,
perciò, la ribellione di quanti odiano la purezza che mette a nudo e
condanna i loro peccati. Essa porta alla persecuzione e alla distruzione di
quanti esortano ad attenersi alla giustizia e alla sanità del messaggio
di Cristo.
E’ in questo senso che il Vangelo è definito una spada: l’esaltazione
della verità provoca, per reazione, l’odio e la contesa. Il Vangelo,
così, è chiamato una spada. La misteriosa provvidenza che permette
che il giusto soffra la persecuzione per mano degli empi, è stata motivo
di grande perplessità per molti che erano deboli nella fede. Alcuni finiscono
addirittura col perdere la loro fiducia in Dio perché Egli lascia che
i malvagi prosperino, mentre i buoni e i puri sono spesso afflitti e tormentati
dal crudele potere dei primi. Come è possibile – si chiedono- che
un Dio giusto e misericordioso, infinito in potenza, possa tollerare tanta ingiustizia
e tanta oppressione? Questa è una domanda con la quale noi non abbiamo
nulla a che fare. Poiché Dio ci ha dato prove sufficienti del suo amore,
noi non dobbiamo affatto dubitare della sua bontà, anche se non sempre
riusciamo a comprendere le vie della sua provvidenza. Il Salvatore, prevedendo
i dubbi che si sarebbero insinuati nella mente dei suoi discepoli nell’ora
della prova e delle tenebre, disse loro: “Ricordatevi della parola che
v’ho detta: Il servitore non è da più del suo signore. Se
hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Giovanni 15:20. Gesù
ha sofferto per noi più di quanto possa mai avere sofferto uno qualsiasi
dei suoi seguaci. Quanti sono chiamati a soffrire torture e martirio non fanno
che calcare le orme del diletto Figliuolo di Dio.
“Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa”
2 Pietro 3:9. Egli non dimentica e non trascura i suoi figli: permette solo
che gli empi rivelino il loro vero carattere affinché chiunque voglia
fare la sua volontà non sia tratto in inganno da loro. Inoltre, i giusti
sono posti nella fornace dell’afflizione per essere purificati e perché
il loro esempio possa convincere altri sulla realtà della fede e della
pietà, e infine perché il loro comportamento coerente suoni condanna
per gli empi e per gli increduli.
Dio permette all’empio di prosperare e di rivelare la sua inimicizia contro
il cielo, affinché quando egli avrà colmato la misura della sua
iniquità, tutti possano riconoscere la giustizia divina e la divina misericordia
nella totale distruzione dei malvagi. Il giorno della sua vendetta si avvicina;
in esso tutti coloro che avranno trasgredito la sua legge e oppresso il suo
popolo riceveranno la giusta retribuzione per le loro opere. Allora ogni atto
di crudeltà e di ingiustizia verso i figliuoli di Dio sarà punito
come se fosse stato fatto a Cristo stesso. C’è, però, un’altra
domanda, ancora più importante, che dovrebbe richiamare l’attenzione
delle chiese di oggi. Paolo dichiara: “Tutti quelli che vogliono vivere
piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” 2 Timoteo 3:12. Perché,
allora, la persecuzione sembra sonnecchiare? La sola ragione è che la
chiesa si è conformata al mondo e così non provoca opposizioni.
La religione corrente dei nostri giorni non riveste il carattere di purezza
e di sanità che contraddistinse la fede cristiana ai tempi di Cristo
e degli apostoli. E’ solo perché esiste uno spirito di compromesso
col peccato; perché le grandi verità della Parola di Dio sono
considerate con indifferenza; perché vi è nella chiesa tanta poca
pietà vitale, che il Cristianesimo è popolare nel mondo. Lasciate
che ci sia un risveglio della fede e della potenza della chiesa primitiva, e
allora lo spirito di persecuzione rivivrà e saranno di nuovo accesi i
fuochi della persecuzione.
UN’ÈRA DI TENEBRE SPIRITUALI
L’apostolo Paolo, nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, predisse
la grande apostasia che sarebbe derivata dall’instaurarsi del potere papale
. Egli affermò che il giorno del Signore “non verrà se prima
non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del
peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza
sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto
da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli
è Dio”. L’apostolo, inoltre, avvertì i fratelli: “Il
mistero dell’empietà è già all’opera”
2° Tessalonicesi 2:3,4,7. Egli vedeva, fin d’allora, insinuarsi nella
chiesa degli errori che avrebbero preparato la via allo sviluppo del papato.
A poco a poco, prima in modo furtivo e silenzioso, poi sempre più apertamente
a mano a mano che acquistava vigore, “il mistero dell’empietà”
finì col dominare le menti degli uomini, con la sua opera empia e blasfema.
In maniera quasi impercettibile, le usanze pagane penetrarono nella chiesa cristiana.
Lo spirito di compromesso e di conformismo era stato tenuto a freno quando la
chiesa subiva le più violente persecuzioni a opera del paganesimo. Però,
quando queste cessarono e il Cristianesimo penetrò nelle corti e nei
palazzi reali, si abbandonò gradatamente l’umile semplicità
di Cristo e degli apostoli, per accettare la pompa e l’orgoglio dei sacerdoti
e dei governatori pagani. Alle richieste di Dio si sostituirono le teorie e
le predizioni umane.
La conversione nominale di Costantino, all’inizio del quarto secolo,
provocò un grande giubilo, e il mondo, sotto l’apparenza della
giustizia, entrò nella chiesa. Fu così che l’opera della
corruzione andò progredendo rapidamente. Il paganesimo, che sembrava
sconfitto., divenne conquistatore. Il suo spirito dominava ormai la chiesa.
Le sue dottrine, le sue cerimonie e le sue superstizioni vennero incorporate
nella fede e nel culto di coloro che si dicevano seguaci di Cristo. Questo compresso
fra paganesimo e Cristianesimo favorì lo sviluppo dell’uomo del
peccato, predetto dalla profezia come oppositore e soppiantatore di Dio. Questo
gigantesco sistema di falsa religione è il capolavoro della potenza di
Satana: monumento degli sforzi da lui compiuti per salire sul trono e dominare
la terra secondo la sua volontà. Una volta Satana cercò di giungere
a un compromesso con Gesù. Si avvicinò al Figliuolo di Dio e mostrandogli
tutti i regni del mondo e la loro gloria, glieli offrì in cambio del
riconoscimento, da parte di Gesù, della supremazia del principe delle
tenebre. Cristo respinse il tentatore presuntuoso e lo costrinse a ritirarsi.
Satana, però, riesce a conseguire migliori risultati quando rivolge le
stesse tentazioni agli uomini. Per assicurarsi vantaggi e onori terreni, la
chiesa fu indotta a ricercare il favore e il sostegno dei grandi uomini della
terra; e avendo così rigettato Cristo, scelse di tributare omaggio al
rappresentatore di Satana, il vescovo di Roma. Una delle dottrine base del Romanesimo
consiste nel riconoscere nel papa il capo visibile della chiesa universale di
Cristo, investito di una suprema autorità sui vescovi e sui pastori di
ogni parte del mondo. Inoltre, sono attribuiti al papa i titoli della Deità
Egli è stato definito “Signore Dio il papa” ed è stato
dichiarato infallibile. Egli esige l’omaggio di tutti gli uomini, e così
la pretesa di Satana nei confronti di Cristo è portata avanti per mezzo
della chiesa di Roma, sì che molti sono quelli che gli rendono omaggio.
Coloro, però, che temono Dio e lo riveriscono affronteranno questa audace
sollecitazione, come Gesù affrontò l’invito del subdolo
nemico: “Adora il Signore Iddio tuo, e servi a lui solo” Luca 4:8
(D).
Dio non ha mai minimamente accennato nella sua Parola al fatto che Egli abbia
designato un uomo come capo della chiesa. La dottrina della supremazia papale
è in diretta opposizione con l’insegnamento delle Sacre Scritture.
Il papa non può avere nessun potere sulla chiesa di Cristo, se non mediante
l’usurpazione. I sostenitori della chiesa di Roma persistono nell’accusare
i protestanti e di volontaria separazione dalla vera chiesa. In realtà,
questa accusa si applica proprio a loro, perché sono essi che hanno ammainato
la bandiera di Cristo e si sono allontanati dalla “fede, che è
stata una volta per sempre tramandate ai santi” Giuda 3. Satana sa benissimo
che le Sacre Scritture aiutano gli uomini a smascherare le sue insidie e a resistere
al suo potere. Lo stesso Salvatore del mondo, infatti, resistette ai suoi attacchi
mediante la parola. Ogni volta Egli oppose lo scudo della verità eterna:
<< Sta scritto >>. A ogni insinuazione dell’avversario, Egli
presentò la sapienza e la potenza della parola. Satana, per riuscire
a dominare gli uomini e a stabilire l’autorità dell’usurpatore
papale, deve mantenerli nell’ignoranza delle Scritture, in questo esse
esaltano Dio e lasciano l’uomo nella posizione che gli compete. Perciò
egli vorrebbe che le Sacre Scritture rimanessero nascoste e fossero addirittura
soppresse.
Questa logica fu adottata dalla chiesa di Roma. Per secoli la diffusione della
Bibbia fu vietata; era proibito leggerla o averla in casa. Questo, nell’intento
di permettere che sacerdoti e prelati, privi di scrupoli, ne interpretassero
gli insegnamenti in modo da poter sostenere le loro pretese. Fu così
che il papa venne quasi universalmente riconosciuto come vice gerente di Dio
sulla terra, dotato di autorità sia sulla chiesa che sullo stato. Eliminate
le Sacre Scritture che potevano smascherare l’errore, Satana poté
agire a proprio arbitrio. La profezia aveva annunciato che il papato avrebbe
pensato di << mutare i tempi e la legge >> Daniele 7:25, e la cosa
non tardò a compiersi. Per offrire ai pagani convertiti un sostituto
all’adorazione degli idoli e così promuovere la loro accettazione
nominale del Cristianesimo, pian piano penetrò nel culto cristiano l’adorazione
delle immagini e delle reliquie. Il decreto di un concilio generale venne poi
a sanzionare questo sistema idolatrico. Per completare la sua opera sacrilega,
Roma ebbe l’ardire di togliere dalla legge di Dio il secondo comandamento,
che vieta il culto delle immagini, e di dividere il decimo in due, per conservare
invariato il numero dei comandamenti.
Lo spirito di concessione al paganesimo schiuse la porta a un crescente dispregio
dell’autorità celeste. Satana, operando attraverso i dirigenti
inconvertiti della chiesa, calpestò anche il quarto comandamento e si
sforzò di eliminare l’antico sabato, giorno benedetto e santificato
da Dio (Genesi 2:2,3), per esaltare al suo posto la festività celebrata
dai pagani come << venerabile giorno del sole >>. Il cambiamento,
all’inizio, non avvenne apertamente. Nei primi secoli il sabato era stato
osservato da tutti i cristiani; essi erano gelosi dell’onore di Dio, stimavano
immutabile la sua legge e custodivano con zelo la santità dei suoi precetti.
Satana, però, operando con la massima sottigliezza tramite i suoi agenti,
riuscì ad attuare il suo proponimento. Affinché l’attenzione
della gente fosse richiamata sulla domenica, essa fu dichiarata giorno festivo
in onore della risurrezione di Gesù. Quel giorno si celebravano delle
funzioni religiose, però si trattava di un giorno di svago, mentre il
sabato conservava il suo carattere di santità.
Per preparare la via all’opera che intendeva compiere, Satana aveva
spinto i giudei, prima della venuta di Cristo, ad appesantire il sabato con
le più rigorose esigenze, tanto da renderne l’osservanza un peso.
Ora, traendo profitto dalla falsa luce che lo circondava, egli riuscì
a farlo considerare come una istituzione prettamente giudaica. Mentre i cristiani
in generale continuavano a osservare la domenica come un gaio giorno verso il
Giudaesimo – a fare del sabato un giorno di digiuno, pieno di malinconia
e di tristezza.
All’inizio del quarto secolo, l’imperatore Costantino emanò
un decreto che dichiarava la domenica giorno di festa per tutto l’impero
romano. Il << giorno del sole >> era rispettato da tutti i sudditi
pagani e onorato anche dai cristiani. La politica imperiale, perciò,
mirò a unire gli interessi contrastanti del paganesimo e del Cristianesimo.
L’imperatore fu sollecitato a questo dai vescovi della chiesa che, spinti
dall’ambizione e dalla sete di potere, si rendevano conto che se uno stesso
giorno veniva osservato tanto dai cristiani che dai pagani, ne sarebbe derivata
l’accettazione nominale del Cristianesimo da parte di questi ultimi, e
così la chiesa ne avrebbe tratto potenza e gloria.
Molti cristiani timorati di Dio furono gradualmente indotti a considerare
la domenica come dotata di un certo grado di santità, pur continuando
a osservare il sabato come giorno del Signore, in ottemperanza al quarto comandamento.
Il grande seduttore, però, non aveva completato la sua opera: era deciso
a riunire tutto il mondo cristiano sotto la sua bandiera e ad esercitare la
sua autorità attraverso il suo vice gerente, l’orgoglioso pontefice,
il quale pretendeva di essere il rappresentante di Cristo. Per mezzo di pagani
solo a metà convertiti, di prelati ambiziosi e di membri di chiesa amanti
del mondo, egli riuscì ad attuare il suo proponimento. Di quando in quanto
venivano convocati grandi concili nei quali convenivano i dignitari delle chiese
del mondo intero. Quasi in ogni concilio il sabato stabilito da Dio veniva spinto
sempre più giù, mentre, allo stesso tempo, la domenica era costantemente
innalzata. Fu così che tale festività pagana finì con l’essere
onorata come un’istituzione divina, mentre il sabato biblico venne definito
“reminiscenza del Giudaesimo”, e la sua osservanza dichiarata decaduta.
Il grande apostata era riuscito a esaltare se stesso “sopra chiunque
è chiamato dio, o divinità” 2° Tessalonicesi 2:4 (D),
aveva osato cambiare l’unico precetto della legge divina che addita in
modo inconfondibile all’umanità l’Iddio vivente e vero. Nel
quarto comandamento Dio è rivelato come Creatore dei cieli e della terra,
e quindi è distinto da tutti i falsi dèi. Quale memoriale della
creazione, il settimo giorno fu santificato come giorno di riposo per l’uomo.
Esso era destinato a conservare sempre vivo dinanzi alle menti umane il fatto
che Dio è sorgente di tutto e oggetto del culto e dell’adorazione.
Satana, che cerca sempre di distogliere gli uomini dalla loro fedeltà
all’Eterno dall’ubbidienza alla sua legge, concentra tutte le sue
energie specialmente contro il comandamento che indica in Dio il Creatore. Oggi
i protestanti sostengono che la risurrezione di Cristo, avvenuta di domenica,
ha fatto di quel giorno il sabato cristiano. Manca loro, però, l’appoggio
delle Sacre Scritture, perché è evidente che tale onore non fu
conferito a quel giorno né da Gesù, né dagli apostoli.
L’osservanza della domenica come istituzione cristiana ebbe origine
dal “mistero dell’empietà” 2° Tessalonicesi 2:7,
che era già all’opera al tempo di Paolo. Del resto, dove e quando
il Signore avrebbe adottato questa figlia del papato? Quale valida ragione potrebbe
essere fornita per un cambiamento che le Scritture non sanzionano? Nel sesto
secolo il papato si era saldamente stabilito fissando la sua sede nella città
imperiale. Il vescovo di Roma fu dichiarato capo di tutta la chiesa: il paganesimo
aveva ceduto il passo al papato e il dragone aveva dato alla bestia “la
propria potenza e il proprio trono e grande potestà” Apocalisse
13:2. Ebbero allora inizio i milleduecentosessanta anni di oppressione papale
predetti nelle profezie di Daniele e dell’Apocalisse (Daniele 7:25; Apocalisse
13:5-7).
I cristiani furono costretti a scegliere: o rinunciare alla propria integrità
e accettare le cerimonie e il culto papali, oppure affrontare il carcere, il
rogo, il patibolo, la mannaia del carnefice. Si adempirono le parole di Gesù:
“Voi sarete traditi perfino da genitori, da fratelli, da parenti e da
amici; faranno morire parecchi di voi; e sarete odiati da tutti a cagione del
mio nome” Luca 21:16,17. La persecuzione si abbatté sui fedeli
con inaudita veemenza, e il mondo diventò un immane campo di battaglia.
Per centinaia di anni la chiesa di Cristo trovò rifugio nei luoghi deserti
e nell’oscurità. “E la donna fuggì nel deserto, dove
ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta
giorni” Apocalisse 12:6.
L’ascesa al potere della chiesa romana segnò l’inizio del
Medioevo. A mano a mano che la sua potenza cresceva, le tenebre si facevano
più fitte. La fede, che una volta si accentrava su Cristo, il vero fondamento,
si trasferì sul papa di Roma. La gente, anziché confidare nel
Figliuolo di Dio per la remissione dei peccati e per la salvezza eterna, guardava
al papa, ai sacerdoti e ai prelati, ai quali il pontefice delegava la propria
autorità. Si insegnava che il papa era il mediatore terreno e che nessuno
poteva avvicinarsi a Dio se non per mezzo di lui. Si insegnava che per gli uomini
egli occupava il posto di Dio, e che perciò doveva essere ubbidito. Una
deviazione dalle direttive da lui impartite era motivo sufficiente perché
i più severi castighi si abbattessero sui corpi e sulle anime dei colpevoli.
Così la mente degli uomini fu distolta da Dio e rivolta su esseri fallibili,
soggetti all’errore, crudeli; anzi, si può addirittura affermare
che essa si rivolse sullo stesso principe delle tenebre, il quale esercitava
la propria autorità per mezzo di loro.
Il peccato si celava dietro un manto di santità. Quando le Scritture
vengono soppresse e l’uomo si considera un essere superiore, non ci si
può aspettare che frode, inganno, iniquità. Con l’esaltazione
di leggi e tradizioni umane, si manifestò in pieno la corruzione che
sempre deriva all’abbandono della legge di Dio. Per la chiesa di Cristo
furono giorni pericolosi. Pochi erano coloro che tenevano alta la bandiera della
verità. Sebbene la verità non fosse rimasta priva di testimoni,
talvolta pareva che l’errore e la superstizione dovessero trionfare e
che la vera religione dovesse essere bandita dalla terra. Il Vangelo, cioè,
le Sacre Scritture erano state perdute di vista, mentre si moltiplicavano le
forme della religione e la gente veniva oppressa da rigorose imposizioni.
Gli uomini erano non solo esortati a guardare al papa come loro mediatore
terreno, ma a confidare nelle proprie opere per la remissione dei peccati. Lunghi
pellegrinaggi, atti di penitenza, adorazione delle reliquie, erezione di chiese,
cappelle e altari, versamento di forti somme di denaro alla chiesa: queste e
altre cose simili erano imposte per placare l’ira di Dio e assicurarsi
il suo favore, quasi che Egli fosse come gli uomini e che, irritandosi per delle
futilità, potesse essere placato con doni o atti di penitenza. Nonostante
il vizio dilagasse anche fra i dirigenti della chiesa romana, l’influsso
di questa cresceva continuamente. Verso la fine dell’ottavo secolo i sostenitori
del papato affermarono che fin dai primi secoli i vescovi di Roma avevano avuto
lo stesso potere che ora avevano assunto. Per dimostrarlo occorrevano delle
prove che stabilissero l’esattezza di questa affermazione: tali prove
furono suggerite dal padre della menzogna. I monaci produssero degli scritti
“antichi”; decreti inediti di concili i quali stabilivano la supremazia
universale del papa fin dai tempi più remoti. Ne seguì che una
chiesa che aveva respinto la verità accettò avidamente questi
inganni.
I pochi rimasti fedeli e che ancora edificavano sul vero fondamento (1°
Corinzi 3:10,11) erano perplessi, perché ostacolati dalle scorie delle
false dottrine che impedivano la loro opera. Come gli antichi costruttori delle
mura di Gerusalemme al tempo di Nehemia, alcuni ripetevano: “Le forze
dei portatori di pesi vengono meno, e le macerie sono molte; noi non potremo
costruir le mura!” Nehemia 4:10. Stanchi per la costante lotta contro
la persecuzione, l’inganno, l’iniquità e ogni altro impedimento
che Satana escogitava per ostacolare la loro opera, alcuni, che pure erano stati
fedeli edificatori, si persero di animo. Per amore del quieto vivere e per salvaguardare
sia quello che possedevano, sia la propria vita, abbandonarono il vero fondamento.
Altri, invece, per nulla intimiditi dall’opposizione dei nemici, dichiararono
impavidi: “Non li temete! Ricordatevi del Signore, grande e temendo; e
combattete” Nehemia 4:14, e proseguirono la loro attività con al
fianco la spada (Efesini 6:17).
In ogni epoca lo stesso spirito di odio e di opposizione alla verità
ha ispirato i nemici di Dio. La stessa vigilanza e la stessa fedeltà
sono state sempre richieste dai suoi servitori. Le parole pronunciate da Cristo
ai primi discepoli sono rivolte anche ai suoi seguaci della fine dei tempi:
“Ora, quel che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate” Marco 13:37.
Le tenebre si fecero sempre più fitte. Il culto delle immagini si andò
generalizzando; si accendevano ceri dinanzi ad esse, ed erano loro offerte le
preghiere. Si manifestò, allora, la più assurda e superstiziosa
forma di culto. Le menti degli uomini erano dominate dalla superstiziosa forma
di culto. Le menti degli uomini erano dominate dalla superstizione a tal segno
che la ragione parve del tutto capitolare. Sacerdoti e vescovi erano amanti
del piacere, sensuali e corrotti; e il popolo, che guardava ad essi per essere
guidato, precipitava sempre più nell’ignoranza e nel vizio.
Un altro passo in avanti nell’ambito delle pretese papali fu compiuto
nell’undicesimo secolo. Papa Gregorio VII° proclamò la perfezione
della chiesa romana e affermò, tra l’altro, che secondo le Scritture
essa non aveva mai sbagliato, né mai avrebbe potuto sbagliare. Le Scritture,
però, non convalidavano questa sua dichiarazione. L’orgoglioso
pontefice, inoltre, pretendeva di avere l’autorità di deporre gli
imperatori, e affermò che nulla di quanto egli andava asserendo poteva
essere revocato, in quanto egli solo aveva il poteva di annullare qualsiasi
altrui decisione. Un’impressionante illustrazione del carattere tirrenico
di questo sostenitore dell’infallibilità è fornita dal trattamento
che egli riservò all’imperatore di Germania Enrico IV°, il,
poiché ardì negare l’autorità papale, venne scomunicato
e detronizzato. Terrificato dall’abbandono da parte dei principi e dalle
loro minacce, in quanto essi si sentivano incoraggiati alla ribellione dal decreto
papale, Enrico IV° volle rappacificarsi con Roma. Accompagnato dalla moglie
e da un fido servitore, egli attraversò le Alpi in pieno inverno per
andare a umiliarsi dinanzi al pontefice. Giunto al castello (di Canossa N. d.
T.) dove Gregorio si era ritirato, fu introdotto, privo della sua guardia, in
un cortile interno dove, in quel gelido inverno, a capo scoperto, a piedi nudi
e vestito di sacco, attese che il papa lo ammettesse alla sua presenza. Fu solo
dopo tre giorni di digiuno, seguito dalla confessione, che Enrico ottenne il
perdono papale. Fu perdonato, ma a condizione che aspettasse il beneplacito
del papa prima di poter ricevere nuovamente le insegne del suo potere, ossia
esercitare l’autorità regale.
Gregorio, lieto del suo trionfo, si vantò che era suo dovere fiaccare
l’orgoglio dei re. Quale stridente contrasto fra lo smisurato orgoglio
di questo altezzoso pontefice e l’umiltà, la mansuetudine di Cristo,
il quale raffigura se stesso nell’atto di bussare alla porta del cuore
per esservi ammesso e recarvi il perdono e la pace! Quale contrasto con Colui
che insegnò ai discepoli: “Chiunque fra voi vorrà essere
primo, sarà vostro servitore” Matteo 20:27. Il trascorrere dei
secoli mise in luce il costante aumento degli errori dottrinali di Roma. Già
prima dello stabilirsi del papato, l’insegnamento dei filosofi pagani
aveva goduto dell’attenzione della chiesa ed esercitato su di essa un
non indifferente influsso. Molti, pur dicendosi convertiti, continuavano ad
attenersi alle direttive della filosofia pagana, e non solo ne proseguivano
lo studio, ma cercavano di imporlo anche agli altri. In tal modo, gravi errori
si insinuarono nella fede cristiana. Uno dei più evidenti fu la credenza
nell’immortalità naturale dell’anima e nello stato cosciente
dei morti. Questa dottrina costituì la base dell’insegnamento di
Roma relativo all’invocazione dei santi e all’adorazione della Vergine
Maria. Da essa nacque pure l’eresia delle pene eterne che finì
con l’essere incorporata nella fede papale.
Si preparò così la via a un’altra invenzione del paganesimo,
che Roma chiamò purgatorio e che le servì per intimorire le folle
credule e superstiziose. Con questa eresia si affermava l’esistenza di
un luogo di tormento, dove le anime di coloro che non meritavano la dannazione
eterna avrebbero subìto il castigo dei peccati commessi per poi passare
in cielo, una volta che fossero stati liberati dalla loro impurità.
Un’altra invenzione era necessaria a Roma per aiutarla ad approfittare
del timore e dei vizi dei suoi aderenti: la dottrina delle indulgenze. La totale
remissione dei peccati passati, presenti e futuri e la liberazione da ogni pena
nella quale si era incorsi fu promessa a quanti si fossero arruolati nelle guerre
del pontefice, intese a estendere i suoi possedimenti, a punire i nemici e a
sterminare chi avesse osato negare la sua supremazia spirituale. Si insegnava
al popolo che il versamento di denaro alla chiesa permetteva di liberarsi dal
peccato e di liberare le anime di amici defunti gettate nelle fiamme del tormento.
Con simili mezzi, Roma riempì i propri forzieri e conservò la
magnificenza, il lusso e il vizio dei pretesi rappresentanti di Colui che non
aveva neppure dove posare il capo.
L’ordinanza evangelica della cena del Signore fu sostituita dal sacrificio
idolatrico della messa. I sacerdoti pretendevano di convertire il pane e il
vino << nel corpo, nel sangue, nell’anima e nella divinità
di Cristo >> Cardinale Wiseman, The Real Presence of the Body and Blood
of Our Lord Jesus Christ in the Blessed Eucharist, Proved from Scripture, confer.
8, sez. 3, par. 26. Con blasfema presunzione, pretendevano di avere il potere
di creare Dio, il Creatore di tutte le cose. I cristiani erano invitati, pena
la morte, a confessare la loro fede in questa empia eresia. Intere moltitudini
che ricusarono di credervi furono gettate nelle fiamme.
Nel tredicesimo secolo fu istituita la più terribile di tutte le macchinazioni
del papato: l’Inquisizione. Il principe delle tenebre operò con
i capi della gerarchia papale. Nei loro segreti consigli, Satana e i suoi angeli
controllavano le menti degli uomini empi, mentre un angelo di Dio, presente
seppure invisibile, prendeva nota dei loro iniqui decreti e scriveva la storia
di cose troppo orrende da poter essere esposte agli occhi umani. << Babilonia
la grande >> era << ebra del sangue dei santi >>. Milioni
di corpi straziati sembravano invocare Iddio perché li vendicasse contro
questa potenza apostata.
Il papato era diventato il despota del mondo: re e imperatori si piegavano
ai decreti del pontefice romano. Il destino degli uomini, per il tempo e per
l’eternità , sembrava sotto il suo controllo. Per centinaia di
anni le dottrine di Roma erano state implicitamente e totalmente accettate,
le sue cerimonie celebrate e le sue feste generalmente osservate. Il suo clero
veniva onorato e generosamente finanziato. Mai la chiesa era pervenuta a tanta
dignità, a tanta magnificenza, a tale potere.
Ma << il mezzogiorno del papato fu la mezzanotte del mondo >> J.
A. Wylie, The History of Protestantism, vol. 1, cap. 4. Le Sacre Scritture erano
quasi sconosciute non soltanto al popolo, ma anche ai sacerdoti. Simili agli
antichi farisei, i dirigenti romani odiavano la luce che avrebbe messo a nudo
i loro peccati. Rimossa la legge di Dio, regola di giustizia, essi esercitavano
un’autorità illimitata e praticavano il vizio senza ritegno. Predominavano
la frode, l’avarizia e la corruzione. Gli uomini non esitavano dinanzi
a nessun crimine che avesse potuto assicurare loro la ricchezza e la posizione.
I palazzi dei papi e degli alti prelati erano teatro della più abietta
deboscia. Alcuni pontefici si resero colpevoli di delitti così ripugnanti,
che dei sovrani, giudicandoli mostri tanto abietti da non poter essere tollerati,
ne chiesero la deposizione. Per secoli l’Europa non aveva fatto progressi
nel campo del sapere, delle arti o della civiltà. Pareva che una paralisi
morale e intellettuale fosse piombata sulla cristianità.
Le condizioni del mondo sotto il dominio di Roma fornivano un letterale e
pauroso adempimento delle parole del profeta Osea: <<Il mio popolo perisce
per mancanza di conoscenza. Poiché tu hai sdegnata la conoscenza, anch’io
per sacerdote; giacché tu hai dimenticata la legge del tuo Dio, anch’io
dimenticherò i tuoi figliuoli>>. <<Non v’è né
verità, né misericordia, né conoscenza di Dio nel paese.
I spergiura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio; si rompe
ogni limite, sangue tocca sangue>> Osea 4:6,1,2. Ecco quali furono i risultati
dell’abbandono della Parola di Dio.
FEDELI PORTATORI DI FIACCOLE.
In mezzo all’oscurità che sembrava essersi abbattuta sulla terra
durante il lungo periodo della supremazia papale, la luce della verità
non poteva estinguersi del tutto. In ogni tempo, infatti, ci sono stati dei
testimoni di Dio, uomini che credevano in Cristo come unico mediatore fra Dio
e l’uomo che consideravano la Bibbia l’unica regola di vita e santificavano
il vero sabato. Mai il mondo potrà sapere quanto sia debitore a questi
uomini. Essi erano considerati eretici; i motivi che li animavano erano criticati;
il loro carattere era diffamato e i loro scritti venivano o soppressi o fraintesi
o mutilati. Nondimeno, essi rimasero saldi; e di secolo in secolo conservarono
pura la fede, quale sacra eredità per le generazioni future. La storia
del popolo di Dio durante il periodo dell’oscurità che seguì
lo stabilirsi della supremazia di Roma è scritta in cielo, mentre pochi
accenni ad essa si trovano nei documenti umani. Poche tracce della loro esistenza
possono essere rinvenute al di fuori delle accuse mosse loro dai persecutori.
La politica di Roma consisteva nel cancellare ogni traccia di dissenso con le
sue dottrine e con i suoi decreti. Tutto ciò che avesse sapore di eresia,
si trattasse di persone o di scritti, Roma cercava di eliminarlo. Espressioni
di dubbio od obiezioni circa l’autorità più o meno legittima
dei dogmi papali, erano motivo sufficiente per mettere in pericolo la vita di
ricchi e poveri, di gente altolocata o di umile condizione. Roma cercava anche
di distruggere qualsiasi notizia relativa alla sua crudeltà nei confronti
dei dissidenti. I concili papali decretarono che libri e scritti contenenti
tali ricordi fossero dati alle fiamme. Poiché prima dell’invenzione
della stampa i libri scarseggiavano ed era difficile conservarli, divenne facile
per le autorità di Roma attuare il loro proponimento. Nessuna chiesa
esistente nella sfera della giurisdizione romana fu lasciata a lungo indisturbata,
nel godimento della sua libertà di coscienza. Non appena il papato ebbe
pieni poteri, si affrettò a stendere il suo braccio per opprimere chiunque
avesse rifiutato di riconoscere la sua autorità. Così, una dopo
l’altra, le chiese si sottomisero alla sua dominazione. In Gran Bretagna
il Cristianesimo primitivo aveva messo salde radici molto presto, e l’Evangelo,
accettato dai bretoni nei primi secoli, serbava tuttora intatta la sua purezza.
L’unico dono che le chiese britanniche ebbero da Roma furono le persecuzioni
da parte degli imperatori pagani, persecuzioni che si estesero fino a quelle
remote sponde. Molti cristiani lasciarono l’Inghilterra e ripararono in
Scozia per poi passare in Irlanda. La verità da essi proclamata fu ovunque
accolta con gioia. Quando i sassoni invasero la Britannia, il paganesimo si
impose. I conquistatori disdegnavano di essere istruiti dai loro schiavi, e
così i cristiani furono costretti a rifugiarsi sui monti e nelle paludi
selvagge. Nondimeno la luce, nascosta per un po’ di tempo, continuava
a brillare. In Scozia, un secolo più tardi, essa rifulse con tale chiarore
da estendersi fino nelle terre più lontane. Dall’Irlanda giunse
il pio Colombano che, con i suoi collaboratori, raccolse intorno a sé
i credenti dispersi e stabilì nell’isola di Iona il centro della
sua opera missionaria. Fra questi evangelisti vi era un osservatore del sabato,
e così questa verità penetrò in seno alle popolazioni.
A Iona venne organizzata una scuola dalla quale uscirono dei missionari non
solo per la Scozia e per l’Inghilterra, ma anche per la Germania, per
la Svizzera e per l’Italia. Roma, però, aveva puntato il suo sguardo
sulla Britannia e decise di imporle la propria autorità.
Nel sesto secolo i suoi missionari intrapresero la conversione dei sassoni
pagani. Accolti favorevolmente dai fieri barbari, i missionari riuscirono a
indurne migliaia a professare la fede di Roma. A mano a mano che l’opera
si estendeva, i dirigenti romani e i loro convertiti venivano in contatto con
i primitivi cristiani. Ne risultò un contrasto stridente. Questi erano
semplici, umili, aderenti per carattere, dottrina e costumi, all’insegnamento
della Sacra Scrittura, mentre i primi rivelavano la superstizione, la pompa
e l’arroganza di Roma. Gli emissari papali invitarono queste chiese cristiane
a riconoscere la supremazia del sommo pontefice; ma i bretoni con mansuetudine
risposero che desideravano amare tutti gli uomini e che il papa non aveva nessun
diritto di arrogarsi la supremazia sulla chiesa. Essi, quindi, potevano solo
manifestargli la sottomissione dovuta a ogni seguace di Cristo. Reiterati tentativi
furono fatti per indurli alla sottomissione totale e incondizionata; ma a questi
umili cristiani, stupiti dall’orgoglio di cui davano prova i rappresentanti
di Roma, risposero con fermezza che non riconoscevano altro maestro se non Cristo.
Allora si manifestò in pieno lo spirito del papato. Il rappresentatore
di Roma disse: “Se voi non accogliete i fratelli che vi recano la pace,
riceverete i nemici che vi porteranno la guerra. Se non vi unite a noi per additare
ai sassoni la via della vita, riceverete da loro il colpo mortale >> J.
H. Merle D’Aubigné, History of the Reformation of the Sixteenth
Century, vol. 17, cap.2. Non si trattava di vane minacce: la guerra, l’intrigo,
l’inganno furono attuati contro i testimoni della fede biblica, a tal
punto che le chiese della Britannia o furono distrutte o costrette a sottomettersi
all’autorità papale.
Nelle terre situate fuori della giurisdizione di Roma, esistettero per secoli
gruppi di cristiani che rimasero quasi del tutto liberi dalla corruzione papale.
Erano circondati dal paganesimo, e con l’andare del tempo finirono col
subire l’influsso dei suoi errori; però continuarono a considerare
la Bibbia come unica regola di fede e a praticare molte delle sue verità.
Questi cristiani credevano nella perpetuità della legge di Dio e osservarono
il sabato del quarto comandamento. Chiese che si attenevano a questa fede e
a queste pratiche esistevano anche nell’Africa centrale e fra gli armeni
dell’ Asia.
Fra quanti resistettero al potere papale vanno soprattutto ricordati i valdesi.
Il papato incontrò la più tenace resistenza alle sue falsità
e alla sua corruzione proprio nel paese dove aveva fissato la propria sede.
Per secoli, le chiese del Piemonte conservarono la loro indipendenza; però
giunse il tempo in cui Roma impose loro di sottomettersi. Dopo vane battaglie
contro la tirannia romana, i capi di queste chiese finirono sia pure con riluttanza,
col riconoscere la supremazia del potere al quale tutto il mondo sembrava rendere
omaggio. Però ve ne furono alcuni che non vollero cedere all’autorità
del papa e dei suoi prelati: erano decisi a rimanere fedeli al patto stipulato
con Dio e a conservare intatte la purezza e la semplicità della loro
fede. Ci fu una separazione. Coloro che aderivano all’antica fede si ritirarono:
alcuni, abbandonando le natie Alpi, piantarono il vessillo della verità
in terre straniere; altri si rifugiarono nelle caverne o fra le rocce dei loro
monti, dove conservarono la loro libertà di servire e adorare Iddio.
La fede che per secoli era stata coltivata e insegnata dai cristiani valdesi,
era in netto contrasto con le false dottrine di Roma. La loro credenza religiosa
era fondata sulla Parola scritta di Dio, che è il vero sistema del Cristianesimo.
Questi umili montanari, nei loro oscuri rifugi, separati dal mondo, quotidianamente
occupati nella cura delle loro greggi e dei loro vigneti, non erano giunti da
soli alla conoscenza di quella verità che contrastava con i dogmi e con
le eresie della chiesa apostata. La loro non era una fede di fresco conio: era
un’eredità che veniva dai padri e che si ricollegava idealmente
con quella della chiesa apostolica: << Fede, che è stata una volta
per sempre tramandata ai santi >> Giuda 3. << La chiesa del deserto
>> e non l’orgogliosa gerarchia che sedeva sul trono della capitale
del mondo era la vera chiesa di Cristo, depositaria dei tesori della verità
che Dio ha affidato al suo popolo perché sia data al mondo.
Fra le cause determinanti di questa separazione della vera chiesa da Roma, va
ricordato l’odio di questa ultima per il sabato biblico. Come era stato
predetto dalla profezia, il potere papale calpestò la verità.
La legge di Dio fu gettata nella polvere, mentre le tradizioni e i sistemi umani
venivano esaltati. Le chiese che si trovavano sotto il dominio papale furono
ben presto costrette a onorare la domenica come giorno sacro. In mezzo ai crescenti
errori e alle superstizioni, molti, perfino in seno al popolo di Dio, rimasero
talmente confusi che, pur continuando a osservare il sabato, la domenica si
astenevano dal lavoro. Questo, però, non soddisfaceva i dirigenti di
Roma: essi volevano non solo che la domenica fosse santificata, ma che il sabato
venisse profanato. Denunciavano con forte linguaggio coloro che ardivano onorarlo.
Era solo sottraendosi al potere di Roma che si poteva ubbidire alla legge di
Dio.
I valdesi furono tra i primi popoli europei ad avere una traduzione delle
Sacre Scritture. Centinaia di anni prima della Riforma, essi possedevano la
Bibbia in manoscritto, nella loro lingua natia. Avevano la verità non
adulterata, e ciò li rendeva particolarmente oggetto dell’odio
e della persecuzione. Essi affermarono che la chiesa romana era la Babilonia
apostata dell’Apocalisse e che, anche a costo della loro vita, dovevano
resistere alla sua corruzione. Mentre sotto la pressione di prolungate e incessanti
persecuzioni alcuni vennero a un compromesso con la propria fede, abbandonando
a poco a poco i loro principi distintivi, altri rimasero saldamente ancorati
alla verità. Nel corso dei secoli di tenebre e di apostasia ci furono
dei valdesi che non vollero riconoscere la supremazia romana, respinsero il
culto delle immagini stimolandolo idolatrico e osservarono il vero sabato. In
mezzo alle più violente tempeste di opposizione, essi serbarono la fede.
Seppure trafitti dalle lance delle truppe savoiarde, arsi dal fuoco dei roghi
romani, essi rimasero incrollabili dalla parte della Parola e dell’onore
di Dio.
Dietro il baluardo di quelle maestose montagne – che in ogni tempo erano
state un rifugio per i perseguitati e per gli oppressi – i valdesi trovarono
un asilo. Qui la luce della verità continuò a brillare in mezzo
alle tenebre del Medioevo, e per mille anni i suoi testimoni serbarono intatta
la fede degli avi.
Dio aveva provveduto per il suo popolo un santuario la cui grandezza ben si
addiceva alle sublimi verità che Israele aveva ricevuto in deposito.
Per quegli esuli fedeli, le montagne erano un emblema dell’immutabile
giustizia di Dio. Essi additavano ai figli le cime torreggianti che si stagliavano
maestose contro il cielo e parlavano loro di Colui presso il quale non c’è
né variazione né ombra di mutamento, e le cui parole durano quanto
le colline eterne. Dio aveva stabilito le montagne – dicevano –
dotandole di una potenza tale che nessun braccio all’infuori di quello
dell’Onnipotente avrebbe potuto smuoverle dal loro posto. Allo stesso
modo Egli aveva stabilito la sua legge, che è la base del suo governo
in cielo e sulla terra. Il braccio dell’uomo, è vero, poteva raggiungere
i propri simili a distruggere la loro vita; però, mutare fosse pure un
solo precetto della legge divina o annullare una delle celesti promesse sarebbe
stato per lui come tentare di sradicare i monti e farli precipitare nel mare.
Nella loro fedeltà alla sua legge, i servitori di Dio debbono essere
incollabili come le colline immutabili.
I monti che cingevano le loro vallate erano una costante testimonianza della
potenza creativa di Dio, oltre che dell’infallibile certezza della sua
cura protettrice. Quei pellegrini impararono ad amare i simboli silenziosi della
presenza di Dio. Non si lamentavano dell’asprezza della loro sorte; mai
si sentivano abbandonati, neppure in mezzo alle grandi solitudini montane. Ringraziavano
Iddio che aveva loro provveduto un riparo contro l’ira e la crudeltà
degli uomini, e si rallegravano della possibilità loro offerta di adorare
nel suo cospetto. Spesso, quando erano perseguitati dai nemici, trovarono sui
monti un sicuro ricetto. Dalle alte cime essi cantavano le lodi dell’Eterno,
e le schiere mandate da Roma erano impotenti a far tacere quegli inni di ringraziamento.
La pietà di questi seguaci di Cristo era pura, semplice e fervente.
Essi stimavano i princìpi della verità di gran lunga superiori
a case, terreni, amici, parenti, e perfino alla stessa vita. Fin dalla loro
più tenera infanzia, i fanciulli venivano istruiti nelle Sacre Scritture
e abituati a considerare con un sacro rispetto le esigenze della legge di Dio.
Allora le copie della Bibbia erano rare, e perciò le sue preziose parole
venivano imparate a mente. Molti di loro sapevano ripetere lunghi brani del
Vecchio e del Nuovo Testamento. Il pensiero di Dio era collegato col sublime
scenario della natura e con le benedizioni della vita di tutti i giorni. I bambini
imparavano a guardare con gratitudine a Dio, come il datore di ogni bene e di
ogni conforto.
Da genitori teneri e affettuosi quali essi erano, amavano i figli con troppa
saggezza per abituarli ad appagare ogni loro desiderio egoistico. Dinanzi a
loro si apriva la via della prova e delle privazioni, forse anche del martirio
e della morte. Così, fin dall’infanzia, questi fanciulli erano
educati in modo da poter sopportare le privazioni, esercitare l’autocontrollo,
pensare e agire di propria iniziativa. Si insegnava loro molto presto a portare
delle responsabilità, a essere cauti nel parlare e a capire il valore
del silenzio. Una parola indiscreta raccolta da un orecchio nemico poteva significare
un pericolo di morte non solo per chi l’aveva detta, ma anche per centinaia
di fratelli, perché – simili a lupi in cerca di preda – i
nemici della verità non davano tregua a quanti osavano pretendere la
libertà religiosa.
I valdesi avevano sacrificato la propria prosperità terrena per amore
della verità, e con lodevole perseveranza lavoravano per il loro pane
quotidiano. Ogni palmo di terreno coltivabile dei monti veniva accuratamente
sfruttato: le valli, i fianchi dei monti, anche se poco fertili, erano coltivati
con la massima cura. L’economia e la severa rinuncia costituivano una
parte dell’educazione che i bambini ricevevano come unica eredità.
Veniva loro insegnato che Dio vuole che la vita sia disciplinata e che è
possibile sopperire alle proprie necessità solo mediante il lavoro personale,
l’assiduo impegno, la previdenza e la fede. Il procedimento, è
vero, appariva duro e faticoso, però era sano e corrispondeva a ciò
di cui l’uomo ha bisogno a motivo del suo stato di decadenza, ed era la
scuola istituita da Dio per la loro formazione e il loro sviluppo. I giovane
venivano addestrati al lavoro e alle privazioni, però non si trascurava
la cura del loro intelletto. Essi imparavano che tutte le loro facoltà
appartenevano a Dio e che dovevano essere sviluppate e adoperate al suo servizio.
La chiesa valdese quanto a semplicità e purezza somigliava alla chiesa
dei tempi apostolici. Rigettando la supremazia del papa e dei prelati romani,
considerava la Bibbia come unica, suprema e infallibile autorità in materia
di fede. I suoi pastori, a differenza dei signorili sacerdoti di Roma, seguivano
l’esempio del Maestro, che venne sulla terra << non per essere servito,
ma per servire >>. Essi pascevano la greggia di Dio guidandola verso i
verdeggianti pascoli e le fonti vive della sua Parola. Lungi dall’esteriorità
della pompa e dell’orgoglio degli uomini, la gente si riuniva non in magnifiche
chiese o in grandiose cattedrali, ma all’ombra delle montagne, nelle vallate
alpine o, in tempo di pericolo, in rifugi scavati nella roccia, per udire la
parola di verità annunciata dai servitori di Cristo. I pastori non solo
predicavano l’Evangelo, ma visitavano gli ammalati, istruivano i fanciulli,
ammonivano gli sviati e si adoperavano per comporre le divergenze, stabilire
l’armonia e l’amore fraterno. In tempo di pace erano sostentati
dalle offerte spontanee dei fedeli; ma, come l’apostolo Paolo che fabbricava
le tende, ognuno di loro imparava un mestiere o una professione per poter provvedere,
all’occorrenza, al proprio sostentamento.
I giovani erano istruiti dai pastori. Pur dando la dovuta attenzione alla
cultura generale, la Bibbia rimaneva lo studio fondamentale. I vangeli di Matteo
e di Giovanni venivano imparati a mente, e altrettanto si faceva con molte epistole.
I giovani erano occupati anche nella copia delle Sacre Scritture. Alcuni manoscritti
contenevano l’intera Bibbia, mentre altri presentavano solo porzioni di
essa. Il tutto era accompagnato da alcune semplici spiegazioni del testo a uso
di quanti erano incapaci di esporre le Scritture. Si diffondevano, così,
i tesori della verità rimasta per tanto tempo nascosta per volere di
coloro che cercavano di esaltare se stessi al di sopra di Dio.
Con un lavoro paziente e perseverante, talvolta svolto nelle profonde e oscure
caverne della terra, alla luce delle torce, le Scritture venivano ricopiate
versetto per versetto, capitolo per capitolo. In questa maniera, l’opera
fu portata a termine e la volontà rivelata di Dio risplendette come oro
purissimo. Solo quanti erano impegnati in questa opera sapevano a quale prezzo
e in mezzo a quali dure prove essa era riuscita a brillare ancor più
chiara e potente. Gli angeli del cielo circondavano questi fedeli servitori.
Satana aveva sollecitato i sacerdoti e gli alti prelati romani a seppellire
la Parola della verità sotto il ciarpame dell’errore, dell’eresia
e della superstizione. Essa, però, era rimasta meravigliosamente incorrotta
attraverso tutti i secoli di oscurità, in quanto recava non il marchio
dell’uomo, ma l’impronta di Dio. Gli uomini sono stati instancabili
nei loro tentativi intesi a offuscare il senso evidente delle Scritture, e si
sono adoperati in mille modi per far pensare a inesistenti contraddizioni; ma
simile all’arca che galleggiava sui flutti agitati, la Parola di Dio è
riuscita a sfidare e a vincere le tempeste che ne minacciavano la distruzione.
Come le miniere celano nelle loro viscere ricche vene di oro e di argento, per
cui è necessario scavare a fondo per mettere in luce questi tesori, così
la Sacra Scrittura racchiude tesori di verità che vengono rivelati solo
a chi li cerca con ardore, con umiltà e con preghiera. Dio vuole che
la Bibbia sia il libro di testo dell’intera umanità: nell’infanzia,
nella gioventù e nella virilità, e che venga studiata in ogni
tempo. Egli ha dato la sua Parola agli uomini quale rivelazione di se stesso,
e ogni nuova verità riscontrata è una nuova espressione del carattere
del suo Autore. Lo studio della Scrittura è il mezzo ordinata da Dio
per mettere gli uomini in più intima comunione col loro Creatore, e per
dar loro una più chiara conoscenza della sua volontà. Essa è
il mezzo di comunicazione fra Dio e l’uomo.
I valdesi, pur considerando il timore dell’Eterno come il principio
della saggezza, non erano ciechi quanto all’importanza del contatto col
mondo, alla conoscenza in generale e alla vita attiva: tutte cose intese ad
allargare la mente e a sviluppare le facoltà dell’essere.
Dalle loro scuole di montagna, i giovani venivano mandati in istituti culturali
della Francia e dell’Italia, dove si schiudeva dinanzi a loro un campo
di studi e di pensiero ben più vasto di quello offerto nelle loro Alpi
natie. I giovani, è vero, si trovavano esposti alla tentazione, scorgevano
tutta la bruttura del vizio e si imbattevano negli agenti di Satana, i quali
li attaccavano con le più sottili eresie e le più pericolose seduzioni.
Però, l’educazione ricevuta fin da piccoli era di tale natura da
renderli idonei ad affrontare tutto ciò.
Nelle scuole dove si recavano non potevano confidarsi con nessuno. I loro abiti
erano confezionati in modo da permettere di celarvi il loro più prezioso
tesoro: i manoscritti della Bibbia. Essi portavano così su di sé
il frutto di mesi, se non addirittura di anni, di arduo lavoro: e ogni volta
che potevano farlo senza suscitare sospetti, cautamente lo offrivano a coloro
che sembravano avere il cuore aperto all’accettazione della verità.
I giovani valdesi erano stati preparati a questo compito fin dal seno materno,
comprendevano quale fosse il loro dovere e lo assolvevano fedelmente.
Nei centri culturali dove si recavano, si verificavano delle conversioni;
e non di rado il seme della verità finiva col germogliare e portare il
suo frutto nell’intera scuola. I dirigenti romani, nonostante le più
severe indagini, non riuscivano a scoprire la causa di quella che essi definivano
eresia. Lo spirito di Cristo è uno spirito missionario. Il primo impulso
di un cuore rigenerato è quello di condurre altri al Salvatore. Questo
era lo spirito dei cristiani valdesi. Essi sentivano che Dio esigeva da loro
molto di più che la semplice conservazione della verità in tutta
la sua purezza nell’ambito della chiesa. Sentivano che su loro gravava
la solenne responsabilità di far brillare la loro luce su quanti ancora
giacevano nelle tenebre. Essi sapevano che per la potenza della Parola di Dio
dovevano cercare di infrangere il giogo imposto di Roma.
I ministri valdesi erano preparati per essere missionari; e chiunque intendeva
entrare nel ministero doveva acquisire, anzitutto, un’esperienza come
evangelista. Ogni candidato doveva servire per tre anni in un campo missionario,
prima di poter ricevere l’incarico di una chiesa locale. Questo servizio
esigeva un grande spirito di rinuncia e di sacrificio, e rappresentava un’adeguata
introduzione alla vita pastorale in quel tempo che metteva alla prova le anime
degli uomini. I giovani che venivano consacrati al sacro ministero vedevano
dinanzi a sé non già la prospettiva di vantaggi o di gloria terreni,
ma una vita di disagi e di pericoli che poteva concludersi anche col martirio.
I missionari andavano a due a due, come Gesù aveva mandato i suoi discepoli.
In generale, un giovane era accoppiato con un uomo di età matura, dotato
di esperienza, che egli era di guida e di consiglio e che, allo stesso tempo,
era responsabile della sua preparazione. Il giovane doveva attenersi alle direttive
impartite dall’anziano.
Questi collaboratori non stavano sempre insieme, però si incontravano
spesso per pregare, consigliarsi e fortificarsi a vicenda nella fede. Rivelare
lo scopo della loro missione poteva significare disfatta sicura. Per questo
motivo essi celavano con cura il loro vero essere. Ogni ministro conosceva un
mestiere o esercitava una professione. Così i missionari potevano proseguire
la loro opera sotto il manto di un’attività di carattere secolare.
Generalmente essi sceglievano quella di mercante o di merciaio ambulante. <<Portavano
con sé seta, bigiotteria e altri articoli non facilmente procurabili
a quell’epoca, se non mediante lunghi viaggi. Come mercanti, essi erano
bene accolti là dove, come missionari, sarebbero stati rudemente respinti>>
Wylie, vol. 1, cap. 7. I loro cuori si levavano a Dio per chiedergli saggezza
nel presentare un tesoro più prezioso dell’oro e delle gemme. Essi
portavano segretamente su di sé delle copie della Bibbia, completa o
in porzioni, e ogni volta che se ne presentava loro l’opportunità,
richiamavano l’attenzione dei clienti su quei manoscritti. Spesso nasceva
un vivo interesse di leggere la Parola di Dio, e in tal caso essi lasciavano
porzioni della Bibbia a quanti desideravano possederla. L’opera di questi
missionari ebbe inizio a quanti desideravano possederla.
L’opera di questi missionari ebbe inizio nelle pianure e nelle valli
ai piedi delle loro stesse montagne. Poi si estese ben oltre questi limiti.
A piedi nudi, vestiti di abiti rozzi segnati dal viaggio come lo erano quelli
del loro Maestro, essi attraversavano le grandi città e penetravano in
regioni lontane. Ovunque spargevano il prezioso seme, e sul loro passaggio sorgevano
delle chiese, mentre non di rado il sangue dei martiri rendeva testimonianza
della verità. Il gran giorno di Dio metterà in luce una ricca
messe di anime che sono state raccolte grazie all’opera di questi uomini
fedeli. Velata e silenziosa, la Parola di Dio compieva la sua opera attraverso
la cristianità ed era accolta con gioia nelle case e nei cuori degli
uomini. Per i valdesi, le Sacre Scritture non erano semplicemente una storia
dei rapporti di Dio con gli uomini nei tempi passati, o una rivelazione delle
responsabilità e dei doveri del tempo presente, ma anche un’esposizione
dei pericoli e delle glorie future. Essi credevano che la fine di ogni cosa
non fosse lontana e, studiando la Bibbia con preghiera e con lacrime, rimanevano
sempre più colpiti e impressionati dalle sue affermazioni, oltre che
al dovere che sentivano di far conoscere agli altri le verità apportatrici
della salvezza; e attingevano conforto, speranza e pace dalla loro fede in Cristo.
A mano a mano che la luce rischiarava il loro intelletto e rallegrava i loro
cuori, essi desideravano ardentemente farla risplendere anche su quanti si trovavano
ancora nelle tenebre dell’errore papale.
Essi si rendevano conto che sotto la guida del papa e dei sacerdoti, intere
moltitudini invano di ricevere il perdono mediante la mortificazione del corpo
per espiare i peccati dell’anima. Abituati a confidare nelle proprie buone
opere in vista della salvezza, gli uomini guardavano sempre a se stessi, e la
loro mente si chinava sopra il proprio stato di colpevolezza. Si vedevano esposti
all’ira di Dio e inutilmente, per trovare sollievo, affliggevano l’anima
e il corpo. In tal modo, molte anime coscienziose rimanevano legate alle dottrine
di Roma. Migliaia di persone abbandonavano amici, parenti e si chiudevano nelle
celle dei conventi per tutta la vita. Con ripetuti digiuni, dure afflizioni,
prolungate veglie notturne, estenuanti prostrazioni per ore e ore sulle fredde
e umide pietre del suolo, lunghi pellegrinaggi, umilianti penitenze e spaventose
torture, cercavano – ma inutilmente – la pace dell’anima.
Oppressi dal senso del peccato, ossessionati dal timore dell’ira vendicativa
di Dio, molti soffrivano a lungo, fino a che l’organismo non veniva meno
e, senza un raggio di speranza, scendevano nella tomba. I valdesi desideravano
porgere a queste anime affamate il pane della vita, offrire loro i messaggi
di pace racchiusi nelle promesse di Dio e additare ad esse Cristo, come unica
speranza di salvezza. Sapevano che la dottrina delle buone opere, quale mezzo
per cancellare la trasgressione della legge di Dio, era falsa. Credere nel valore
dei meriti umani significa offuscare la visione dell’infinito amore di
Cristo. Gesù morì per l’uomo, perché l’umanità
caduta non può fare nulla che la raccomandi a Dio. I meriti di un Salvatore
crocifisso e risorto costituiscono la base della fede cristiana.
La dipendenza dell’anima da Cristo è altrettanto reale e intima
quanto quella di un membro dal corpo e del tralcio dalla vite. Gli insegnamenti
del papa e dei sacerdoti avevano indotto gli uomini a considerare il carattere
di Dio e di Cristo rigido, inflessibile, inesorabile. Il Salvatore veniva descritto
privo di simpatia verso l’uomo caduto e, per conseguenza, si stimava necessario
invocare la mediazione dei sacerdoti e dei santi. Coloro la cui mente era stata
illuminata dalla Parola di Dio, bramavano additare Cristo a queste anime smarrite,
perché esse trovassero in lui un Salvatore pieno di compassione e di
amore che, a braccia tese, invitava tutti ad andare a lui col loro fardello
di peccato, con i loro crucci, con la loro stanchezza. Essi desideravano ardentemente
rimuovere quelle ostruzioni che Satana aveva accumulato per impedire agli uomini
di vedere le promesse di Dio e di andare direttamente a lui, confessare i peccati
e ottenere il perdono e la pace.
Il missionario valdese, con slancio schiudeva davanti alle menti anelanti
di conoscenza le preziose verità del Vangelo. Cautamente, presentava
le porzioni della Sacra Scrittura ricopiate con la massima cura, e pieno di
intensa gioia si adoperava per infondere la speranza nelle anime consapevoli
del proprio stato di peccato e che vedevano solo un Dio di vendetta, sempre
pronto a punire. Con le labbra tremanti e con le lacrime agli occhi, egli spiegava
ai fratelli le sublimi promesse che indicano al peccatore l’unica sua
speranza. Così la luce delle verità penetrava in molte menti ottenebrate,
rimuovendo da esse la precedente nube di oscurità e permettendo ai raggi
del Sole di giustizia di risplendere nel cuore, apportandovi la guarigione.
Accadeva, talvolta, che certi brani della Scrittura fossero letti e riletti
perché l’ascoltare voleva essere certo di avere capito bene. In
modo particolare si amava la ripetizione di parole come: <<Il sangue di
Gesù, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato>> 1° Giovanni
1:7. <<E come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che il Figliuolo dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque
crede in lui abbia vita eterna>> Giovanni 3:14,15. Molti giunsero a capire
gli errori di Roma e si accorsero di quanto fosse vana l’intercessione
degli uomini e degli angeli a favore del peccatore. Via via che la luce penetrava
nelle loro menti, essi esclamavano con giubilo: <<Cristo è il mio
sacerdote; il suo sangue è il mio sacrificio; il suo altare è
il mio confessionale>>. Abbandonandosi fidenti ai meriti di Gesù,
ripetevano.
<<Or senza fede è impossibile piacergli>> Ebrei 11:6. <<Non
v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini,
per il quale noi abbiamo ad essere salvati>> Atti 4:12. La certezza dell’amore
del Salvatore pareva troppo bella ad alcune di queste anime squassate dalla
tempesta. Il sollievo che essa recava era così grande, e il fascio di
luce che risplendeva su di esse così potente, che pareva loro di essere
trasportate in cielo. Le loro mani afferravano fiduciose la mano di Cristo,
i loro piedi poggiavano sicuri sulla Roccia dei secoli. Ogni timore di morte
era fugato, e ora esse potevano affrontare impavide anche la prigione e il rogo
se in tal modo potevano onorare il nome del Redentore. La Parola di Dio era
recata di luogo in luogo e letta ora a una sola anima, ora a un gruppo di persone
desiderose di luce e di verità. Spesso l’intera notte era trascorsa
in tale lettura. La meraviglia e l’ammirazione degli uditori erano talmente
grandi, che non di rado il messaggero si vedeva costretto a interrompere la
lettura per dar modo agli ascoltatori di afferrare bene la buona novella della
salvezza. Spesso si sentiva esclamare: Dio accetterà davvero la mia offerta?
Mi sorriderà Egli? Mi perdonerà?”. La risposta veniva letta
in Matteo 11:28: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
e io vi darò riposo”.
La fede accettava le promesse, e si udivano affermazioni piene di giubilo:
“Non più lunghi pellegrinaggi; non più estenuanti viaggi
verso luoghi santi dove si conservano le reliquie. Io posso andare a Gesù
così come sono, pieno di peccato: Egli non disprezza la preghiera del
cuore pentito. ”I tuoi peccati ti sono rimessi”. I miei, anche i
miei peccati possono essere perdonati!”. Un’onda di sacra gioia
riempiva il cuore, mentre il nome di Gesù veniva magnificato dalla lode
e dal ringraziamento. Queste anime felici ritornavano a casa per diffondere
la luce e ripetere ad altri, meglio che potevano, la loro nuova esperienza.
Avevano trovato la Via vivente e vera; c’era una strana e grande potenza
nelle parole della Scrittura che parlavano direttamente al cuore di coloro che
bramavano la verità. Era la voce di Dio, che recava la convinzione in
quanti ascoltavano. Il messaggero della verità proseguiva il suo cammino;
però la sua umiltà; la sua sincerità, la sua serietà
e il suo zelo erano oggetto di frequenti riflessioni. In molti casi i suoi uditori
non gli chiedevano né donde venisse né dove andasse. Erano rimasti
talmente sopraffatti prima dalla sorpresa, poi dalla gratitudine e dalla gioia,
che non avevano pensato a fargli domande.
Quanto lo avevano pregato di accompagnarli a casa, egli aveva risposto che
doveva visitare le pecore perdute del gregge. Essi si chiedevano se per caso
egli non fosse un angelo mandato dal cielo. In molti casi il messaggero della
verità non si vedeva più. Forse si era recato in altri paesi,
forse era stato rinchiuso in qualche oscuro carcere, oppure le sue ossa giacevano
là dove aveva testimoniato della verità. Però le parole
da lui lasciate dietro di sé non potevano andare distrutte e compievano
la loro opera nel cuore degli uomini. I benefici risultati di esse saranno resi
noti nel gran giorno del giudizio.
I missionari valdesi invadevano il regno di Satana, e le podestà delle
tenebre vigilavano con la massima cura. Ogni sforzo compiuto per la propagazione
della verità era sorvegliato dal principe del male, ed egli suscitava
timore nei suoi accoliti. I capi del papato vedevano nell’opera di questi
umili itineranti un serio pericolo per la loro causa. La a spazzare via le pesanti
nubi di errore che avviluppavano la gente, e avrebbe rivolto la mente degli
uomini verso Dio; forse essa sarebbe perfino riuscita a distruggere la supremazia
di Roma. L’esistenza di questo popolo che si atteneva alla fede dell’antica
chiesa, era una costante testimonianza contro l’apostasia di Roma, e per
conseguenza provocava l’odio e la persecuzione. Il rifiuto di abbandonare
le Sacre Scritture suonava offesa per Roma, che non poteva tollerarlo.
Essa, allora, decise di eliminare questi “oppositori”. Ebbero
inizio, così, le più terribili crociate contro il popolo di Dio
nei suoi rifugi montani. Degli inquisitori furono lanciati sulle tracce, e la
scena dell’innocente Abele che cade sotto i colpi di Caino si rinnovò
frequentemente. Le fertili terre vennero devastate, e furono rase al suolo case
e cappelle. Là dove un tempo si vedevano i campi ubertosi e le abitazioni
di un popolo innocente e attivo, non rimase che un deserto. Simile all’animale
da preda reso ancora più furente dall’odore del sangue, l’ira
dei persecutori fu portata al parossismo dalle sofferenze delle loro vittime.
Molti di questi testimoni della vera fede furono inseguiti su per i monti,
lungo le vallate, e costretti a rifugiarsi in mezzo ai boschi o sulle cime delle
montagne. Nessuna accusa poteva essere mossa contro il carattere morale di queste
persone. Perfino i loro nemici dichiaravano che si trattava di gente pacifica,
quieta e pia. La loro grande colpa consisteva nel non volere adorare Iddio secondo
la volontà del papa. Per questo “crimine”, si abbattevano
su di loro tutte le umiliazioni, gli insulti e le torture che uomini e demoni
potevano inventare. Roma, decisa a farla finita con “l’odiata setta”,
lanciò contro di essa una bolla che la dichiarava eretica e la consegnava
nelle mani del carnefice. I valdesi non erano accusati di ozi, di disonestà
o di vita disordinata; di loro era detto che avevano una tale apparenza di pietà
e di santità da sedurre “le pecore della vera greggia”. Per
questo motivo il papa decretò che questa “setta maligna e abominevole”,
se ricusava di abiurare, “venisse schiacciata come serpi velenose”
Wylie, vol. 16. cap. 1. Questo orgoglioso personaggio pensava che un giorno
avrebbe ritrovato le sue parole? Sapeva che esse venivano registrate nei libri
del cielo e che al giudizio le avrebbe di nuovo incontrate? “In verità
vi dico”, affermò Gesù, “che in quanto l’avete
fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”
Matteo 25:40.
Questa bolla invitava i membri della chiesa romana a unirsi nella crociata
contro gli eretici. Come incentivo a impegnarsi in questa opera crudele, essa
“assolveva da ogni pena ecclesiastica, generale e particolare; scioglieva
da qualsiasi giuramento fatto chiunque si fosse unito a questa crociata;legittimava
il diritto a qualunque cosa fosse stata illegalmente presa; prometteva la remissione
di tutti i peccati a chi avesse ucciso gli eretici; annullava ogni contratto
stipulato con i valdesi e dava ordine ai domestici di abbandonarli; proibiva
a ogni persona di dar loro qualsiasi aiuto, e autorizzava a impossessarsi delle
loro proprietà Wylie, vol. 16, cap. 1. Questo documento rivela chiaramente
quale fosse lo spirito che agiva dietro le quinte. Non si trattava delle voce
di Cristo ma del ruggito del dragone. I dirigenti della chiesa di Roma non conformavano
il loro carattere al grande ideale stabilito dalla legge di Dio, al posto della
quale si ergeva un ideale che si potesse adattare loro, fermamente decisi come
erano a costringere tutti ad attenervisi, perché così voleva Roma.
Si ebbero, per conseguenza, le più spaventose tragedie. Sacerdoti e papi
corrotti e blasfemi compievano l’opera che Satana additava loro. Nella
loro natura non vi era posto per la misericordia. Lo stesso spirito che portò
alla crocifissione di Cristo e all’uccisione degli apostoli; lo stesso
spirito che animava il sanguinario Nerone contro i fedeli del suo tempo, era
all’opera per liberare la terra dalla presenza dei diletti figliuoli di
Dio.
La persecuzione imperversò per molti secoli contro il popolo di Dio,
il quale la sopportò con una pazienza e una costanza che onoravano il
suo Redentore. Nonostante le crociate e l’inumana strage cui erano esposti,
i valdesi continuarono a mandare i loro missionari per diffondere la verità.
Minacciati di morte, uccisi, il loro sangue fecondava il seme sparso e ne determinava
il frutto. Così i valdesi testimoniarono per Dio secoli prima della nascita
di Lutero. Dispersi dappertutto, diffusero il seme della Riforma che ebbe inizio
al tempo di Wycliff, crebbe e si estese al tempo di Lutero, e proseguirà
sino alla fine dei tempi per mezzo di coloro che sono disposti a soffrire ogni
cosa << a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù
>> Apocalisse 1:9.
LA LUCE IRROMPE IN INGHILTERRA
Prima della Riforma vi furono momenti in cui il numero delle copie della Bibbia
era molto limitato; Dio, però, non permise la scomparsa della sua Parola.
Le sue verità non dovevano rimanere nascoste per sempre. Egli avrebbe
potuto sciogliere le catene che legavano la Parola con la stessa facilità
con cui avrebbe potuto schiudere le porte delle prigione e i cancelli di ferro
per mandarne liberi i suoi servitori. In vari paesi d’Europa, molti uomini,
animati dallo Spirito di Dio, andavano alla ricerca della verità quasi
si trattasse di tesori nascosti. Provvidenzialmente guidati verso le Sacre Scritture,
essi studiavano le sacre pagine con vivo interesse, decisi ad accettare la luce
a ogni costo. Pur non scorgendo chiaramente tutto quello che le Scritture insegnavano,
riuscirono a distinguere molte verità tenute a lungo nascoste. In qualità
di messaggeri del cielo, essi andavano attorno infrangendo le catene dell’errore
e della superstizione, e invitando quanti erano stati a lungo schiavi a levarsi
e ad affermare la propria libertà.
Salvo che fra i valdesi, la Parola di Dio era rimasta chiusa per secoli, in
linguaggi noti solo agli studiosi. Era giunto però il momento che la
Scrittura venisse tradotta e data agli uomini di vari paesi nella loro lingua
natia. Il mondo aveva superato la mezzanotte, e si dileguavano le ore dell’oscurità.
In molti luoghi già si notavano i chiari segni dell’imminente aurora.
Nel quattordicesimo secolo, sorse in Inghilterra la << stella del mattino
>> della Riforma. John Wycliff fu l’araldo della Riforma non solo
per la Gran Bretagna, ma per l’intero mondo cristiano. La grande protesta
contro Roma da lui formulata non doveva più tacere. Essa diede inizio
alla lotta che ebbe per risultato l’emancipazione degli individui, delle
chiese e delle nazioni.
Wycliff aveva ricevuto un’ottima istruzione. Per lui il timore dell’Eterno
era il principio della saggezza. In collegio era noto per la sua fervente pietà
come anche per i suoi notevoli talenti e la sua profonda cultura.
Assetato di sapere, cercò di addentrarsi in ogni ramo di studio. Si
applicò alla filosofia scolastica, ai canoni della chiesa, alla legge
civile, specialmente a quella del suo paese. Nella sua ulteriore attività
si notò il valore di questa sua preparazione. Una piena conoscenza della
filosofia speculativa del suo tempo gli permise di metterne in risalto gli errori.
Grazie ai suoi studi della legge nazionale ed ecclesiastica, era preparato alla
grande battaglia per la libertà civile e religiosa. Oltre a saper ben
maneggiare le armi della Parola di Dio, egli possedeva una disciplina intellettuale
che lo qualificava per ben capire le tattiche dei dotti. La forza del suo genio,
unita alla vastità e alla completezza del suo sapere, imponeva il rispetto
sia degli amici che degli oppositori. I suoi sostenitori videro con soddisfazione
che il loro campione si ergeva da dominatore in mezzo alle menti più
eccelse della nazione; i suoi nemici non potevano biasimare la riforma non potendo
accusare di ignoranza e di debolezza i suoi sostenitori.
Mentre Wycliff era ancora in collegio, si diede allo studio della Sacra Scrittura.
In quei tempi in cui la Bibbia esisteva solo nelle lingue antiche, soltanto
gli studiosi potevano accedere alla fonte della verità, che invece risultava
preclusa alla gente priva di cultura. Si preparava, così la via alla
futura opera di Wycliff come riformatore. Uomini di talento avevano studiato
la Parola di Dio e vi avevano trovato la grande verità della sua grazia
gratuita. Nel loro insegnamento avevano diffuso la conoscenza di questa verità
e indotto altri a rivolgersi verso gli oracoli divini.
Quando la sua attenzione fu attratta verso la Sacra Scrittura, Wycliff si diede
a esaminarla con lo stesso impegno che gli aveva permesso di acquisire una solida
preparazione scolastica. Fino ad allora. Vide chiaramente rivelato il piano
della salvezza, e capì che Cristo è l’unico avvocato del
uomo. Si consacrò al servizio del Signore, deciso a proclamare le verità
scoperte.
Come i riformatori che gli succedettero, Wycliff all’inizio della sua
opera non si rese conto dove questa lo avrebbe condotto. Egli non si mise deliberatamente
contro Roma; però era chiaro che la sua devozione per la verità
lo avrebbe messo in conflitto con la falsità. Più chiaramente
egli discerneva gli errori del papato, più ardentemente presentava l’insegnamento
biblico. Egli vedeva che Roma aveva abbondato la Parola di Dio per attenersi
alle tradizioni umane. Impavido, accusò il clero di aver messo da un
lato le Sacre Scritture; chiese che la Bibbia fosse restituita al popolo e che
la sua autorità venisse nuovamente stabilita nella chiesa. Egli era un
maestro abile e sincero, oltre che un eloquente predicatore. La sua vita quotidiana
era una dimostrazione della verità che egli andava predicando. La sua
conoscenza delle Scritture, la potenza del suo ragionamento, la purezza della
sua vita, il suo indomito coraggio e la sua integrità, gli conquistarono
la stima e la fiducia generali. Molti erano insoddisfatti della fede fin lì
professata, perché notavano nella chiesa romana il prevalere dell’iniquità;
per conseguenza salutarono con indicibile gioia le verità messe in luce
da Wycliff.
I papisti, per contro, divennero furibondi nel vedere come questo riformatore
andasse acquistando un ascendente maggiore del loro.
Wycliff era un acuto rivelatore degli errori e, senza timore alcuno, si batté
contro gli abusi che erano stati sanzionati dall’autorità romana.
Quando era cappellano del re, si oppose al pagamento del tributo chiesto dal
papa al monarca britannico, e dimostrò come le pretese di autorità
papale sui governanti secolari fossero contrarie alla ragione e alla rivelazione.
Le richieste avanzate dal papa avevano suscitato una viva indignazione, e quindi
gli insegnamenti di Wycliff ebbero un’efficace portata sugli esponenti
della nazione inglese. Re e nobili, compatti, negarono l’ingerenza pontificia
nel campo delle cose temporali e rifiutarono di pagare il tributo. In tal modo
la supremazia papale in Inghilterra subì un fiero colpo. Un altro male
che il riformatore, dopo lunga meditazione, combatté decisamente, fu
l’istituzione dell’ordine dei frati mendicanti.
Questi frati dilagavano in Inghilterra recando un serio danno alla grandezza
e alla prosperità della nazione. Industria, cultura, morale, tutto, in
una parola, risentiva del loro pernicioso influsso. La vita di ozio e di mendicità
dei monaci non rappresentava solo un peso per le risorse economiche del popolo,
ma contribuiva a mettere in discussione l’utilità del lavoro. I
giovani finivano con l’essere demoralizzati e corrotti. A causa dell’esempio
dei frati, molti sceglievano la vita monastica, e ciò non soltanto senza
il consenso dei genitori, ma addirittura in opposizione ai loro ordini. Uno
dei primi padri della chiesa di Roma, sottolineando la preminenza dei voti monastici
sugli obblighi del dovere e dell’amore filiale, dichiarò: <<
Se tuo padre giacesse davanti alla tua porta, piangendo e gemendo; se tua madre
ti mostrasse il corpo che ti portò e il seno che ti nutrì, passa
sui loro corpi e vai avanti, a Cristo >>. Con questa << mostruosa
mancanza di umanità >>, come più tardi fu definita da Lutero,
che sapeva più del lupo e del tiranno che dell’uomo e del cristiano,
i cuori dei figli si irrigidirono contro i genitori (Barnas Sears, The life
of Luther, pp. 69, 70). In tal modo i capi romani, simili agli antichi farisei,
con la loro tradizione annullavano il comandamento di Dio. I focolari rimanevano
deserti, e i genitori venivano privati della compagnia dei figli e delle figlie.
Perfino gli studenti delle università si lasciavano sedurre dalle false
affermazioni dei monaci e convincere a entrare nei loro ordini. Molti, in un
secondo tempo, se ne pentivano, rendendosi conto di avere danneggiato la propria
vita e di avere dato un dispiacere alla famiglia. Purtroppo, però, una
volta che si erano messi nei lacci si accorgevano che era quasi impossibile
riconquistare la libertà. Numerose famiglie, temendo l’influsso
esercitato dai frati, si astenevano dal mandare i propri figli all’università.
Questo determinò la diminuzione del numero dei goliardi nei grandi centri
di istruzione, e le scuole cominciarono a languire, mentre l’ignoranza
prendeva gradatamente il sopravvento.
Il papa aveva accordato a questi monaci la facoltà di ascoltare le
confessioni e di impartire l’assoluzione. La cosa provocò con pochi
mali perché i frati, desiderosi di accrescere i propri cespiti, erano
propensi a concedere la remissione dei peccati perfino a criminali di ogni genere.
Ne derivò, come logica conseguenza, il dilagare dei peggiori vizi. I
malati e i poveri erano trascurati, mentre i doni che sarebbero potuti servire
per alleviare tante necessità passavano ai monaci che, con minacce, esigevano
l’elemosina del popolo e non esitavano ad accusare di empietà quanti
osavano astenersi dal recare i loro oboli. Nonostante la loro professione di
povertà, essi si arricchivano sempre più, e i loro magnifici edifici,
le loro sontuose tavole imbandite mettevano in evidenza la crescente povertà
della nazione. Mentre essi trascorrevano il tempo nel lusso e nel piacere, mandavano
in giro - come loro rappresentanti – uomini privi di cultura i quali sapevano
solo narrare favole fantasiose, leggende curiose e divertire la gente rendendola,
così, più facilmente succube dei monaci. In questo modo i frati
continuavano a esercitare la loro presa sulle moltitudini superstiziose, e le
inducevano a credere che in fondo tutto il dovere religioso consisteva nel riconoscere
la supremazia del pontefice, nell’adorare i santi, nell’offrire
doni ai monaci, e che tutto ciò era sufficiente per assicurarsi un posto
in paradiso.
Uomini dotti e pii si adoperano con tutte le forze per provocare una riforma
in questi ordini monastici. Fu Wycliff a colpire il male alla sua radice. Lo
fece, dimostrando che il sistema stesso era falso e che doveva essere abolito.
Nacquero, allora, la discussione e l’indagine. La gente, vedendo i frati
andare in giro a offrire in vendita il perdono del papa, cominciò a dubitare
circa la possibilità di procurarsi il perdono a pagamento e a chiedersi
se invece non fosse il caso di chiederlo a Dio anziché al pontefice romano.
Il popolo era allarmato a motivo della rapacità dei frati, la cui ingordigia
sembrava insaziabile. << Monaci e preti di Roma >>, diceva, <<
ci divoravano come un cancro. Se Dio non ce ne libera finiremo col morire tutti
>> D’Aubigné, vol. 17, cap.7. Per mascherare la loro avarizia,
questi monaci mendicanti pretendevano di calcare le orme del Salvatore e di
imitarne l’esempio. Affermavano che Gesù e i suoi discepoli erano
sostentati dalla carità del popolo. Questa pretesa però si ritorse
a loro danno, perché indusse molta gente a cercare direttamente la verità
nella Bibbia. La cosa, naturalmente, non piaceva a Roma. La mente degli uomini
ricorreva alla Sorgente della verità, che Roma invece intendeva tener
nascosta.
Wycliff cominciò a scrivere e a pubblicare dei trattati contro i frati,
non tanto per polemizzare quanto per richiamare l’attenzione degli uomini
sulla Bibbia e sul suo Autore. Dichiarò che il papa ha facoltà
di perdono e di scomunica nella stessa misura in cui l’hanno i comuni
sacerdoti, e che nessun uomo può essere scomunicato a meno che non abbia
prima richiamato su di sé la condanna di Dio. Wycliff non poteva agire
con maggiore efficacia per demolire la gigantesca struttura del potere temporale
e spirituale eretta dal papa, che imprigionava le anime e i corpi di milioni
di persone.
In seguito, Wycliff fu invitato a difendere i diritti della corona britannica
contro le ingerenze romane. Nominato ambasciatore del re, trascorse due anni
in Olanda, in conferenze con i legati pontifici. Questo gli consentì
di venire in contatto con ecclesiastici di Francia, d’Italia e di Spagna,
e di sapere molte cose che se fosse rimasto in Inghilterra non avrebbe mai conosciuto.
Apprese, infatti, cose che gli furono della massima utilità nel corso
dei suoi lavori successivi. Nei rappresentanti della curia romana, Wycliff lesse
il vero carattere e gli scopi della gerarchia romana. Ritornato in Gran Bretagna,
rinnovò ancora più apertamente e con nuovo zelo i suoi precedenti
insegnamenti, affermando che la concupiscenza, l’orgoglio e l’inganno
erano gli dèi di Roma.
In uno dei suoi trattati, parlando del papa e dei suoi collaboratori, scrisse:
<< Essi attingono dal nostro paese il fabbisogno dei poveri, e dal tesoro
reale migliaia di monete d’oro. Tutto ciò col pretesto di sacramenti
e di cose spirituali; il che altro non è se non deprecabile eresia simoniaca
e tacita adesione – da parte del mondo cristiano – all’eresia
stessa. Certo, anche se il nostro impero disponesse di un’immensa massa
di oro e nessuno – a parte il collettore ecclesiastico – vi attingesse,
col passare del tempo questo mucchio d’oro si esaurirebbe in quanto il
collettore porta via dalla nostra terra tutto il denaro e in cambio vi lascia
la maledizione divina a causa della sua simonia >> John Lewis, History
of the Life and Sufferings of J. Wycliff, p.37, ediz. 1820. Poco dopo il suo
ritorno in Inghilterra, per decreto reale, Wycliff fu nominato rettore di Lutterworth.
Questo dimostrava che il sovrano non era stato affatto disturbato dal suo inequivocabile
linguaggio. Pertanto, l’influsso di Wycliff si faceva sentire sia nel
determinare l’azione della corte, che nell’orientare la fede della
nazione.
I fulmini papali, però, non tardarono a scatenarsi. Tre bolle furono
mandate in Inghilterra: una all’università, una al re e una ai
prelati. Esse ingiungevano che misure immediate e decise fossero prese nei confronti
di colui che insegnava l’eresia, per ridurlo al silenzio. August Neander,
General History of the Cristian Religion and Church, per. 6, sez. 2, parte I,
par. 8. Prima ancora che le bolle arrivassero, I vescovi nel loro zelo avevano
invitato Wycliff andò, accompagnato da due dei più potenti principi
del regno. La folla, a sua volta, circondò l’edificio del tribunale
e vi penetrò all’interno, intimidendo i giudici a tal segno che
questi, per tema di complicazioni, sospesero l’udienza e la rinviarono.
Wycliff poté andarsene in pace. Poco dopo, Edoardo III°, ormai in
età avanzata, continuamente assillato dalle sollecitazioni dei prelati
che lo invitavano ad agire contro il riformatore, morì. In seguito a
questo decesso, il protettore di Wycliff venne nominato reggente del regno.
L’arrivo in Inghilterra delle bolle papali, esigeva dalla nazione l’arresto
e la carcerazione dell’eretico.
Tali misure, ovviamente, erano il preludio del patibolo. Appariva evidente
che Wycliff sarebbe presto finito preda della vendetta. Però Colui che
aveva detto: “Non temere,…io sono il tuo scudo” Genesi 15:1,
stese di nuovo il suo braccio potente a protezione del suo servitore. La morte,
infatti, non si abbatté sul riformatore, ma sul pontefice Gregorio XI°.
Gli ecclesiastici, che si erano riuniti per giudicare Wycliff, si dispersero.
La provvidenza divina diresse il corso degli eventi in modo da dare alla Riforma
l’opportunità di svilupparsi. La morte di Gregorio fu seguita dalla
nomina di due papi rivali; due poteri contrastanti, ognuno dei quali si dichiarava
infallibile, esigevano l’ubbidienza. Ognuno di essi invitava i fedeli
ad assisterlo, combattendo contro l’altro; e aggiungeva all’invito
terribili anatemi contro gli avversari e promesse di celeste rimunerazione a
quanti, invece, si sarebbero schierati dalla sua parte. Tale situazione indebolì
sensibilmente il potere papale. Le due fazioni rivali si adoperarono al massimo
l’una contro l’altra, e così Wycliff fu lasciato tranquillo.
Anatemi e recriminazioni passavano da un papa all’altro, mentre fiumi
di sangue scorrevano per il sostegno delle opposte pretese. Delitti e scandali
erano all’ordine del giorno, e così il riformatore, nel quieto
riparo della sua parrocchia di Lutterworth poté lavorare diligentemente
additando agli uomini Gesù, il principe della pace. Lo scisma, con la
lotta e la corruzione che provocò, preparò la via della Riforma
in quanto permise alla gente di rendersi conto di quello che il papato fosse
realmente. In un opuscolo da lui pubblicato: On the schism of the Popes (“Sullo
scisma dei papi”) Wycliff invitava i suoi lettori a considerare se i due
papi non dicessero il vero quando si accusavano reciprocamente di essere l’anticristo.
“Dio”, scriveva, “non poteva permettere che il nemico regnasse
tramite uno di questi sacerdoti… e ha permesso questa divisione affinché
gli uomini, nel nome di Cristo, possano più facilmente vincerli entrambi”
R. Vaughan, Life and Opinions of John de Wycliff, vol. 2, p. 6, ed. 1831. Wycliff,
come il suo Maestro, predicava l’Evangelo ai poveri. Non contento di diffondere
la luce della verità nelle umili case della sua parrocchia di Lutterworth,
volle che essa raggiungesse ogni parte dell’Inghilterra. Per attuare questo
programma, Wycliff organizzò un gruppo di predicatori, uomini semplici
e devoti, che amavano la verità e che altro non chiedevano se non di
diffonderla.
Questi uomini andavano dappertutto, insegnando sulle piazze dei mercati, nelle
vie delle grandi città, lungo i sentieri di campagna. Visitavano i vecchi,
gli ammalati, i poveri, e annunciavano loro la lieta novella della grazia di
Dio. Nella sua qualità di professore di teologia a Oxford, Wycliff predicava
la Parola di Dio nelle aule universitarie. Esponeva la verità ai suoi
studenti con tanta fedeltà da meritare l’attributo di “dottore
evangelico”. Nondimeno, l’opera somma della sua vita fu la traduzione
della Sacra Scrittura in lingua inglese. In un’opera intitolata: On the
Truth and Meaning of Scripture (“Della verità e del significato
delle Sacre Scritture”), egli manifestò la sua intenzione di tradurre
la Bibbia affinché chiunque, in Inghilterra, potesse leggere nella propria
lingua le meravigliose opere di Dio. Improvvisamente, però, la sua attività
venne interrotta. Sebbene avesse ancora sessanta anni, l’incessante lavoro,
lo studio, gli attacchi da parte degli avversari, avevano influito non poco
sul suo organismo, tanto che invecchiò prima del tempo e si ammalò
gravemente.
La notizia rallegrò i frati i quali pensarono che Wycliff si sarebbe
amaramente pentito del male fatto alla chiesa romana. Si precipitarono a casa
sua per raccogliere la sua confessione. Rappresentanti dei quattro ordini religiosi,
accompagnati da quattro ufficiali civili, si raccolsero intorno al capezzale
dell’uomo ritenuto moribondo. “Hai la morte sulle labbra”,
gli dissero. “Pentiti dei tuoi errori e ritratta, in nostra presenza,
tutto quello che hai detto contro di noi”. Il riformatore ascoltò
in silenzio, quindi chiese a chi lo assisteva di aiutarlo a mettersi a sedere
sul letto; infine, fissando quanti lo circondavano, in attesa di una sua abiura,
disse con la sua voce ferma e forte che tanto spesso li aveva fatti tremare:
“Io non morrò: vivrò e dichiarerò ancora le male
opere dei frati!” D’Aubigné, vol. 17, cap. 7. Stupiti e confusi,
i monaci si affrettarono ad abbandonare la stanza.
Le parole di Wycliff si avverarono. Egli sopravvisse e poté mettere
nelle mani dei suoi connazionali il più potente strumento contro Roma:
la Bibbia, l’agente celeste che libera, illumina ed evangelizza la gente.
Nel compimento di questa opera dovettero essere superati non pochi e grandi
ostacoli ma egli, incoraggiato dalle promesse della Parola di Dio, proseguì
impavido nonostante fosse afflitto dalla malattia, sapesse che gli rimanevano
solo pochi anni di vita e si rendesse conto della forte opposizione da affrontare.
Tuttora dotato del pieno vigore delle sue facoltà intellettuali, ricco
di esperienza, Wycliff era stato protetto e preparato dalla provvidenza di Dio
per quello che sarebbe stato il suo lavoro supremo. Mentre il mondo cristiano
era in pieno tumulto, il riformatore, nella quiete della sua parrocchia di Lutterworth,
incurante della tempesta che imperversava intorno, si applicò al compito
da lui prescelto. Ultimata l’opera, si ebbe la prima traduzione della
Bibbia in lingua inglese. In tal modo la Parola di Dio fu dischiusa all’Inghilterra.
Ora Wycliff non temeva più né il carcere né il patibolo,
perché aveva messo nelle mani del popolo britannico una luce che non
si sarebbe più spenta. Nel dare la Bibbia ai propri connazionali, egli
aveva fatto più che infrangere i ceppi dell’ignoranza e del vizio,
più che liberare e innalzare il paese. La sua opera doveva risultare
più importante delle brillanti vittorie riportate sui campi di battaglia.
L’arte della stampa era ancora ignota e le copie della Bibbia potevano
essere prodotte solo mediante un lavoro lento e faticoso.
L’interesse per quel libro, però, era così grande che molti
si misero volenterosamente all’opera per copiarlo. Con tutto ciò,
era solo a prezzo di grandi difficoltà che i copisti riuscivano a soddisfare
le varie richieste. Alcuni degli acquirenti più faticosi desideravano
l’intera Bibbia; altri, invece, ne comperavano solo delle porzioni. Non
era infrequente il caso che varie famiglie si unissero per procurarsene una
copia. Fu così che la Bibbia di Wycliff riuscì a trovare la via
dei focolari.
L’appello alla ragione umana risvegliò le coscienze, strappandole
alla loro passiva sottomissione ai dogmi papali. Wycliff insegnava le tipiche
dottrine del Protestantesimo: la salvezza per grazia mediante la fede in Cristo
e l’infallibilità della sola Scrittura. I predicatori da lui mandati
facevano circolare la Bibbia, insieme con gli scritti del riformatore. Tutto
ciò ebbe un successo tale che la nuova fede fu accettata da circa la
metà del popolo inglese.
L’apparizione della Sacra Scrittura mise in orgasmo le autorità
ecclesiastiche. Esse, ora, dovevano affrontare un agente ben più temibile
di Wycliff: un agente contro il quale le loro armi si sarebbero spuntate. A
quella epoca, in Inghilterra, non c’era nessuna legge che proibisse la
Bibbia, poiché prima di allora la Sacra Scrittura non era mai stata pubblicata
nella lingua del popolo. Tali leggi furono proclamate in un secondo tempo e
imposte con rigore. Al tempo di Wycliff, perciò, nonostante tutto quello
che fece il clero, la Bibbia aveva libera circolazione.
I capi della gerarchia ecclesiastica cospirarono nuovamente per far tacere la
voce del riformatore, e lo convocarono successivamente dinanzi a tre tribunali.
Dapprima fu un sinodo di vescovi che dichiarò eretici i suoi scritti
e che, accaparrandosi il favore del giovane monarca Riccardo II, ottenne da
questi un decreto che condannava al carcere chiunque avesse seguito le dottrine
riprovate. Wycliff si appellò al Parlamento e qui egli attaccò
la gerarchia romana, invitandola a presentarsi davanti al consiglio della nazione
e chiedendo una riforma degli enormi abusi sanzionati dalla chiesa. La sua eloquenza
nel dipingere le usurpazioni e la corruzione della sede papale confuse i suoi
nemici.
Gli amici e i sostenitori di Wycliff, i quali erano stati costretti a cedere
dinanzi all’autorità, ecclesiastica, pensavano che il riformatore,
ormai vecchio, solo e senza amici, si sarebbe piegato dinanzi all’autorità
congiunta della corona e della mitria. Essi furono testimoni della completa
sconfitta dei suoi avversari. Il Parlamento, scosso dagli appelli di Wycliff,
respinse il decreto di persecuzione, e il riformatore fu nuovamente libero.
Una terza volta egli fu citato dinanzi al supremo tribunale ecclesiastico del
regno. Qui l’eresia non avrebbe trionfato e l’opera del riformatore
sarebbe stata arrestata. Questa era almeno l’idea del clero. Se tale progetto
si fosse attuato, Wycliff sarebbe stato costretto all’abiura, oppure avrebbe
lasciato quella corte giudiziaria per salire sul patibolo.
Wycliff, però, non si ritrattò. Ripeté con fermezza i suoi
insegnamenti e respinse le accuse dei suoi persecutori. Dimenticando la propria
persona e la propria posizione, chiamò i suoi uditori in giudizio dinanzi
al tribunale divino, e pesò i loro sofismi e i loro inganni sulla bilancia
della verità eterna. In quella aula di giustizia si sentì la potenza
dello Spirito Santo. I presenti, quasi paralizzati dalla potenza di Dio, sembravano
inchiodato ai loro posti. Simili a dardi scoccati dall’Onnipotente, le
parole del riformatore colpirono i loro cuori. L’accusa di eresia, formulata
contro di lui, si ritorse contro gli stessi accusatori. Perché –
egli chiedeva – osavano diffondere i loro errori? Per amore del guadagno,
per fare commercio della grazia di Dio?
<< Contro chi pensate di lottare? >>, concluse. << Contro
un vecchio ormai sull’orlo della fossa? No! Voi lottate contro la verità!
Verità che è più forte di voi e che trionferà su
voi >> Wylie, vol. 2, cap. 13.
Così dicendo, lasciò l’assemblea senza che nessuno dei
suoi avversari cercasse di impedirglielo. L’opera di Wycliff era ormai
quasi compiuta, ed egli stava per deporre il vessillo della verità così
a lungo portato; nondimeno egli doveva ancora una volta rendere testimonianza
all’Evangelo. La verità doveva essere proclamata dalla stessa roccaforte
del regno dell’errore. Wycliff fu invitato a presentarsi davanti al tribunale
di Roma, che tanto spesso aveva sparso il sangue dei santi. Egli non si faceva
illusioni circa i pericoli che lo minacciavano, ma era deciso a rispondere all’invito.
Ne fu però impedito da un attacco di paralisi che rese impossibile il
viaggio.
Però, se non poteva far udire la sua voce a Roma, poteva esprimersi per
lettera; e cosi fece. Dal suo rettorato di Lutterwuorth inviò al papa
una lettera, rispettosa e cristiana quanto al suo spirito, ma nella quale egli
condannava la pompa e l’orgoglio della curia romana.
<< In verità io mi rallegro >>, diceva, << di poter
esporre e dichiarare a ogni uomo la fede che professo, e specialmente di farlo
al vescovo di Roma. Poiché io la ritengo sana e giusta, stimo che egli
sarà lieto di sanzionarla o, qualora essa risultasse errata, di correggerla.
<< Io credo che l’Evangelo di Cristo è l’intero corpo
della rivelazione di Dio… Credo che il vescovo di Roma, in quanto il vicario
di Cristo sulla terra, sia costretto più di qualunque altro uomo a sottomettersi
alla legge del Vangelo, tanto più che fra i discepoli di Gesù
la grandezza non consiste nella dignità e negli onori del mondo, bensì
nella fedele imitazione della vita e dei modi di Cristo… Egli, durante
il suo pellegrinaggio terreno, fu il più povero fra gli uomini, e respinse
ogni onore e ogni dominio mondani…
<< Nessun uomo fedele dovrebbe seguire il papa o uno dei santi uomini,
se non in quanto essi, a loro volta, calcano le orme del Signore Gesù
Cristo. Pietro e i figli di Zebedeo, desiderosi degli onori di questa terra,
si dimostrano in ciò ben lungi dallo spirito del Maestro, e per conseguenza
non possono né debbono essere imitati in questi errori…
<< Il papa dovrebbe lasciare alle potenze secolari ogni autorità
di carattere temporale, e in tal senso esortare e dirigere il clero. Così
fece Gesù e così fecero i suoi apostoli. Nondimeno, se io ho sbagliato
in uno di questi punti, molto umilmente mi sottometterò alla correzione,
e se occorre anche alla morte. Se potessi agire secondo la mia volontà
e seguire il mio desiderio, vorrei presentarmi personalmente davanti al vescovo
di Roma; ma purtroppo il Signore ha disposto altrimenti e mi ha insegnato che
conviene ubbidire a lui anziché agli uomini >>. Concludendo, disse:
<< Preghiamo Iddio che agisca col nostro pontefice Urbano VI, come ha
già cominciato a fare, affinché egli col suo clero possa seguire
il Signore Gesù Cristo, sia nella vita che nell’insegnamento, per
modo che il popolo venga santamente ammaestrato e che tutti possano camminare
fedelmente sulle orme del divino Maestro >> John Foxe, Acts and Monuments,
vol. 3, pp. 49, 50.
In tal modo Wycliff presentò al papa e ai suoi cardinali la mansuetudine
e l’umiltà di Cristo, mostrando non solo a loro, ma a tutto il
mondo cristiano, il contrasto esistente fra essi e il Maestro, del quale si
dicevano i rappresentanti.
Wycliff era convinto che la sua vita sarebbe stata il premio della sua fedeltà.
Il re, il papa e i vescovi, invece, erano unanimi nell’idea di condannarlo:
secondo le previsioni, solo pochi mesi lo separavano dal rogo. Ma il suo coraggio
era incrollabile. << Perché parlate di cercare lontano la corona
del martirio? >>, diceva. << Predicate l’Evangelo di Cristo
agli alti prelati e il martirio non vi mancherà. Che cosa? Dovrei vivere
e tacere?... Mai! Che la spada colpisca: io aspetto! >> D’Aubigné,
vol 17, cap. 8.
La provvidenza divina, però, proteggeva ancora il riformatore. L’uomo
che per tutta la vita era stato uno strenuo difensore della verità; che
era stato esposto quotidianamente al pericolo di morte, non doveva rimanere
vittima dell’odio dei suoi nemici. Wycliff non aveva mai cercato di proteggersi;
ma il Signore era sempre stato il suo scudo. Ma mentre i suoi avversari si ritenevano
certi di potersi impadronire di lui, la mano di Dio lo sottrasse alle loro insidie.
Nella sua chiesa di Lutterworth, mentre stava per celebrare la comunione, Wycliff
cadde, colpito da un attacco di paralisi, e di lì a poco morì.
Dio aveva assegnato a Wycliff un incarico particolare: aveva messo la Parola
della verità sulla sua bocca e innalzato una barriera di protezione intorno
a lui, affinché la parola ispirata giungesse al popolo. La vita del riformatore
fu salvaguardata e la sua attività prolungata per dargli modo di gettare
i fondamenti della grande opera della Riforma. Wycliff usciva dalle tenebre
del Medioevo. Non vi era stato, prima di lui, nessuno per indicargli i sistemi
della Riforma. Suscitato come Giovanni Battista, per una speciale missione,
egli fu l’araldo di una nuova èra. Nei sistemi di verità
da lui proclamata, si notavano una unità e una compiutezza che non furono
superate neppure cento anni più tardi. Il fondamento gettato era così
vasto e profondo, la struttura talmente salda e verace, che i successori non
ebbero bisogno di ricominciare.
Il grande movimento inaugurato da Wycliff e che consisteva nel liberare la
coscienza e l’intelletto, come anche nello sciogliere le nazioni così
a lungo legate al carro trionfale di Roma, ebbe origine dalla Bibbia. Essa fu
la sorgente di quel fiume di benedizioni che, simile ad acqua della vita, fluì
attraverso i tempi a partire dal quattordicesimo secolo. Wycliff accettò
le Sacre Scritture con fede e di condotta. Egli era stato abituato a considerare
la chiesa di Roma come autorità divina e infallibile, e ad accettarne
con assoluto rispetto gli insegnamenti e le usanze stabiliti da migliaia di
anni. Eppure ebbe la forza di distaccarsene per ascoltare e seguire la santa
Parola di Dio, che costituiva l’autorità che egli raccomandò
di riconoscere. Egli dichiarò che l’unica e vera autorità
non è quella della chiesa che parla mediante il papa, ma la voce di Dio
che si fa sentire per mezzo della sua Parola. Egli insegnava non solo che la
Bibbia è una perfetta rivelazione della volontà dell’Eterno,
ma che lo Spirito Santo ne è l’unico interprete. Inoltre affermava
che ogni uomo deve conoscere quale sia il proprio dovere, con un attento e personale
studio della Sacra Scrittura. Così distolse le menti degli uomini dal
papa e dalla chiesa di Roma per rivolgerle alla Parola di Dio.
Wycliff fu uno dei più grandi riformatori. Per vastità di intelletto,
per chiarezza di pensiero, per fermezza nel sostenere la verità, per
franchezza nel difenderla, ben pochi furono pari a lui. Purezza di vita, inalterata
applicazione allo studio e al lavoro, incorribile integrità, bontà
cristiana, fedeltà nel ministero: queste furono le caratteristiche del
primo riformatore. Tutto ciò, nonostante le tenebre intellettuali e la
corruzione morale del suo tempo. Il carattere di Wycliff è una testimonianza
resa alla potenza educatrice e trasformatrice delle Sacre Scritture. Fu la Bibbia
a fare di lui quello che egli fu. Lo sforzo compiuto per comprendere le grandi
verità della rivelazione infonde una vigorosa freschezza alle facoltà
umane; contribuisce ad allargare la mente, ad affinare le percezioni psichiche
e far maturare il discernimento. Lo studio della Bibbia nobilita il pensiero,
i sentimenti e le aspirazioni come nessun altro campo di studi può fare.
Esso infonde saldezza di propositi, pazienza e coraggio; affina il carattere
e santifica l’anima. Un sincero, riverente studio delle Scritture, mettendo
la mente dello studioso in contatto con la mente infinita, darebbe al mondo
uomini dotati di un intelletto più vivo e acuto, e di principi più
nobili, più di quanto non possa derivare dalla migliore educazione impartita
dalla filosofia umana. << La dichiarazione delle tue parola illumina;
dà intelletto ai semplici >> Salmo 119:130.
Le dottrine insegnate da Wycliff continuarono a propagarsi per un certo tempo.
I suoi seguaci, conosciuti come wicliffiani e lollardi, non solo attraversarono
l’Inghilterra, ma raggiunsero anche altre terre, diffondendo ovunque la
conoscenza del Vangelo. Ora che il loro capo era scomparso, i predicatori si
adoperavano con più zelo di prima, e vaste moltitudini si radunavano
per ascoltare il loro insegnamento. Fra i convertiti si notavano persone della
nobiltà e perfino la moglie del re. In molti luoghi ci fu una profonda
riforma nei costumi del popolo, e vennero rimossi dalle chiese i simboli idolatrici
del Romanesimo. Ben presto, però, la spietata tempesta della persecuzione
si abbatté su chi aveva ardito accettare la Bibbia come guida. I monarchi
britannici, bramosi di rafforzare il loro potere assicurandosi l’appoggio
di Roma, non esitarono a sacrificare i riformatori.
Per la prima volta nella storia dell’Inghilterra venne decretato il
rogo contro i discepoli del Vangelo. Martirio si succedette a martirio. I difensori
della verità, proscritti e torturati, potevano solo innalzare il loro
grido verso il Signore degli eserciti. Braccati come nemici della chiesa e traditori
del regno, continuarono a predicare nei luoghi segreti, trovando asilo nelle
umili dimore dei poveri, e spesso nascondendosi nelle caverne e nelle spelonche.
Nonostante l’infuriare della persecuzione, continuò a farsi sentire
nei secoli una protesta calma, pia, sincera e paziente contro la dilagante corruzione
della fede religiosa. I cristiani di quel tempo lontano avevano solo una conoscenza
parziale della verità, però avevano imparato ad amare Iddio e
a ubbidire alla sua Parola. Per amore di essa soffrivano pazientemente. Come
i discepoli dei tempi apostolici, molti di loro sacrificarono i propri beni
terreni per la causa di Cristo. Quanti ancora potevano vivere nelle loro case,
erano lieti di ospitare i fratelli perseguitati.
Quando, poi, venivano costretti a loro volta a fuggire, accettavano volentieri
il retaggio dei fuorilegge. Purtroppo, migliaia di essi, terrorizzati dall’imperversare
delle persecuzioni, comperavano la propria libertà rinunciando alla loro
fede, e lasciavano il carcere indossando l’abito del penitente, perché
così fosse resa pubblica la loro abiura. Ma molti furono coloro che seppero
testimoniare impavidi della verità, in oscure celle, nelle << Torri
dei lollardi >>, in mezzo alle torture e alle fiamme, lieti di essere
stimati degni di partecipare alle sofferenze di Cristo. Fra loro c’erano
uomini di nobili natali, come anche di umili origini. I papisti non erano riusciti
ad attuare la propria volontà durante la vita di Wycliff, e il loro odio
non poteva essere placato il corpo del riformatore giaceva quieto nella tomba.
Perciò, con decreto del concilio di Costanza, oltre quarant’anni
dopo la sua morte, le ossa di Wycliff furono esumate e date pubblicamente alle
fiamme. Le ceneri vennero gettate nel vicino ruscello. “Quel ruscello”,
dice un antico scrittore, “trasportò le ceneri nell’Avon;
l’Avon, a sua volta, le depose nel Severn; il Severn le portò al
mare, e il male le consegnò all’oceano sconfinato. Così
le ceneri di Wycliff sono l’emblema della sua dottrina ora sparsa in tutto
il mondo” T. Fuller, Church History of Britain, vol. 4, sez. 2, par. 54.
I suoi nemici non si resero conto del significato del loro malvagio gesto.
Grazie agli scritti di Wycliff, Giovanni Huss di Boemia fu condotto a rinunciare
ai molti errori del Romanesimo e a schierarsi dalla parte della Riforma. Così
in questi due paesi, tanto distanti fra loro fu sparso il seme della verità.
Dalla Boemia l’opera si estese ad altri paesi. Le menti umane venivano
dirette verso la Parola di Dio, tanto a lungo negletta. Una mano divina stava
preparando la via alla grande Riforma.
DUE EROI DI FRONTE ALLA MORTE.
Il seme del Vangelo era stato gettato in Boemia nel nono secolo. La Bibbia era
stata tradotta e il culto veniva celebrato nella lingua del popolo. Però,
via via che l’autorità papale cresceva, la Parola di Dio era offuscata.
Gregorio VII°, che si era proposto di umiliare l’orgoglio dei re e
di rendere schiavo il popolo, promulgò una bolla che vietava il culto
pubblico in lingua boema. Affermava che “era piaciuto all’Onnipotente
decretare che il culto gli fosse reso in lingua sconosciuta, perché non
pochi mali e non poche eresie erano derivati dall’avere negletto tale
regola” Wylie, vol. 3, cap. 1. Roma, così, decretò che la
luce della Parola di Dio fosse spenta e che il popolo rimanesse immerso nelle
tenebre. Il cielo, comunque, aveva provveduto alla salvaguardia della chiesa.
Molti valdesi e albigesi, strappati dalla persecuzione dalle loro case della
Francia e dell’Italia, ripararono in Boemia. Sebbene non ardissero insegnare
apertamente, operavano in segreto, con molto zelo. Fu così che la vera
fede venne tramandata di secolo in secolo.
Prima di Huss, vi erano stati in Boemia uomini che avevano apertamente condannato
la corruzione della chiesa e del popolo. La loro attività aveva suscitato
un vasto e profondo interesse. Il clero, allarmato scatenò una persecuzione
contro quanti si professavano discepoli del Vangelo. Costretti a riunirsi nelle
foreste e sui monti, braccati dai soldati, molti furono messi a morte. Fu poi,
decretato che chiunque si fosse distaccato dal culto romano fosse condannato
al rogo. I cristiani, morendo, guardavano fiduciosi al trionfo ultimo della
loro causa. Uno di coloro che insegnavano la salvezza solo mediante la fede
nel Salvatore crocifisso, ebbe a dire in punto di morte: “L’ira
dei nemici della verità ora ha il sopravvento; ma non sarà sempre
così. Sorgerà fra il popolo uno, senza spada e senza autorità,
contro il quale tutte le armi si spunteranno” Ibidem. Ormai non era lontano
il tempo di Lutero. Stava per apparire qualcuno la cui testimonianza contro
Roma avrebbe scosso le nazioni.
Giovani Huss era di umili natali, e rimase orfano di padre molto presto. Sua
madre, donna pia che considerava l’educazione e il timore di Dio più
importanti dei beni terreni, si sforzò di inculcare tali principi nel
figlio. Huss studiò prima nella scuola provinciale, quindi fu ammesso
per pura carità all’università di Praga. La madre lo accompagnò
fino alla sua nuova residenza. Giunta vicino alla grande città, non potendo
dare altra eredità al figlio, si inginocchiò davanti a lui e invocò
sull’orfanello la benedizione del Padre celeste. Ella era ben lungi dall’immaginare
in che modo la sua preghiera sarebbe stata esaudita. All’università,
Huss si distinse per la sua instancabile applicazione e per i suoi rapidi progressi;
e tutto questo, accoppiato alla sua vita integra e alla sua gentilezza, gli
valse la stima generale. Egli era un fedele discepolo della chiesa romana e
un sincero ricercatore delle benedizioni spirituali che essa elargiva. Durante
un giubileo, Huss andò a confessarsi, e dopo aver regalato gli ultimi
spiccioli delle sue magre risorse, si unì alla processione per ottenere
l’assoluzione promessa. Ultimati gli studi, entrò nel sacerdozio
e non tardò ad affermarsi, tanto che fu ammesso alla corte del re. Diventato
professore, fu successivamente nominato rettore di quella stessa università
in cui si era laureato. Il povero studente di un tempo finì col diventare
il vanto della nazione, mentre il suo nome correva per tutta l’Europa.
Huss cominciò l’opera della Riforma in un altro campo. Alcuni
anni dopo aver ricevuto gli ordini religiosi, fu designato predicatore della
cappella di Betlemme. Il suo fondatore sosteneva – considerandola della
massima importanza – la necessità di predicare la Sacra Scrittura
nella lingua del popolo. Nonostante l’opposizione di Roma, tale consuetudine
non era stata del tutto abbandonata in Boemia. Va detto però che, purtroppo,
vi era una grande ignoranza della Bibbia, e che fra la gente di ogni ceto imperavano
i peggiori vizi. Huss denunciò senza esitazione questi mali e fece appello
alla Parola di Dio per inculcare i principi della verità e della purezza
da lui propugnati.
Un cittadino di Praga, Gerolamo, che più tardi diventò intimo
collaboratore di Huss, reduce dall’Inghilterra, convertitasi agli insegnamenti
del riformatore britannico, era una principessa boema. Fu anche grazie al suo
appoggio che le opere di Wycliff trovarono vasta diffusione nella sua terra
natia. Huss esaminò quelle opere con vivo interesse, e si convinse che
il suo autore era un cristiano sincero. Finì col considerare favorevolmente
la riforma che Wycliff sosteneva. Senza rendersene conto, Huss già stava
calcando un sentiero che lo avrebbe condotto molto lontano da Roma.
Intorno a quella epoca giunsero a Praga, provenienti dall’Inghilterra,
due stranieri. Uomini colti, avevano ricevuto la luce della verità ed
erano venuti a diffonderla in quella terra lontana. Cominciarono con un aperto
attacco alla supremazia papale, ma le autorità li costrinsero a tacere.
Siccome, però, non erano disposti a recedere dal loro proposito, ricorsero
a un altro espediente. Oltre che predicatori erano pittori, perciò sfruttarono
questa loro capacità artistica. In un luogo aperto al pubblico, dipinsero
due quadri. Uno rappresentava l’entrata di Gesù in Gerusalemme:
<< mansueto, e montato sopra un asino >> Matteo 21: 5 (D), seguito
dai discepoli scalzi, in abiti dimessi. L’altro, invece, raffigurava una
processione pontificia: il papa indossava ricche vesti, cingeva il triregno
e cavalcava un cavallo magnificamente bardato. Lo precedevano dei trombettieri
ed era seguito da alti prelati in abiti sontuosi.
Era, quello, un sermone che attirava l’attenzione di tutti. La folla
si accalcava per contemplare quei quadri, e nessuno poteva fare a meno di capire
l’insegnamento che ne scaturiva. Non pochi rimasero colpiti dal contrasto
fra la mansuetudine e l’umiltà di Cristo, il maestro, e l’orgoglio,
l’arroganza del papa che si diceva suo servo. Ci fu a Praga una profonda
emozione, e i due stranieri, dopo poco tempo, ritennero opportuno andarsene
per salvaguardare la loro vita. Nondimeno, la lezione che avevano impartita
non fu dimenticata. I quadri provocarono una profonda impressione nella mente
di Huss e lo spinsero a uno studio più approfondito della Bibbia e degli
scritti di Wycliff. Sebbene egli non fosse ancora preparato ad accettare tutte
le riforme sostenute da Wycliff, si rendeva sempre più chiaramente conto
del carattere del papato e, con grande zelo, cominciò a denunciare l’orgoglio,
l’ambizione e la corruzione della gerarchia romana.
Dalla Boemia la luce si estese alla Germania in seguito a contrasti sorti
nell’università di Praga, che indussero alcune centinaia di studenti
tedeschi ad andarsene. Molti di loro avevano ricevuto da Huss la conoscenza
della Bibbia e così, rientrati in patria, vi diffusero l’Evangelo.
Roma venne a conoscenza di quello che stava accadendo, e Huss fu invitato a
presentarsi al papa. Ubbidire significa esporsi a sicura morte. Il re e la regina
di Boemia, l’università, i membri della nobiltà, le personalità
del governo si unirono per mandare al pontefice una petizione con la quale chiedevano
che Huss fosse autorizzato a rimanere a Praga e a farsi rappresentare a Roma
da un delegato. Il papa, lungi dall’aderire alla richiesta, procedette
al giudizio e alla condanna di Huss, quindi lanciò l’interdetto
sulla città di Praga.
In quei tempi, simile sentenza creava ovunque un vivo allarme. Le cerimonie
che l’accompagnavano erano di natura tale da terrorizzare la gente, che
considerava il pontefice come il rappresentante di Dio, possessore delle chiavi
del cielo e dell’inferno, dotato della facoltà di invocare castighi
temporali e spirituali. Si pensava che le porte del cielo sarebbe rimaste chiuse
per le zone colpite dall’interdetto e che, finché non fosse piaciuto
al papa revocarlo, i morti sarebbero stati esclusi dalla dimora dei beati. Per
dimostrare quanto grave fosse siffatta calamità, tutte le funzioni religiose
erano sospese, le chiese chiuse, i matrimoni celebrati nel cortile antistante
la chiesa, i morti – essendo vietato seppellirli in terra consacrata –
venivano sepolti, senza alcun rito funebre, nei campi e nei fossati.
Così, ricorrendo a misure che colpivano l’immaginazione popolare,
Roma si sforzava di esercitare il proprio dominio sulle coscienze degli uomini.
Praga era sconvolta. Una parte della popolazione accusava Huss di essere la
causa di tutte quelle disgrazie, e chiedeva che fosse consegnato a Roma. Per
placare la tempesta, il riformatore si ritirò per un po’ di tempo
nel suo villaggio natio. Scrivendo agli amici rimasti nella capitale, diceva:
<< Se mi sono ritirato da voi, è stato per attenermi al precetto
e all’esempio di Gesù Cristo per non dare motivo ai malvagi di
attirare su di sé l’eterna condanna e per non essere, nei confronti
delle persone pie, fonte di afflizione e di persecuzione. Mi sono ritirato anche
per tema che dei sacerdoti empi continuassero a lungo a impedire in mezzo a
voi la predicazione della Parola di Dio. Non vi ho lasciati per rinnegare la
divina verità, per la quale io sono pronto, con l’aiuto di Dio,
a dare la vita” Bonnechose, The Reformers Before the Reformation, vol.
1, p. 87. Huss non interruppe la sua attività, anzi percorse il paese
circostante, continuando a predicare a masse assettate di conoscenza.
Accade così che le misure cui era ricorso il papa per sopprimere l’Evangelo,
finirono con contribuire a una più vasta diffusione di esso. “Perché
noi non possiamo nulla contro la verità; quel che possiamo è per
la verità” 2° Corinzi 13:8. “La mente di Huss, in quel
periodo della sua vita, era in preda a un doloroso conflitto. Quantunque la
chiesa cercasse di sopraffarlo con i suoi fulmini, egli non ne aveva rigettata
l’autorità. Per lui, la chiesa di Roma continuava a essere la chiesa
di Cristo e il papa il rappresentante e il vicario di Dio. Huss lottava contro
l’abuso di autorità e non contro il principio stesso. Fu questo
a determinare una tremenda lotta fra le convinzioni del suo intelletto e i richiami
della sua coscienza. Se l’autorità era giusta e infallibile, come
egli riteneva, come mai si sentiva spinto a disubbidirle? D’altro canto,
si rendeva conto che ubbidire significava peccare. Perché, si chiedeva,
l’ubbidienza a una chiesa infallibile doveva condurre a tale conclusione?
Era questo il dilemma che Huss non riusciva a sciogliere; era questo il dubbio
che lo torturava continuamente.
La soluzione più approssimativa cui egli poteva giungere era –
come del resto era già accaduto ai tempi del Salvatore – che i
sacerdoti della chiesa erano diventati empi e si servivano della propria autorità
legale per fini illegali. Ciò lo indusse ad adottare come guida, e a
predicarla agli altri, la massima secondo la quale i precetti della Scrittura,
convogliati attraverso l’intelletto sono regola di coscienza. In altri
termini, Dio che parla nella Bibbia, e non la chiesa che parla per mezzo del
sacerdote, è l’unica guida infallibile” Wylie, vol. 3, cap.
2. Quando, dopo un po’ di tempo, a Praga la calma si fu ristabilita, Huss
ritornò alla sua cappella di Betlemme per riprendere con maggior zelo
e coraggio la predicazione della Parola di Dio.
I suoi nemici erano potenti e attivi, ma la regina e molti nobili erano suoi
amici, e buona parte della popolazione era con lui. Confrontando i suoi insegnamenti
puri ed elevati e la sua vita santa coi dogmi degradanti predicati dai discepoli
di Roma, come anche con la loro avarizia e depravazione, molta gente finì
con lo stimare un vero onore schierarsi dalla sua parte. Fino ad allora Huss
era stato solo nei suoi lavori, ma ora Gerolamo – che mentre era in Inghilterra
aveva accettato gli insegnamenti di Wycliff – si unì a lui nell’opera
della Riforma. I due, uniti nella vita, non furono separati nella morte. Genio
brillante, eloquenza, cultura – doti queste che attiravano il favore popolare
– erano le qualità che Gerolamo possedeva in misura eminente; mentre
per quel che riguardava la forza del carattere, Huss gli era superiore. Il suo
sobrio discernimento era di freno allo spirito impulsivo di Gerolamo che però,
con sincera umiltà, si rendeva conto del valore di Huss e ben volentieri
si sottometteva ai suoi consigli. Per l’attività congiunta di questi
due uomini, la Riforma si estese rapidamente.
Dio fece brillare una grande luce nella mente di questi uomini eletti, rivelando
loro non pochi errori di Roma. Essi, però, non ricevettero tutta la luce
che doveva essere data al mondo. Dio si serviva di loro per strappare le anime
alle tenebre di Roma. Molti erano gli ostacoli che essi dovevano affrontare;
e il Signore li guidò passo passo, nella misura in cui procedevano, poiché
non potevano ricevere, così all’improvviso, tutta la luce. Pari
allo splendore del sole in pieno mezzodì per chi è rimasto a lungo
immerso nel buio, se essa fosse stata loro presentata in tutta la sua pienezza,
li avrebbe fatti indietreggiare. Per questo Dio la rivelò a poco a poco,
per modo che essa potesse essere assimilata dalle anime. Di secolo in secolo,
poi altri fedeli operai si sarebbero susseguiti per guidare gli uomini sempre
più avanti lungo il cammino della Riforma. Perdurava intanto lo scisma
nella chiesa: tre papi si contendevano il primato, e la lotta provocava tumulto
e sangue. Non contenti di scagliarsi reciprocamente degli anatemi, ricorsero
alle armi.
Ognuno di essi riteneva fosse proprio dovere procurarsi armamenti e soldati.
Naturalmente, tutto ciò comportava spese non indifferenti, per cui nell’intento
di raccogliere il denaro occorrente, furono posti in vendita incarichi, benefici
e benedizioni da parte delle chiese. Anche i sacerdoti – imitando i superiori
– si diedero alla simonia per umiliare i rivali e per rafforzare il proprio
potere. Con un ardire che andava aumentando di giorno in giorno, Huss tuonò
contro le abominazioni che venivano commesse apertamente i capi della chiesa,
come causa delle miserie che opprimevano il mondo cristiano. Praga si vide di
nuovo minacciata da un sanguinoso conflitto. Come negli antichi tempi d’Israele,
il servitore di Dio fu accusato: “Sei tu colui che mette sossopra Israele”
1° Re 18:17. La città fu interdetta, e Huss dovette ancora una volta
ritirarsi nel suo villaggio natio. La testimonianza da lui fedelmente data nella
cappella di Betlemme era finita; ma prima di deporre la propria vita quale testimone
della verità, egli sarebbe stato chiamato a predicare al mondo intero
da un pulpito più elevato.
Per risanare i mali che travagliano l’Europa, l’imperatore Sigismondo
chiese a uno dei tre papi rivali, Giovanni XXIII°, di convocare un concilio
generale a Costanza. Questo papa non vedeva di buon occhio la convocazione del
concilio, poiché la sua vita intima e la sua politica non erano tali
da poter reggere a un’inchiesta, anche se condotta da prelati la cui moralità
– come spesso era il caso a quei tempi – lasciava parecchio a desiderare.
Comunque, egli non ardiva opporsi alla volontà di Sigismondo. I principali
obiettivi che il concilio si prefiggeva erano: risanare lo scisma nella chiesa
ed estirpare l’eresia. I due antipapi furono invitati a presentarsi davanti
al concilio, e analogo invito fu rivolto a Giovanni Huss nella sua qualità
di principale propagatore delle nuove opinioni. I primi, per salvaguardare la
propria incolumità, non intervennero e si fecero rappresentare dai loro
delegati.
Papa Giovanni, pur risultando apparentemente come convocatore del concilio,
vi intervenne con molta apprensione, timoroso che l’imperatore accarezzasse
il segreto proposito di deporlo e di chiedergli conto dei vizi che avevano disonorato
la tiara, e dei crimini che gliel’avevano assicurata. Ad ogni modo, egli
fece il suo ingresso a Costanza con gran pompa, seguito da una schiera di cortigiani
e accompagnato da ecclesiastici di alto rango. Tutto il clero e tutti i dignitari
della città, seguiti da una folla immensa, gli andarono incontro a porgerli
il benvenuto. Sul suo capo c’era un baldacchino dorato, portato da quattro
fra i principali magistrati. Lo precedeva l’ostia. I sontuosi abiti dei
cardinali e dei nobili aggiungevano particolare lustro al corteo. Frattanto
un altro viaggiatore si avvicinava a Costanza. Huss consapevole dei pericoli
che lo minacciavano, si congedò dagli amici come se non dovesse più
rivederli.
Si mise in cammino, presago di andare al rogo. Nonostante avesse ottenuto
il salvacondotto dal re di Boemia e ne avesse ricevuto un secondo, durante il
viaggio, dall’imperatore Sigismondo, egli prese le necessarie disposizioni
in vista di una sua probabile morte. In una lettera indirizzata ai suoi amici
di Praga, diceva: “Fratelli miei… io parto con un salvacondotto
del re per affrontare i miei numerosi e mortali nemici… Pure confido nell’Iddio
onnipotente e nel mio Salvatore, fiducioso che Egli ascolterà le vostre
fervide preghiere e metterà nella mia bocca la sua prudenza e la sua
saggezza per modo che io possa resistere loro. Egli mi accorderà il suo
Spirito Santo per fortificarmi nella sua verità affinché io sappia
affrontare coraggiosamente le tentazioni, il carcere e, se necessario, una morte
crudele. Gesù Cristo soffrì per i suoi diletti; perciò,
perché dovremmo stupirci che Egli ci abbia lasciato il suo esempio per
sopportare con pazienza ogni cosa per la nostra salvezza?
Egli è Dio e noi siamo le sue creature; Egli è il Signore e
noi siamo i suoi servitori; Egli è il Sovrano del mondo e noi siamo poveri
mortali. Eppure, Egli ha sofferto. Per conseguenza perché non dovremmo
soffrire anche noi, soprattutto quando la sofferenza è per noi una purificazione?
Diletti, se la mia morte deve contribuire alla sua gloria, pregate che essa
venga presto e che Dio mi aiuti a sopportare con pazienza le mie calamità.
Se invece è meglio che io ritorni fra voi, preghiamo Dio che io riparta
da questo concilio senza macchia, cioè che io non sopprima neppure un
iota della verità del Vangelo e dia in tal modo, un buon esempio. Però,
se è volontà dell’Onnipotente che io sia restituito a voi,
sappiamo andare avanti con cuore ancora più intrepido nella conoscenza
e nell’amore della sua legge” Bonnechose, vol. 1, pp. 147,148.
In un’altra lettera indirizzata a un ex sacerdote cattolico, diventato
discepolo dell’Evangelo, Huss parlava con profonda umiltà dei propri
errori e si scusava di avere “trovato diletto nell’indossare ricchi
paludamenti e nell’aver sporcato ore preziose in occupazioni frivole”.
Quindi aggiungeva: “Che la tua mente sia occupata dalla gloria di Dio
e non dal desiderio di prebende e di possedimenti. Guardati dall’adornare
la tua casa più dell’anima tua, e abbi la massima cura dell’edificio
spirituale. Sii pio e umile col povero; non sprecare le tue sostanze in festini.
Se tu non correggi la tua vita e non ti astieni dalle cose superflue, io temo
che sarai severamente punito come lo sono io… Tu conosci la mia dottrina,
perché hai ricevuto i miei ammaestramenti fin dalla tua fanciullezza;
perciò è inutile che io te ne scriva di nuovo. Ad ogni modo io
ti scongiuro, per la grazia del nostro Signore, di non imitarmi in nessuna delle
vanità in cui tu puoi avermi visto cadere”. Sull’involucro
che racchiudeva la lettera, egli aggiunse: “Amico mio, ti scongiuro di
non infrangere questo sigillo fino a che tu non abbia la certezza della mia
morte” Idem, vol. 1, pp. 148,149. Durante il viaggio, Huss vide ovunque
i segni della diffusione delle sue dottrine e del favore di cui godeva la sua
casa. La gente si accalcava per vederlo, e in alcune città i magistrati
lo scortarono lungo la via.
Giunto a Costanza, Huss godette di una piena libertà perché
al salvacondotto dell’imperatore si era aggiunta una personale garanzia
di protezione da parte del papa. Però, in un secondo tempo, in aperta
violazione di queste solenni e reiterate dichiarazioni, il riformatore fu arrestato
per ordine del papa e dei cardinali e messo in un disgustoso carcere. In seguito,
fu poi trasferito in una fortezza sul Reno e ivi tenuto prigioniero. Il papa,
però, non godette a lungo della propria perfidia perché finì
egli stesso nel medesimo carcere (Idem, vol. 1, p. 247). Giudicato dal concilio,
Giovanni XXIII° fu dichiarato colpevole del più abietti crimini quali:
omicidio, simonia, adulterio e “peccati innominabili”.
In ultimo fu privato della tiara e imprigionato. Deposti anche gli antipapi,
fu eletto un nuovo pontefice. Sebbene lo stesso papa si fosse macchiato di crimini
maggiori di quelli che Huss aveva rinfacciato ai sacerdoti, a motivo dei quali
aveva chiesto di una riformi, il concilio che destituì il pontefice inferì
contro il riformatore. La carcerazione di Hus suscitò viva indignazione
in tutta la Boemia, potenti nobili rivolsero al concilio una vibrata protesta
contro simile oltraggio. L’imperatore, al quale ripugnava la violazione
di un salvacondotto, cercò di impedire che si procedesse contro il riformatore;
però i nemici di Huss erano influenti e decisi. Essi fecero appello ai
pregiudizi dell’imperatore, ai suoi timori e al per la chiesa. Ricorsero,
inoltre, a elaborate argomentazioni per dimostrare che “non si è
tenuti a mantenere le promesse fatte agli eretici o a persone sospette di eresia,
anche se munite di salvacondotto dell’imperatore e dei re” Jacques
Lenfant, History of the Concil of Constance, vol. 1, p. 516.
In tal modo essi raggiunsero il loro intento. Indebolito dalla malattia e
dal – l’umidità della cella e l’aria metifica di essa
gli provocarono una febbre che poco mancò non lo condusse alla tomba
– Huss venne finalmente condotto alla presenza del concilio. Carico di
catene, egli si trovò di fronte all’imperatore il cui onore e la
cui buona fede si erano impegnati di proteggerlo. Nel corso del lungo processo,
Huss difese la verità con fermezza; e al cospetto dei dignitari della
chiesa e dello stato pronunciò una solenne e vibrata protesta contro
la corruzione della curia romana. Invitato a scegliere fra l’abiura e
la morte, non esitò a scegliere il martirio. La grazia di Dio la sostenne,
e durante le lunghe settimane che trascorsero prima del verdetto finale, la
pace del cielo inondò la sua anima. “Io scrivo questa lettera”,
diceva a un amico, “nel mio carcere, con le mani serrate nei ceppi, in
attesa della sentenza di morte che sarà pronunciata domani…
Quando, con l’aiuto di Cristo Gesù, noi ci incontreremo di nuovo
nella pace beata della vita futura, saprai quanta misericordia Dio ha avuto
per me e quanto Egli mi ha efficacemente aiutato e sostenuto in mezzo alle tentazioni
e alle prove” Bonnechose vol. 2, p. 67. Nell’oscurità del
suo carcere, egli previde il trionfo della vera fede. In un sogno gli apparve
la cappella di Praga, dove aveva predicato l’Evangelo, e vide il papa
ei vescovi cancellare le immagini di Cristo che egli aveva dipinto sulle pareti.
“Tale visione lo turbò. L’indomani vide, sempre in sogno,
dei pittori restaurare quelle immagini a accrescerne il numero. Dopo aver fatto
ciò, i pittori rivolti alla folla che li circondava, esclamarono: “Ora
i papi e i vescovi vengano pure: essi non riusciranno più a cancellare
queste immagini”. Nel raccontare il sogno, il riformatore disse: “Sono
certo che l’immagine di Cristo non sarà mai cancellata. Essi volevano
distruggerla; ma per opera di predicatori migliori di me, essa sarà nuovamente
riprodotta nei cuori” D’Aubigné, vol. 1, cap, 6.
Per l’ultima volta Huss fu condotto dinanzi al concilio. Era un’assemblea
numerosa e brillante: l’imperatore, i principi dell’impero, i deputati
reali, i cardinali, i vescovi, i sacerdoti, e una immensa folla che si era radunata
per essere spettatrice degli eventi di quel giorno. Da ogni parte del mondo
cristiano erano convenuti i testimoni di questo primo grande sacrificio della
lunga lotta, mediante la quale sarebbe stata assicurata la libertà di
coscienza.
Invitato a comunicare la sua decisione finale, Huss dichiarò che rifiutava
di abiurare. Indi, fissando i suoi sguardi penetranti sul monarca vergognosamente
infedele alla sua parola d’onore, disse: << Ho deciso di mia spontanea
volontà di presentarmi dinanzi a questo concilio, sotto la pubblica protezione
e la parola dell’imperatore qui presente >> Bonnechose, vol. 2,
p. 84. Un vivo rossore si diffuse sul volto di Sigismondo, mentre gli occhi
di tutti si volgevano verso di lui.
Pronunciata la sentenza, ebbe inizio il rito della degradazione. I vescovi fecero
indossare al prigioniero gli abiti sacerdotali. Egli, nel toccarli, disse: <<
Nostro Signore Gesù Cristo fu coperto di una veste bianca in segno di
scherno, quando Erode lo fece condurre davanti a Pilato >> Idem, vol.
2, p. 86. Esortato ancora una volta a ritrattare, egli si rivolse verso il popolo
e dichiarò: << Come potrei levare la fronte verso il cielo? Come
potrei guardare questa folla di persone alle quali ho predicato il puro Vangelo?
No. Io stimo la loro salvezza più importante di questo misero corpo condannato
a morte >> Ibidem.
I paramenti furono rimosso l’uno dopo l’altro e ogni vescovo,
nel compiere la propria parte del rito, pronunciava una maledizione. Alla fine
<< gli posero in testa una specie di mitria di carta in forma di piramide,
sulla quale erano dipinte orribili figure di demoni >>. Sulla parte anteriore
di essa si leggeva: <<Eresiarca >>. Huss disse: << Molto lietamente
porterò questa corona infamante per amor tuo, Gesù, che congesti
per me una corona di spine >> Ibidem. Dopo che Huss fu così acconciato,
<< i prelati dissero: ’’Ora noi consegniamo la tua anima al
diavolo’’. Giovanni Huss, levando gli occhi al cielo, replicò:
’’E io rimetto il mio spirito nelle tue mani, Signor Gesù,
perché tu mi hai redento’’ >> Wylie, vol. 3, cap.7.
Consegnato alle autorità secolari, vene condotto sul luogo del supplizio.
Una immensa processione lo seguiva: centinaia di uomini armati, sacerdoti, vescovi
in ricche vesti e gli abitanti di Costanza. Dopo che egli fu legato al palo
e che tutto fu pronto per l’accensione del rogo, il martire fu invitato
ancora una volta a salvarsi, rinunciando ai propri errori. << Quali errori
>>, egli chiese, << dovrei abbandonare? Io non mi riconosco colpevole
di nessuno. Chiamo Dio a testimone che tutto quello che ho scritto e predicato
è stato per strappare le anime al peccato e alla perdizione. Perciò
molto lietamente confermerò col mio sangue la verità che ho scritta
e predicata >> Ibidem. Quando le fiamme sprizzarono crepitando intorno
a lui, egli cominciò a cantare: << Gesù, figliuol di Davide
abbi pietà di me! >>, e continuò il suo canto fino a che
la sua voce non fu soffocata per sempre.
Gli stessi nemici furono colpiti dal suo eroico comportamento. Un papista
zelante, descrivendo il martirio di Huss e di Gerolamo, che morì poco
dopo, dichiarò: << Entrambi si comportarono con fermezza, quando
si avvicinò la loro ultima ora. Essi si prepararono per il fuoco come
se fossero dovuti andare a un banchetto di nozze. Non emisero un lamento. Quando
le fiamme salirono, essi si misero a cantare degli inni, e la veemenza del fuoco
a stento riuscì a sopraffare quel canto e a farlo tacere >> Ibidem.
Dopo che il corpo di Huss fu totalmente consumato, le sue ceneri, con la terra
sulla quale posavano, furono raccolte e gettate nel Reno che, a sua volta, le
trasportò nel mare. I persecutori si illudevano di avere, così,
sradicato la verità da lui predicata, mentre non sapevano che quelle
ceneri sarebbero state un seme che si sarebbe propagato nel mondo, e che in
regioni fino ad allora sconosciute avrebbe portato frutti copiosi in testimonianza
della verità. La voce che aveva parlato al concilio di Costanza aveva
risvegliato echi che si sarebbero fatti udire anche nei secoli avvenire. Huss
non era più; però le verità per le quali egli aveva dato
la vita non potevano più perire.
Il suo esempio di fede e la costanza di cui aveva dato prova sarebbero stati
di incoraggiamento a moltitudini di persone per aiutarle a rimanere salde anche
dinanzi alla tortura e alla morte, La sua esecuzione aveva mostrato al mondo
intero la perfida crudeltà di Roma. I nemici della verità, anche
se non se ne rendevano conto, avevano rafforzato la causa che desideravano distruggere.
Intanto un altro rogo stava per accendersi a Costanza. Il sangue di un altro
testimone doveva esaltare la verità. Gerolamo, nel salutare Huss allorché
questi partiva per recarsi al concilio, lo aveva esortato a essere forte e coraggioso,
dichiarando che qualora gli fosse capitato qualche contrattempo, egli non avrebbe
esitato a correre in suo aiuto. Udendo della carcerazione dell’amico,
il fedele discepolo si preparò immediatamente a mantenere la promessa
fatta. Senza salvacondotto, partì alla volta di Costanza, accompagnato
da un solo amico.
Giunto sul posto, si rese conto di essersi esposto a un serio pericolo, senza
alcuna possibilità di poter liberare Huss. Egli, allora, lasciò
la città, ma venne arrestato lungo la via del ritorno e ricondotto a
Costanza incatenato, sotto la sorveglianza di un drappello di soldati. Quando
egli apparve dinanzi al concilio, i suoi tentativi di rispondere alle accuse
che gli venivano mosse furono soffocati dal grido: << Alle fiamme con
lui! Alle fiamme! >> Bonnechose, vol. 1, p. 234. Chiuso in carcere, fu
incatenato in una posizione che gli causava acute sofferenze, e venne nutrito
con pane e acqua. Dopo alcuni mesi, la durezza di questo trattamento gli provocò
una grave malattia. I suoi nemici, allora, per tema che gli potesse sfuggir
loro, lo trattarono con meno rigore, pur tenendolo ancora in carcere per un
anno.
La morte di Huss non aveva sortito gli effetti desiderati dai papisti. La
violazione del salvacondotto aveva provocato un’ondata di indignazione
e il concilio, per ovviare alle difficoltà sorte, anziché dare
Gerolamo alle fiamme, decise di costringerlo, se possibile, all’abiura.
Egli fu condotto alle orribili sofferenze che avrebbe dovuto affrontare; ora,
invece, indebolito dalla malattia, dalla durezza del carcere e dalla tortura
morale dovuta alla forte tensione nervosa, separato dagli amici, addolorato
per la morte di Huss, egli venne meno e accondiscese a sottomettersi alla volontà
del concilio. Gerolamo affermò di accettare la fede cattolica e di ripudiare
le dottrine di Wycliff e di Huss, eccetto le << sante verità >>
da essi insegnate. (Idem, vol. 2, p. 141).
Con questo espediente, Gerolamo cercava di far tacere la voce della propria
coscienza e di sottrarsi alla sorte che lo minacciava. Però, nella solitudine
del carcere, egli si rese chiaramente conto di quello che aveva fatto.
Pensò al coraggio e alla fedeltà di Huss e, per contrasto, vide
tutta la bassezza della propria abiura. Pensò al divin Maestro che egli
aveva giurato di servire, e che per amor suo aveva sofferto la morte della croce.
Prima dell’abiura, egli aveva trovato in mezzo alle sofferenze conforto
nella certezza del favore divino; ora, invece, il rimorso gli torturava l’anima.
Sapeva che gli sarebbero state chieste altre ritrattazioni prima di poter essere
in pace con Roma, e capiva che il sentiero nel quale si era incamminato poteva
condurre solo all’apostasia totale. Allora decise: non avrebbe rinnegato
il Signore per sottrarsi a un breve periodo di sofferenza.
Non passò molto tempo che Gerolamo fu nuovamente chiamato dinanzi al
concilio. La tua sottomissione non aveva soddisfatto i giudici. La loro sete
di sangue, alimentata dalla morte di Huss, chiedeva nuove vittime. Egli avrebbe
potuto salvare la propria vita a prezzo di un totale rinnegamento della verità,
ma aveva deciso di confessare la sua fede e di seguire nelle fiamme il suo fratello
martire.
Gerolamo ritirò la sua precedente abiura e, come un morente, chiese di
potersi difendere. Temendo gli effetti delle sue parole, i prelati volevano
che egli si limitasse ad affermare o a rinnegare la verità delle accuse
che gli erano state mosse. Gerolamo protestò contro tali crudeltà
e ingiustizie. << Mi avete tenuto chiuso in un orribile carcere per trecentoquaranta
giorni >>, disse, << in mezzo alla sporcizia, all’umidità,
al fetore, privo di tutto; poi mi avete chiamato dinanzi a voi; e mentre prestate
ascolto alle accuse dei miei mortali nemici, rifiutate di ascoltarmi…
Se voi siete realmente uomini saggi e luci del mondo, guardatevi dal peccare
contro la giustizia. Quanto a me, io sono solo un debole mortale; la mia vita
ha ben poca importanza, e se vi esorto a non pronunciare un’ingiustizia
sentenza, parlo meno per me che per voi >> Idem, vol. 2, pp. 146,147.
Alla fine la richiesta venne accolta e, in presenza dei suoi giudici, Gerolamo
si inginocchiò e pregò perché lo Spirito divino dirigesse
i suoi pensieri e le sue parole, aiutandolo a non dire nulla contro la verità,
nulla che non fosse degno del Maestro. Quel giorno si adempié per lui
la promessa di Gesù ai primi discepoli: << Sarete menati davanti
a governatori e re per cagion mia… Ma, quando vi metteranno nelle loro
mani, non siate in ansietà del come parlerete o di quel che avrete a
dire; perché in quella ora stessa vi sarà dato ciò che
avrete a dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito
del Padre vostro che parla in voi >> Matteo 10: 18-20.
Le parole di Gerolamo suscitarono stupore e ammirazione nei suoi stessi nemici.
Per un anno intero egli era rimasto chiuso in carcere, impossibilitato a leggere
e a vedere, in preda a grandi sofferenze fisiche e ad ansietà mentali.
Eppure i suoi argomenti erano da lui esposti con tale chiarezza e con tanta
potenza che si sarebbe detto avesse avuto modo di studiare indisturbato. Egli
additò agli uditori la lunga schiera di santi uomini che erano stati
condannati da giudici ingiusti. Quasi in ogni generazione vi erano stati uomini
che pur sforzandosi di elevare i loro contemporanei, erano stati rimproverati
e scacciati. Più tardi, però, si era riconosciuto che essi erano
meritevoli di rispetto e di onori. Cristo stesso fu condannato come malfattore
da un ingiusto tribunale.
Precedentemente, all’atto dell’abiura, Gerolamo aveva riconosciuto
la giustizia della sentenza di condanna di Huss. Ora, invece, si dichiarava
pentito e testimoniava dell’innocenza e della santità del martire.
<< Lo conoscevo fin dalla sua fanciullezza >>, disse. << Era
un uomo eccellente, giusto e santo. Fu condannato, nonostante la sua innocenza.
Anch’io sono pronto a morire e non mi ritrarrò davanti ai tormenti
che i miei nemici e i falsi testimoni preparano per me. Essi un giorno saranno
chiamati a rendere conto delle loro imposture davanti al grande Iddio, che nessuno
può ingannare>> Bonnechose, vol. 2, p. 151.
Rimproverandosi di avere rinnegato la verità, Gerolamo proseguì:
<< Di tutti i peccati commessi fin dalla fanciullezza, nessuno è
più deprimente per il mio spirito e mi procura un così acuto rimorso
di quello commesso in questo luogo, quando approvai l’iniqua sentenza
contro Wycliff e contro il santo martire Giovanni Huss, mio maestro e amico.
Si! Lo confesso con tutto il cuore e lo dichiaro con profondo orrore: ho sbagliato,
ho grandemente sbagliato quando, per paura della morte, condannai le loro dottrine.
Perciò io ti supplico… onnipotente Iddio, di perdonare i miei peccati
e particolarmente questo, che è il più odioso di tutti! >>.
Rivolgendosi poi ai giudici, egli disse con fermezza: << Voi condannaste
Wycliff e Giovanni Huss, non perché avevano scosso la dottrina della
chiesa, ma semplicemente perché ardivano protestare contro gli scandali
del clero, contro la pompa, l’orgoglio e i vizi dei sacerdoti e dei prelati.
Quello che essi affermarono e che è irrefutabile, lo penso anch’io
e lo confermo! >>.
Le sue parole furono interrotte. I prelati frementi d’ira gridarono:
Che bisogno c’è di altre prove? Noi vediamo coi nostri occhi il
più ostinato degli eretici!”. Intrepido, nonostante la tempesta,
Gerolamo prosegui: “Che cosa?! Pensate forse che io abbia paura di morire?
Mi avete tenuto per un anno in un orribile carcere, più orribile della
morte stessa. Mi avete trattato più crudelmente di un turco, di un ebreo
o di un pagano, e la mia carne si è letteralmente imputridita sulle mie
ossa. Eppure io non mi lamento, perché i lamenti fanno ammalare lo spirito
e il cuore. Però io non posso fare a meno di esprimere il mio stupore
dinanzi a tanta barbarie nei confronti di un cristiano” Idem, vol. 2,
pp. 151-153. La tempesta d’ira esplose di nuovo, e Gerolamo fu ricondotto
in carcere. Vi erano, però, nell’assemblea, degli uomini sui quali
le parole da lui dette avevano prodotto una profonda impressione e che desideravano
salvargli la vita. In prigione, Gerolamo ebbe la visita di dignitari della chiesa,
che lo esortarono a sottomettersi al concilio e che gli fecero considerare i
vantaggi e le brillanti prospettive che si sarebbero schiusi dinanzi a lui come
ricompensa della sua rinuncia a opporsi a Roma. Egli, però, come il Maestro
quando gli venne offerta la gloria del mondo, rimase saldo.
“Provatemi con le Sacre Scritture”, egli disse, che io sono nell’errore,
e io abiurerò”. “Le Sacre Scritture!”, esclamò
uno dei tentatori. “Ma come è possibile giudicare ogni cosa per
mezzo di esse? Chi può capirle, finché la chiesa non le ha interpretate?”.
“Le tradizioni degli uomini”, replicò Gerolamo, “sono
più degne di fede del Vangelo del nostro Salvatore? Paolo non esortava
coloro ai quali scriveva a prestare ascolto alle tradizioni degli uomini, ma
diceva invece di investigare le Scritture”. “Eretico!”, fu
la risposta. “Io mi pento di avere così a lungo discusso con te
e mi rendo conto che sei guidato dal diavolo” Wylie, vol. 3, cap. 10.
Dopo che la sentenza di condanna fu pronunciata, Gerolamo venne condotto sul
luogo stesso dove Huss era stato giustiziato. Vi si recò cantando e col
volto illuminato di pace e gioia. Il suo sguardo era fisso su Gesù e
per lui la morte perdeva ogni orrore.
Quando il carnefice per accendere il rogo, scivolò sulle sue spalle,
il martire gli disse: “Accendi pure davanti a me. Se io avessi avuto paura
di morire non sarei qui!”. Le sue ultime parole, pronunciate mentre le
fiamme divampavano, furono una preghiera: “Signore, Padre Onnipotente”,
gridò, abbi pietà di me e perdona i miei peccati, perché
tu sai che io sempre amato la tua verità” Bonnechose, vol. 2, p.
168. La sua voce venne meno, ma le sue labbra continuarono a muoversi in preghiera.
Quando il fuoco ebbe compiuta la sua opera, le ceneri del martire, con la terra
sulla quale giacevano, furono raccolte e, come quelle di Huss, gettate nel Reno.
Così morirono i fedeli testimoni di Dio; ma la luce della verità
da essi proclamata, unita a quella del loro fulgido esempio di eroismo, non
poteva spegnersi. Come agli uomini non è dato a impedire al sole di seguire
il proprio corso e di risplendere sul mondo, così essi non sarebbero
riusciti a impedire il sorgere di un nuovo giorno che stava per levarsi.
L’esecuzione di Huss aveva acceso in Boemia una fiamma di indignazione
e di orrore. Tutta la nazione sentiva che egli era rimasto vittima dell’astuzia
dei sacerdoti e del tradimento dell’imperatore. Huss fu riconosciuto un
fedele predicatore della verità: il concilio che aveva decretato la sua
morte venne accusato di assassinio, e le dottrine del riformatore finirono col
richiamare un’attenzione senza precedenti. Gli scritti di Wicliff, per
decreto papale, erano stati condannati alle fiamme: però una parte di
essi poté essere sottratta alla distruzione. Tratti dai nascondigli dove
erano stati messi, divennero oggetto di studio, insieme con la Bibbia o porzioni
di essa. Così molta gente aderì alla fede riformata.
Gli uccisori di Huss non se ne stettero a contemplare il trionfo della sua
causa: il papa e l’imperatore si unirono per schiacciare il movimento,
e gli eserciti di Sigismondo invasero la Boemia. Ma sorse un liberatore. Ziska,
condottiero dei boemi, che poco l’inizio delle ostilità diventò
totalmente cieco, fu uno dei più abili generali della storia. Fidando
nell’aiuto di Dio e nella giustizia della sua causa, quel popolo resistette
ai più agguerriti eserciti che lo fronteggiavano. Reiteratamente l’imperatore
reclutò nuove leve e invase la Boemia: ogni volta, però, egli
fu ignominiosamente respinto. Gli hussiti non temevano la morte, e così
nessuno poteva resistere loro. Alcuni anni dopo, il bravo Ziska morì,
ma il suo posto fu preso da Procopio, un generale altrettanto valoroso e abile
e, sotto ceri aspetti, migliore condottiero del predecessore. I nemici dei boemi,
sapendo che il guerriero cieco era morto, ritennero propizia l’occasione
per riconquistare quello che avevano perduto.
Il papa proclamò una crociata contro gli hussiti, e un poderoso esercito
invase la Boemia, ma solo per andare incontro a una terribile disfatta. Fu bandita
un’altra crociata, e in tutti i paesi d’Europa furono raccolti uomini,
denaro e munizioni per la guerra. Innumerevoli schiere di soldati si arruolarono
sotto la bandiera del papa, nella certezza che alla fine gli eretici hussiti
sarebbero stati sterminati. Fiducioso nella vittoria, l’esercito penetrò
in Boemia. Il popolo si riunì per respingerlo. I due eserciti opposti
si avvicinarono l’uno all’altro fino a che solo un fiume li separò.
“I crociati erano numericamente superiori, ma anziché attraversare
il corso d’acqua e impegnare battaglia contro le forze ussite, rimasero
fermi a osservare quei guerrieri” Wylie, vol. 3, cap. 17. D’improvviso
un misterioso terrore si impossessò di loro e, senza colpo ferire, quella
poderosa schiera di armati si disperse e si dissolse come polverizzata da un
potere invisibile. L’esercito hussita, lanciatosi all’inseguimento
del nemico in fuga, raccolse un immenso bottino di guerra.
Così quella crociata, anziché impoverire la Boemia, l’arricchì.
Alcuni anni dopo, sotto un nuovo papa, si organizzò un’altra crociata.
Come prima, uomini e mezzi furono raccolti in tutta Europa. Grandi erano gli
allettamenti posti dinanzi a chi fosse unito a questa impresa. A ogni crociato
venne garantito il perdono assoluto dei più odiosi crimini commessi.
Tutti coloro che sarebbero morti in battaglia avrebbero ricevuto una ricca rimunerazione
celeste. Quelli che, invece, sarebbero sopravissuti, avrebbero mietuto onori
e ricchezze sul campo di battaglia. Fu messo insieme un poderoso esercito che
attraversò la frontiera e invase la Boemia. Le forze hussite ripiegarono
attirando gli invasori sempre più lontano dalle loro basi di partenza,
e sempre più nel cuore del paese. Questa ritirata strategica degli hussiti
fece credere ai crociati di avere ormai partita vinta.
Ma non era così: gli eserciti di Procopio si fermarono e affrontarono
gli invasori. I crociati, accortisi troppo tardi dello sbaglio commesso, ne
commisero un altro: rimasero nei loro accampamenti in attesa degli sviluppi
della situazione. Quando udirono il rumore delle forze nemiche che si avvicinavano,
ancor prima che gli hussiti fossero in vista, furono colti da uno strano panico.
Principi, generali, semplici soldati gettarono le armi e fuggirono in ogni terrorizzate
e disorganizzate: egli steso fu trascinato via dall’onda dei fuggitivi.
La rotta fu totale, e di nuovo un immenso bottino cade nelle mani dei vincitori.
Anche questa volta un potente esercito nemico, mandato dalle più forti
nazioni europee e formato da uomini agguerriti, valorosi, bene addestrati e
bene equipaggiati, era fuggito, senza difendersi, dinanzi ai difensori di una
piccola e debole nazione.
Gli invasori erano stati colpiti da un terrore soprannaturale: Colui che aveva
rovesciato le schiere di Faraone al Mar Rosso, che aveva messo in fuga gli eserciti
di Madian dinanzi a Gedeone e ai suoi trecento uomini, che in una sola notte
aveva schiantato le forze dell’orgogliosa Assiria, aveva ancora una volta
steso la sua mano per annichilire gli eserciti dell’oppressore. “Ecco
là, sono presi da grande spavento, ove prima non c’era spavento;
poiché Dio ha disperse le ossa di quelli che ti assediavano; tu li hai
coperti di confusione, perché Iddio li disdegna” Salmo 53:5. I
capi della chiesa romana, disperando di poter vincere con la forza, ricorsero
alla diplomazia. Si addivenne a un compromesso che, mentre ufficialmente accordava
ai boemi la libertà di coscienza, in realtà li metteva in potere
di Roma. I boemi avevano precisato quattro condizioni per il trattato di pace
con Roma: libera predicazione della Bibbia; diritto dell’intera chiesa
a partecipare, nella comunione al pane e al vino, e uso della lingua materna
per il culto; esclusione del clero da ogni ufficio o posizione di carattere
secolare; in caso di crimini, sia per i laici che per gli ecclesiastici, valeva
la giurisdizione dei tribunali civili.
Le autorità della chiesa romana accettarono “i quattro articoli
degli hussiti, riservandosi però il diritto che essi venissero spiegati,
cioè che ne fosse determinata la portata dal concilio. In altri termini,
tale facoltà era concessa al papa e all’imperatore” Wylie,
vol. 3, cap. 18. Su questa base l’accordo fu raggiunto; e Roma, con la
dissimulazione e con la frode, riuscì a ottenere quello che non era riuscita
a conseguire con la guerra. Infatti, mettendo la propria interpretazione sugli
articoli proposti dagli hussiti, come anche sulla Bibbia, essa poteva pervertire
il loro significato, si da farli servire ai suoi scopi. In Boemia molti non
acconsentirono al trattato, visto che esso tradiva la loro libertà. Ne
seguirono dissensi, divisioni e spargimento di sangue. In questa lotta perse
la vita il prode Procopio, e con lui praticamente ebbe fine la libertà
boema. Sigismondo, il traditore di Huss e di Gerolamo, divenne re di Boemia
e, dimentico del giuramento fatto di sostenere i diritti dei boemi, aprì
le porte al papato. Però egli trasse ben poco profitto dal suo servilismo
per Roma. Infatti, per circa venti anni la sua esistenza era stata piena di
fatiche e di pericoli, i suoi eserciti erano stati sistematicamente sconfitti
e le finanze ridotte a zero dalla lunga e infruttuosa guerra. Dopo un anno di
regno egli morì, lasciando la sua nazione in una situazione vicina alla
guerra civile e tramandando ai posteri un nome macchiato dall’infamia.
Tumulti, risse e sangue continuarono. Il paese venne nuovamente invaso dagli
eserciti stranieri, mentre i dissidi interni straziavano la nazione. Quanti
rimasero fedeli al Vangelo furono oggetto di sanguinose persecuzioni. Gli aderenti
all’antica fede fondarono una chiesa che prese il nome di “Fratelli
uniti”.
Questo fatto attirò su loro maledizioni da ogni parte; ma la fermezza
dei credenti non venne meno. Sebbene costretti a rifugiarsi nei boschi e nelle
caverne, essi continuarono a riunirsi per leggere la Parola di Dio e per celebrare
il loro culto.
Mediante dei messaggeri segretamente inviati in vari paesi, essi appresero che
qua e là vi erano “altri confessori della verità, alcuni
in una città, altri in un’altra e, come loro, oggetto di persecuzioni.
In mezzo alle montagne delle Alpi esisteva un’antica chiesa rimasta fedele
ai principi della Sacra Scrittura e che protestava contro l’idolatrica
corruzione di Roma” Wylie, libro 3, cap. 19. Questa notizia fu accolta
con immensa gioia e diede origine a una corrispondenza con i cristiani valdesi.
Attaccati all’Evangelo, i Boemi aspettarono, nella buia notte della persecuzione,
nell’ora più oscura, volgendo lo sguardo verso l’orizzonte,
il sorgere del mattino.<<“Erano giorni tristi, ma… essi ricordavano
le parole di Huss e di Gerolamo secondo cui sarebbe passato un secolo prima
che spuntasse il giorno fatidico.
Per i taboriti (hussiti) esse furono come le parole di Giuseppe alle tribù
d’Israele: “Io muoio, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà
uscire”>>Ibidem. <<Il periodo finale del quindicesimo secolo
vide il lento ma sicuro progresso delle chiese dei fratelli, che anche se non
esenti da molestie, godettero di un relativo riposo. All’inizio del sedicesimo
secolo, in Boemia e in Moravia se ne cantavano duecento>> Ezra Hall Gillett,
Life and Times of John Huss, vol. 2, p. 570. <<Così risultò
abbastanza numeroso il residuo che, sfuggendo alla furia devastatrice del fuoco
e dalla spada, salutò l’alba del giorno preannunciando da Huss”
Wylie, vol. 3, cap. 19.
LUTERO: UN UOMO PER IL SUO TEMPO.
Martin Lutero può essere considerato un personaggio di primo piano fra
coloro che furono chiamati per trarre la chiesa fuori dalle tenebre papali e
guidarla alla luce di una fede più pura. Zelante, pieno di fervore, devoto,
privo di ogni timore che non fosse il timore di Dio, riconoscendo le Sacre Scritture
come unico fondamento religioso, egli era l’uomo adatto per quel tempo.
Per mezzo di lui, Dio compì la grande opera della riforma della chiesa,
opera che illuminò il mondo. Come i primi araldi dell’Evangelo,
Lutero ebbe anch’egli umili natali. Trascorse i primi anni della sua vita
in una modesta casetta tedesca di campagna. Suo padre, un minatore, lo aiutò
con le sue magre risorse a formarsi una cultura. Voleva farne un avvocato, ma
il Signore aveva in vista un altro progetto: fare di lui l’edificatore
di quel grandioso tempio che andava a poco sorgendo col passare dei secoli.
Vita dura, privazioni, disciplina severa: ecco la scuola alla quale l’infinita
Saggezza preparò Lutero per l’importante missione della sua vita.
Il padre di Lutero era un uomo dalla mente equilibrata e attiva. Dotato di un
carattere forte, era onesto, energico e retto. Il suo principio era di fare,
in cosa, il proprio dovere, indipendentemente dalle conseguenze che sarebbero
potute derivare.
Un innato buon senso lo induceva a considerare con disapprovazione la vocazione
monastica. Ben comprensibile, perciò, fa la sua delusione quando il figlio,
senza il suo consenso, entrò in un convento. Trascorsero ben due anni
prima che egli, pur non avendo cambiato opinione, acconsentisse a riconciliarsi
con lui. I genitori di Lutero si adoperarono molto per l’educazione dei
propri figli. Cercavano di inculcare in loro la conoscenza di Dio e la pratica
delle virtù cristiane. Spesso il padre pregava ad alta voce affinché
il figlio udisse e potesse ricordare il nome del Signore per poi, un giorno
collaborare all’avanzamento della sua verità.
Essi cercavano di profittare di ogni opportunità di sviluppo morale
e intellettuale che la loro vita fatta di incessante lavoro poteva offrire.
Con lodevole perseveranza si sforzavano di preparare i figli a una vita devota
e utile. Data la fermezza del loro carattere, non di rado accadeva che si lasciassero
andare a una severità eccessiva. Però lo stesso riformatore, pur
riconoscendo che talvolta eccedevano, trovava nella loro disciplina da approvare
che da condannare. A scuola, dove si recò prestissimo, Lutero fu trattato
con durezza e perfino con violenza. La povertà della sua famiglia era
tale che egli, per recarsi dalla casa alla scuola situata in una città
vicina, era costretto a guadagnarsi il pane cantando di porta in porta. Non
di rado conobbe la fame. Il suo cuore era oppresso dalle idee religiose di quell’epoca,
idee ricche di superstizione.
Talvolta si coricava pieno di tristezza, pensando con preoccupazione all’avvenire
oscuro e minaccioso, e si sentiva preda del terrore all’idea di un Dio
che, anziché pietoso Padre celeste, egli stimava rigido, inflessibile
e tiranno. Eppure, nonostante tutti questi scoraggiamenti, Lutero proseguiva
verso un ideale elevato di eccellenza morale e intellettuale che attirava l’anima
sua. La sete di conoscenza e il carattere pratico e aperto dalla sua mente lo
inducevano a desiderare tutto ciò che è concreto e utile, anziché
quello che è vano e superficiale. Quando, all’età di diciotto
anni, egli entrò all’università di Erfurt, la sua situazione
era diventata più favorevole, e le sue prospettive apparivano più
luminose di quanto non lo fossero state prima. I suoi genitori, grazie alla
loro attività e alla frugalità della loro vita, potevano ora assicurargli
un’assistenza migliore. D’altra parte, la compagnia di amici giudiziosi
valse ad alleggerire gli effetti deprimenti dell’educazione da lui precedentemente
ricevuta.
Lutero si applicò allo studio dei migliori autori, facendo tesoro dei
loro importanti insegnamenti e assimilando il frutto della loro saggezza. Anche
prima, sotto la dura disciplina dei suoi precedenti insegnanti, egli aveva dato
prova di capacità non comune. Ora, per le migliorate condizioni ambientali,
la sua mente poteva svilupparsi rapidamente. La sua memoria recettiva, la sua
vivida immaginazione, le sue solide capacità di ragionamento e le sua
incessante applicazione gli permisero di distinguersi fra i suoi condiscepoli.
La disciplina intellettuale maturò il suo discernimento e risvegliò
in lui un’intelligenza e un’acutezza di percezione che dovevano
renderlo idoneo alle future lotte della vita.
Il timore di Dio, che riempiva il suo cuore, lo rendeva saldo nei suoi propositi
e umile dinanzi all’Altissimo. Egli aveva un vivo senso della propria
dipendenza dell’aiuto divino, e non trascurava di cominciare ogni giornata
con la preghiera. Il suo cuore cercava incessantemente guida e sostegno. “Pregare
bene”, diceva spesso, “vale metà dello studio” D’Aubigné,
History of the Reformationof the XVI° century, vol. 2, cap. 2. Un giorno,
esaminando i libri della biblioteca universitaria, Lutero scoprì la Bibbia
latina. Mai prima di allora egli l’aveva; ne ignorava addirittura l’esistenza.
Aveva letto, sì, delle porzioni dei Vangeli e delle Epistole che venivano
esposte al popolo nel culto pubblico, e pensava che esse fossero tutta la Sacra
Scrittura. Ora, per la prima volta, egli aveva dinanzi a sé l’intera
Parola di Dio.
Con un misto di timore e di stupore, egli sfogliò quelle sacre pagine
e febbrilmente, col cuore palpitante, lesse le parole di vita soffermandosi
qua e là per esclamare: “Oh, se Dio mi desse di possedere questo
libro!” Ibidem. Gli angeli del cielo erano al suo fianco, e raggi di luce
procedenti dal trono di Dio rivelavano al suo intelletto i tesori della verità.
Egli aveva sempre temuto di offendere Iddio, ma ora la profonda convinzione
del proprio stato di peccato si faceva ancora più viva in lui. Un grande
desiderio di essere liberato dal peccato e di trovare la pace con Dio lo indusse
a consacrarsi alla vita monastica. Entrò in un convento, e qui gli furono
assegnati i lavori più umili oltre al compito di mendicare di casa in
casa. Egli aveva raggiunto l’età in cui maggiormente si desiderano
il rispetto e l’apprezzamento, e quei compiti così bassi mortificavano
non poco i suoi sentimenti naturali. Però egli sopportava pazientemente,
credendo che ciò fosse reso necessario dal suo stato di colpa. Ogni momento
che egli poteva sottrarre ai suoi incarichi quotidiani era di lui dedicato allo
studio. Per questo si privava del riposo e rimpiangeva perfino il tempo necessario
alla consumazione di pasti frugali.
Sopra ogni altra cosa, gli procurava sommo diletto lo studio della Parola
di Dio. Egli aveva trovato una Bibbia incatenata al muro del convento, e ad
essa spesso ricorreva. A mano a mano che cresceva in lui la convinzione del
proprio peccato. Lutero si sforzava di ottenere il perdono e la pace mediante
le proprie opere. Conduceva una vita molto austera, sforzandosi con digiuni,
veglie e maltrattamenti inflitti al proprio corpo, di soggiogare la debolezza
della sua natura. Egli non rifuggiva dinanzi a nessun sacrificio che potesse
permettergli di ricevere l’approvazione di Dio. “Io fui un monaco
pio” disse più tardi, “e mi attenni alle regole del mio ordine
nel modo più stretto.
Se mai un monaco poteva raggiungere il cielo per le sue opere monastiche,
certo io ne avrei avuto tutti i diritti… Se avessi continuato, credo che
avrei spinto le mie mortificazioni fino alla morte” Idem, vol. 2. cap.
3. Come conseguenza di questa dura disciplina, egli si indebolì e fu
soggetto a deliqui accompagnati da spasmi. Gli effetti di questo suo stato fisico
lo accompagnarono per tutta la vita. Eppure, nonostante tutti gli sforzi fatti,
la sua anima oppressa non riusciva a trovare sollievo. Finì col raggiungere
sull’orlo della disperazione. Quando a Lutero pareva che ormai tutto forse
perduto, Dio gli fece incontrare un amico che egli fu di grande aiuto.
Il pio Staupitz dischiuse alla mente di Lutero la Parola di Dio e lo indusse
a guardare non a se stesso, non alle immense punizioni derivanti dalla violazione
della legge di Dio, ma a Gesù, il Salvatore che perdona. “Invece
di torturarti a motivo dei tuoi peccati”, gli diceva, gettati nelle braccia
del Redentore. Abbi fiducia in lui, abbi fiducia nella giustizia della sua vita,
nell’espiazione assicurata dalla sua morte…Ascolta il Figliuolo
di Dio. Egli si fece uomo per darti la certezza del favore divino. Ama chi per
primo ti amò” Idem, vol. 2, cap. 4. Così parlò questo
messaggero di misericordia, e le sue parole produssero una profonda impressione
sulla mente di Lutero che, dopo tante lotte, poté finalmente conoscere
la verità e avere la pace dell’anima. Lutero fu consacrato prete
e chiamato all’insegnamento nell’università di Wittenberg.
Qui egli si applicò allo studio delle Sacre Scritture nelle loro lingue
originali; cominciò a tenere conferenze sulla Bibbia, e da quel momento
il libro dei Salmi, gli Evangeli e le Epistole furono spiegati a folle di ascoltatori
entusiastici.
Staupitz, suo amico e superiore, lo spinse a salire sul pulpito e a predicare
la Parola di Dio. Lutero esitava, non ritenendosi degno di parlare alla gente
nel nome di Cristo,, e fu solo dopo una lunga lotta che cedette alle sollecitazioni
dei suoi amici. Egli era già potente nelle Scritture, e la grazia di
Dio riposava su di lui. La sua eloquenza conquistava gli uditori, e la chiarezza
e la potenza con le quali egli presentava la verità convincevano le menti,
mentre il suo fervore toccava i cuori. Lutero era ancora un sincero figlio della
chiesa papale, e mai avrebbe immaginato di poter essere altrimenti. Nella provvidenza
di Dio, fu chiamato a visitare Roma. Fece il viaggio a piedi, soffermandosi
nei monasteri che trovava lungo la via. In un convento italiano rimase stupito
della ricchezza, della magnificenza e del lusso che vi regnavano.
Godendo di rendite principesche, i frati vivevano in splendidi alloggi, indossavano
abiti costosi e sedevano dinanzi a una mensa sontuosa. Con vivo dolore, Lutero
stabilì il contrasto fra quella rappresentata dalla rinuncia e dall’austerità
della propria vita. Cominciava a essere perplesso. Finalmente egli scorse in
distanza la città dei sette colli. Con profonda emozione si prostrò
per terra ed esclamò: “Santa Roma, ti saluto!” Idem, vol.
2, cap. 6. Entrò nella città, visitò le chiese, ascoltò
i favolosi racconti ripetuti da preti e da monaci ed eseguì tutti i riti
prescritti. Ovunque, egli contemplava scene che lo riempivano di sorprese e
di orrore. Vide che l’iniquità si annidava in ogni classe del clero;
udì barzellette indecenti da parte di prelati, e fu dolorosamente scosso
quando si accorse che perfino nella messa non veniva risparmiata la profanazione.
Nei suoi contatti i monaci e con la gente del comune popolo, notò che
la dissolutezza e la deboscia imperavano dappertutto. Da ogni parte egli incontrava
la profanazione, anche là dove avrebbe dovuto regnare la santità.
“Nessuno può immaginare”, egli scrisse, “quali peccati
e quali azioni infamanti si commettono a Roma. Bisogna vedere e udire per credere.
Si suol dire: se c’è un inferno, Roma vi è edificata sopra.
Roma è un abisso dal quale scaturiscono ogni sorta di peccati”
Ibidem.
Con recente decreto, il pontefice aveva promesso un’indulgenza a tutti
coloro che avrebbero salito in ginocchio la “scala di Pilato”, scala
dalla quale si diceva fosse disceso Gesù quando uscì dalla sala
del giudizio del procuratore romano, e che era stata miracolosamente trasportata
da Gerusalemme a Roma. Un giorno, Lutero saliva devotamente dei gradini quando
d’improvviso gli parve di udire una voce che, simile a tuono, diceva:
“Il giusto vivrà per fede!” Romani 1:17. Egli balzò
in piedi e se ne andò, pieno di vergogna e di orrore.
Quel testo biblico lasciò una traccia indelebile nella sua anima. Da
allora egli scorse ancora più chiaramente di prima tutta la fallacità
delle opere umane intese a ottenere la salvezza, e capì l’assoluta
necessità di una costante fede nei meriti di Cristo. I suoi occhi erano
stati aperti e non si sarebbero più chiusi dinanzi agli inganni del papato.
Quando distolse il suo volto da Roma, lo distolse anche nell’intimo del
proprio cuore; e da quel giorno la separazione andò sempre aumentando
per poi sfociare nella piena rottura di ogni rapporto con la chiesa romana.
Dopo il ritorno da Roma, Lutero conseguì, all’università
di Wittenberg, la laurea in teologia. Ora egli poteva consacrarsi in pieno alle
Sacre Scritture che tanto amava.
Aveva fatto voto di studiare accuratamente e di predicare fedelmente la Parola
di Dio, anziché i detti e le dottrine di Roma, tutti i giorni della sua
vita. Egli ora non era più semplicemente un monaco o un professore, ma
l’araldo autorizzato della Bibbia: si sentiva chiamato a essere pastore
della greggia di Dio e a pascerla. Quella greggia aveva fame e sete di verità.
Lutero dichiarò con fermezza che i cristiani non dovevano accettare altra
dottrina se non quella che si basa sull’autorità delle Sacre Scritture.
Tale affermazione minava alla base la pretesa supremazia papale e conteneva
il principio vitale della Riforma. Lutero scorgeva il pericolo che si annidava
nell’abitudine di esaltare le teorie umane al di sopra della Parola di
Dio e, impavido, attaccò l’incredulità speculativa degli
ecclesiastici e lottò sia contro la filosofia, sia contro la teologia,
colpevoli entrambe di avere esercitato tanto a lungo la loro presa sul popolo.
Egli denunciò tali studi non solo perché inutili, ma perché
nocivi; e cercò di distogliere la mente dei suoi ascoltatori dai sofismi
dei filosofi per rivolgerla alle verità eterne esposte dai profeti e
dagli apostoli. Il messaggio da lui rivolto alle moltitudini che pendevano ansiose
dalle sue labbra, fu prezioso.
Mai prima di allora simili insegnamenti erano giunti alle loro orecchie. La
lieta notizia dell’amore del Cristo Salvatore, la certezza del perdono
e dalla pace mediante il sangue sparso per la remissione dei peccati, rallegravano
i cuori e infondevano in loro una speranza immortale. A Wittenberg si accese
una luce i cui raggi si sarebbero estesi fino agli estremi limiti della terra,
luce che col passare del tempo si sarebbe fatta sempre più risplendente.
Però, luce e tenebre non possono coesistere: fra verità ed errore
esiste un irriducibile conflitto. Sostenere e difendere la prima significa attaccare
e abbattere il secondo. Il nostro Salvatore stesso lo ha dichiarato: “Io
non sono venuto a metter pace, ma spada” Matteo 10:34.
Alcuni anni dopo l’inizio della Riforma, Lutero disse: “Dio non
mi guida: mi spinge avanti, anzi mi trascina addirittura! Io non sono padrone
di me stesso. Vorrei vivere tranquillo e invece mi sento gettato in mezzo ai
tumulti e alle rivoluzioni” D’Aubignè, vol. 5, cap. 2. Ora
egli stava per essere gettato proprio nel vivo della lotta.
La chiesa romana aveva fatto mercato delle grazie di Dio. Le tavole dei cambiavalute
(Matteo 21:12) erano state installate accanto agli altari, e l’aria risuonava
dalle grida dei venditori e dei compratori. Col pretesto di raccogliere il denaro
occorrente all’erezione della basilica di San Pietro a Roma, vennero messe
pubblicamente in vendita le indulgenze per il peccato, con l’autorizzazione
del pontefice.
Col prezzo del delitto si voleva erigere un tempio per l’adorazione
di Dio, tempio la cui pietra angolare avrebbe avuto come sostegno un salario
di iniquità. Però i mezzi escogitati per l’accrescimento
di Roma provocarono un colpo mortale che si abbatté sulla sua potenza
e sulla sua grandezza. Fu così che sorse il più deciso e vittorioso
oppositore del papato, e che ebbe origine la lotta che avrebbe scosso il trono
pontificio. e messo in pericolo il triregno che cingeva la fronte del papa.
Tetzel – l’ufficiale incaricato della vendita delle indulgenze in
Germania – si era macchiato di volgari offese contro la società
e contro la legge. Riuscito a sottrarsi al castigo che i suoi crimini meritavano,
era stato invitato a propagandare i progetti mercenari e privi di scrupoli di
Roma. Con grande sfrontatezza, Tetzel ripeteva le più audaci falsità
e narrava favole meravigliose per ingannare la gente ignorante, credula e narrava
favole meravigliose per ingannare la gente ignorante, credula e superstiziosa.
Se questa avesse posseduto la Parola di Dio, non si sarebbe lasciata ingannare.
Purtroppo, però, la Bibbia era stata tolta al popolo per tenerlo sotto
il dominio papale e accrescere, allo stesso tempo, la potenza e la ricchezza
degli ambiziosi dignitari ecclesiastici (Vedi John C. L. Gieseler, A Compendium
of Ecclesiastical History, per. 4, sez. 1, par. 5). Quando Tetzel entrava in
una città, era preceduto da un messaggero che annunciava: “La grazia
di Dio e del “Santo Padre” è alle vostre porte” D’Aubignè,
vol. 3, cap. 1. La gente accoglieva il blasfemo presuntuoso come se fosse stato
Dio stesso sceso dal cielo in terra. L’odioso traffico si installò
nella chiesa e Tetzel, salito sul pulpito, presentò le indulgenze come
il più prezioso dono di Dio. Egli dichiarava che in virtù dei
certificati di perdono, tutti i peccati che l’acquirente avrebbe avuto
l’intenzione di commettere gli sarebbero stati perdonati e che “non
era necessario alcun pentimento” Ibidem.
Oltre a ciò egli assicurava gli uditori che le indulgenze avevano il
potere di salvare non solo i vivi, ma anche i morti. Aggiungeva che non appena
la moneta toccava il fondo della cassa, l’anima, per la quale l’indulgenza
era stata comperata, lasciava il purgatorio per salire in paradiso (Vedi K.R.
Hagenbach, History of the Reformation, vol. 1, p. 96). Quando Simon Mago volle
acquistare il potere di fare dei miracoli, Pietro gli rispose: “Vada il
tuo danaro teco in perdizione, poiché hai stimato che il dono di Dio
si acquisti con danaro” Atti 8:20. Ma l’offerta di Tetzel venne
accolta con entusiasmo da migliaia di persone, e così oro e argento affluirono
nelle casse. Una salvezza che si poteva comperare con denaro era per molti preferibile
a quella che esigeva pentimento, fede e diligente sforzo per resistere al peccato
e vincerlo. Nella chiesa romana, la dottrina delle indulgenze era stata combattuta
da uomini dotti e pii, e non pochi erano coloro che non credevano a una pretesa
così contraria alla ragione e alla rivelazione.
Nessun prelato ardiva levare la propria voce contro questo empio traffico;
però le menti degli uomini erano turbate e si sentivano e disagio. Molti
si chiedevano, ansiosi, se Dio non si sarebbe servito di qualche strumento per
purificare la sua chiesa. Lutero, pur essendo ancora uno stretto papista, provava
orrore dinanzi alla sfrontatezza blasfema dei mercanti di indulgenze. Molti
della sua congregazione, che avevano comperato il certificato di perdono, andarono
da lui confessando vari falli e chiedendo l’assoluzione sulla base dell’indulgenza.
Lutero ricusò di assolverli e li avvertì che se non si fossero
pentiti e non avessero riformato la loro vita sarebbero periti nei loro peccati.
Perplessi, ritornano da Tetzel lamentandosi che il loro confessore aveva respinto
il certificato di indulgenza, e alcuni, addirittura, chiesero il rimborso del
denaro pagato. Il frate, furibondo, si lasciò andare alle più
terribili maledizioni, dichiarando di avere ricevuto dal papa “l’ordine
di bruciare tutti gli eretici che avessero osato opporsi alle sue santissime
indulgenze” D’Aubignè, vol. 3, cap. 4. Lutero allora entrò
in lizza come campione della verità.
La sua voce dinanzi al popolo il carattere odioso del peccato e affermò
che era impossibile all’uomo riuscire, con le sue opere, a sminuire la
propria colpa o a sottrarsi al castigo. Solo il pentimento e la fede in Cristo
possono salvare il peccatore. Egli suggeriva ai fedeli di astenersi dall’acquisto
delle indulgenze e li esortava a guardare con fede al Salvatore crocifisso.
Narrò la usa dolorosa esperienza personale e la sua vana ricerca della
salvezza mediante l’umiliazione e la penitenza, e assicurò gli
uditori di avere trovato la pace e la gioia solo rivolgendosi a Gesù
e confidando in lui. Poiché Tetzel continuava il suo traffico e insisteva
nelle sue empie pretese, Lutero decise di ricorrere a una protesta più
efficace contro simili abusi. Di lì a poco gli si presentò un’occasione
opportuna. La chiesa del castello di Wittenberg possedeva molte reliquie, che
in determinati giorni di festa venivano esposte al pubblico. A tutti coloro
che visitavano la chiesa e si confessavano, era accordata la piena remissione
dei peccati. In quelle ricorrenze la gente affluiva numerosa.
Il giorno precedente la festa di Ognissanti (31 ottobre 1517. N. d. T.),
Lutero affisse sulla porta della chiesa un foglio contenente novantacinque tesi
contro la dottrina delle indulgenze, e si dichiarò pronto a difenderle
l’indomani, all’università, contro chiunque avesse voluto
attaccarle. Le tesi attrassero l’attenzione di tutti. Furono lettere e
rilette, ripetute in ogni direzione. In città e all’università
venne a crearsi un’atmosfera di grande eccitazione. Con le tesi si dimostrava
che la facoltà di accordare il perdono dei peccati e la remissione della
pena non era stata mai data né al papa, né a qualsiasi altro uomo.
L’intero sistema delle indulgenze non era che una farsa, un artificio
inteso a estorcere denaro facendo leva sulla superstizione della gente; un’astuzia
di Satana per distruggere le anime di coloro che confidavano in quelle bugiarde
pretese.
Era anche chiaramente dimostrato che l’evangelo di Cristo è il
più ricco tesoro della chiesa e che la grazia di Dio, in esso rivelata,
viene gratuitamente accordata a chiunque la cerchi col pentimento e con la fede.
Le tesi di Lutero invitavano alla discussione, ma nessuno raccolse la sfida.
Le domande che egli proponeva furono conosciute, nel giro di pochi giorni, in
tutta la Germania, e in poche settimane si diffusero per tutto il mondo cristiano.
Molti devoti cattolici che avevano visto l’iniquità dominare nella
chiesa e se ne erano lagnati, pur non sapendo che cosa fare per frenarne il
progresso, lessero le tesi con viva gioia, riconoscendo in esse la voce di Dio.
Si rendevano conto che il Signore aveva steso la sua mano per arrestare l’ondata
di corruzione che minacciava di travolgere la chiesa. Principi e magistrati
si rallegravano segretamente che fosse stato posto un argine all’arrogante
potere che negava il diritto di appello alle sue decisioni. Nondimeno, moltissimi
erano quelli che, amando il peccato ed essendo vittime della superstizione,
rimasero sgomenti quando furono spazzati via i sofismi che avevano placato i
loro timori. Astuti ecclesiastici, ostacolati nella loro opera intesa a sanzionare
il crimine, vedendo che i loro guadagni erano in pericolo, si irritarono e si
sforzarono di difendere le loro pretese. Così il riformatore dovette
affrontare accaniti oppositori. Alcuni lo accusavano di presunzione, affermando
che egli non era guidato da Dio, ma dall’orgoglio e dalla sete di supremazia.
“Chi non sa”, egli replicava, “che un uomo raramente si fa
propugnatore di una nuova idea, senza che ciò gli attiri l’accusa
di orgoglio e di voler suscitare delle polemiche?... Perché Cristo e
i martiri furono messi a morte? Perché ritenuti presuntuosi, osteggiatori
della saggezza del loro tempo e perché sostenevano idee nuove, senza
prendere consiglio dagli oracoli delle antiche opinioni” Idem, vol. 3,
cap. 6. Aggiungeva: “Qualunque cosa io faccio, la farò non secondo
la prudenza degli uomini, ma secondo il consiglio di Dio.
Se l’opera è da Dio, chi potrà impedirla? Se non lo è,
chi potrà farla progredire? Non la mia, non la loro, non la nostra; ma
la tua volontà, Padre santo che sei nei cieli” Ibidem. Sebbene
Lutero fosse stato mosso dallo Spirito di Dio a cominciare la sua opera, non
doveva proseguirla senza affrontare dure lotte. L’opposizione dei nemici,
le loro calunnie sul suo operato e sui motivi che lo spingevano, si abbatterono
su di lui come un travolgente diluvio, e non mancarono di far sentire i loro
effetti. Lutero pensava che i capi del popolo, nella chiesa e nella chiesa e
nelle scuole, si sarebbero uniti a lui nei suoi tentativi di riforma. Parole
di incoraggiamento, da parte di quanti occupavano posizioni importanti, gli
avevano dato gioia e speranza. Egli aveva previsto per la chiesa l’alba
di un giorno più luminoso. Purtroppo, l’incoraggiamento si mutò
in rimprovero e in condanna.
Molti dignitari della chiesa e dello stato erano convinti della giustezza
delle sue tesi, però non tardarono a rendersi conto che accettarle significava
virtualmente la diminuzione dell’autorità di Roma e di conoscenza
l’inaridimento di quei rivoli che alimentavano il suo tesoro. Ne sarebbe
così derivata una sensibile diminuzione dei benefici che rendevano possibili
la stravaganza e il lusso dei capi della chiesa. Inoltre, insegnare alla gente
a pensare e ad agire come esseri responsabili, guardando solo a Cristo per la
salvezza, voleva dire rovesciare il trono papale e forse distruggere anche la
propria autorità. Per questi motivi, essi respinsero la conoscenza che
veniva loro offerta da Dio e si schierarono contro Cristo e contro la verità,
opponendosi all’uomo che Egli aveva mandato per illuminarli.
Lutero, nel pensare a se stesso tremava: un uomo che si opponeva alle maggiori
potenze della terra! Talvolta lo assaliva il dubbio: era stato davvero guidato
da Dio nella sua opposizione all’autorità della chiesa? “Chi
ero io” scriveva, per oppormi alla maestà del papa, dinanzi al
quale… i re della terra e il mondo intero tremavano?... Nessuno può
sapere quanto il mio cuore soffrì durante quei primi due anni e in quale
desolazione – quasi oserei dire disperazione – ero piombato”
Ibidem. Lutero, pertanto, non si perdette di animo perché, quando gli
venne meno l’appoggio umano, guardò a Dio e seppe di potersi appoggiare
fiducioso sul suo braccio onnipotente. A un amico della Riforma, Lutero scrisse:
“Noi non possiamo pervenire alla comprensione della Scrittura col semplice
studio o con la sola intelligenza. Tuo primo dovere è di cominciare con
la preghiera.
Chiedi a Dio di accordarti, nella sua grande misericordia, la facoltà
di capire la sua Parola. Non c’è altro interprete di essa all’infuori
del suo Autore. Egli stesso lo ha dichiarato: “Essi saranno tutti ammaestrati
da Dio”. Non aspettarti nulla dai tuoi sforzi, dal tuo raziocinio, ma
fida in pieno e unicamente in Dio e nell’azione del suo Spirito. Credi
questo sulla parola di un uomo che ne ha fatta l’esperienza “ Idem,
vol. 3, cap. 7. C’è qui una lezione di vitale importanza per chi
si sente chiamato a presentare agli altri le solenni verità dell’ora
presente. Queste verità provocheranno l’inimicizia di Satana e
degli uomini che preferiscono le favole da lui architettate. Nella lotta contro
le potenze del male, è necessario qualcosa di più che il vigore
dell’intelletto e della sapienza umana. Quando i nemici facevano appello
alle usanze, alla tradizione, oppure alle affermazioni e all’autorità
del papa, Lutero li affrontava con la Bibbia.
In essa vi erano argomenti ai quali essi non potevano replicare. Per conseguenza,
gli schiavi del formalismo e delle superstizioni chiedevano il suo sangue, come
i giudei avevano chiesto il sangue di Cristo. “E’ un eretico!”,
gridavano gli zelati romani”. E’ un alto tradimento verso la chiesa
lasciare che simile eretico viva un’ora di più. Che innalzi subito
il patibolo per lui!” Idem, vol. 3, cap. 9. Lutero, però, non fu
preda della loro ira: Dio aveva in programma un’opera per lui, e gli angeli
del cielo furono mandati a proteggerlo. Molti, però che avevano ricevuto
da lui la preziosa luce, furono oggetto dell’ira di Satana, e per amore
della verità affrontarono impavidi la tortura e la morte.
Gli insegnamenti di Lutero richiamarono in tutta la Germania l’attenzione
delle menti riflessive. Dai suoi sermoni e dai suoi scritti scaturivano fasci
di luce che svegliavano e illuminavano migliaia di persone. Una fede vivente
prendeva il posto del morto formalismo nel quale la chiesa era stata così
a lungo tenuta. La gente andava perdono giorno per giorno la fiducia nelle superstizioni
del Romanesimo e crollavano, a una a una, le barriere del pregiudizio. La Parola
di Dio, con la quale Lutero affrontava ogni dottrina e ogni pretesa della chiesa,
era simile a una spada a due tagli che penetrava nel cuore del popolo. Ovunque
si notava il risveglio e il desiderio di progresso spirituale. Ovunque c’era
fame e sete di giustizia, quali da secoli non si erano verificate. Gli occhi
della gente, a lungo rivolti sui riti umani e sui mediatori terreni, si volgevano
ora con fede e pentimento a Cristo. Questo interesse dilagante contribuì
ad accrescere i timori delle autorità papali. Lutero fu invitato a presentarsi
a Roma per rispondere all’accusa di eresia.
L’ordine riempì di sgomento i suoi amici, i quali sapevano molto
bene quale pericolo lo avrebbe minacciato in quella città, già
ebbra del sangue dei martiri di Gesù. Per conseguenza, essi protestarono
contro tale ordine e chiesero che Lutero venisse giudicato in Germania. L’accordo
fu raggiunto, e il papa nominò un suo legato perché si occupasse
del caso. Nelle direttive impartite dal pontefice, il legato fu avvertito che
Lutero era già stato dichiarato eretico, e fu invitato a “procedere
e a costringere senza ritardo”. Qualora Lutero fosse rimasto sulle sue
posizioni, il legato, se non fosse riuscito a impadronirsi della sua persona,
aveva ampia facoltà di “dichiararlo proscritto in ogni parte della
Germania e di bandire, maledicendo e scomunicando, chiunque si fosse unito a
lui,” Idem, vol. 4, cap. 2. Oltre a ciò il papa suggerì
al legato, nell’intento di estirpare la pestilenziale eresia, di scomunicare
tutti coloro che, indipendentemente dalla dignità rivestita – eccezione
fatta per l’imperatore – si fossero rifiutati di arrestare Lutero
e i suoi seguaci, per consegnarli alla vendetta di Roma. In quanto si manifesta
il vero spirito del papato. Nessuna traccia di principi cristiani o di comune
giustizia si può trovare in tutto il documento.
Lutero abitava molto lontano da Roma e non aveva nessuna possibilità
di spiegare o di difendere la sua posizione; eppure, ancor prima che il suo
caso fosse preso in esame, egli era stato dichiarato eretico e nello stesso
giorno esortato, accusato, giudicato e condannato. Tutto questo per opera del
“santo padre”, dell’unica autorità suprema e infallibile
nella chiesa e nello stato! Fu allora, quando cioè Lutero sentiva un
vivo bisogno di simpatia e di consiglio che Dio nella sua provvidenza mandò
a Wittenberg Zelantone, Giovane, modesto, circospetto, dotato di sano discernimento,
in possesso di una vasta cultura, ricco di una eloquenza trascinante tutto congiunto
con la purezza e la rettitudine del carattere, Zelantone seppe conquistarsi
la stima e l’ammirazione generali. La dovizia dei suoi talenti era non
meno notevole della bontà del animo. Egli divenne ben presto fervente
discepolo del Vangelo e fedele amico di Lutero, oltre che suo valido sostenitore.
La sua compitezza, la sua prudenza e il suo tatto, erano il degno completamento
del coraggio e dell’energia di Lutero. La loro unione aggiunse vigore
alla Riforma e fu per Lutero una fonte di grande incoraggiamento.
Augusta era stata designata come sede dell’incontro. Il riformatore
ci mise in cammino, a piedi, per raggiungere detta località. Seri timori
si in cammino, a piedi, per raggiungere detta località. Seri timori esistevano
per la sua incolumità. Infatti, era stato preso e ucciso durante il viaggio.
I suoi amici lo scongiurarono di non affrontare un’avventura così
rischiosa, e giunsero perfino a suggerirli di abbandonare Wittenberg per un
po’ di tempo e di rifugiarsi presso chi, con gioia, gli avrebbe offerto
un asilo sicuro. Egli, però, non intendeva abbandonare il posto assegnatogli
da Dio: sentiva di dover serbare fedelmente la verità, nonostante la
tempeste che minacciavano di abbattersi su di lui. Diceva: “Io sono come
Geremia: uomo di lotta e di contesa; però più aumentano le minacce,
più aumenta la mia gioia… Essi hanno distrutto il mio onore e la
mia reputazione. Rimane solo questo mio povero corpo. Se lo prendano! Abbrevieranno
la mia vita di poche ore. Però, quanto all’anima, essi non possono
prenderla.
Chi vuole proclamare al mondo la verità di Cristo, deve aspettarsi
la morte a ogni istante” Idem, vol. 4, cap. 4. La notizia dell’arrivo
di Lutero ad Augusta riempì di soddisfazione il legato pontificio. Il
“turbolento eretico”, che andava suscitando sempre più l’attenzione
del mondo, sembrava ora in potere di Roma. Il legato decise di non lasciarselo
sfuggire. Il riformatore aveva omesso di munirsi di un salvacondotto, e i suoi
amici lo avevano esortato a non presentarsi dinanzi al legato senza tale documento;
si erano anzi adoperati per procurargliene uno rilasciato dall’imperatore.
Il legato intendeva costringere Lutero a ritrattare e, qualora non vi fosse
riuscito, mandarlo a Roma dove avrebbe condiviso la sorte di Huss e di Gerolamo.
Per questo, tramite i suoi agenti, cercava di indurre Lutero a presentarsi a
lui senza salvacondotto, affidandosi alla sua misericordia. Il riformatore rifiutò
energicamente di aderire a tale richiesta e si presentò all’ambasciatore
papale solo dopo aver ricevuto il documento che gli garantiva la protezione
dell’imperatore. Con abile mossa politica, i partigiani del papa avevano
deciso di conquistare Lutero con un’apparenza di bontà. Il legato,
nel colloquio che ebbe con lui, si dimostrò amichevole, però invitò
Lutero a sottomettersi implicitamente all’autorità della chiesa
e a rinunciare, senza discutere, alle proprie idee. Egli non aveva giustamente
valutato il carattere dell’uomo che gli stava dinanzi. Lutero, rispondendo,
espresse il proprio rispetto per la chiesa, il proprio desiderio di verità,
la propria prontezza a rispondere a tutte le obiezioni relative al proprio insegnamento,
e si dichiarò pronto a sotto porre le proprie dottrine alla decisione
delle università che andavano per la maggiore.
Però, allo stesso tempo, protestò contro l’invito del
cardinale che gli chiedeva di ritrattare, senza dimostrargli in che cosa consistesse
il suo orrore. La risposta fu: “Ritratta! Ritratta!”. Il riformatore
dimostrò come la sua posizione fosse sostenuta dalle Scritture, e dichiarò
con fermezza che non avrebbe mai rinunciato alla verità. Il legato, incapace
di ribattere gli argomenti di Lutero, lo investì con un’ondata
di rimproveri, di sarcasmi e di lusinghe, inserendo qua e là citazioni
tratte dalle tradizioni dei padri e non dando al riformatore alcuna possibilità
di parlare. Lutero, visto che la conversione era del tutto inutile, chiese e
ottenne, sia pure con riluttanza, di poter rispondere per iscritto. “Così
facendo”, egli scrisse a un amico, chi è oppresso ha un duplice
vantaggio: primo, quello che è scritto può essere sottoposto al
giudizio altrui; secondo, si ha una migliore opportunità di agire sui
timori, se non sulla coscienza, di un despota arrogante e verboso che, caso
diverso, finirebbe con l’avere il sopravvento col suo linguaggio imperioso”
Martyn, The Life and Times of Luther, pp. 271, 272.
Al colloquio successivo, Lutero presentò un’esposizione chiara,
concisa e convincente delle proprie idee, accompagnata da numerose e adeguate
citazioni bibliche. Dopo averla letta ad alta voce, la consegnò al cardinale
che, con un gesto di disprezzo, la mise da una parte che si trattava solo di
una massa di parole oziose e di citazioni senza costrutto. A questo punto, Lutero
affrontò l’altezzoso prelato sul suo stesso terreno – tradizioni
e insegnamenti della chiesa – confutando tutte le sue affermazioni. Quando
il legato si rese conto che il ragionamento di Lutero non poteva essere reputato,
perdette ogni controllo e furibondo gridò: “Ritratta o ti manderò
a Roma per comparire davanti ai giudici incaricati di esaminare il tuo caso!
Io scomunicherò te, i tuoi sostenitori e tutti coloro che vorranno spalleggiarti,
e li caccerò dalla chiesa!”. Poi, con tono altezzoso e collerico
aggiunse: “Ritratta o non tornare mai più” D’Aubigné,
vol. 4, cap. 8.
Il riformatore si ritirò, accompagnato dai suoi amici, facendo chiaramente
comprendere che da lui non ci si doveva aspettare alcuna ritrattazione. Questo
però, non era quello che si era ripromesso il cardinale legato. Egli
si era lusingato di riuscire, con la violenza, a indurre Lutero a sottomettersi.
Rimasto solo con i suoi collaboratori, li guardò uno per uno, deluso
e contrariato dall’inattesa conclusione. Gli sforzi fatti da Lutero in
quella occasione non rimasero senza risultato.
I numerosi presenti avevano avuto modo di confrontare i due uomini e di giudicare
personalmente lo spirito da essi manifestato, come anche di valutare la forza
e la veracità delle rispettive posizioni. Quale contrasto! Il riformatore,
semplice, umile, impavido, si presentava sostenuto dalla potenza di Dio, con
la verità dalla sua parte. Il rappresentate del papa, pieno di sé,
altezzoso, irragionevole, privo di qualsiasi argomento scritturale, gridava:
“Ritratta! O sarai mandato a Roma per esservi punito!”. Nonostante
Lutero fosse munito di un regolare salvacondotto, i partigiani del papa complottavano
di prenderlo e di chiuderlo in carcere. Gli amici del riformatore insistevano
che era inutile prolungare il soggiorno, e che era meglio per lui rientrare
a Wittenberg senza indugio, dopo aver preso le necessarie precauzioni per tener
celati i propri movimenti. Egli, allora, lasciò Augusta prima dell’alba
a cavallo, accompagnato solo da una guida fornitagli dal magistrato. Con molti
tristi presentimenti, egli percorse in silenzio, per non richiamare l’attenzione
dei nemici che vigilanti e crudeli complottavano per la sua eliminazione, le
oscure e strette vie della città.
Sarebbe riuscito a sottrarsi alle insidie che lo minacciavano? Furono, quelli,
momenti di ansia e di fervida preghiera. Finalmente, egli giunse a una porticina
nel muro della città. Gli fu aperta, e una volta fuori i due si affrettarono
ad allontanarsi, prima che il legato fosse messo al corrente dell’accaduto.
Quando questi seppe della fuga, Lutero e la sua guida erano ormai fuori tiro.
Satana e i suoi complici erano stati sconfitti: l’uomo che volevano far
prigioniero era partito, sottraendosi, come un uccello, al laccio dell’uccellatore.
All’annuncio della scomparsa di Lutero, il legato rimase sorpreso e si
abbandonò a un parossismo di collera. Egli sperava di ricevere grani
elogi per la saggezza e la fermezza dimostrate nel trattare col disturbatore
della chiesa. Purtroppo, invece, e le sue speranze erano state frustate. In
una lettera a Federico, elettore di Sassonia, egli manifestò la propria
contrarietà, denunciando con acredine Lutero e invitando Federico a mandare
il riformatore a Roma, oppure a bandirlo dalla Sassonia.
A sua difesa, Lutero chiese che il legato, oppure il papa, dimostrasse con
la Bibbia in che cosa consistevano i suoi errori, e si impegnò solennemente
a rinunciare alle proprie dottrine qualora esse fossero risultate in contrasto
con la Parola di Dio. Inoltre, egli espresse la propria gratitudine al Signore
che lo aveva ritenuto degno di soffrire per una causa così santa. L’elettore
possedeva solo una parziale conoscenza delle dottrine del riformatore, ma era
rimasto profondamente impressionato dal candore, riformatore, ma era rimasto
profondamente impressionato dal candore, dalla forza e dalla chiarezza delle
parole di Lutero. Fino a che il riformatore non fosse stato convinto di errore,
Federico era deciso a ergersi a suo protettore.
In risposta alla richiesta del legato scrisse: “Poiché il dottor
Martino si è presentato ad Augusta, lei dovrebbe esserne soddisfatto.
Noi non ci aspettavamo che lei si sarebbe sforzato di indurlo a ritrattare,
senza prima averlo convinto dei suoi errori. Nessuno dei dotti del nostro principato
mi ha informato che la dottrina di Martino è empia, anticristiana o eretica”.
Così, il principe ricusò di mandare Lutero a Roma o di espellerlo
dai suoi stati” D’Aubigné, vol. 4, cap. 10. L’elettore
aveva notato la generale rilassatezza esistente nel campo della moralità
sociale e si era reso conto della necessità di un’opera di riforma.
I complicati e dispendiosi provvedimenti presi per reprimere e per punire le
azioni illegali sarebbero risultati vani se gli uomini si fossero decisi a riconoscere
e a rispettare le esigenze divine e i dettami di una coscienza illuminata. Egli
vide che Lutero si adoperava all’attuazione di tale scopo, e segretamente
si rallegrava che nella chiesa fosse penetrata e operasse una ventata di miglioramento.
Si convinse, inoltre, che Lutero come professore universitario sapeva il fatto
suo.
Era trascorso solo un anno da quando il riformatore aveva affisso le tesi
sulla porta della chiesa del castello, e già si notava una forte diminuzione
del numero di pellegrini che per la festa di Ognissanti visitavano quella chiesa.
Roma veniva privata di adoratori e di offerte, il cui posto preso da un’altra
categoria di persone: giungevano a Wittenberg non pellegrini che adoravano le
reliquie, ma studenti i quali affollavano le aule universitarie. Gli scritti
di Lutero avevano acceso dappertutto un nuovo interesse per le Sacre Scritture;
e così non solo dalla Germania, ma da altre nazioni gli studenti affluivano
a quella università. Dei giovani, arrivando per la prima volta in vista
di Wittenberg, “levavano le braccia al cielo e lodavano Iddio che aveva
fatto risplendere da quella città, come anticamente da Sion, la luce
della verità, luce che doveva estendersi alle più remote regioni”
Ibidem.
Intanto Lutero si era solo parzialmente convertito degli errori del Romanesimo.
Comunque, confrontando i sacri oracoli con i decreti e le costituzioni papali,
rimaneva stupito. “Io leggo” scriveva, “i decreti dei pontefici
e… non so se il papa è l’anticristo stesso o il suo apostolo,
tanto in essi Cristo viene travisato e crocifisso” Idem, vol. 5, cap.
1. Lutero era tuttora un sostenitore della chiesa romana, e neppure lontanamente
immaginava di doversene separare. Gli scritti del riformatore e le sue dottrine
si diffondevano in ogni nazione del mondo cristiano. L’opera si propagava
in Olanda e in Svizzera. Copie dei suoi scritti finirono in Francia e in Spagna.
In Inghilterra, i suoi insegnamenti furono accolti come parole di vita. Anche
nel Belgio e in Italia la luce si affermò. A migliaia le persone si scuotevano
dal loro sopore mortale e aprivano gli occhi alla gioia e alla speranza di una
vita di fede. Roma si preoccupava sempre più degli attacchi di Lutero;
e alcuni fanatici avversari del riformatore, come anche dei dottori di università
cattoliche, affermarono che chi avesse ucciso il monaco ribelle non avrebbe
commesso peccato. Un giorno uno sconosciuto, con una pistola nascosta sotto
il mantello, si avvicinò a Lutero e gli chiese perché andasse
in giro da solo.
“Io sono nelle mani di Dio”, fu la risposta. “Egli è
la mia forza e il mio scudo. Che cosa può farmi l’uomo?”
Idem, vol. 6, cap. 2. A queste parole l’uomo impallidì e fuggì
come se si fosse trovato in presenza degli angeli del cielo. Roma pensava all’eliminazione
di Lutero, ma Dio lo difendeva. Le sue dottrine echeggiavano dappertutto. “nelle
case di campagna, nei conventi… nei castelli dei nobili, nelle università
e perfino nei palazzi dei re. Da ogni parte, nobiluomini si ergevano a suoi
paladini per sostenerlo nei suoi sforzi” Ibidem. Fu intorno a quella epoca
che Lutero, leggendo le opere di Huss, seppe che la grande verità della
giustificazione per fede, che egli si sforzava di sostenere e di predicare,
era già nota al riformatore boemo e da lui proclamata. “Noi siamo
tutti: Paolo, Agostino e io stesso, degli ussiti senza saperlo… Certo
Dio ricorderà al mondo che tale verità gli è stata predicata
un secolo fa ed è stata bruciata” Wylie, vol. 6, cap. 1. In un
appello rivolto all’imperatore e alla nobiltà tedesca in favore
delle Riforma del cristianesimo, Lutero scrisse, nei confronti del papa: “E’
triste vedere l’uomo che si dice vicario di Cristo fare sfoggio di una
pompa che nessun imperatore può uguagliare. E’ egli simile al povero
Gesù e all’umile Pietro? Dicono che egli sia il signore del mondo!
Ma Cristo, del quale egli si vanta di essere il vicario, ha detto: “Il
mio regno non è di questo mondo!”. Possono i domini di un vicario
oltrepassare quelli del suo superiore? D’Aubigné vol. 6, cap. 3.
A proposito delle università, egli scrisse: “Io temo molto che
se le università non si adoperano diligentemente a spiegare le Sacre
Scritture e a imprimerle nel cuore dei giovani, finiranno col diventare le porte
dell’inferno. Sconsiglio di metterer i figli dove la Scrittura non ha
il primo posto. Ogni istituzione dove non si consulta sempre la Parola di Dio,
si corrompe” Ibidem. Questo appello si diffuse rapidamente in tutta la
Germania e fece colpo sull’opinione pubblica. L’intera nazione fu
scossa, e moltitudini di persone si schierarono sotto il vessillo della Riforma.
Gli oppositori di Lutero, assetati di vendetta, insistettero presso il papa
perché prendesse misure energiche nei suoi confronti. Fu decretato, allora,
che le dottrine luterane venissero immediatamente condannate. Al riformatore
e ai suoi seguaci furono concessi sessanta giorni di tempo per ritrattare.
Trascorso tale termine, essi, qualora avessero rifiutato di abiurare, sarebbero
stati scomunicati. Per la Riforma si trattava di un periodo particolarmente
critico. Per secoli, la scomunica da parte di Roma aveva suscitato il terrore
dei monarchi e riempito di sgomento e di desolazione imperi potenti. Coloro
sui quali si abbatteva la condanna venivano universalmente guardati con paura
e orrore; abbandonati da tutti, erano considerati dei fuorilegge, votati allo
sterminio. Lutero non era inconsapevole della tempesta che stava per esplodere
su di sé, però rimase saldo, confidando in Cristo, suo sostegno
e suo aiuto. “Io non so quello che accadrà, né mi preoccupo
di saperlo… Il fulmine si abbatta dove vuole: io non ho paura. Siccome
si dice che non cade foglia che Dio non voglia, è certo che Egli avrà
cura di noi.
Morire per la Parola è una bella cosa, perché la Parola che
si è fatta carne subì anch’essa la morte. Se noi muoiamo
con lui, con lui altresì vivremo. Passando là dove Egli è
passato prima di noi, ci troveremo là dove Egli è, e vivremo per
sempre con lui”, vol. 6, cap. 9, 3° ediz. di Londra, 1840. Quando
Lutero ricevette la bolla papale, esclamò: “Io la disprezzo e la
combatto perché empia e falsa… Cristo stesso vi è condannato.
Io mi rallegro di dover sopportare questi mali per la migliore delle cause.
Sento già nel mio cuore una maggiore libertà, perché finalmente
so che il papa è l’anticristo e che il suo trono è il trono
di Satana” Ibidem. Il documento papale non rimase senza effetto. Il carcere,
la tortura e la spada erano armi potenti, capaci di ridurre all’ubbidienza.
I deboli e i superstiziosi tremavano dinanzi al decreto papale e molti, pur
avendo simpatia per Lutero, stimavano troppo cara la propria vita per esporla
a motivo della Riforma. Tutto pareva indicare che l’opera del riformatore
stesse per finire. Lutero rimase impavido al suo posto. Roma aveva scagliato
contro di lui i suoi anatemi, e il mondo stava a guardare, nella certezza che
egli o si sarebbe piegato o sarebbe perito. Invece, contrariamente a ogni previsione,
Lutero riuscì a fare in modo che la sentenza di condanna si ritorcesse
contro chi l’aveva emessa, e affermò pubblicamente la propria decisione
di abbandonare per sempre Roma.
In presenza di una folla di studenti, di dottori e di cittadini di ogni ceto,
egli bruciò la bolla papale, le leggi canoniche, le decretali e altri
scritti che affermavano l’autorità del papa. “I miei nemici,
bruciando i miei libri”, disse, “sono riusciti a offendere la causa
della verità e, turbando le menti, a distruggere le anime. Per questo
motivo io a mia volta distruggo i loro libri. Ora comincia una grande lotta;
finora ho solo scherzato col papa. Ho cominciato questa opera nel nome di Dio
ed essa proseguirà anche senza di me, con la sua potenza” Idem,
vol. 6, cap. 10. Alle cause dei nemici che sottolineavano la debolezza della
sua causa, Lutero rispose: “Chissà se Dio non ha scelto e chiamato
proprio me, e se essi, disprezzandomi, non disprezzano Dio stesso? Mosè
era solo quando lasciò l’Egitto; solo era Elia al tempo di re Achab;
Isaia era solo a Gerusalemme ed Ezechiele solo in Babilonia… Dio non ha
mai scelto come profeta il sommo sacerdote o qualche altro grande personaggio.
Generalmente Egli ha scelto uomini umili e disprezzati; ha perfino scelto Amos,
un mandriano. In ogni tempo i santi hanno dovuto rimproverare i grandi: re,
principi, sacerdoti, a rischio della propria vita… Io non dico di essere
un profeta, però affermò che essi debbono temere proprio perché
mentre io sono solo, essi sono tanti. Di una cosa sono certo: la Parola di Dio
è con me e non con loro” Ibidem. Nondimeno, fu solo dopo una tremenda
lotta con se stesso che Lutero si decise a separarsi della chiesa. Intorno a
quella epoca egli scrisse: “Sento ogni giorno di più quanto sia
difficile rinunciare a quegli scrupoli che ci sono stati inculcati nell’infanzia.
Quanto dolore mi ha causato – nonostante avessi le Scritture dalla mia
parte – il fatto di dover prendere posizione contro il papa e denunciando
come l’anticristo! Quali non sono state le tribolazioni del mio cuore!
Quante volte mi sono chiesto, con amarezza, quello che così spesso ritorna
sulle labbra dei papisti: “Solo tu sei savio? E’ mai possibile che
tutti gli altri si siano sbagliati? Che ne sarebbe di te se dopo tutto risultasse
che sei nell’errore e che in questo tuo errore trascini tante anime che,
in tal modo, saranno eternamente dannate?”. E’ così che io
ho combattuto con me stesso e con Satana fino a che Cristo, con la sua infallibile
Parola, non ha fortificato il mio cuore contro questi dubbi” Martyn, Life
and Times of Luther, pp. 372,373. Il papa aveva minacciato Lutero di scomunica
qualora egli non avesse ritrattato. La minaccia si concretizzò: apparve
una bolla che annunciava la definitiva separazione di Lutero dalla chiesa romana
e che lo denunciava come maledetto dal cielo. Nella stessa condanna erano inclusi
quanti avessero accettato le sue dottrine.
Era cominciata la grande battaglia. L’opposizione è il retaggio
di tutti coloro di cui Dio si serve per presentare le verità adatte in
modo speciale al loro tempo. Ai giorni di Lutero vi era una verità presente
che rivestiva una importanza particolare. Oggi c’è per la chiesa
una verità attuale. Colui che fa ogni cosa secondo il beneplacito della
sua volontà, si è compiaciuto mettere gli uomini sotto svariate
circostanze e affidare loro compiti speciali per il tempo nel quale vivono e
per le condizioni in cui si trovano. Se apprezzeranno la luce che è stata
loro data, essi vedranno aprirsi dinanzi agli occhi loro più ampie visioni
di verità. Purtroppo, però, in generale la verità non è
oggi apprezzata più di quanto lo fosse dai partigiani del papa che si
opponevano a Lutero. Attualmente, come nel passato, esiste la stesa tendenza
ad accettare le teorie e le tradizioni umane al posto della Parola di Dio.
Quanti espongono la verità per il nostro tempo non dovrebbero aspettarsi
di essere accolti con maggior favore dei primi riformatori. Il grande conflitto
fra la verità e l’errore, fra Cristo e Satana andrà aumentando
di intensità via via che si avvicina la conclusione della storia di questo
mondo. Gesù disse ai suoi discepoli: “Se foste del mondo, il mondo
amerebbe quel ch’è suo; ma perché non siete del mondo, ma
io v’ho scelti di mezzo al mondo, perciò vi odia il mondo. Ricordatevi
della parola che v’ho detta: Il servitore non è da più del
suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato
la mia parola, osserveranno anche la vostra” Giovanni 15:19,20. In un’altra
occasione il Maestro disse molto semplicemente: “Guai a voi quando tutti
gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro hanno fatto lo stesso
coi falsi profeti” Luca 6:26. Lo spirito del mondo non è oggi in
armonia con lo Spirito di Cristo più di quanto lo fosse allora. Coloro
che predicano la Parola di Dio nella sua purezza, non saranno più favorevolmente
accolti ora di quanto lo furono allora. Le forme dell’opposizione alla
verità possono cambiare e l’inimicizia può apparire meno
aperta, perché più sottile; però lo stesso antagonismo
esiste tuttora e si manifesterà sino alla fine dei tempi.
UN CAMPIONE DELLA VERITA’.
Sul trono della Germania era salito un nuovo imperatore, Carlo V. Roma si affrettò
a fargli le sue congratulazioni e a chiedere al monarca di agire contro la Riforma.
L’elettore di Sassonia, invece, al quale Carlo era molto debitore della
corona, esortava l’imperatore a non procedere contro Lutero, fino a che
non gli avesse concesso un’udienza. Carlo V si trovò così
in grande perplessità e in serio imbarazzo. Mentre i seguaci del papa
chiedevano un editto che condannasse a morte Lutero, l’elettore affermava
con fermezza che “né la maestà imperiale, né alcuna
altra persona aveva dimostrato che gli scritti di Lutero fossero stati reputati”.
Perciò egli chiedeva che “il dottor Lutero fosse munito di un salvacondotto
che egli permettesse di presentarsi dinanzi a un tribunale di giudici dotti,
pii e imparziali” D’Aubigné, vol. 6, cap. 11. L’attenzione
di tutti, ora, si volgeva verso il raduno degli stati tedeschi che avrebbe avuto
luogo a Worms poco dopo l’ascesa al trono di Carlo V. In quel consiglio
nazionale sarebbero stati esaminati importanti problemi di carattere politico.
Per la prima volta i principi tedeschi si sarebbero incontrati col loro giovane
monarca in un’assemblea legislativa. Da tutte le parti della Germania
convenivano a Worms i dignitari della chiesa e dello stato. Nobili signori potenti,
gelosi dei loro diritti ereditari; ecclesiastici di alto lignaggio che facevano
sfoggio della loro autorità; cavalieri di corte accompagnati da scorte
armate; ambasciatori provenienti da lontane terre straniere: tutti si recavano
a Worms. Eppure, in quel grande consesso, l’argomento che suscitava il
più profondo interesse era la causa del riformatore sassone. In precedenza,
Carlo V aveva suggerito all’elettore di venire alla dieta accompagnato
da Lutero, al quale assicurava la sua protezione e una libera discussione con
uomini competenti delle questioni, oggetto della disputa. Lutero, a sua volta,
era ansioso di comparire davanti all’imperatore.
In quel tempo la sua salute era precaria, nondimeno egli scrisse all’elettore:
“Se io non potrò andare a Worms in buone condizioni fisiche, mi
ci farò trasportare malato come sono. L’imperatore mi chiama, e
io non dubito che tale invito venga da Dio stesso. Se essi intendono usarmi
violenza, il che è probabile (in quanto l’ordine di comparizione
non mi è stato rimesso perché i miei avversari desiderino accettare
i miei insegnamenti), io rimetto ogni cosa nelle mani del Signore. Tuttora vive
e tuttora regna Colui che protesse i tre giovani nella fornace ardente. Se Egli
non mi dovesse salvare, ebbene: in fondo la mia vita ha ben scarsa importanza.
Impediamo che l’Evangelo sia esposto allo scherno degli empi. Spargiamo
il sangue, purché essi non trionfino. Non sta’ a me decidere se
la mia vita o la mia morte contribuirà alla salvezza di tutti….
Da me potete aspettarvi qualunque cosa salvo la fuga o l’abiura.
Io non posso sottrarmi, né tanto meno ritrattare” Idem, vol.
7, cap. 1. Non appena a Worms si seppe che Lutero sarebbe comparso dinanzi alla
dieta, nacque un vivo fermento. Aleandro, il legato papale cui era stato affidato
il compito di occuparsi della vertenza, era allarmato e furibondo. Si rendeva
conto che l’esito del dibattito sarebbe stato disastroso per la causa
papale. Prendere in esame un caso per il quale il papa aveva già emesso
una sentenza di condanna, significava mettere in discussione l’autorità
del sommo pontefice. Inoltre, egli temeva che gli eloquenti e vigorosi argomenti
di Lutero riuscissero a sottrarre non pochi principi al partito del papa. Perciò
si afferrò a fare le sue rimostranze a Carlo V, insistendo perché
non si facesse venire il riformatore a Worms. Fu intorno a quella epoca che
apparve la bolla di scomunica contro Lutero.
Questo fatto, unito alle argomentazioni del legato, indusse l’imperatore
a cedere. Egli scrisse all’elettore che Lutero, se non intendeva ritrattarsi,
poteva rimanersene a Wittenberg. Non contento di questa vittoria, Aleandro si
adoperò con tutte le forze e con tutta l’astuzia di cui era capace,
per ottenere la condanna di Lutero. Con una tenacia degna di migliore causa,
egli sottopose la cosa all’attenzione dei principi, dei prelati e degli
altri esponenti dell’assemblea, accusando il riformatore di “sedizione,
ribellione, empietà e bestemmia”. Però la veemenza e la
passione di cui dava prova manifestavano in maniera troppo evidente lo spirito
che lo animava. “Egli è mosso più dall’odio e dalla
sete di vendetta”, fu l’osservazione generale, “che dallo
zelo e della pietà” Ibidem. La maggioranza dei componenti la dieta
si sentirono più che mai portati a considerare la causa di Lutero con
favore. Con raddoppiato zelo, Aleandro ricordò all’imperatore il
dovere che questi aveva di eseguire gli editti papali. Però date le vigenti
leggi della Germania, ciò non poteva essere fatto senza il consenso dei
principi. Carlo, alla fine, cedendo alle insistenze del legato romano, autorizzò
Aleandro a sottoporre il caso alla dieta.
“Per il nunzio quello fu un gran giorno. Grande era l’assemblea,
e ancora più grande era la causa in esame. Aleandro rappresentava Roma…
madre e signora di tutte le chiese”. Egli doveva rivendicare la supremazia
di Pietro dinanzi ai maggiori esponenti del mondo cristiano. Aleandro aveva
il dono dell’eloquenza, e ancora una volta si dimostrò all’altezza
della situazione. La provvidenza volle che Roma, prima di essere condannata,
fosse rappresentata e difesa dal suo più abile oratore, alla presenza
del tribunale più augusto” Wylie, vol. 6, cap. 4. Con giustificato
timore, quanti erano favorevoli al riformatore prevedevano gli effetti del discorso
di Aleandro. L’elettore di Sassonia non era presente, ma aveva incaricato
alcuni suoi consiglieri di parteciparvi e di prendere appunti su quanto il nunzio
avrebbe detto. Con tutta la forza del sapere e dell’eloquenza, Aleandro
si dispose ad abbattere la verità. Accusa su accusa fu da lui scagliata
contro Lutero, considerato nemico della chiesa e dello stato, dei vivi e dei
morti, del clero e dei laici, dei concili e dei singoli cristiani. “Negli
errori di Lutero”, egli disse, “ce n’è abbastanza per
far bruciare centomila eretici!”.
Concludendo, egli si sforzò di gettare il discredito sugli aderenti
alla fede riformata. “Che cosa sono tutti questi luterani? Un gruppo di
insolenti pedagoghi, di preti corrotti, di monaci dissoluti, di avvocati ignoranti,
di nobili degradati, uniti col popolo comune che essi sono riusciti a sviare
e a pervertire. Com’è loro superiore il partito cattolico, sia
per numero che per capacità e potenza! Un decreto unanime, da parte di
questa illustre assemblea, varrà a illuminare i semplici ad avvertire
gli imprudenti, a far decidere tentennati e a fortificare i deboli,” D’Aubigné,
vol. 7, cap. 3. In tutti i tempi i difensori della verità sono stati
attaccati con le stesse armi. Gli stessi argomenti sono tuttora adoperati contro
chi ardisce presentare, in contrasto con gli errori invalsi, i chiari e diretti
insegnamenti della Parola di Dio. “Chi sono questi predicatori di nuove
dottrine?”, esclamano coloro che desiderano una religione popolare. “Sono
privi di cultura, sono numericamente pochi e appartengono alla classe più
povera della società. Eppure, pretendono di avere la verità e
di essere il popolo eletto di Dio! Essi sono solo degli ignoranti e degli illusi.
Come è superiore, per numero e per prestigio, la nostra chiesa! Quanti
uomini grandi e dotti ci sono in mezzo a noi! Quanto maggiore è la potenza
che sta dalla parte nostra!” Questi sono gli argomenti che fanno presa
sul mondo; però essi anche oggi non sono più conclusivi di quanto
non lo fossero ai tempi del riformatore.
La Riforma non finì con Lutero, come forse alcuni pensano. Essa deve
proseguire sino alla fine della storia del mondo. Lutero aveva una grande opera
da compiere: far risplendere sugli altri la luce che Dio aveva fatto brillare
su di lui. Egli, però, non ricevette tutta la luce che doveva essere
data al mondo. Da allora, e fino ai nostri giorni, nuova luce ha continuato
a scaturire dalle Scritture, e nuove verità sono state a mano a mano
conosciute. Il discorso del prelato produsse una profonda impressione sulla
dieta. Lutero non era presente per affrontare il campione papale con le chiare
e convincenti verità tratte dalla Parola di Dio. Nessun tentativo fu
fatto per difendere il riformatore, ed era evidente la generale disposizione
non solo a condannare Lutero e le sue dottrine, ma anche, se possibile, a sradicare
l’eresia. Roma aveva goduto della più favorevole opportunità
di difendere la propria causa.
Tutto quello che essa poteva dire a sua difesa era stato detto. Però
quella apparente vittoria fu il segnale della sconfitta. Da quel momento crebbe
e si andò facendo sempre più netto il contrasto fra verità
ed errore. Da quel giorno Roma non sarebbe più stata sicura come lo era
stata fino ad allora. Mentre la maggior parte dei membri della dieta non avrebbero
esitato a consegnare Lutero alla vendetta di Roma, molti di essi si rendevano
conto – e la deploravano – della depravazione esistente nella chiesa,
e desideravano la soppressione di quegli abusi che opprimevano il popolo tedesco
a causa della corruzione e dell’ingordigia ecclesiastiche. Il legato aveva
presentato il governo papale sotto la luce più favorevole. Il Signore,
però, si servì, di un membro influente della dieta perché
fosse reso noto il vero volto della tirannia papale.
Con nobile fermezza, il duca Giorgio di Sassonia si alzò in quella
assemblea di principi, e con una tremenda precisione non esitò a elencare
gli inganni e le abominazioni del papato, con i risultati deprimenti che ne
derivano. Concludendo disse: “Questi sono alcuni degli abusi che gridano
contro Roma. Ogni ritegno è stato abbandonato e il loro unico obiettivo
è… denaro, denaro, denaro…, sì che i predicatori che
dovrebbero insegnare la verità, altro non predicano che falsità;
e non solo sono tollerati, ma vengono addirittura ricompensati, perché
maggiori sono le loro menzogne, maggiore è il loro guadagno. È
da questa triste sorgente che sgorgano tali acque inquinante.
La corruzione tende la mano all’avarizia… Ahimè, è
lo scandalo dato dal clero che spinge tante anime all’eterna dannazione.
È necessaria una riforma generale!” Idem, vol. 7, cap. 4.
Lo stesso Lutero non avrebbe potuto fare una più abile ed energica denuncia
degli abusi papali. Il fatto, poi, che l’oratore fosse nemico dichiarato
di Lutero, dava alle sue parole una forza ancora più grande. Se gli occhi
dei presenti fossero stati aperti, avrebbero visto in mezzo a loro gli angeli
di Dio gettare raggi di luce per dissipare le tenebre dell’errore e schiudere
menti e cuori all’accettazione della verità. La potenza dell’Iddio
di verità e di sapienza dominava gli stessi avversari della Riforma,
e preparava la via alla grande opera che doveva essere fatta.
Martin Lutero non era presente, però in quel congresso si era fatta udire
la voce di Uno più grande di lui. La dieta nominò una commissione
incaricata di redigere un elenco delle oppressioni papali che tanto fortemente
gravavano sul popolo tedesco. La lista, che conteneva ben cento e una specificazioni,
fu presentata all’imperatore, accompagnata dalla richiesta di prendere
immediatamente le misure necessarie per la repressione di tali abusi.
“Quanta perdita di anime”, dicevano i compilatori della lista,
“quante depredazioni, quante estorsioni in seguito agli scandali che circondano
il capo spirituale della cristianità! È nostro dovere impedire
sia la rovina che il disonore del nostro popolo. Molto umilmente ma con insistenza
imploriamo che si ordini una riforma generale e si vegli sulla sua attuazione
“” Ibidem. Il concilio, allora, chiese che il riformatore fosse
convocato dinanzi all’assemblea.
Nonostante l’opposizione, le proteste e le minacce di Aleandro, l’imperatore
finì con l’accondiscendere alla richiesta, e Lutero venne invitato
a presentarsi alla dieta. L’invito era accompagnato da un salvacondotto
che gli garantiva il ritorno in piena sicurezza.
Invito e salvacondotto furono recati a Wittenberg da un araldo incaricato
di accompagnare Lutero a Worms. Gli amici di Lutero erano terrificati e sgomenti.
Consapevoli dei pregiudizi e dell’inimicizia di cui il riformatore era
l’oggetto, temevano la violazione del salvacondotto ed esortavano Lutero
a non mettere a repentaglio la sua vita. Egli rispose: “I papisti desiderano
non tanto la mia andata a Worms quanto la mia condanna e la mia morte. Questo,
però, non ha molta importanza. Perciò, pregate non per me, ma
per la Parola di Dio… Che Cristo mi dia il suo Spirito per vincere i ministri
dell’errore. Io li ho disprezzati in vita e ne trionferò con la
mia morte. Essi, a Worms, si adoperano per indurmi all’abiura; ebbene,
questa sarà la mia ritrattazione: prima dicevo che il papa era il vicario
di Cristo; ora affermo che egli è l’avversario del nostro Signore
e l’apostolo del diavolo! “” Idem, vol. 7, cap. 6.
Lutero non fece quel pericoloso viaggio da solo. Oltre al messaggero imperiale,
vi erano con lui tre amici fedeli. Anche -Melantone- avrebbe voluto unirsi a
loro, perché il suo cuore era legato a quello di Lutero e intendeva seguire
l’amico, condividendone, se necessario, il carcere e la morte. Però
la sua proposta fu respinta. Se Lutero fosse morto, le speranze della riforma
avrebbero dovuto accentrarsi sul giovane collaboratore. Prima di partire per
Worms, Lutero disse a Melantone: “Se io non dovessi ritornare, continua
a insegnare e rimani saldo nella fede.
Lavora al mio posto… Se tu sopravvivi, la mia morte avrà poca conseguenza”
Idem, vol. 7, cap. 7. Studenti e cittadini, riunitisi per assistere alla partenza
di Lutero, erano profondamente commossi. La moltitudine di quanti erano stati
toccati dal Vangelo, che è la Parola di Dio, lo salutò con lagrime.
Fu così che il riformatore e i suoi compagni lasciarono Wittenberg.
Lungo il viaggio essi ebbero modo di notare come la gente fosse pervasa da tristi
presentimenti.
In certe località non furono oggetto di alcune attenzione. Fermatisi
in una cittadina per trascorrervi la notte, un prete amico espresse i propri
timori mettendo sotto gli occhi di Lutero il ritratto di un riformatore italiano
che aveva subìto il martirio. L’indomani seppero che a Worms erano
stati condannati gli scritti di Lutero. Messaggeri imperiali andavano attorno
proclamando il decreto dell’imperatore che invitava la gente a consegnare
ai magistrati le opere incriminate. L’araldo, temendo per la sicurezza
di Lutero e pensando che la sua risolutezza fosse scossa, gli chiese se intendeva
ancora proseguire il viaggio. La risposta fu: “Sebbene io sia interdetto
in ogni città, andrò ugualmente avanti” Ibidem.
A Erfurt, Lutero venne accolto con onori. Circondato da una folla ammirata,
percorse le vie che anni prima aveva calcato col suo sacco di frate mendicante.
Visitò la sua cella nel convento e rievocò le lotte attraverso
le quali la luce che aveva illuminato la sua anima si era propagata per tutta
la Germania. Fu invitato a predicare. La cosa gli era stata vietata, ma l’araldo
glielo permise, ed egli poté cosi salire sul pulpito. Dinanzi a un folto
pubblico, il riformatore parlò sulle parole di Gesù: “Pace
a voi!”. “Filosofi, dottori e scrittori”, disse, “si
sono affaticati per indicare agli uomini la via eterna: ma non vi sono riusciti.
Io, ora, vi dirò… Dio ha risuscitato dai morti un uomo, il Signore
Gesù Cristo, affinché Egli distruggesse la morte, estirpasse il
peccato e chiudesse le porte dell’inferno. Questa è l’opera
della salvezza… Cristo ha vinto: ecco il lieto annuncio. Voi siete salvati,
non per le vostre opere, ma per la sua opera… Il nostro Signore ha detto:
“Pace a voi. Guardate le mie mani!”. Ciò significa: “Uomo,
guarda: sono io, io solo che ho tolto via il tuo peccato e ti ho riscattato.
Ora tu hai la pace”. Questo dice il Signore”.
Proseguì dimostrando che la vera fede è manifestata da una
vita santa. “Poiché Dio ci ha salvati, facciamo in modo che le
nostre opere gli siano accettate. Sei ricco? Che il tuo servizio sia accetto
al ricco. Se il tuo lavoro è utile solo a te, il servizio che pretendi
offrire a Dio è pura menzogna” Ibidem. La gente ascoltava a bocca
aperta. Il pane della vita era spezzato a quelle anime affamate, dinanzi alle
quali Cristo veniva innalzato al di sopra dei papi, dei legati, degli imperatori
e dei re. Lutero non fece parola della sua pericolosa situazione, né
cercò di richiamare su di sé il pensiero e la simpatia degli altri.
Nella contemplazione di Cristo, egli aveva perduto di vista il proprio io. Nascondendosi
dietro l’Uomo del Calvario, si sforzava di presentare Gesù, il
Redentore dei peccatori. Via via che Lutero proseguiva il suo viaggio, notava
il crescente interesse delle popolazioni.
Le moltitudini lo circondavano, e voci amiche lo avvertivano circa gli scopi
dei papisti. “Essi ti bruceranno”; dicevano alcuni, “e ridurranno
il tuo corpo in cenere, come fecero con Giovanni Huss”. Lutero rispondeva:
“Se anche accendessero un fuoco da Worms a Wittenberg, fuoco le cui fiamme
giungessero fino al cielo, io lo attraverserei nel nome del Signore, per presentarmi
dinanzi a loro, entrare nella fauci di questo behemot (animale mostruoso. N.
d. T.); spezzargli i denti, confessando il Signore Gesù Cristo”
Ibidem. La notizia del suo approssimarsi a Worms provocò un vivo fermento.
Gli amici temevano per la sua incolumità, mentre i nemici temevano per
la riuscita della loro causa.
Furono fatti strenui sforzi per dissuaderlo di entrare nella città.
Su istigazione dei papisti, gli fu consigliato di rifugiarsi nel castello di
un cavaliere amico dove, gli si diceva, tutte le difficoltà sarebbero
state amichevolmente appianate. Gli amici cercavano di alimentare i suoi timori,
descrivendo i pericoli, che lo minacciavano. Ogni sforzo, però, fu vano:
Lutero fu incrollabile, e dichiarò: “Se a Worms ci fossero tanti
diavoli sono i tegoli su tetti delle case, io vi entrerei” Ibidem. Al
suo arrivo a Worms, una gran folla si accalcò alle porte della città
per dargli il benvenuto. Simile concorso di popolo non si era visto neppure
in occasione dell’omaggio tributato allo stesso imperatore. Intensa era
l’agitazione.
Di mezzo alla folla saliva una voce lamentosa che cantava un inno funebre,
quasi volesse avvertire Lutero della sorte che lo aspettava. “Dio sarà
la mia difesa”, egli disse mentre scendeva dalla carrozza che lo aveva
trasportato fin là. I papisti non credevano che Lutero si sarebbe avventurato
a presentarsi a Worms, e perciò il suo arrivo li riempì di costernazione.
L’imperatore chiese ai propri consiglieri quale linea di condotta gli
convenisse seguire. Uno dei vescovi – un rigido seguace del papa –
dichiarò: << Ci siamo a lungo consultati su questo argomento: che
sia maestà imperiale si sbarazzi subito di questo uomo. Sigismondo non
fece bruciare Giovanni Huss?
Noi non siamo tenuti a dire o a rispettare il salvacondotto di un eretico
>>. << No! >> rispose l’imperatore; << noi dobbiamo
mantenere la parola data >> Idem, vol. 7, cap. 8. Fu così deciso
che il riformatore fosse ascoltato. Tutta la città era ansiosa di vedere
quello uomo notevole, e ben presto una vera processione di visitatori si avviò
verso il luogo dove egli alloggiava.
Lutero si era appena ristabilito dalla precedente malattia, era stanco di un
viaggio faticoso durato due settimane, e doveva prepararsi per affrontare, l’indomani,
gli eventi decisivi della sua vita. Aveva perciò bisogno di quiete e
di riposo. Però così grande era il desiderio della folla di vederlo
che egli, dopo poche ore di riposo, si vide costretto ad accogliere quanti venivano
a lui:
nobili, cavalieri, sacerdoti, cittadini. Fra questi vi erano molti membri della
nobiltà i quali avevano chiesto all’imperatore una riforma degli
abusi ecclesiastici e che, come dice Lutero “erano stati liberati dal
mio Evangelo” Martyn, Life and Times of Luther, p. 393. Nemici e amici
venivano a vedere l’indomabile monaco, ed egli accoglieva tutti e a tutti
rispondeva con dignità e saggezza. Il suo comportamento emanava fermezza
e coraggio.
Il suo volto lido, magro, segnato dalla fatica e dalla malattia, aveva sempre
un’espressione lieta e gentile. La solennità e la sincerità
delle sue parole gli davano una forza che gli stessi nemici erano incapaci di
sostenere. Amici e avversari erano stupiti. Alcuni si convincevano che egli
era sostenuto da una forza divina, mentre altri – come farisei con Gesù
– dicevano: “Egli ha il demonio!”. L’indomani, Lutero
fu invitato a presentarsi dinanzi alla dieta. Un ufficiale imperiale ebbe l’incarico
di scortarlo fino alla sala di udienza. Non fu un compito facile raggiungerla,
perché ogni strada era gremita di persone che volevano vedere il monaco
che aveva osato resistere all’autorità del papa. Al momento di
comparire dinanzi ai giudici, un vecchio generale, eroe di molte battaglie,
gli disse con bontà: “Povero monaco, povero tu stai per occupare
una posizione molto più nobile di quella che io o qualsiasi altro comandante
abbia mai occupato nelle più sanguinose battaglie. Se la tua casa è
giusta e tu ne sei convinto, vai avanti nel nome di Dio e non aver paura di
nulla. Dio non ti abbandonerà” D’Aubigné, vol. 7,
cap. 8.
Finalmente Lutero si trovò alla presenza del concilio. L’imperatore
era seduto sul trono, circondato dai più illustri personaggi dell’impero.
Mai un uomo si era trovato al cospetto di un’assemblea più imponente
di quella dinanzi alla quale Lutero era chiamato a rispondere della fede. “Questa
sua comparizione era, di per se stessa, una vittoria segnalata sul papato. Il
papa aveva condannato quello uomo: ed ecco che egli si trovava ora di fronte
a un tribunale che, per questo stesso atto, si metteva al di sopra del papa.
Il papa l’aveva scomunicato e bandito dalla società, ma le autorità
si rivolgevano a lui con un linguaggio rispettoso e lo ricevevano davanti alla
più augusta assemblea del mondo. Il papa l’aveva condannato a perpetuo
silenzio: ed ecco che invece Lutero stava per parlare al cospetto di migliaia
di attenti ascoltatori convenuti dalle più remote parti del mondo cristiano.
Per mezzo di quel riformatore si stava verificando un’immensa rivoluzione.
Roma già cominciava a scendere dal suo trono, e questa sua umiliazione
era stata provocata dalla voce di un monaco” Ibidem.
Dinanzi a quella potente assemblea, il riformatore, di umili origini, sembrava
imbarazzato e sgomento. Vari principi, notando la sua emozione, gli si accostarono,
e uno di essi gli sussurrò: “Non temere coloro che uccidono il
corpo, ma non possono uccider l’anima!”. Un altro disse: “E
sarete menati davanti a governatori e re per cagione mia nel mio nome, lo Spirito
del Padre vostro vi suggerirà quello che dovete dire”. Così
le parole di Cristo erano ricordate dai più grandi uomini del mondo,
per fortificare il suo servo nell’ora della prova. Lutero fu accompagnato
al posto assegnatoli, proprio di fronte al trono dell’imperatore. Un profondo
silenzio si fece in quella augusta assemblea. Un ufficiale imperiale si alzò
e, additando una raccolta di scritti del riformatore, chiese che questi rispondesse
a due domande: se egli, cioè, li riconoscesse per suoi e se fosse disposto
a ritrattare le opinioni espresse in essi.
Essendo stati letti i titoli, Lutero rispose che li riconosceva per suoi.
“Quando alla seconda domanda”, egli disse, “dato che si tratta
di cosa che riguarda la fede e la salvezza delle anime e coinvolge il tesoro
più prezioso del cielo e della terra, cioè la Parola di Dio, io
non vorrei agire con imprudenza, il che avverrebbe se io rispondessi senza riflettere.
Potrei affermare meno di quello che le circostanze esigono o più di quello
che la verità richiede. In tal modo io peccherei contro le parole di
Cristo: “Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io
rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” Matteo
10:33. Per questa ragione, io chiedo in tutta umiltà alla Maestà
vostra che mi sia dato il tempo per rispondere senza recare offesa alla Parola
di Dio” D’Aubigné, vol. 7, cap. 8. Formulando questa richiesta,
Lutero agiva con molta saggezza.
Questo suo comportamento, infatti, convinse i presenti che egli non agiva
spinto dall’impulso o dalla passione. Tanta calma e tanta padronanza di
sé, inattesi in chi si era dimostrato ardito oltre che deciso a non addivenire
a compromessi di sorta, accresceva la sua forza e lo metteva in condizione di
rispondere con una prudenza, una decisione, una saggezza e una dignità
tali da sorprendere o contrariare gli avversari i quali si vedevano puniti della
loro insolenza e del loro orgoglio. Il giorno seguente egli doveva presentarsi
per dare la risposta. Per un momento sentì il suo cuore venir meno, passando
alle forze coalizzate contro la verità. La sua fede ebbe un attimo di
titubanza: timore e tremore lo invasero, e si sentì come sopraffatto
dall’orrore.
I pericoli andavano moltiplicandosi intorno a lui; pareva che i nemici stessero
per trionfare, e sembrava che le potenze delle tenebre dovessero avere il sopravvento.
Le nubi si addensavano sul suo capo, separandosi da Dio, ed egli bramava avere
la certezza che il Signore degli eserciti sarebbe stato con lui. Con angoscia
di spirito si gettò con la faccia per terra e si abbandonò a quei
gridi strazianti e desolati che solo Dio può comprendere pienamente.
<< Onnipotente ed eterno Iddio >>, imploro, << come è
terribile questo mondo! Ecco, esso apre la sua bocca per inghiottirmi e io ho
così poca fiducia in te … Se io ripongo la mia fiducia nella forza
terrena, tutto è finito… La mia ultima ora è giunta; la
mia condanna è stata pronunciata… Dio mio, aiutami contro la sapienza
umana!
Fallo… Tu solo… Perché questa non è opera mia: è
l’opera tua. Io non posso fare nulla per controbattere i grandi del mondo…
Ma la causa è tua… ed è una causa giusta ed eterna. Signore,
aiutami! Fedele e immutabile Dio, io non ripongo la mia fiducia in nessun uomo…
Tutto ciò che è umano è incerto: tutto quello che procede
dall’uomo viene meno… Tu mi hai scelto per questa opera… sii
al mio fianco, per amore del tuo diletto figliuolo Gesù Cristo, che è
la mia difesa, il mio scudo e il mio alto rifugio. Amen! >> Ibidem. Una
lungimirante provvidenza di Dio aveva permesso che Lutero si rendesse conto
del rischio e non confidasse nelle proprie forze, correndo, così, presuntuosamente
incontro al pericolo.
Nondimeno, non era il timore delle sofferenze personali, della tortura e della
morte che lo riempiva di terrore: era giunta della crisi, ed egli sentiva la
propria incapacità di affrontarla. A motivo della sua debolezza, la causa
della verità poteva subire un rovescio. Perciò egli lottava con
Dio, non per la propria salvezza, bensì per il trionfo del Vangelo. L’angoscia
e il tormento della sua anima erano paragonabili a quelli provati da Giacobbe,
Lutero prevalse. Conscio della propria impotenza, egli si aggrappò a
Cristo, suo potente liberatore, e si sentì fortificato dalla certezza
che non sarebbe stato solo dinanzi al concilio. La pace scese nella sua anima
ed egli si rallegrò di avere il privilegio di tenere alta la Parola di
Dio dinanzi ai capi della nazione. Con la mente ancorata in Dio, Lutero si accinse
ad affrontare l’imminente cimento. Elaborò la sua risposta, esaminò
alcuni passi dei suoi scritti, e attinse dalle Sacre Scritture valide prove
a sostegno delle sue posizioni. Poi, posando la mano sinistra sul sacro Libro
aperto dinanzi a sé, levò la destra verso il cielo e fece voto
<<di rimanere fedele alle Sacre Scritture e di confessare apertamente
la propria fede, anche se con questo avesse dovuto suggellare la sua testimonianza
col sangue >> Ibidem. Quando egli fu nuovamente introdotto alla presenza
della dieta, il suo volto non recava traccia di timore o di imbarazzo. Calmo
e tranquillo, con portamento nobile e dignitoso, egli si levò
come testimone di Dio in mezzo ai grandi della terra. L’ufficiale imperiale
gli chiese quale fosse la sua decisione, e cioè se intendeva ritrattare
le sue dottrine. Lutero rispose in tono umile e semplice, del tutto scevro da
violenza o da passione. Il suo contegno era rispettoso e deferente e ispirava
tale fiducia e tale gioia che tutti ne furono sorpresi. “Serenissimo imperatore,
augusti principi, graziosi signori”, esordì. “Mi ripresento
oggi dinanzi a voi in conformità all’ordine datomi ieri e, per
la misericordia di Dio, scongiuro la Maestà vostra e le vostre auguste
grandezze di voler ascoltare con la dovuta benevolenza la difesa di una causa
che, ne sono certo, è giusta e vera. Se per ignoranza io dovessi venir
meno agli usi e alle esigenze delle corti, vi prego di volermi perdonare perché
io non sono stato allevato nei palazzi dei re, ma nella oscurità di un
convento” Ibidem.
Venendo alla domanda rivoltagli, egli affermò che le opere da lui pubblicate
non erano tutte dello stesso carattere. In alcune di esse egli aveva trattato
della fede e delle buone opere, e perfino i suoi avversari non le ritenevano
nocive, anzi utili. Ritrattarle significava condannare quelle verità
che tutti confessavano. Il secondo gruppo consisteva in scritti che esponevano
la corruzione e gli abusi del papato. Revocarli voleva dire rafforzare la tirannia
di Roma e spalancare le porte a molte empietà. Nel terzo gruppo dei suoi
libri, egli aveva attaccato individui colpevoli i avere difeso dei mali evidenti.
Circa queste opere, egli francamente confessò di essere stato più
violento del dovuto. Non pretendeva di essere senza colpe, però anche
quei libri non potevano essere ripudiati perché, se lo avesse fatto,
i nemici della verità si sarebbero imbaldanziti e avrebbero avuto così
l’occasione di opprimere con maggiore crudeltà il popolo di Dio.
“Ad ogni modo, io non sono Dio: sono un semplice uomo”, proseguì,
perciò mi difenderò come fece il Cristo: “Se ho mal parlato,
testimoniate del male”…
Per la misericordia di Dio io vi scongiuro, serenissimo imperatore e illustrissimi
principi, uomini di ogni ceto, di provarmi con gli scritti dei profeti e degli
apostoli in che cosa ho sbagliato. Non appena sarò convinto di questo,
ritratterò ogni errore e sarò il primo a prendere i miei libri
e a gettarli nel fuoco”. “Quello che ho detto mostra chiaramente,
spero, che ho valutato e considerato accuratamente i pericoli ai quali mi espongo;
però, lungi dall’essere allarmato, mi rallegro nel costare che
l’Evangelo é tuttora, come sempre lo è stato nei secoli,
causa di turbamento e di dissenso. D’altra parte, è questo il destino
della Parola di Dio. Gesù lo ha detto: “Io non sono venuto a mettere
la pace, ma la spada”.
Dio è sublime e tremendo nei suoi consigli; perciò guardatevi
che, nell’intento di eliminare le discussioni, non finiate col perseguitare
la Parola di Dio e con l’attirare su voi un diluvio di insormontabili
pericoli, di disastri presenti e di desolazioni eterne… Potrei citare
numerosi esempi tratti dagli oracoli di Dio, parlare dei faraoni d’Egitto,
dei re di Babilonia e d’Israele, le cui opere contribuirono largamente
alla loro distruzione quando, ricorrendo a consigli in apparenza saggi, cercarono
di rafforzare il proprio dominio. “Dio rimuove le montagne, ed essi-non
lo sanno” Ibidem. Lutero aveva parlato in tedesco; invitato a ripetere
le stesse parole in latino. Sebbene egli fosse esausto per lo sforzo sostenuto,
pure accondiscese alla richiesta e ripeté il discorso con la stessa chiarezza
e la stessa energia di prima.
Anche in questo si manifestò la provvidenza di Dio. Le menti di molti
principi erano talmente accecate dall’errore e dalla superstizione, che
durante il primo discorso non erano riuscite ad afferrare tutta la forza dell’argomentazione
di Lutero. Ma durante la ripetizione del discorso in latino, essi riconobbero
la chiarezza dei punti presentati. Quanti ostinatamente avevano chiuso gli occhi
alla luce ed erano decisi a non lasciarsi convincere dalla verità, erano
furibondi a motivo della potente parola di Lutero. Quando egli ebbe finito,
il portavoce della dieta disse con voce irata: “Tu non hai risposto alla
domanda che ti è stata fatta… Sei invitato, perciò, a dare
una risposta chiara e precisa… Ritratti, sì o no?”. Lutero
rispose: “Siccome sua Maestà serenissima e le auguste autorità
richiedono da me una risposta chiara, semplice e precisa, io la darò
ed è questa: io non posso sottomettere la mia fede né al papa,
né ai concili, perché è chiaro come la luce che essi si
sono spesso sbagliati e contraddetti. Perciò, a meno che io non venga
convinto mediante la testimonianza della Scrittura o dal più chiaro ragionamento,
e che non sia persuaso mediante i passi da me citati, si che la mia coscienza
venga in tal modo legata dalla Parola di Dio, io non posso, né voglio
ritrattare, perché per un cristiano è cosa pericolosa parlare
contro la propria coscienza.
Questa è la mia posizione. Non posso altrimenti. Che Dio mi aiuti.
Amen” Ibidem. Quell’uomo giusto si appoggiava sul sicuro fondamento
della Parola di Dio. Il suo volto era illuminato da una luce celeste, e la grandezza
e la purezza del suo carattere, la pace e la gioia del suo cuore erano manifeste
a tutti, mentre egli parlava contro la potenza dell’errore e testimoniava
di quella fede che vince il mondo. Per alcuni istanti l’intera assemblea
rimase muta di meraviglia. La prima volta che si era presentato alla dieta,
Lutero aveva parlato con voce bassa, con atteggiamento rispettoso, quasi sottomesso.
I papisti avevano interpretato la cosa come un’indicazione che il suo
coraggio veniva meno, e ritenevano che la sua richiesta di una dilazione fosse
il preludio dell’abiura. Carlo V stesso, notando quasi con sprezzo l’aspetto
sofferente del frate, il suo abbigliamento modesto, la semplicità del
suo linguaggio, aveva detto: “Questo monaco non farà mai di me
un eretico!”. Il coraggio e la fermezza di cui ora Lutero dava prova,
uniti alla forza e alla chiarezza del suo ragionamento, sorpresero tutti.
L’imperatore, ammirato, esclamò: Questo monaco parla con cuore
intrepido e con coraggio incrollabile”. Molti principi tedeschi osservavano
con gioia mista a orgoglio questo rappresentante della loro nazione. I sostenitori
di Roma erano sconfitti in quanto la loro causa appariva sotto una luce sfavorevole.
Essi cercarono di conservare il loro potere non già ricorrendo alle Scritture,
ma servendosi delle minacce, che sono l’immancabile argomento di Roma.
Il portavoce della dieta disse: se non ritratti, l’imperatore e i principi
si consulteranno circa la condotta da tenere nei confronti di un eretico incorreggibile”.
Gli amici di Lutero, che avevano ascoltato con gioia la sua nobile difesa, tremarono
a queste parole; ma il riformatore stesso replicò con calma: “Che
Dio mi aiuti, perché io non posso ritrattare nulla” Ibidem. Egli
fu invitato a ritirarsi, mentre i principi si consultavano. Ognuno si rendeva
conto di essere arrivato a un punto critico. Il persistente rifiuto di Lutero
a sottomettersi poteva influire per secoli sulla storia della chiesa. Fu deciso
di dargli un’altra opportunità per ritrattarle.
Per l’ultima volta Lutero fu chiamato dinanzi all’assemblea, e
di nuovo gli fu domandato se intendeva rinunciare alle sue dottrine. La sua
risposta fu: “Io non ho altra risposta se non quella che ho già
data”. Era le promesse, né con le minacce. Gli esponenti di Roma
erano oltremodo contrariati nel vedere la loro autorità che aveva fatto
tremare i re e i nobili, schernita da un umile Lutero, resosi conto del pericolo
che lo minacciava, aveva parlato con dignità e calma cristiane. Le sue
parole erano state scevre da orgoglio, da passione e da infingimenti. Perdendo
di vista se stesso e i grandi che lo circondavano, egli si era sentito alla
presenza di Colui che è infinitamente superiore a papi, a prelati, a
re a imperatori.
Attraverso la sua testimonianza aveva parlato Cristo, con una potenza e un’elevatezza
tali che, almeno sul momento, avevano sorpreso e sgomentato amici e nemici.
Lo Spirito di Dio era stato presente a quel concilio, provocando una profonda
impressione nei cuori dei capi dell’impero. Vari principi riconobbero
la giustizia della causa di Lutero: molti furono convinti della verità;
ma per alcuni, invece, l’impressione riportata fu di breve durata. Ci
fu anche un altro gruppo di persone che non espressero subito le proprie convinzioni
ma che, in un secondo tempo, dopo un attento esame delle Scritture, divennero
intrepidi sostenitori della Riforma. L’elettore Federico, che aveva atteso
con ansia l’apparizione di Lutero dinanzi alla dieta, aveva ascoltato
con viva emozione il discorso di questi e, con gioia mista a orgoglio, era stato
spettatore del coraggio, della franchezza e della padronanza di sé dimostrati
dal giovane dottore, per cui decisi di schierarsi dalla sua parte. Egli contrastò
i partiti contrari, consapevole che la sapienza dei papi, dei re e dei prelati
era stata sconfitta dalla potenza della verità. Il papato aveva subìto
una disfatta che si sarebbe fatta sentire in tutte le nazioni e in tutti i secoli
futuri.
Quando il legato si rese conto dell’effetto prodotto dal discorso di
Lutero, temette come mai prima per la sicurezza del potere romano, e decise
di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per abbattere il riformatore.
Con l’eloquenza e l’abilità diplomatica che lo distinguevano,
egli spiegò al giovane imperatore la follia e il pericolo di sacrificare,
per la causa di un frate insignificante, l’amicizia e il sostegno della
potente sede romana. Le sue parole sortirono l’effetto desiderato. L’indomani
del discorso di Lutero, Carlo V fece leggere in piena diéta un messaggio
nel quale egli annunciava ufficialmente la sua determinazione di seguire la
politica dei suoi predecessori, mantenendo e proteggendo la religione cattolica
romana. Avendo Lutero rifiutato di ripudiare i propri errori, le misure più
drastiche dovevano essere prese contro di lui e contro la sue eresie. <<
Un frate, sviato dalla propria follia, si è levato contro la fede della
cristianità. Per estirpare questa eresia io sono pronto a sacrificare
i miei regni, i miei tesori, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue, la mia
anima, la mia vita. Nel rimandare l’agostiniano Lutero, gli proibisco
di provocare nelle masse il benché minimo disordine. Procederò
contro di lui e contro i suoi aderenti, considerandoli eretici contumaci, avvalendomi
della scomunica, dell’interdetto e di ogni altro mezzo che serva a distruggerli.
Invito i membri degli stati a comportarsi da fedeli cristiani >>
Idem, vol. 7, cap. 9. L’imperatore, comunque, dichiarò che il salvacondotto
di Lutero sarebbe stato rispettato, e che prima di procedere contro di lui,
si doveva dare a questi la possibilità di rientrare sano e salvo nella
sua residenza. A questo punto i membri della dieta espressero due pareri discordi:
i rappresentanti del papa chiedevano che il salvacondotto del riformatore non
fosse rispettato. “Il Reno”, dicevano, “deve accogliere le
sue ceneri, come un secolo fa accolse quelle di Huss” Ibidem. I principi
della Germania, invece, sebbene fossero in favore del pontefice e nemici dichiarati
di Lutero, protestarono contro tale idea, ritenendola una macchia per l’onore
della nazione. Ricordando le calamità che erano seguite alla morte di
Huss, e dissero che non osavano richiamare sulla Germania e sul capo del loro
giovane imperatore la ripetizione di quei terribili mali. Lo stesso Carlo ebbe
a dire: “Anche se l’onore e la fede fossero banditi da tutto il
mondo, dovrebbero trovare sempre un ricetto nel cuore dei principi” Ibidem.
I più accaniti avversari di Lutero insistettero ancora perché
Carlo si comportasse, verso di lui, come si era comportato Sigismondo con Giovanni
Huss: abbandonarlo alla mercé della chiesa.
L’imperatore, allora, rievocando la scena nella quale Huss dinanzi alla
pubblica assemblea aveva additato le catene che lo imprigionavano e ricordato
al monarca la promessa da lui fatta e violata, affermò: “Io non
voglio arrossire come Sigismondo!” Lenfant, History of the Council of
Constance, vol. 1, p. 422. Carlo V aveva deliberatamente respinto la verità
esposta da Lutero. “Io sono fermamente deciso a imitare l’esempio
dei miei antenati”, scrisse il monarca. D’Aubigné, vol. 7,
cap. 9. Egli non intendeva abbandonare il sentiero della consuetudine, neppure
per calcare la via della verità e della giustizia. Come i suoi padri,
egli intendeva sostenere il papato con tutta la sua crudeltà e corruzione.
Avendo preso questa decisione, egli rifiutò di accettare la luce che
i suoi padri non avevano ricevuta o di sottomettersi a dei doveri che essi non
avevano compiuto.
Anche ai nostri giorni sono molti coloro che come lui rimangono ancorati alle
abitudini e alle tradizioni dei padri. Quando il Signore manda loro nuova luce,
essa la respingono perché i loro padri, non avendola conosciuta, ovviamente
non l’hanno accettata. Dato però che noi non viviamo più
ai tempi dei nostri padri, è chiaro che i nostri doveri e le nostre responsabilità
non sono gli stessi dei loro. Noi non potremo ricevere l’approvazione
di Dio se ci atteniamo all’esempio dei nostri padri per decidere circa
il nostro dovere, anziché studiare personalmente la Parola di verità.
La nostra responsabilità è maggiore di quella che avevano i nostri
giorni antenati. La nostra è una duplice responsabilità: verso
la luce che essi ci hanno trasmesso e verso la luce ulteriore che mediante la
Parola di Dio è giunta fino a noi. Gesù disse dei giudei increduli:
“Se io non fossi venuto, e non avessi loro parlato, non avrebbero alcun
peccato; ma ora non hanno scusa alcuna del loro peccato” Giovanni 15:22
(D). Questa stessa parola divina aveva parlato per mezzo di Lutero all’imperatore
e ai principi della Germania. Mentre la luce si sprigionava dalla Parola di
Dio, lo Spirito Santo, forse per l’ultima volta, rivolgeva un diretto
appello a molti presenti in quella assemblea.
Come Pilato, che molti secoli prima aveva permesso all’orgoglio e all’ambizione
di chiudergli il cuore parole del Redentore del mondo; come Felice che tremando
aveva detto al messaggero di verità: “Al presente vattene; ma un’altra
volta… io ti manderò a chiamare” Atti 24:25; come Agrippa,
che aveva detto: “Per poco non mi persuadi a diventar cristiano”
Atti 26:28, e si era distolto dal messaggio del cielo, così Carlo V,
cedendo ai suggerimenti della politica e del rispetto umano, aveva deciso di
respingere la luce della verità. La notizia che drastiche misure sarebbero
state prese nei confronti di Lutero, provocò un vivo fermento in tutta
la città. Il riformatore si era fatti molti amici che, ben sapendo di
quali crudeltà era capace Roma verso chi ardiva smascherare la sua corruzione,
decisero di adoperarsi perché egli non venisse sacrificato.
Centinaia di nobili si impegnarono a proteggerlo, e non pochi furono coloro
che denunciarono il messaggio imperiale in quanto esso rivelava una supina sottomissione
al potere romano. Sulle porte delle case e nei luoghi pubblici apparvero delle
scritte per e contro Lutero. Una riportava le parole del Sapiente: “Guai
a te, o paese il cui re è un fanciullo!” Ecclesiaste 10:16. L’entusiasmo
popolare in favore di Lutero, propagatosi in tutta la Germania, convinse Carlo,
e la dieta che qualsiasi atto di ingiustizia nei confronti del riformatore avrebbe
messo in pericolo non solo la pace dell’impero, ma addirittura la stabilità
del trono. Federico di Sassonia, intanto, manteneva una studiata riservatezza,
celando con massima cura i suoi reali sentimenti verso Lutero; ma seguiva con
incessante vigilanza i suoi movimenti e quelli dei suoi nemici.
Non mancavano, però, quelli che senza timore manifestavano la loro
simpatia per il monaco di Wittenberg, che riceveva visite di principi, conti,
baroni e persone di alto lignaggio, sia laici che ecclesiastici. “La piccola
stanza del dottore”, scriveva Spalatino, “è insufficiente
ad accogliere tutti quelli che vanno a trovarlo” Martyn, vol. 1, p. 404.
La gente lo considerava quasi sovraumano, e perfino quanti avversavano le sue
dottrine non potevano fare a meno di ammirare la sua scrupolosa integrità
ce lo spingeva e sfidare la morte piuttosto che andare contro i dettami della
propria coscienza. Reiterati tentativi furono fatti per indurre Lutero a un
compromesso con Roma. Nobili e principi gli fecero capire che se egli persisteva
nell’attenersi al proprio giudizio anziché a quello della chiesa
e dei concili, sarebbe stato bandito dall’impero e avrebbe finito col
trovarsi senza difesa. A questo avvertimento egli rispose: “L’Evangelo
di Cristo non può essere predicato senza pericolo…
Perché, allora, il timore delle conseguenze dovrebbe separarmi dal
Signore e dalla sua Parola che sola è verità? Preferisco esporre
il mio corpo, il mio sangue, la mia vita” D’Aubigné, vol.
7, cap. 10. Nuovamente sollecitato a sottomettersi al giudizio dell’imperatore,
perché così non avrebbe avuto nulla da temere, Lutero rispose:
“Io acconsento con tutto il cuore che l’imperatore, i principi e
perfino il più consento con tutto il cuore che l’imperatore, i
principi e perfino il più umile con tutto il cuore che l’imperatore,
i principi e perfino il più umile dei cristiani esaminiamo e giudichino
le mie opere, ma a condizione che essi prendano come regola di indagine la Parola
di Dio.
Gli uomini non debbono fare altro che ubbidire ad essa. Non cercate di forzare
la mia coscienza: essa è legata, incatenata alle Sacre Scritture”
Ibidem. A un successivo invito, egli rispose: “Accondiscendo a rinunciare
al mio salvacondotto, alla mia vita, alla mia persona che rimetto nelle mani
dell’imperatore, ma non alla Parola di Dio: mai!” Ibidem. Egli era
disposto a sottomettersi alle decisioni di un concilio generale, ma solo se
esso si pronunciava secondo la Scrittura. “Per quanto riguarda la Parola
di Dio e la fede”, diceva, “ogni cristiano è altrettanto
buon giudice del papa, fosse pure questi sostenuto da milioni di concili”
Martyn, vol. 1 p. 410. Alla fine, amici e nemici si convinsero che ogni tentativo
per una riconciliazione sarebbe stato vano. Se Lutero avesse ceduto su un solo
punto, Satana e le sue schiere avrebbero riportato la vittoria.
La sua incrollabile fermezza, perciò, fu strumento di emancipazione
per la chiesa, oltre che punto di partenza di una èra nuova e migliore.
L’influsso di questo uomo, che ardiva pensare e agire da sé nelle
cose della religione, doveva farsi sentire sulla chiesa e sul mondo non solo
allora, ma anche nelle future generazioni. La sua fermezza e la sua fedeltà
avrebbero fortificato tutti coloro che, alla fine dei tempi, sarebbero dovuti
passare per un’esperienza analoga. La potenza e la maestà di Dio
prevalsero sul consiglio degli uomini e sul potere di Satana. Lutero ricevette
l’ordine, da parte delle autorità imperiali, di rientrare in sede.
Egli sapeva che quell’ordine sarebbe stato presto seguito dalla sua condanna.
Nubi minacciose si andavano addensando sul suo capo, però nel lasciare
Worms il suo cuore era pieno di pace e di gioia: “Il diavolo stesso”,
diceva, “proteggeva la cittadella del papa, ma Cristo vi ha fatto una
larga breccia e Satana è stato costretto a riconoscere che il Signore
è più forte di lui!” D’Aubigné, vol. 7, cap.
11. Dopo la partenza, Lutero, ancora desideroso che la sua fermezza non fosse
scambiata per ribellione, scrisse all’imperatore: “Dio, che investiga
i cuori, mi è testimone che io sono sinceramente pronto a ubbidire a
sua Maestà, in onore o in disonore, in vita e in morte, per la quale
l’uomo ha vita. In tutte le cose di questa vita, la mia fedeltà
non verrà mai meno, perché in essa la perdita e il guadagno non
hanno conseguenza alcuna sulla salvezza.
Quando, invece, sono in gioco gli interessi eterni, Dio non vuole che l’uomo
si sottometta all’uomo, in quanto tale sottomissione nelle cose dallo
spirito è un vero culto, culto che deve essere tributato solo al Creatore”
Ibidem. Lungo il viaggio di ritorno da Worms, Lutero fu ovunque accolto con
una cordialità maggiore di quella manifestatagli nel viaggio di andata.
Alti prelati diedero il benvenuto al monaco scomunicato, e governatori civili
onorarono l’uomo che era stato denunciato dall’imperatore. Invitato
a predicare, egli accettò, nonostante il divieto imperiale, e salì
sul pulpito: “Io non mi sono mai impegnato a incatenare la Parola di Dio”,
disse, “né lo farò” Martyn, vol. 1, p. 420.
Egli aveva da poco lasciato Worms, quando i papisti riuscirono a strappare
all’imperatore un editto contro Lutero. In esso, il riformatore veniva
denunciato come “Satana stesso sotto forma di un uomo che indossa il saio
di frate” D’Aubigné, vol. 7, cap. 11. Quel decreto ordinava
che non appena il salvacondotto fosse scaduto, dovevano essere prese delle misure
atte a mettere fine alla sua opera. Tutti erano diffidati di ospitarlo, di dargli
cibi o bevande, di aiutarlo o favorirlo, in pubblico e in privato, con atti
o con parole. Ovunque egli si fosse trovato, doveva essere preso e consegnato
alle autorità. I suoi aderenti dovevano essere incarcerati e le loro
proprietà confiscate. I suoi scritti dovevano essere distrutti e, infine,
chiunque avesse osato agire contro questo decreto sarebbe stato incluso nella
condanna da esso comminata.
L’elettore di Sassonia e i principi amici di Lutero avevano lasciato
Worms poco dopo la partenza del monaco, e così il decreto imperiale ebbe
la sanzione della dieta. I partigiani di Roma giubilavano certi che ormai le
sorti della Riforma fossero decise. In quella ora di pericolo, Dio aveva provveduto
una via di scampo per il suo servitore. Un occhio vigile aveva seguito le mosse
di Lutero, e un cuore nobile e sincero aveva deciso di soccorrerlo. Era evidente
che Roma poteva essere soddisfatta solo con la morte del riformatore, e che
l’unico mezzo per sottrarlo alle fauci del leone era di nasconderlo. Dio
diede a Federico di Sassonia la saggezza di escogitare un piano efficace che
si attuò per merito dei fedeli amici dell’elettore, e per il quale
Lutero fu efficacemente nascosto agli amici e ai nemici. Durante il viaggio,
egli fu preso separato da quanti lo accompagnavano e trasportato attraverso
la foresta nel castello della Wartburg, isolata fortezza montana. Il rapimento
e la scomparsa di Lutero furono avvolti da tanto mistero, che per molto tempo
stesso Federico ignorò dove l’avessero condotto.
Tale ignoranza, però, non era casuale poiché l’elettore,
non conoscendo il suo nascondiglio, non poteva fornire indicazioni di sorta.
A lui, del resto, bastava la certezza che Lutero fosse in salvo. Trascorsero
la primavera, l’estate, l’autunno e giunse l’inverno. Lutero
era sempre nascosto. Aleandro e i suoi partigiani esultavano perché sembrava
che la luce del Vangelo stesse per spegnersi. Ma non era così. Il riformatore
andava alimentando la sua lampada, attingendo alla riserva della verità.
La luce stava per brillare con maggiore intensità di prima. Nell’accogliente
sicurezza della Wartburg, Lutero per un po’ di tempo si rallegrò
di essere fuori dal calore e dal tumulto della battaglia. Però non si
sentiva soddisfatto di quella quiete riposante. Abituato com’era a una
vita piena di attività, non riusciva a starsene inoperoso.
In quei giorni di solitudine, le condizioni della chiesa gli apparvero in
tutta la loro cruda realtà, e sgomento gridò: “Ahimè,
non c’è nessuno in questi ultimi giorni dell’ira di Dio che
si erga come un muro dinanzi al Signore e salvi Israele!” Idem, vol. 9,
cap. 2. Poi, pensando a se stesso, temete di essere accusato di codardia per
essersi sottratto alla lotta. Cominciò, allora, a rimproverarsi della
propria indolenza mentre, in realtà, ogni giorno faceva più di
quanto fosse possibile a un uomo. La sua penna non era mai inoperosa e i suoi
nemici, che si rallegravano del suo silenzio, rimasero prima atterriti e poi
confusi dalla prova tangibile della sua attività. In tutta la Germania
circolavano numerosi opuscoli scritti da lui. Inoltre, egli compì un’opera
mirabile traducendo il Nuovo Testamento in lingua tedesca. Dal suo roccioso
Patos, egli continuò per circa un anno a proclamare l’Evangelo
e a condannare i peccati e gli errori del suo tempo.
Se Dio aveva ritirato Lutero dalla vita pubblica, non era solo per proteggerlo
dall’ira dei nemici, né per dargli un periodo di quiete che gli
consentisse di fare i suoi importanti lavori; lo aveva fatto in vista di risultati
più preziosi da conseguire. Nella solitudine e nell’oscurità
del suo rifugio montano, Lutero si trovò separato dall’appoggio
e dall’elogio degli uomini. Fu messo così al riparo dall’orgoglio
e dalla presunzione tanto spesso provocati dal successo. La sofferenza e l’umiliazione
lo prepararono a calcare di nuovo le alte vette alle quali era subitamente pervenuto.
Quando gli uomini si rallegrano della libertà che deriva dalla verità,
sono inclini a esaltare i servitori di cui Dio si serve per spezzare le catene
dell’errore e della superstizione.
Satana cerca di distogliere da Dio i pensieri e gli affetti degli uomini e
di farli convergere sugli strumenti umani. Egli li induce a onorare lo strumento
e a ignorare la mano che dirige gli eventi della Provvidenza, e allora troppo
spesso i capi religiosi così elogiati e riveriti perdono di vista la
loro dipendenza dall’Altissimo e finiscono col confidare in se stessi.
Essi cercano di dominare le menti e le coscienze di quanti, anziché alla
Parola di Dio, guardano a loro per essere guidati.
L’opera della Riforma è spesso ritardata da questo spirito,
del resto incoraggiato dai suoi stessi sostenitori. Dio, però, protesse
la Riforma da simile pericolo, poiché voleva che l’opera portasse
la sua impronta e non quella dell’uomo. Gli sguardi degli uomini si erano
fissati su Lutero; egli disparve perché la gente guardasse non già
al predicatore della verità, ma all’Autore di essa.
LA LUCE SI ACCENDE IN SVIZZERA.
Nella scelta degli strumenti per la riforma della chiesa, si nota lo stesso
piano divino che provvide a crearla. Il Maestro trascurò i grandi della
terra, i nobili, i ricchi perché, abituati a ricevere l’omaggio
e la lode popolari, erano troppo orgogliosi, troppo convinti della loro superiorità
per lasciarsi modellare in modo da poter simpatizzare con i loro simili e diventare
collaboratori dell’Uomo di Nazaret. Per conseguenza, l’invito fu
rivolto agli umili pescatori della Galilea: “Venite dietro a me, e vi
farò pescatori d’uomini” Matteo 4:19. Essi erano modesti,
disposti a farsi istruire; non avevano subito l’influsso del falso insegnamento
del loro tempo, e con più successo Cristo poteva educarli e formarli
per il suo servizio. Lo stesso avvenne al tempo della grande Riforma. I riformatori
più in vista erano uomini di umile origine, scevri da bigottismo e clericalismo.
Rientra nel piano di Dio a ricorrere a strumenti umili per compiere grandi cose;
in questo modo la gloria non va ascritta agli uomini, ma a Colui che opera per
mezzo di essi il volere e l’operare secondo la sua benevolenza.
Alcune settimane dopo la nascita di Lutero in una capanna di minatori della
Sassonia, nacque Ulrico Zuinglio in una cassetta di pastori sulle Alpi. L’ambiente
in cui Zuinglio trascorse l’infanzia e ricevette la sua prima educazione,
contribuì non poco a prepararlo per la sua futura missione. Allevato
in mezzo al meraviglioso scenario della natura, la sua mente fu portata a sentire
tutta la forza, la grandezza e la maestà di Dio. Il racconto delle eroiche
gesta compiute sulle Alpi natie accese di entusiasmo le sue aspirazioni giovanili.
Dalle labbra della sua pia nonna imparò alcuni episodi biblici che ella
attingeva dalle leggende e dalle tradizioni della chiesa. Con vivo interesse
egli ascoltò la storia dei patriarchi, dei profeti, dei pastori che vegliavano
sulle loro greggi fra le colline della Palestina, quando gli angeli apparvero
e annunciarono loro la nascita del Fanciullino di Betlemme, l’Uomo del
Calvario. Come Giovanni Lutero, il padre di Zuinglio desiderava che il figlio
acquisisse una vasta istruzione e, per questo, dovette ben presto mandarlo fuori
della valle natia. Il ragazzo, infatti, faceva dei progressi così rapidi
che diventò un vero problema trovare degli insegnamenti che lo aiutassero
a completare la sua preparazione. Per questo, all’età di tredici
anni Zuinglio andò a Berna dove esisteva una delle più importanti
scuole della Svizzera. Qui, però, c’era un pericolo che minacciava
di annullare le aspettative riposte in lui: i frati facevano di tutto per indurlo
a entrare in un convento.
Domenicani e francescani erano rivali: cercavano di accaparrarsi il favore
popolare e speravano riuscirvi sia per i magnifici ornamenti delle loro cerimonie,
come per il richiamo esercitato da celebri reliquie e da miracolose immagini.
I domenicani di Berna capirono che se fossero riusciti ad avere la collaborazione
di quel giovane di talento, ne avrebbero tratto vantaggio e onore. La sua giovinezza,
la sua abilità naturale come oratore e come scrittore, il suo genio per
la musica e per la poesia sarebbero stati più efficaci della pompa e
dello sfarzo nell’attirare la gente, e avrebbero avuto, così, un
maggiore gettito di entrate per il loro ordine.
Con inganni e lusinghe fecero di tutto per convincere Zuinglio ad accettare
la vita monastica. Lutero, quando era ancora studente, si era seppellito nella
cella di un convento, e sarebbe stato perduto per il mondo se la provvidenza
di Dio non fosse intervenuta per liberarlo. A Zuinglio non fu permesso di correre
tale pericolo perché suo padre, informato dei progetti, dei frati e affatto
desideroso che il suo unico figlio vivesse la vita oziosa e inutile dei monaci,
lo fece tornare subito a casa. Si rendeva conto che era in gioco il suo avvenire.
Ulrico, però, non poteva adattarsi a rimanere nella valle natia, e dopo
un po’ di tempo andò a Basilea per continuarvi gli studi. Fu qui
che per la prima volta conobbe l’Evangelo della grazia gratuita di Dio.
Wittenbach, un insegnante di lingue morte, studiando il greco e l’ebraico
era venuto in contatto con le Sacre Scritture, e per mezzo di lui i raggi del
sole della verità penetravano nelle menti dei suoi studenti. Egli dichiarava
che c’era una verità più antica e di valore infinitamente
maggiore di quella rappresentata dalle teorie insegnate dai filosofi e dagli
studiosi. Questa antica verità era che la morte di Cristo è l’unico
riscatto del peccatore. Queste parole furono per Zuinglio come il primo raggio
di luce che precede l’aurora. Non passò molto che Zuinglio fu invitato
a lasciare Basilea per cominciare quella che doveva essere l’opera della
sua vita. Il suo primo campo di lavoro fu una parrocchia alpina, non lungi dalla
sua valle.
Consacrato sacerdote, egli si diede “con tutta l’anima alla ricerca
della verità divina, consapevole”, dice un amico riformatore, “di
quanto debba conoscere che ha avuto l’incarico di pascere la greggia di
Cristo” Wylie, vol. 8, cap. 5. Più studiava le Sacre Scritture,
più gli appariva chiaro il contrasto fra le verità in esse contenute
e le eresie di Roma. Egli accettava la Bibbia come la Parola di Dio, come unica
e infallibile regola di vita, e si rendeva conto che essa è l’interprete
di se stessa. Non ardiva spiegare le Scritture per sostenere una dottrina o
una teoria frutto di pregare le Scritture per sostenere una dottrina o una teoria
frutto di preconcetti, e stimava fosse suo dovere accettare l’insegnamento
logico e naturale di esse. Si sforzò di avvalersi di ogni aiuto per ottenere
una piena ed esatta conoscenza del significato della Bibbia. Per questo invocava
l’ausilio dello Spirito Santo che – egli diceva – gli avrebbe
rivelato tutte quelle cose che andava sinceramente cercando con preghiera. “Le
Scritture”, che affermava Zuinglio, “procedono da Dio, non dall’uomo.
Quello stesso Dio che ti illumina, ti darà la consapevolezza che quel
linguaggio proviene da lui. La Parola di Dio… non può fallire;
essa risplende, insegna, conforta, illumina l’anima, reca salvezza e grazia,
umilia per spingere ad aggrapparsi a Dio”.
Zuinglio aveva provato personalmente la verità di queste parole. Più
tardi, alludendo a quella sua esperienza, scrisse: “Quando… cominciai
a darmi completamente alle Sacre Scritture, la filosofia e la teologia (scolastica)
avevano sempre costituito per me una di contrasti. Finalmente giunsi alla conclusione
di lasciare tutta quella menzogna e imparare il significato da Dio, mediante
la sua pura e semplice Parola. Fu così che comincia a chiedere a Dio
la luce, e da allora la Scrittura mi apparve molto più facile”
Idem, vol. 8, cap. 6. La dottrina insegnata da Zuinglio non veniva da Lutero:
era la dottrina di Cristo. “Se Lutero predica Cristo”, diceva il
riformatore svizzero “fa quello che faccio io. Quelli che egli ha condotti
a Cristo sono più numerosi di quelli che vi ho condotto io.
La cosa, però, non ha importanza. Io non voglio portare altro nome
se non quello di Cristo, del quale sono soldato e che stimo essere il mio unico
Capo. Io non ho mai scritto una parola a Lutero, né egli l’ha scritta
a me. Perché?... Perché fosse dimostrata l’unità
dello Spirito in lui e in me. Ciascuno di noi insegna la dottrina di Cristo
secondo tale unità” D’Aubignè, vol. 8, cap. 9. Nel
1516 Zuinglio fu nominato predicatore del convento di Einsiedeln. Qui poté
avere un’esatta visione della corruzione di Roma e l’opportunità
di esercitare un influsso, come riformatore, che si fece sentire ben al di là
delle sue Alpi natie. Fra le principali attrattive di Einsiedeln c’era
un’immagine della Vergine, che si diceva avesse la virtù di fare
miracoli. Sopra la porta d’ingresso del convento si leggeva: <<
Qui si può ottenere la remissione plenaria dei peccati” Idem, vol.
8, cap. 5.
Il santuario della Vergine era visitato tutto l’anno, ma era soprattutto
in occasione della festa annuale della sua consacrazione che moltitudini di
persone vi affluivano dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Germania. Zuinglio,
rattristato da tali scene, colse l’opportunità che gli veniva offerta
di proclamare a quelle anime, schiave della superstizione, la libertà
mediante l’Evangelo. “Non pensate”, egli diceva, “che
Dio sia in questo tempio più che in ogni altra parte del creato. Qualunque
sia il paese in cui vivrete, Dio è presente e vi ascolta… Possono
le opere infruttuose, i lunghi pellegrinaggi, le offerte, le immagini, l’invocazione
della Vergine e dei santi assicurarvi la grazia di Dio?... Che valore ha la
moltitudine delle parole con le quali presentiamo le nostre preghiere? Che efficacia
possono avere un cappuccio luccicante, una testa ben rasata, una veste lunga
e pieghettata, delle pantofole ricamate d’oro?... Dio guarda al cuore,
e i nostri cuori sono lungi da lui”. “Cristo, che fu offerto una
volta sulla croce, è il sacrificio, è la vittima che ha espiato
i peccati dei credenti per l’eternità” Ibidem.
Molti accolsero tali dichiarazioni con un certo senso di disagio. Per essi
era un’amara delusione udire che il lungo e faticoso viaggio fatto era
inutile, e non riuscivano a capire che il perdono veniva loro offerto gratuitamente
da Cristo. Il cammino verso il cielo tracciato da Roma li soddisfaceva, e non
piaceva loro l’idea di dover cercare qualcosa di migliore: era più
comodo affidare la cura della propria salvezza ai sacerdoti e al papa che cercare
la purezza del cuore. C’era però un’altra categoria di persone
che accettarono con gioia l’annuncio della redenzione in Cristo. Le osservanze
prescritte da Roma non avevano dato loro la pace all’anima, ad esse, mosse
dalla fede, accettarono il sangue del Salvatore che assicura l’espiazione.
Ritornati alle loro case, questi più credenti comunicarono ad altri
la luce ricevuta; e così la verità si propagò di villaggio
in villaggio, di città in città, sì che a poco a poco il
numero dei pellegrinaggi al santuario della Vergine diminuì sensibilmente.
Per riflesso, diminuirono anche le offerte e di conseguenza il salario di Zuinglio,
che era pagato con esse. La cosa, però, fu per lui motivo di gioia in
quanto gli rivelava che era stato infranto il potere del fanatismo e della superstizione.
Le autorità ecclesiastiche non erano all’oscuro dell’opera
di Zuinglio; però si astennero, per il momento, dall’interferire.
Speravano di riuscire a conquistarlo alla loro causa con le lusinghe. Frattanto,
la verità si faceva strada nel cuore della gente. L’opera svolta
da Zuinglio a Einsiedeln lo preparava a una missione più importante.
Dopo tre anni egli fu chiamato ad assumere la carica di predicatore nella cattedrale
di Zurigo, la più importante città della confederazione elvetica;
e così l’influsso ivi esercitato sarebbe stato più ampiamente
sentito.
Gli ecclesiastici che lo avevano invitato a raggiungere Zurigo desideravano
impedire ogni innovazione, e precisarono a Zuinglio quali sarebbero stati i
suoi doveri. “Lei farà tutto il possibile”, gli dissero,
“per raccogliere le entrate del capitolo senza trascurarne alcuna, per
minima che sia. Esorterà i fedeli, dal pulpito e dal confessionale, a
versare decime e offerte mostrando con ciò il loro amore per la chiesa.
Sarà diligente nell’incrementare le entrate che provengono dai
malati, dalle messe e da ogni altra ordinanza ecclesiastica. Per quanto poi
riguarda la somministrazione dei sacramenti, la predicazione e la cura delle
anime”, aggiunsero i suoi istruttori, “sono cose che rientrano nei
doveri del cappellano; lei, però, può servirsi di un sostituto,
specie per la predicazione. Dovrà amministrare i sacramenti solo a persone
di riguardo, e unicamente quando è Idem, vol. 8, cap. 6.
Zuinglio ascoltò in silenzio il mandato che gli veniva conferito e
quindi, dopo avere espresso la sua gratitudine per l’onore che gli derivava
da una carica così importante, spiegò la linea di condotta che
intendeva seguire. “La vita di Cristo è rimasta troppo a lungo
nascosta al popolo. Io predicherò soprattutto l’intero Vangelo
di S. Matteo… attingendo unicamente alla fonte della Sacra Scrittura,
scandagliandone la profondità, paragonando passo con passo, cercando
la conoscenza mediante una fervida e costante preghiera. Io consacrerò
il mio ministero alla gloria di Dio, alla lode del suo unigenito Figliuolo,
alla salvezza delle anime, alla loro edificazione nella vera fede” Ibidem.
Sebbene alcuni degli ecclesiastici disapprovassero questo piano e si sforzassero
di dissuaderlo dal seguirlo, Zuinglio rimase fermo, dicendo che non intendeva
affatto introdurre un metodo nuovo, ma solo attuare quello vecchio, tipico della
chiesa dei primi tempi, tempi della sua purezza.
Le verità da lui insegnate suscitarono vivo interesse. La gente affluì
in massa alle sue predicazioni. Vi parteciparono perfino molti che da lungo
tempo si erano astenuti dall’assistere ai culti. Zuinglio cominciò
il suo ministero aprendo i Vangeli, leggendo e spiegarlo ai suoi uditori il
racconto ispirato della vita, della dottrina e della morte di Cristo. Qui, come
a Einsiedeln, egli presentò la Parola di Dio come unica e infallibile
autorità e la morte di Cristo come unico sacrificio completo. Ibidem.
Gente di ogni ceto si accalcava intorno al predicatore: uomini di stato, scienziati,
artigiani, contadini. Tutti ascoltavano con profondo interesse le sue parole.
Egli proclamava non solo l’offerta gratuita della salvezza, ma condannava
senza paura i mali e la corruzione del tempo. Molti ritornavano dalla cattedrale
glorificando Iddio. << Questo uomo >>, dicevano, << è
un predicatore della verità. Egli sarà il nostro Mosé per
trarci fuori dalle tenebre dell’Egitto >> Ibidem.
All’entusiasmo dei primi momenti successe un periodo di opposizione.
I monaci si misero a ostacolare la sua opera e a condannare gli insegnamenti.
Molti lo schernivano e lo beffavano, mentre altri non esitavano a insolentirlo
e a minacciarlo. Zuinglio sopportava pazientemente ogni cosa e diceva: “Se
vogliamo conquistare gli empi a Cristo, dobbiamo chiudere gli occhi a molte
cose” Ibidem. Verso quella epoca un nuovo ausiliario venne ad accelerare
l’opera di riforma. Un certo Luciano fu mandato a Zurigo con alcuni scritti
di Lutero. Un amico della fede riformata, abitante a Basilea, pensando che la
vendita di questi libri potesse essere un mezzo potente per la diffusione della
luce, scrisse a Zuinglio: “Assicurati se questo uomo possiede prudenza
e capacità sufficienti. In caso affermativo, lascia che egli porti le
opere di Lutero – specialmente la sua esposizione della preghiera del
Signore scritta per i laici – di città in città, di villaggio
in villaggio e di casa in casa. Più esse saranno conosciute, più
acquirenti troveranno” Ibidem. Così la luce si fece strada. Quando
Dio si accinge ad abbattere le barriere dell’ignoranza e della superstizione,
Satana agisce con rinnovata energia per avvolgere gli uomini nelle tenebre e
per serrare ancora più i loro ceppi.
Nel momento in cui in vari paesi degli uomini si levavano per offrire al popolo
il perdono e la giustificazione mediante il sangue di Cristo, Roma si adoperava
con rinnovata energia ad aprire il suo mercato in tutto il mondo cristiano,
offrendo il perdono in cambio di denaro. Ogni peccato aveva la sua tariffa,
e così veniva data agli uomini la possibilità di peccare, purché
il tesoro della chiesa fosse ben alimentato. I due movimenti avanzavano: uno
che offriva il perdono del peccato mediante il denaro e uno che offriva il perdono
per mezzo di Cristo. Roma permetteva il peccato e ne faceva fonte di guadagno:
i riformatori lo condannavano e additavano in Cristo il propiziatore e il liberatore.
In Germania la vendita delle indulgenze era stata affidata ai domenicani capeggiati
da Tetzel. In Svizzera il traffico fu messo nelle meni dei francescani, sotto
la guida di Sansone, monaco italiano.
Sansone aveva reso utili servigi alla chiesa raccogliendo in Germania e in
Svizzera ingenti somme per il tesoro pontificio. Ora egli percorreva la Svizzera
richiamando immense folle, spogliando i poveri contadini dei loro magri guadagni
ed esigendo dai ricchi doni più cospicui. L’influsso della Riforma
intanto si faceva sentire arginando senza poterlo impedire, il traffico. Zuinglio
era ancora a Einsiedeln quando Sansone giunse in una città vicina. Conosciuto
lo scopo della sua missione, il riformatore si affrettò a ostacolarla.
I due non s’incontrarono, ma fu tale il successo conseguito da Zuinglio
nell’esporre la vanità delle pretese del frate, che questi si vide
costretto ad abbandonare il campo e a trasferirsi altrove.
A Zurigo, Zuinglio predicò con tanto zelo contro il perdono a pagamento,
che quando Sansone si avvicinò ala città, un messaggero del concilio
civico lo invitò a passare oltre. Sansone con uno stratagemma riuscì
a entrare in città, ma non poté vendere neppure una indulgenza,
e poco dopo abbandonò la Svizzera. La Riforma ricevette un forte impulso
dalla peste, conosciuta col nome di “morte nera”, piaga che colpì
la Svizzera nel 1519. Gli uomini, messi a faccia a faccia con la morte, in molti
casi si sentivano indotti a considerare la vanità e la futilità
del perdono così tardivamente acquistato, e bramavano avere una base
più sicura per la loro fede.
A Zurigo, Zuinglio fu colpito in maniera così grave dal morbo che si
temette per la sua vita; anzi si sparse addirittura la voce che egli era morto.
In quella ora così tragica, la sua speranza e il suo coraggio rimasero
incrollabili. Egli guardava con fede alla croce del Calvario, fidando in quella
sicura propiziazione per il peccato. Quando riuscì a sottrarsi agli artigli
della morte, riprese a predicare l’Evangelo con rinnovato e accresciuto
fervore. Le sue parole suscitarono un’azione potente. La gente salutò
con gioia il suo diletto pastore sfuggito alla morte. Ognuno sentiva, dopo quella
esperienza, il grande valore del Vangelo. Zuinglio era pervenuto a una comprensione
chiara delle verità evangeliche e ne aveva sperimentato la loro potenza
rigeneratrice. La caduta dell’uomo e il piano della redenzione erano i
temi sui quali egli si soffermava.
“In Adamo”, diceva, “siamo tutti morti, immersi nella corruzione,
condannati” Wylie, vol. 8, cap. 9. “Cristo… ci ha assicurato
la redenzione… La sua passione… è un sacrificio di portata
eterna, pienamente efficace per salvare; esso soddisfa, per sempre, la giustizia
divina a favore di quanti confidano in essa con fede salda e incrollabile”.
Nondimeno, egli insegnava che l’uomo non deve pensare che la grazia di
Dio lo autorizzi a peccare. “Ovunque c’è fede, c’è
Dio, e dove c’è Dio c’è uno zelo che spinge gli uomini
alle buone opere” D’Aubigné, vol. 8, cap. 9. L’interesse
per la predicazione era tale che la cattedrale era affollatissima di persone
che andavano ad ascoltarlo. A poco a poco, nella misura in cui gli uditori potevano
assimilarla, egli spiegava loro la verità. Con tatto e delicatezza, Zuinglio
evitava di introdurre subito quei punti che potevano provocare dei pregiudizi.
La sua opera consisteva nel conquistare i cuori agli insegnamenti di Cristo.,
nel renderli sensibili al suo amore, e nel presentare loro il suo esempio. Una
volta che essi avessero compreso e accettato i principi del Vangelo, avrebbero
abbandonato deliberatamente tanto le credenze quanto le pratiche superstiziose.
A poco a poco la Riforma progrediva a Zurigo. I suoi nemici allarmati si sforzarono
di opporvisi in modo attivo. Un anno prima, il monaco di Wittenberg aveva pronunciato
il suo “No!” al papa e all’imperatore a Worms, e ora tutto
sembrava indicare che Zurigo avrebbe assunto un atteggiamento analogo nei confronti
delle pretese papali. Reiterati attacchi furono diretti a Zuinglio. Nei cantoni
cattolici di quando in quando venivano arsi sul rogo i discepoli del Vangelo.
Questo, però, non era sufficiente: bisognava ridurre al silenzio chi
insegnava l’eresia.
A questo scopo il vescovo di Costanza inviò tre suoi delegati al concilio
di Zurigo per accusare Zuinglio di insegnare alla gente la trasgressione delle
leggi della chiesa e di mettere così in pericolo la pace e l’ordine
sociali. Mettere da parte l’autorità della chiesa – diceva
il vescovo – significava aprire la porta all’anarchia universale.
Zuinglio replicò che egli aveva insegnato le Sacre Scritture per quattro
anni a Zurigo, e che questa città “era la più quieta e la
pacifica dell’intera confederazione elvetica”. “Per conseguenza”,
concludeva, “ non vi pare che il Cristianesimo sia la migliore salvaguardia
per la sicurezza generale?” Wylie, vol. 8, cap. 11.
I delegati avevano ammonito i membri del concilio esortandoli a non abbandonare
la chiesa, fuori della quale – essi dichiaravano – non vi era salvezza.
Zuinglio rispose: “Non vi fate commuovere da questa esortazione. Il fondamento
della chiesa è questa Roccia, Cristo, che diede a Pietro il suo nome
perché egli confessasse fedelmente. In ogni nazione, chiunque crede con
tutto il cuore nel Signore Gesù Cristo, è accetto a Dio. E’
questa la chiesa fuori della quale nessuno può essere uno dei delegati
del vescovo abbracciò la fede riformata.
Il concilio respinse l’invito a procedere contro Zuinglio. Roma, allora,
si accinse a un nuovo attacco. Zuinglio, saputo del complotto che i suoi nemici
ordivano, esclamò: “Lasciateli pure venire; io li temo come la
roccia teme i marosi che si infrangono schiumati ai suoi piedi” Wylie,
vol. 8, cap. 11. Gli sforzi degli ecclesiastici valsero solo a far propagarsi.
I riformati, in Germania, depressi per la scomparsa di Lutero, ripresero animo
vedendo i progressi del Vangelo in Svizzera.
A mano a mano che la Riforma si andava affermando a Zurigo, i frutti apparivano
evidenti: il vizio cedeva il posto all’ordine e alla concordia. “La
pace ha fissato la sua dimora nella nostra città, scriveva Zuinglio;
“ non più contese, ipocrisie, invidie, contestazioni. Quale può
essere l’origine di tutto questo se non il Signore e la nostra dottrina
che ci riempie di frutti di pace e di pietà?” Idem, vol. 8, cap.
15. Le vittorie della Riforma spinsero i partigiani di Roma a sforzi più
determinati per abbatterla. Vedendo che i risultati conseguiti erano piuttosto
scarsi, e che la persecuzione nulla aveva potuto contro l’opera di Lutero
in Germania, decisero di combattere la Riforma con le sue stesse armi. Pensarono,
cioè, di organizzare una discussione con Zuinglio. Per essere certi della
vittoria, si riservarono la scelta del luogo e degli arbitri. Se fossero riusciti
ad avere Zuinglio nelle loro mani, avrebbero avuto la massima cura di non lasciarselo
sfuggire, perché ritenevano che una volta messo a tacere il capo, il
movimento si sarebbe rapidamente spento. Naturalmente, questo loro complotto
veniva tenuto accuratamente segreto. La disputa fu fissata a Baden; ma Zuinglio
non vi partecipò. Il concilio di Zurigo, sospettando un tranello da parte
dei rappresentanti di Roma e consapevole che nei cantoni papali venivano accesi
dei roghi per i confessori del Vangelo, proibì al suo pastore di esporsi
al pericolo.
A Zurigo egli avrebbe potuto benissimo affrontare gli esponenti di Roma,
ma recarsi a Baden dove il sangue dei martiri della verità era stato
sparso di recente, significava andare incontro a morte sicura. Ecolampadio e
Haller furono scelti come rappresentanti dei riformati, mentre il celebre dottor
Eck, portavoce di Roma, era sostenuto da uno studio di dotti e di prelati. Ebbene
Zuinglio non fosse presente, pure il suo influsso si fece ugualmente sentire.
I segretari erano stati scelti fra i nemici della Riforma e nessuno, a parte
loro, poteva prendere appunti, pena la morte. Nonostante ciò, Zuinglio
riceveva ogni giorno un esatto resoconto di quanto veniva detto a Baden. Uno
studente che assisteva alla disputa stendeva ogni sera una relazione sugli argomenti
trattati. Tale relazione, accompagnata da una lettera di Ecolampadio, era consegnata
a due altri studenti che provvedevano a recapitare il tutto a Zuinglio, il quale
rispondeva dando consigli e suggerimenti. Egli scriveva di notte, e gli studenti
consegnavano la sua risposta la mattina seguente a Baden. Per eludere la vigilanza
delle guardie che stazionavano alle porte della città quei messaggeri
portavano sulla testa dei canestri contenenti del pollame. Questo permetteva
loro di passare senza ostacoli. Fu così che Zuinglio poté sostenere
la lotta contro gli astuti antagonisti. Siconio disse: “Egli ha lavorato
di più con le sue meditazioni, le sue notti insonni e i suoi consigli
che mandava a Baden, di quanto non avrebbe fatto discutendo di persona con i
suoi nemici” D’Aubigné, vol. 11 cap. 13. I partigiani del
papa, già in anticipo sicuri del trionfo, erano andati a Baden ammantati
a tavole riccamente imbandite di cibi ricercati e di vini prelibati. Il peso
dei loro doveri ecclesiastici era alleviato dalla gaiezza di quei festini. In
stridente contrasto con tanto lusso, i riformatori erano considerati poco più
che mendicanti, e i loro pasti frugali li trattenevano pochissimo tempo a tavola.
L’albergatore di Ecolampadio, che lo spiava dalla sua stanza, lo vedeva
sempre intento o allo studio o alla preghiera. Pieno di stupore, dichiarò
che quello eretico era, perlomeno, “molto devoto”. Alla conferenza,
Eck alì con ostentazione su un pulpito splendidamente decorato, mentre
Ecolampadio, vestito modestamente, fu fatto sedere su uno sgabello di legno,
di fronte al suo antagonista” Ibidem. La voce risonante di Eck era stimolato
del miraggio dell’oro e degli onori, in quanto nella sua qualità
di difensore della fede, egli avrebbe ricevuto una forte rimunerazione. Quando
i suoi migliori argomenti risultavano vani, egli non esitava a ricorrere agli
insulti e alle imprecazioni. Ecolampadio, timido e modesto per natura, aveva
esitato a lungo prima di decidersi ad affrontare la discussione.
Quando si decise, fece questa solenne dichiarazione: “Io non riconosco
altra norma di giudizio che la Parola di Dio” Ibidem. Quantunque dolce
e moderato, egli si rivelò colto e incrollabile. Mentre i rappresentanti
di Roma ricorrevano spesso all’autorità della chiesa e alle sue
usanze, egli si atteneva saldamente alle Scritture. “L’usanza”,
diceva, “non ha valore nella nostra Svizzera a meno che essa non sia in
armonia con la distinzione. Ora, in materia, di fede, la nostra costituzione
è la Bibbia” Ibidem. Il contrasto fra i due polemisti non mancò
di produrre il suo effetto. La calma, la semplicità, la serenità
di Ecolampadio, come pure la chiarezza della sua argomentazione, facevano impressione
sulla mente dei presenti che, per contro, ascoltavano con mal celato disagio
le orgogliose affermazioni del dottor Eck.
La discussione durò diciotto giorni, e alla fine i papisti si attribuirono
baldanzosamente la vittoria. Dato che la maggior parte dei delegati erano partigiani
di Roma, il concilio dichiarò sconfitti i riformatori e decretò
che essi, insieme con Zuinglio, il loro capo, fossero espulsi dalla chiesa.
I frutti di questa conferenza, però rivelarono da che parte era la ragione.
La disputa, infatti, valse a incrementare ancor più la causa protestante,
e non molto tempo dopo città importanti, come Berna e Basilea, si dichiararono
per la Riforma.
IL PROGRESSO DELLA RIFORMA IN GERMANIA.
La misteriosa scomparsa di Lutero suscitò costernazione in tuta la Germania.
Ovunque si chiedeva di lui e circolavano le più strane voci. Molti credevano
addirittura che egli fosse stato ucciso. Egli era pianto non solo dagli amici
dichiarati, ma anche da migliaia di persone che ancora non si erano schierate
apertamente con la Riforma. Non pochi giurarono di vendicarne la morte. I dignitari
della chiesa romana videro con terrore fino a che punto l’opinione pubblica
fosse loro ostile. Mentre dapprima esultavano per la presunta morte di Lutero,
ora desideravano nascondersi per sottrarsi all’ira del popolo. I nemici
di Lutero non erano mai stati tanto turbati dai suoi atti quanto lo erano ora
che egli era scomparso. Quanti nel loro furore avevano cercato di eliminarlo,
erano sbigottiti ora che egli era un prigioniero impotente. “L’unica
via di uscita”, disse uno di loro, “sarebbe quella di accendere
delle torce e di andare in cerca di Lutero in tutto il mondo, per restituirlo
alla nazione che lo invoca” D’Aubigné, vol. 9, cap. 1.
L’editto imperiale sembrava impotente, e i legati pontifici erano indignati
nel vedere che esso richiamava meno attenzione di quanto, invece, non ne richiamasse
la sorte di Lutero. La notizia che egli era al sicuro, anche se prigioniero,
placò i timori del popolo e contribuì ad accrescere l’entusiasmo
per lui. I suoi scritti venivano letti con più ardore di prima. Sempre
più numerosi diventavano i partigiani della causa dell’uomo eroico
che, in drammatiche circostanze, aveva difeso i diritti della Parola di Dio.
La Riforma cresceva ovunque in vigore, e il seme sparso da Lutero dava i suoi
frutti. La sua assistenza compì un’opera che forse non sarebbe
stata compiuta dalla sua presenza. I suoi collaboratori sentirono la propria
responsabilità ora che il loro grande capo era scomparso, e si misero
in azione con nuovo slancio e con rinnovata fede per fare tutto quello che era
in potere loro, affinché l’opera cominciata in modo così
nobile non fosse intralciata. Satana, però, non se ne stette inerte e
non mancò di fare quello che aveva sempre fatto con ogni altro movimento
di riforma: ingannare le anime e distruggerle mediante una contraffazione della
verità. Come vi erano stati dei falsi cristi nel secolo apostolico, ci
furono dei falsi profeti nel sedicesimo secolo. Alcuni uomini, scossi dall’eccitazione
esistente nel mondo religioso, ritenevano di avere ricevuto da Dio l’incarico
di adoperarsi per portare a compimento l’opera della Riforma che, essi
dicevano, con Lutero aveva avuto solo un debole inizio.
In realtà, essi disfacevano quello che era stato fatto, in quanto rigettavano
il grande principio che stava alla base condotta. Al posto di questa infallibile
guida, essi cercavano di mettere l’incerto e mutevole criterio rappresentato
dai loro sentimenti e dalle loro impressioni. Con siffatto concetto si cercava
di scalzare la pietra di paragone capace di smascherare l’errore e la
falsità, e si apriva la via perché Satana riuscisse a dominare
le menti umane a proprio piacimento. Uno di questi “profeti” pretendeva
di essere stato istruito dall’angelo Gabriele. Uno studente che si unì
a lui abbandonò gli studi dicendo di essere stato dotato da Dio stesso
della dovuta sapienza per esporre la sua Parola. Altri, inclini per natura al
fanatismo, si aggiunsero a loro, e così l’attività di questi
entusiasti provocò non poca eccitazione. La predicazione di Lutero aveva
indotto ovunque la gente a sentire la necessità di una riforma, ed ecco
che ora alcune di queste persone davvero oneste venivano sviate dalle pretese
di questi “nuovi profeti”.
I capi del movimento si recarono a Wittenberg ed esposero le loro pretese
a zelantone e ai suoi colleghi, dicendo: “Noi siamo mandati da Dio ad
ammaestrare il popolo. Abbiamo avuto delle conversazioni familiari col Signore
e sappiamo quello che dovrà accadere. Siamo degli apostoli e dei profeti
e ci appelliamo a Lutero” Idem, vol. 9, cap. 7. I riformatori rimasero
perplessi e attoniti. Si trovavano di fronte a un fatto del tutto nuovo e non
sapevano quale atteggiamento assumere. Zelantone disse: “In questi uomini
ci sono degli spiriti straordinari; ma di quali spiriti si tratta?... Da un
lato noi dobbiamo fare attenzione di soffocare lo Spirito di Dio, e dall’altro
dobbiamo guardarci dal lasciarvi fuorviare dallo Spirito di Satana” Ibidem.
Ben presto, però, i frutti di questo insegnamento furono palesi: la gente
trascurava la Bibbia, quando addirittura non l’abbandonava. Le scuole
erano in preda alla confusione.
Gli studenti rompendo ogni freno, abbandonavano gli studi e disertavano l’università.
Gli uomini che si ritenevano competenti per ravviare l’opera della Riforma
e per guidarla, non facevano che spingerla verso l’abisso. I sostenitori
di Roma riprendevano animo ed esclamavano esultanti: << Ancora un’unica
battaglia e la vittoria sarà nostra! >> Ibidem. Lutero, alla Wartburg,
avendo udito quello che stava accadendo, disse preoccupato: << Purtroppo,
mi aspettavo che Satana ci avrebbe mandato questa piaga! >> Ibidem. Egli
discerneva benissimo il vero volto di quei presunti profeti, ed era consapevole
del pericolo che minacciava la causa della verità. L’opposizione
del papa e dell’imperatore non gli aveva causato la perplessità
e la distretta che provava ora. I peggiori nemici della Riforma erano usciti
dai suoi pretesi amici. Quelle stesse verità che erano state fonte di
gioia e di consolazione, venivano sfruttate per provocare la lotta e per creare
la confusione nella chiesa. Nell’opera della Riforma, Lutero era stato
sospinto dallo Spirito di Dio e trasportato ben oltre quanto egli avesse potuto
pensare in un primo momento. Mai, infatti, egli si sarebbe immaginato di dover
prendere la posizione che aveva assunto e di provocare cambiamenti tanto radicali.
Egli era stato solo uno strumento nelle mani della Potenza infinita, eppure
speso egli aveva tremato per i risultati della sua opera.
Una volta ebbe a dire: “Se io sapessi che la mia dottrina può
fare del male a un uomo, un solo uomo per basso e oscuro che sia – ma
non lo può, perché essa è il Vangelo stesso -, preferirei
morire dieci volte piuttosto che non ritrattarla” Ibidem. Ora la stessa
Wittenberg, centro della Riforma, stava per cadere in preda al fanatismo e all’illegalità.
Questa terribile condizione non era stata provocata dall’insegnamento
di Lutero; ma in tutta la Germania i suoi nemici l’attribuivano a lui.
Con profonda amarezza egli talvolta si domandava: “E’ mai possibile
che questa possa essere la fine della grande Riforma?” Ibidem. Ma lottando
in preghiera con Dio, egli sentì la pace scendere nel suo cuore: “L’opera
non è mia, ma tua”, disse. “Tu non permetterai che essa sia
guastata dal fanatismo e dalla superstizione”. Nondimeno, il pensiero
di rimanere ancora a lungo fuori della mischia in un momento così critico,
gli era insopportabile. Decise, allora, di ritornare a Wittenberg. Senza esitare,
si accinse al pericoloso viaggio, nonostante fosse stato messo al bando dall’impero
e sapesse che i suoi nemici avevano facoltà di toglierli la vita, mentre
agli amici era stato severamente vietato di aiutarlo e di ospitarlo. Il governo
imperiale stava adottando le più drastiche misure contro i suoi sostenitori.
Egli, però, conscio che l’opera della Parola di Dio, cioè
il Vangelo, era in pericolo, decise di entrare in lizza nel nome del Signore
per combattere a favore della verità.
In una lettera all’elettore, dopo aver comunicato il suo proposito di
lasciare la Wartburg, Lutero scrisse: “Sia noto a sua Altezza che io vado
a Wittenberg sotto una protezione superiore a quella che potrebbe venirmi dai
principi e dagli elettori. Io non penso di sollecitare l’appoggio di sua
Altezza e, lungi dal desiderare la sua protezione, preferirei essere io a proteggere
lei. Se io sapessi che sua Altezza volesse e potesse proteggermi, non andrei
a Wittenberg, perché non c’è spada che possa aiutare in
questa causa: solo Dio deve fare tutto, senza l’aiuto e il concorso dell’uomo.
Chi possiede la fede più grande è il più atto a proteggere”
Idem, vol. 9, cap. 8. In una seconda lettera, scritta durante il viaggio verso
Wittenberg, Lutero aggiunse: “Io sono pronto a incorrere nello sfavore
di sua Altezza e nell’ira del mondo intero. Non sono forse i wittenberghesi
la mia greggia? Non li ha Iddio affidati a me? Per conseguenza non debbo io,
se necessario, espormi per amor loro? Inoltre, io temo di vedere scoppiare in
Germania una sommossa per la quale Dio punirebbe la nostra nazione” Idem,
vol. 9, cap. 7. Con grande prudenza e umiltà, tuttavia con fermezza e
decisione, egli si mise all’opera.
“Per mezzo della Parola”, diceva, “noi dobbiamo abbattere
e distruggere quello che è stato stabilito con la violenza. Io non farò
uso della forza contro chi è incredulo superstizioso. Nessuno deve essere
vittima di costrizione. La libertà è l’essenza della fede”
Idem, vol. 9, cap. 8.
Ben presto a Wittenberg si seppe che Lutero era ritornato e che si accingeva
a predicare. La gente affluì da ogni parte e la chiesa fu affollatissima.
Salito sul pulpito, egli istruì, esortò, rimproverò con
bontà e avvedutezza. Parlando di alcuni che erano ricorsi a misure di
violenza per abolire la messa, dichiarò: “La messa non è
una cosa buona, e Dio vi si oppone. Essa dovrebbe essere abolita, e io vorrei
che in tutto il mondo essa fosse sostituita dalla Cena del Vangelo. Però
nessuno deve essere strappato ad essa con la forza. Dobbiamo lasciare la cosa
nelle mani di Dio: è la sua Parola che deve agire, non noi. Vi chiederete
perché. Ebbene, io non tengo i cuori degli uomini nelle mie mani come
il vasellaio tiene l’argilla. Noi abbiamo il diritto di parlare, non quello
di agire.
Predichiamo e lasciamo il resto a Dio. Se io ricorressi alla forza, che vantaggio
ne trarrei? Gesti di disapprovazione, formalismo, ordinanze umane, ipocrisia…
Farebbero difetto la sincerità del cuore, la fede e la carità.
Ora, dove queste tre cose mancano, manca tutto, ed io non darei una lira per
simile risultato… Fa più Dio con la sua Parola che io e tutto il
mondo con le nostre forze riunite. Dio conquista il cuore, e quando il cuore
è conquistato, la vittoria è conseguita… Io predicherò,
discuterò, scriverò, ma non costringerò mai nessuno perché
la fede è un atto volontario. Guardate quello che ho fatto: mi sono levato
contro il papato contro le indulgenze, contro i papisti; ma l’ho fatto
senza violenza, né tumulto. Io mi attengo alla Parola di Dio. Ho predicato,
ho scritto: ecco tutto quello che ho fatto. Eppure, mentre io dormivo…
la parola predicata ha abbattuto il papato, sì che né principi,
né imperatori gli hanno arrecato altrettanto danno. Ma non ho fatto nulla,
in quanto è la Parola che ha fatto tutto. Se fossi ricorso alla forza,
forse tutta la Germania sarebbe stata immersa nel sangue, e con quale risultato?
Rovina e desolazione nel corpo e nell’anima. Perciò io me ne sono
rimasto quieto e ho lasciato che la Parola da sola corresse per tutto il mondo”
Ibidem.
Giorno dopo giorno, per una settimana Lutero proseguì la sua predicazione
a folle bramose di ascoltarlo. La Parola di Dio spezzò l’incantesimo
dell’esaltazione fanatica, e la potenza del Vangelo ricondusse il popolo
nella via della verità. Lutero non aveva alcuna intenzione di incontrarsi
con i fanatici il cui comportamento aveva fatto così tanto male. Egli
sapeva che erano uomini dal giudizio non sereno, animati da passioni incontrollabili,
i quali, pur dicendo di essere stati illuminati dal cielo, non avrebbero accettato
neppure il più bonario e amichevole consiglio o rimprovero.
Arrogandosi la suprema autorità, essi esigevano che tutti, senza discussione,
riconoscessero la validità delle loro pretese. Siccome essi chiedevano
un abboccamento con Lutero, questi accettò di incontrarli. Riuscì
a controbattere così bene le loro affermazioni che quegli impostori si
affrettarono ad abbandonare Wittenberg. Il fanatismo era stato momentaneamente
debellato, ma purtroppo vari anni dopo esplose di nuovo e con maggiore violenza,
dando origine a più terribili risultati. Lutero, parlando dei dirigenti
di questo movimento, disse: << Per loro le Sacre Scritture sono lettera
morta. Tutti gridano: “Lo Spirito, lo Spirito!”, ma io non intendo
seguirli là dove lo spirito li conduce. Possa Iddio, nella sua misericordia,
preservarmi da una chiesa in cui ci sono solo dei santi! Io preferisco vivere
con gli umili, coi deboli, con gli ammalati, i quali riconoscono e sentono i
propri peccati e gemono e gridano del continuo a Dio dall’intimo dei loro
cuori per ricevere da lui consolazione e aiuto >> Idem, vol. 10, cap.
10.
Tommaso Münzer, il più attivo dei fanatici, era un uomo dotato
di notevole capacità che, se ben diretta, gli avrebbe consentito di fare
del bene. Purtroppo, egli non aveva assimilato neppure i primi elementi della
vera religione. “Pervaso dal desiderio di riformare il mondo, egli dimenticava,
come tutti gli entusiasti, che la Riforma doveva cominciare proprio da lui”
Idem, vol. 9, cap. 8. Münzer ambiva occupare una posizione che gli conferisse
prestigio e non voleva essere secondo a nessuno, neppure a Lutero. Affermava
che i riformatori nel sostituire all’autorità del papa quella delle
Sacre Scritture, non avevano fatto che istituire un’altra forma di papato.
Egli stesso – aggiungeva – era stato divinamente incaricato di introdurre
la vera riforma. “Chi possiede questo spirito, affermava, “possiede
la vera fede, anche se in vita sua non dovesse mai vedere le Scritture”
Idem, vol. 10, cap. 10. Questi insegnanti fanatici, vittime delle proprie impressioni,
ritenevano che ogni loro pensiero e ogni loro impulso fossero la voce di Dio.
Alcuni giunsero addirittura a bruciare la Bibbia dicendo: “La lettera
uccide, ma lo spirito vivifica”. L’insegnamento di Münzer soddisfaceva
il desiderio di chi andava in cerca del meraviglioso, e lusingava l’orgoglio
mettendo le idee e le opinioni umane al di sopra della Parola di Dio. Le sue
dottrine furono accettate da migliaia di persone. Ben presto egli finì
col denunciare ogni ordine nel culto pubblico e dichiarò che l’ubbidienza
ai principi equivaleva a voler servire Dio e Belial. Il popolo, che già
cominciava a respingere il giogo papale, dava segni di insofferenza, dimostrando
di mal sopportare le limitazioni imposte dall’autorità civile.
Per conseguenza, gli insegnamenti rivoluzionari di Münzer – il quale
pretendeva che essi erano approvati da Dio – indussero la gente a ignorare
ogni controllo e a lasciare briglia sciolta al pregiudizio e alle passioni.
Ne seguirono terribili scene di sedizione e di violenza, tali che i campi della
Germania furono inondati di sangue. L’angoscia dell’anima che Lutero
aveva così a lungo conosciuto a Erfurt, si faceva in lui sempre più
opprimere perché i risultati del fanatismo venivano attribuiti alla Riforma.
I principi sostenitori di Roma dichiaravano – e molti erano pronti
ad accettare le loro affermazioni – che la ribellione era il frutto naturale
delle dottrine di Lutero. Quantunque l’accusa fosse del tutto infondata,
essa fu fonte di grande tristezza per il riformatore. Che la causa della verità
fosse biasimata e abbassata al livello di un meschino fanatismo, era qualcosa
di più forte di quanto egli potesse sopportare. D’altra parte,
i capi della rivolta odiavano Lutero perché non solo egli si opponeva
alle loro dottrine e non credeva alle loro pretese di ispirazione divina, ma
li aveva dichiarati ribelli all’autorità civile. Per vendicarsi,
lo denunciarono come un abietto presuntuoso. Sembrava che Lutero si fosse tirato
addosso l’inimicizia dei principi e del popolo. I sostenitori di Roma
esultavano all’idea di vedere il rapido crollo della Riforma, e accusavano
Lutero perfino degli errori che egli aveva combattuto con tanta energia. Il
partito dei fanatici, poi, con la pretesa di essere stato trattato ingiustamente,
riuscì ad accaparrarsi la simpatia di una larga categoria di persone
e, come spesso accade a chi si schiera con l’errore, fu considerato martire.
In tal modo, quanti si opponevano energicamente alla Riforma finirono con l’essere
giudicati vittime dell’oppressione e della crudeltà. Questa opera
di Satana era animata da uno spirito di ribellione analogo a quello che egli
aveva già manifestato una volta in cielo.
Satana cerca continuamente di ingannare gli uomini e di indurli a chiamare
il peccato giustizia e la giustizia peccato. La sua opera è spesso coronata
dal successo. Quante volte, infatti, i fedeli servitori di Dio sono oggetto
di biasimo perché difendono coraggiosamente la verità! Degli uomini,
i quali altro non sono se non agenti di Satana, vengono lodati, incensati, se
non addirittura considerati martiri, mentre coloro che dovrebbero essere rispettati
e sostenuti per la loro fede e per la loro fedeltà a Dio, sono abbandonati
e fatti segno alla sfiducia e al sospetto. La falsa santità e la falsa
santificazione continuano ancora la loro opera di seduzione. Sotto varie forme
esse rivelano lo stesso spirito manifestato al tempo di Lutero, inteso a distogliere
le menti delle Sacre Scritture per respingere gli uomini a seguire i propri
sentimenti e le proprie impressioni anziché ubbidire alla legge di Dio.
E’ questa una delle più sottili astuzie cui Satana ricorre per
gettare delle ombre sulla purezza e sulla verità.
Intrepido, Lutero difese la Parola di Dio, cioè, il Vangelo dei primi
cristiani, quelli che al tempo di Gesù, dagli attacchi che da ogni parte
gli erano mossi. Ancora una volta la parola di Dio fu un’arma potente.
Con essa egli lottò contro le usurpazioni del papa, contro la filosofia
scolastica, e rimase saldo come una roccia di fronte al fanatismo che tentava
di allearsi alla Riforma. Questi vari elementi cercavano, ciascuno per proprio
conto, di accantonare le Sacre Scritture e di esaltare la sapienza umana come
fonte di verità e di conoscenza nel campo religioso. Il razionalismo
idolatra la ragione e ne fa il criterio della religione. Il Cattolicesimo secolare
reclama per il pontefice un’ispirazione che – discendendo in linea
ininterrotta dagli apostoli – offre l’opportunità per ogni
sorta di stravaganza e di deviazione sotto il manto della santità del
mandato apostolico. L’ispirazione che Münzer e i suoi collaboratori
pretendevano di avere derivava dalle divagazioni della loro immaginazione e
non riconosceva alcuna autorità divina o umana.
Il Cristianesimo, invece, vede nella Parola di Dio il ricco forziere della
verità ispirata e la pietra di paragone di ogni ispirazione. Al suo ritorno
dalla Wartburg, Lutero ultimò la traduzione del Nuovo Testamento, e in
breve tempo l’Evangelo poté essere dato ai tedeschi nella loro
lingua madre. Questa traduzione fu accolta con gioia da tutti coloro che amavano
la verità, mentre fu avversata da quanti preferivano attenersi alle tradizioni
e ai comandamenti umani. I sacerdoti si allarmarono al pensiero che il popolo
potesse discutere con loro i precetti della Parola di Dio e che, così
venisse a galla la loro ignoranza. Le armi del loro ragionamento umano erano
impotenti contro la spada dello Spirito. Roma fece appello a tutta la sua autorità
per impedire la circolazione delle Scritture; ma decreti, anatemi e torture
risultarono inutili. Più la chiesa condannava la Bibbia, maggiore appariva
il desiderio del popolo di conoscere che cosa essa insegnasse. Tutti coloro
che sapevano leggere erano bramosi di studiare da se stessi la Parola di Dio.
La portarono con sé, la leggevano, la rileggevano, e non erano soddisfatti
se non quando riuscivano a impararne a mente lunghi brani. Nel vedere con quanto
favore era stato accolto il Nuovo Testamento, Lutero cominciò immediatamente
a tradurre anche il Vecchio Testamento e a farne pubblicare le varie porzioni
di esso a mano a mano che venivano da lui ultimate. Gli scritti di Lutero erano
bene accolti nelle città e nei villaggi. “Quello che Lutero e i
suoi amici componevano, gli altri lo diffondevano. Dei frati, convinti dell’illegalità
degli obblighi monastici e desiderosi di abbandonare una lunga vita di pigrizia
per intraprenderne una attiva, riconoscendosi troppo ignoranti per poter proclamare
la Parola di Dio, percorrevano le province visitando case e capanne per vendere
i libri di Lutero e dei suoi amici. Non passò molto tempo che la Germania
fu piena di questi baldi colportori” Idem, vol. 9, cap. 11.
Quegli scritti erano studiati con vivo interesse da ricchi e da poveri, da
dotti e da ignoranti. La sera, gli insegnamenti delle scuole rurali li leggevano
ad alta voce a piccoli gruppi di persone raccolte intorno a un caminetto. In
tal modo molte anime furono convinte della verità, accettarono con gioia
la Parola e si affrettarono a comunicarla ad altri. Si avverrò, così,
quanto si legge nel Salmo 119, al versetto 130: “La dichiarazione delle
tue parole illumina: dà intelletto ai semplici”. Lo studio delle
Sacre Scritture operava un profondo cambiamento nelle menti e nei cuori della
gente. Il dominio papale aveva imposto, a quanti gli erano soggetti, un giogo
di ferro che li teneva nell’ignoranza e nella degradazione. Veniva loro
richiesta una tale superstiziosa osservanza delle forme, che ben pochi mettevano
nel loro culto il cuore e la mente. La predicazione di Lutero, che esponeva
le chiare verità della Parola di Dio e la stessa Parola da lui posta
nelle mani del popolo, avevano valso a riscuotere la facoltà assopite,
a nobilitare e a purificare la natura spirituale, oltre a infondere nuovo vigore
e nuovo impulso all’intelletto. Si vedevano persone di ogni ceto difendere,
con la Bibbia alla mano, le dottrine della Riforma.
I papisti che avevano lasciato la cura dello studio delle Scritture ai sacerdoti
e ai frati, si rivolgevano a loro perché reputassero i nuovi insegnamenti.
Preti e monaci, però, nella loro ignoranza delle Scritture e della potenza
di Dio che da esse deriva, finivano invariabilmente con l’essere sconfitti
da quanti essi avevano considerato eretici. Un autore cattolico dichiarò:
“Sfortunatamente, Lutero aveva persuaso i propri seguaci a credere solo
agli oracoli delle Sacre Scritture” Idem, vol. 9, cap. 11. La folla si
accalcava per ascoltare l’esposizione della verità fatta da uomini
di scarsa cultura e da essi discussa perfino con dotti ed eloquenti teologi.
La paese ignoranza di questi grandi uomini era resa ancora più evidente
via via che i loro argomenti grandi uomini era resa ancora più evidente
via via che i loro argomenti venivano ribattuti dalle semplici dichiarazioni
della Parola di Dio.
Artigiani e soldati, donne e perfino bambini erano più familiari con
l’insegnamento della Bibbia di quanto non lo fossero i sacerdoti e i dottori.
Il contrasto fra i discepoli del Vangelo e i sostenitori della superstizione
romana non era meno manifesto nelle file dei dotti che fra il popolo. “Dinanzi
ai vecchi campioni della gerarchia ecclesiastica, che avevano trascurato lo
studio delle lingue e la cultura letteraria… si ergevano dei giovani dalla
mente aperta, dediti allo studio, i quali investigavano le Scritture e si familiarizzavano
con i capolavori dell’antichità. Dotati di una mente acuta, di
un’anima elevata, di un cuore intrepido, essi acquisirono ben presto una
conoscenza tale che per molto tempo nessuno poté competere con loro…
Per conseguenza, quando questi difensori della Riforma s’incontravano
con i dottori di Roma, li affrontavano con tanta sicurezza che essi tentennavano,
si sentivano imbarazzati e finivano col fare una figura meschina sotto gli occhi
di tutti” Ibidem. Quando il clero romano si rese conto che le congregazioni
diminuivano di numero, invocò l’aiuto dei magistrati e si sforzò
di riconquistare gli uditori con ogni mezzo a sua disposizione. La gente, però,
aveva ormai trovato nei nuovo insegnamenti quello che poteva soddisfare l’anima
e quindi si allontanò da chi, per tanto tempo, l’aveva nutrita
con la vanità di libri che insegnavano riti superstiziosi e tradizioni
umane.
Allorché la persecuzione infierì contro quanti insegnavano la
verità, questi si attennero alle direttive di Gesù: “E quando
vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra” Matteo
10:23. La
luce penetrò dappertutto perché i fuggiaschi trovavano ovunque
una porta ospitale che veniva loro aperta e che offriva loro l’opportunità
di predicare Cristo o nella chiesa, o nelle case private, o all’aria aperta.
La verità, predicata con tanta energia e sicurezza, si diffuse con irresistibile
potenza. Invano le autorità ecclesiastiche e civili furono esortate a
reprimere l’eresia. Invano ricorsero all’imprigionamento, alla tortura,
al fuoco e alla spada. Migliaia di credenti suggellarono la loro fede col proprio
sangue, ma l’opera andò avanti. La persecuzione servì solo
a far diffondere la verità, mentre il fanatismo che Satana cercava di
mescolare ad essa contribuì a rendere ancora più netto il divario
fra l’opera di Satana e l’opera di Dio.
LA PROTESTA DEI PRINCIPI.
Una delle più nobili testimonianze che siano mai state rese alla Rivelazione,
fu la solenne protesta dei principi cristiani della Germania alla dieta di Spira,
nel 1529. Il coraggio, la fede e la fermezza di quegli uomini di Dio assicurò
alle età successive la libertà di pensiero e di coscienza. Questa
protesta, i cui principi costituiscono “la vera essenza del Protestantesimo”
D’Aubignè, vol. 13, cap. 6, diede alle chiese riformate il nome
di protestanti. Un giorno oscuro e gravido di minacce era spuntato per la Riforma.
Nonostante l’editto di Worms, il quale dichiarava Lutero fuori legge e
vietava l’insegnamento delle sue dottrine e la credenza in esse, la tolleranza
religiosa era prevalsa nell’impero. La provvidenza di Dio aveva tenuto
a freno le forze che si opponevano alla verità. Carlo V era propenso
a estirpare la Riforma ma spesso, quando la sua mano stava per colpire, qualcosa
veniva a impedire il suo gesto. La distruzione della Riforma era sembrata varie
volte imminente; ma ecco che al momento critico erano comparsi alle frontiere
gli eserciti turchi o il re di Francia o lo stesso papa che, geloso della crescente
grandezza dell’imperatore, era deciso a fargli guerra. Così, in
mezzo alle contese e al tumulto delle nazioni, la Riforma aveva avuto modo di
rafforzarsi ed estendersi. Venne però il momento in cui i sovrani cattolici
si decisero a fare causa comune con i riformati. La dieta di Spira, nel 1526,
aveva dato a ogni stato la piena libertà religiosa in attesa che fosse
convocato un concilio generale. Ma ecco che l’imperatore decise improvvisamente
di convocare un concilio a Spira nel 1529 per estirpare l’eresia.
I principi dovevano essere indotti, possibilmente ricorrendo a mezzi del tutto
pacifici, a schierarsi contro la Riforma. Qualora questo tentativo non avesse
avuto esito, Carlo V era deciso a fare uso di spada.
I partigiani del papa esultarono e affluirono numerosissimi a Spira, manifestando
apertamente la loro ostilità verso i riformatori e verso quanti li favorivano.
Melantone disse: “Noi siamo diventati l’esecrazione e la spazzatura
del mondo; però Cristo rivolgerà il suo sguardo verso il suo povero
popolo per proteggerlo” Idem, vol. 13, cap. 5. Ai principi evangelici
convenuti a Spira fu severamente proibito di far predicare le Sacre Scritture,
perfino nelle loro dimore. Ma gli abitanti di Spira erano assetati della Parola
di Dio e, nonostante il divieto, partecipavano a migliaia alle funzioni religiose
che si tenevano nella cappella dell’elettore di Sassonia. Questo concorse
ad affrettare la crisi. Un messaggio imperiale annunciò alla dieta che
siccome la decisione di accordare la libertà di coscienza era stata fonte
di gravi disordini, l’imperatore chiedeva che essa venisse revocata. Questo
atto arbitrario suscitò indignazione e allarme in seno ai cristiani evangelici.
Uno di essi dichiarò: “Cristo è nuovamente caduto nelle
mani di Caiafa e di Pilato”.
I seguaci di Roma si fecero ancora più violenti. Un cattolico fanatico
disse: “I turchi sono migliori dei luterani, perché osservarono
giorni di digiuno mentre i luterani li vietano. Se noi dovessimo scegliere fra
le Sacre Scritture di Dio e i vecchi errori della chiesa, rigetteremo quelle”.
Zelantone a sua volta affermò: “Ogni giorno in piena assemblea
Faber scaglia delle pietre contro di noi” Ibidem. La tolleranza religiosa
era stata stabilita legalmente, per conseguenza gli stati evangelici erano decisi
a opporsi alla revoca dei loro diritti. Lutero,, essendo tuttora oggetto del
bando impostogli dall’editto di Worms, non poté essere presente
a Spira, ma il suo posto fu preso dai suoi collaboratori e dai principi che
Dio aveva suscitati a difesa della sua causa, in quel particolare frangente.
Il nobile Federico di Sassonia, l’antico protettore di Lutero, era morto;
ma il duca Giovanni, suo fratello e successore, aveva accolto con gioia la Riforma;
e, pur essendo amico della pace, diede prova di grande energia e di grande coraggio
in tutto quello che riguardava gli interessi della fede.
I preti chiedevano che gli stati che avevano aderito alla Riforma si sottomettessero
implicitamente alla giurisdizione di Roma. I riformatori, dal canto loro, reclamavano
la libertà che era stata loro precedentemente accordata. Essi non potevano
permettere che Roma riducesse di nuovo sotto il suo controllo gli stati che
con tanta gioia avevano accettato la Parola di Dio. Per giungere a un compromesso,
fu finalmente suggerito che là dove la Riforma non era ancora penetrata,
l’editto di Worms fosse applicato con rigore; mentre “in quegli
stati in cui la gente non ne aveva tenuto conto e perciò non era possibile
imporlo senza il pericolo di una ribellione non si doveva attuare nessuna riforma,
né prendere in considerazione i punti controversi; la celebrazione della
messa doveva essere tollerata, ma non si doveva permettere a nessun cattolico
di abbracciare il Luteranesimo” Ibidem.
La dieta approvò questa proposta, con grande soddisfazione dei sacerdoti
e dei prelati romani. Se questo editto fosse stato imposto, “la Riforma
non avrebbe potuto estendersi… là dove ancora non era conosciuta,
né consolidarsi là dove già esisteva” Ibidem. La
libertà di parola sarebbe stata proibita, e nessuna conversione sarebbe
stata premessa. Gli amici della Riforma erano invitati ad assoggettarsi immediatamente
a queste prescrizioni e a questi divieti. “Il ristabilimento della gerarchia
romana… avrebbe infallibilmente ricondotto agli antichi abusi”;
e ben presto sarebbe stata creata l’occasione per “completare la
distruzione di un’opera già violentemente scossa dal fanatismo
e dai dissensi” Ibidem. Quando i membri del partito evangelico si riunirono
per una consultazione, tutti si guardarono in faccia costernati. Essi si chiedevano
l’un l’altro: “Che cosa fare?”.
Erano in gioco grandi conseguenze per il mondo. “I capi della Riforma
si sarebbero sottomessi e avrebbero accettato l’editto? Sarebbe stato
facile per la Riforma, in quella ora così tragica, imboccare la via che
avrebbe portato a un comportamento del tutto sbagliato. D’altra parte,
non mancavano i pretesti plausibili per sottomettersi. Per esempio, ai principi
luterani era assicurato il libero esercizio della loro religione, e analoga
facoltà veniva estesa a quanti avevano abbracciato le idee della Riforma
prima della decisione proposta. Tutto ciò non era forse sufficiente?
Quanti pericoli sarebbero stati evitati con la sottomissione! L’opposizione,
invece, avrebbe provocato contrattempi e conflitti. Inoltre, chi poteva conoscere
le opportunità che l’avvenire aveva in serbo? Abbracciare la pace,
accettare il ramoscello d’olivo che Roma offriva, fasciare le ferite della
Germania: ecco altrettanti argomenti con i quali i riformatori avrebbero potuto
benissimo giustificare l’adozione di una linea di condotta che però,
col passare del tempo, avrebbe provocato il crollo della loro causa.
<< Per fortuna, essi videro il principio che stava alla base di quella
proposta e agirono mossi dalla fede. Qual era questo principio? Era il diritto
che Roma si arrogava di coartare le coscienze e di vietare la libera indagine.
Non dovevano essi e gli altri protestanti godere della libertà religiosa?
Sì, però essa veniva concessa non già come un diritto,
ma come un favore speciale. Per chiunque si trovasse fuori dell’accordo
in questione, vigeva il principio della grande autorità romana, per cui
la coscienza veniva eliminata e si doveva ubbidire a Roma, giudice infallibile.
L’accettazione di siffatta proposta sarebbe stata la virtuale ammissione
che la libertà religiosa doveva limitarsi solo alla Sassonia riformata,
mentre per il resto del mondo cristiano la libera indagine e la professione
di fede riformata sarebbero state dei crimini punibili col carcere e col rogo.
Potevano i riformati accettare di localizzare la libertà religiosa? Potevano
ammettere implicitamente che la Riforma ormai aveva fatto il suo ultimo convertito,
occupato il suo ultimo palmo di terra, che là dove Roma esercitava il
suo potere, questo doveva sussistere in perpetuo? Potevano i riformatori dichiararsi
innocenti del sangue delle centinaia e delle migliaia di martiri che in seguito
all’adorazione di questo accordo sarebbero stati messi a morte nelle terre
papali? Tutto ciò sarebbe stato un vero tradimento, in quella ora così
solenne, della causa del Vangelo e della libertà del Cristianesimo”
Wylie, vol. 9, cap. 15.
Meglio, perciò, molto meglio “sacrificare tutto: La propria posizione,
la propria corona, la propria vita” D’Aubigné, vol. 13, cap.
5. “Respingiamo questo decreto”, dissero i principi. “In materia
di coscienza, la maggioranza non ha autorità”. I deputati dichiararono:
“Noi dobbiamo la pace di cui il mondo gode al decreto del 1526. Abolirlo
significherebbe provocare in Germania lotte e divisioni. La dieta non può
fare altro che mantenere la libertà religiosa in attesa che si riunisca
il concilio” Ibidem. Tutelare la libertà di coscienza è
dovere dello stato e limite della sua autorità in materia di religione.
Ogni governo secolare che cerchi di regolare o di imporre le osservanze di natura
religiosa ricorrendo all’autorità civile, sacrifica il principio
nel nome del quale i cristiani evangelici tanto nobilmente hanno lottato. I
sostenitori del papa decisero di abbattere quella che essi definivano “audace
ostinazione”. Cominciarono con l’adoperarsi per creare delle divisioni
fra i seguaci della Riforma, e cercarono di intimidire quanti ancora non si
erano dichiarati in suo favore. I rappresentanti delle città libere furono
infine convocati dinanzi alla dieta e invitati a dichiarare se intendevano o
no aderire alla proposta. Essi chiesero invano una dilazione. Quelli che ricusarono
di sacrificare la libertà di coscienza e il diritto al libero esame,
sapevano perfettamente che la loro posizione li avrebbe resi in seguito oggetto
della critica, della persecuzione e della condanna. Uno dei delegati disse:
“Noi dobbiamo: o rinnegare la Parola di Dio o affrontare il rogo”
Ibidem.
Re Ferdinando, rappresentante dell’imperatore alla dieta, si rese conto
che il decreto sarebbe stato fonte di divisione, a meno che i principi non fossero
stati indotti ad accettarlo e a sostenerlo. Ricorse, perciò, alla persuasione,
conscio che con tali uomini l’uso della forza avrebbe sortito l’effetto
contrario. “Egli invitò i principi ad accettare, assicurandoli
che l’imperatore ne sarebbe stato oltremodo compiaciuto”. Quegli
uomini fedeli, però, riconoscevano un’autorità superiore
a quella dei monarchi terreni e quindi risposero, con calma e fermezza: “Noi
ubbidiamo all’imperatore in tutto ciò che può contribuire
al mantenimento della pace e dell’onore di Dio” Ibidem. In piena
dieta il re annunciò all’elettore e ai suoi amici che l’editto
“stava per essere proclamato sotto forma di decreto imperiale”,
e che “l’unica via da seguire era quella di sottomettersi alla maggioranza”,
Detto questo, si ritirò dall’assemblea, togliendo così ai
riformatori l’opportunità e di replicare. “Invano essi gli
inviarono una deputazione per invitarlo a ritornare.
Alle loro rimostranze, il re rispose: “E’ cosa ormai definita;
non vi rimane che sottomettervi” Ibidem. Il partito imperiale era convinto
che i principi cristiani avrebbero aderito alle Sacre Scritture, considerandole
superiori alle dottrine e alle esigenze degli uomini. Sapevano che ovunque fosse
stato accettato questo principio, il papato sarebbe stato abbattuto. Però
essi, come migliaia di altri dopo di allora, guardando solo alle “cose
visibili”, si lusingavano che la causa dell’imperatore e del papa
era forte, mentre i riformati erano deboli. Se i riformatori avessero contato
unicamente sul soccorso umano, sarebbero stati impotenti; mentre, anche se numericamente
deboli e in disaccordo con Roma, essi erano forti, in quanto si richiamavano
“dal rapporto della dieta alla Parola di Dio e dall’imperatore Carlo
a Cristo Gesù, il Re dei re e il Signore dei signori” Idem, vol.
13, cap. 6.
Poiché re Ferdinando aveva rifiutato di tenere conto delle loro convinzioni
di coscienza, i principi decisero di non considerare, a loro nazionale, senza
ritardo. Fu redatta e presentata alla dieta questa solenne dichiarazione: “Noi
protestiamo dinanzi a Dio, nostro Creatore, Protettore, Redentore e Salvatore,
che un giorno sarà il nostro Giudice, come anche dinanzi a tutti gli
uomini e a tutte le creature, che noi, per noi e per il nostro popolo non acconsentiamo
e non aderiamo in nessuna maniera al decreto proposto, in tutto ciò che
è contrario a Dio, alla sua santa Parola, alla nostra coscienza e alla
salvezza delle anime nostre.
“Che cosa! Ratificare questo editto? Affermare che quando l’onnipotente
Iddio chiama un uomo alla sua conoscenza, questi non può giungere nonostante
ciò a conoscerlo? Non esiste altra dottrina sicura se non quella che
si conforma alla Parola di Dio… Il Signore proibisce l’insegnamento
di un’altra dottrina… Le Sacre Scritture debbono essere spiegate
con passi biblici più chiari… Questo Libro è necessario
al cristiano in tutte le cose, facile da capire e atto a dissipare le tenebre.
Noi, perciò, siamo decisi per grazia di Dio a mantenere la pura ed esclusiva
predicazione della sua Parola, quale è contenuta nei libri dell’Antico
e del Nuovo Testamento, senza aggiungervi nulla che possa esserle contrario.
Questa Parola è la sola verità, è la sicura regola di ogni
dottrina e di ogni esistenza, e non può mai venir meno, né ingannare.
Chi edifica su questo fondamento resisterà contro tutte le potenze dell’inferno,
mentre le umane vanità che si levano contro di essa cadranno dinanzi
alla faccia di Dio. “Per questa ragione noi rigettiamo il giogo che ci
viene imposto”.
“Allo stesso tempo ci aspettiamo che sua Maestà imperiale si
comporti nei nostri confronti come un principe cristiano che ama Dio sopra ogni
altra cosa. Noi ci dichiariamo pronti a tributargli – e a tributare a
voi, graziosi signori - tutto l’affetto e tutta l’ubbidienza che
sono nostro giusto e legittimo dovere” Ibidem. Questa risposta produsse
sulla dieta una profonda impressione. La maggioranza dei presenti erano sorpresi
e allarmati per la baldanza dei protestatari. L’avvenire appariva loro
incerto e minaccioso. Dissensi, contese e spargimento di sangue parevano inevitabili.
I riformatori, sicuri della giustizia della loro causa e fidando nel braccio
dell’Onnipotente, erano pieni di coraggio e di fermezza. << principi
contenuti in questa vibrata protesta… costituiscono la vera essenza del
Protestantesimo.
Questa protesta si oppone a due abusi dell’uomo in materia di fede:
il primo è l’intrusione del magistrato civile; il secondo è
l’autorità arbitraria della chiesa. Al posto di questi abusi, il
Protestantesimo pone la forza della coscienza al di sopra del magistrato e l’autorità
della Parola di Dio al di sopra della chiesa visibile. In primo luogo esso rigetta
l’autorità civile nelle cose divine e afferma, con i profeti e
con gli apostoli, “Noi dobbiamo ubbidire a Dio anziché agli uomini!”.
Al cospetto della corona di Carlo V, esso innalza la corona di Gesù Cristo.
Ma va oltre, perché stabilisce il principio secondo cui tutto l’insegnamento
umano deve essere subordinato agli oracoli di Dio >> Ibidem.
I protestanti avevano affermato il diritto di esprimere liberamente le loro
convinzioni in materia di fede. Essi intendevano non solo credere e ubbidire,
ma anche insegnare quello che la Parola di Dio presenta, e negavano ai sacerdoti
e ai magistrati il diritto di interferire. La protesta di Spira fu una solenne
testimonianza contro l’intolleranza religiosa, oltre che l’affermazione
del diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza.
La dichiarazione era stata fatta, era scritta nella mente di migliaia di persone
e registrata nei libri del cielo, dove nessuno sforzo umano avrebbe potuto cancellarla.
Tutta la Germania evangelica adottò la protesta come espressione della
sua fede: ovunque gli uomini vedevano in questa dichiarazione la promessa di
un’era nuova e migliore. Uno dei principi disse ai protestanti di Spira:
“Possa l’Onnipotente, che vi ha fatto la grazia di confessarlo con
energia e senza timore, conservarvi in questa fermezza cristiana fino al giorno
dell’eternità!” Ibidem.
Se la riforma, una volta conseguito un certo successo, avesse acconsentito
a temporeggiare per assicurarsi il favore del mondo, sarebbe stata infedele
a Dio a se stessa, e avrebbe preparato il proprio crollo. L’esperienza
di questi nobili riformati racchiude una lezione valida per tutti i secoli futuri.
Il modo di procedere di Satana contro Dio e contro la sua Parola non è
cambiato: egli è sempre ostile alle Scritture quali norma di vita, come
lo era nel sedicesimo secolo. Oggi si nota un notevole divario dalla dottrina
che esse insegnano, ed è perciò necessario un ritorno al grande
principio protestante: la Bibbia, solo la Bibbia come regola di fede e di condotta.
Satana è all’opera, e ricorre a ogni mezzo per poter dominare ed
eliminare la libertà religiosa. La potenza anticristiana che i protestanti
di Spira rigettarono agisce ancora e cerca, con rinnovato vigore, di ristabilire
la perduta supremazia. Oggi l’unica speranza di riforma risiede nella
stessa, inalterata adesione alla Parola di Dio che fu manifestata in quella
ora critica della Riforma.
Per i protestanti si andavano profilando chiari segni di pericolo; ma allo
stesso tempo si poteva notare che la mano di Dio era stessa per proteggere i
fedeli. Fu verso quella epoca che “Zelantone accompagnò attraverso
le vie di Spira, dirigendosi in fretta verso il Reno, il suo amico Simone Grynaeus,
sollecitando ad attraversare il fiume. Grynaeus era stupito di tanta fretta,
e Zelantone gli disse: “Un vecchio dall’aria grave e solenne, a
me sconosciuto, mi è apparso e mi ha detto: Fra un minuto degli agenti
saranno mandati da Ferdinando ad arrestare Grynaeus”. Quello stesso giorno,
Grynaeus, scandalizzato dal sermone di Faber, eminente dottore papale, alla
fine gli aveva fatto le sue rimostranze, accusandolo di difendere “alcuni
detestabili errori”. Faber dissimulò la propria ira, ma si affrettò
a ricorrere al re, il quale gli rilasciò un ordine per procedere contro
l’importuno professore di Heidelberg. Zelantone era sicuro che Dio aveva
salvato il suo amico mandando uno dei suoi santi angeli ad avvertirlo.
“Immobile, sulla riva del Reno, egli attese fino anche le acque del
fiume non ebbero tratto in salvo l’amico, sottraendolo ai suoi persecutori.
“Finalmente!”, esclamò Zelantone quando lo vide giunto sull’opposta
riva. “Finalmente egli è stato sottratto alle fauci crudeli di
coloro che erano assetati del suo sangue innocente!”. Ritornando a casa,
seppe che gli agenti mandati alla ricerca di Grynaeus avevano perquisito l’edificio
nel quale abitava, dal solaio alle cantine” Ibidem. La Riforma doveva
imporsi all’attenzione dei potenti della terra. I principi evangelici,
ai quali era stata rifiutata l’udienza da parte di re Ferdinando, ebbero
l’opportunità di esporre la loro causa all’imperatore e ai
dignitari dello stato e della chiesa. Nell’intento di eliminare i dissidi
che turbavano l’impero, Carlo V, l’anno dopo la protesta di Spira,
convocò una dieta ad Augusta, intenzionato a presiederla egli stesso,
e alla quale furono invitati anche i capi protestanti. La Riforma era minacciata
da gravi pericoli; però i suoi sostenitori avevano rimesso la loro causa
nelle mani di Dio e si erano impegnati a rimanere fedeli alle Sacre Scritture.
L’elettore di Sassonia fu esortato dai suoi consiglieri a non presentarsi
alla dieta. L’imperatore, dicevano, esigeva la presenza dei principi per
tendere loro un tranello. “Non significava forse rischiate tutto, andando
a chiudersi fra le mura di una città dove c’era un nemico potente?”.
Altri, nobilmente, dichiararono: “Che i principi diano prova di coraggio,
e la causa di Dio sarà salva!”. Lutero, a sua volta, affermò:
Dio è fedele e non ci abbandonerà!”. Idem, vol. 14, cap.
2. L’elettore, accompagnato dal suo seguito, mosse verso Augusta. Tutti
erano consapevoli dei pericoli che lo minacciavano, e non pochi procedevano
oppressi, col cuore turbato. Lutero, che li accompagnò fino a Coburgo,
ravvivò la loro fede col canto dell’inno da lui scritto durante
il viaggio: “Forte rocca è il nostro Dio”. Molti oscuri presagi
furono banditi, molti cuori presero animo nell’udire il canto di queste
strofe ispirate.
I principi riformati avevano deciso di presentare alla dieta una dichiarazione
dei loro punti di vista, redatta in forma sistematica e documentata da esplicite
affermazioni delle Sacre Scritture. Furono incaricati di redigerla Lutero, Melantone
e i loro collaboratori. I protestanti accettarono questa confessione come esposizione
della loro fede, e si riunirono per firmarla. Era, quello, un momento solenne
e decisivo. I riformati desideravano che la loro causa non venisse confusa con
le questioni di carattere politico, e stimavano che la Riforma non dovesse esercitare
altro influsso se non quello derivante dalla Parola di Dio. Quando i principi
cristiani si fecero avanti per la firma, Melantone si interpose dicendo: “Spetta
ai teologi e ai ministri del Vangelo proporre queste cose; mentre l’autorità
dei potenti di questa terra è riservata ad altre questioni”. Giovanni
di Sassonia replicò: “Dio non voglia che tu me ne escluda! Sono
deciso a fare quello che è giusto, senza preoccuparmi della mia corona.
Intendo confessare al Signore: il mio cappello di elettore, il mio ermellino
non mi sono preziosi quanto la croce di Gesù Cristo”. Ciò
detto, appose la sua firma in calce al documento. Un altro principe, nel prendere
in mano la penna, dichiarò: “Se l’onore del mio Signore Gesù
Cristo lo esige, io sono pronto a rinunciare alle mie ricchezze e alla mia vita”.
Quindi proseguì: “Io preferirei rinunciare ai miei sudditi, ai
miei stati e perfino alla terra dei miei avi piuttosto che aderire a una dottrina
diversa da quella espressa in questa confessione” Idem, vol. 14, cap.
6. Questa era la fede, questo era l’ardire di quegli uomini di Dio. Giunse
il momento di comparire dinanzi all’imperatore. Carlo V, seduto sul trono,
circondato dagli elettori e dai principi, diede udienza ai riformatori protestanti.
Fu eletta la loro confessione di fede, e in tal modo le verità del Vangelo
furono chiaramente esposte e affermate al cospetto di quella augusta assemblea,
mentre venivano messi in luce gli errori della chiesa papale. Quel giorno è
stato giustamente definito “il più gran giorno della Riforma, uno
dei giorni più gloriosi nella storia del cristianesimo e dell’umanità”
Idem, vol. 14, cap. 7. Pochi anni erano trascorsi dal giorno in cui il monaco
di Wittenberg si era presentato, solo, dinanzi al concilio nazionale di Worms.
Ora, al suo posto c’erano i principi più nobili e più potenti
dell’impero. A Lutero non era stato consentito di presentarsi ad Augusta,
però egli era presente con le sue parole e con le sue preghiere. “Io
esulto di gioia”, scriveva, “per essere vissuto fino a questo momento
nel quale Cristo è stato pubblicamente esaltato da confessori così
illustri in un’assemblea tanto importante” Ibidem. Si adempiva,
così, la dichiarazione delle Scritture: “Parlerò delle sue
testimonianze dinanzi ai re” Salmo 119:46.
L’apostolo Paolo portò dinanzi ai principi e ai nobili della
città imperiale quel Vangelo a cagione del quale egli era stato messo
in carcere. Così, in questa occasione, quello che l’imperatore
aveva proibito di predicare dal pulpito, fu predicato in un palazzo. Quello
che molti stimavano non fosse degno di essere udito neppure dai servi, era ora
ascoltato con meraviglia dai grandi e dai signori dell’impero. L’uditorio
si componeva di re e di altri dignitari; i predicatori erano dei principi coronati,
e il sermone era rappresentato dalle regali verità di Dio. “Dai
tempi degli apostoli”, dice uno storico, “non c’era mai stata
un’opera maggiore di questa; non c’era mai stata una confessione
più grandiosa” D’Aubigné, vol. 14, cap. 7. Tutto quello
che i luterani hanno detto è vero, e noi non lo possiamo negare”,
affermò un vescovo cattolico. “Può lei rifiutare con valide
ragioni la confessione fata dall’elettore e dai suoi alleati?”,
chiese un altro al dottor Eck. Questi rispose: “Con gli scritti degli
apostoli e dei profeti, no; ma con quelli dei Padri e dei concili, sì”.
“Capisco”, replicò l’interlocutore. “Secondo
lei i luterani sono nelle Scritture e noi ne siamo fuori” Idem, vol. 14,
cap. 8. Alcuni principi della Germania furono conquistati alla fede riformata.
Lo stesso imperatore dichiarò che gli articoli presentati dai protestanti
erano verità. La confessione fu tradotta in varie lingue e fatta circolare
per tutta l’Europa. Nel corso delle successive generazioni essa fu accettata
da milioni di persone come espressione della loro fede. I fedeli servitori di
Dio non erano soli. Mentre “i principati, le podestà e gli spiriti
malefici nei luoghi celesti” si coalizzavano contro di loro, il Signore
non abbandonò il suo popolo. Se i loro occhi si fossero aperti, essi
avrebbero visto la manifestazione della presenza e dell’aiuto di Dio,
intervenire come nel passato in favore di un profeta. Quando il servo di Eliseo
additò al profeta l’esercito nemico che li circondava, precludendo
loro ogni possibilità di scampo, l’uomo di Dio pregò: “O
Eterno, ti prego, aprigli gli occhi, affinché vegga!” 2° Re
6:17. Ed ecco il monte era pieno di cavalli e di carri di fuoco: l’esercito
del cielo era là per proteggere i figliuoli di Dio. Così gli angeli
protessero gli operai nella causa della Riforma. Uno dei principi più
strenuamente sostenuti da Lutero era che non si doveva ricorrere né al
potere temporale, né alle armi per sostenere la Riforma. Egli si rallegrava
che l’Evangelo fosse confessato dai principi dell’impero; ma quando
essi proposero di unirsi in una lega difensiva, egli dichiarò che “la
dottrina del Vangelo doveva essere difesa solo da Dio… Meno l’uomo
si fosse immischiato nell’opera, più evidente sarebbe apparso l’intervento
di Dio in suo favore. Tutte le precauzioni politiche suggerite erano, secondo
lui, da attribuirsi a un indegno timore e a una peccaminosa sfiducia”
D’Aubigné, vol. 10, cap. 14.
Quando dei nemici potenti si univano per abbattere la fede riformata e migliaia
di spade stavano per essere sguainate contro di essa, Lutero scriveva: “Satana
sta sfogando tutto il suo furore; empi pontefici cospirano e noi siamo minacciati
di guerra. Esortate la gente a combattere valorosamente davanti al trono di
Dio con la fede e la preghiera affinché i nostri nemici, vinti dallo
Spirito di Dio, siano costretti alla pace. Primo nostro bisogno, prima nostra
preoccupazione è la preghiera. Sappia ognuno che noi siamo esposti alla
spada e all’ira di Satana, e preghi” Ibidem. Più tardi, alludendo
alla lega progettata dai principi protestanti, Lutero dichiarò che l’unica
arma da usare in questa lotta era “la spada dello Spirito”. All’elettore
di Sassonia scrisse: “In coscienza, noi non possiamo approvare l’alleanza
proposta. Meglio morire dieci volte che vedere il nostro Vangelo provocare lo
spargimento fosse pure di una sola goccia di sangue. Noi dobbiamo comportarci
come agnelli menati al macello e portare la croce di Cristo. Sua Altezza non
abbia timore: faremo di più noi con le nostre preghiere che tutti i nostri
nemici con la loro tracotanza. Solo fate sì che le vostre mani non si
macchino del sangue dei vostri fratelli. Se l’imperatore esige che noi
siamo consegnati ai tribunali noi siamo pronti a presentarci. Voi non potete
difendere la nostra fede: ognuno deve credere a proprio rischio e pericolo”
Idem, vol. 14, cap. 1. Del santuario della preghiera derivò la potenza
che, mediante la grande Riforma, vinse il mondo. I servi del Signore, appoggiandosi
sulla Augusta, Lutero “non trascorse neppure un giorno senza consacrare
tre ore alla preghiera, sottraendole a quelle più profittevoli per lo
studio”. Nell’intimità della sua stanza, egli apriva la sua
anima a Dio “con parole di adorazione, di timore e di speranza, come quando
uno parla con un amico”. “Io so che tu sei nostro Padre e nostro
Dio”, diceva, “e che disperderai i persecutori dei tuoi figli, perché
tu stesso sei in pericolo con noi. Questo affare è tuo, ed è costretti
da te che noi vi abbiamo messo la mano. Padre, difendici!” Idem, vol.
14, cap. 6.
A Melantone, oppresso dall’inquietudine, egli scriveva: “Grazia
e pace in Cristo… in Cristo, dico, e non nel mondo. Amen. Io odio di un
odio estremo le eccessive preoccupazioni che ti consumano. Se la causa è
ingiusta, abbandoniamola; ma se è giusta, perché dubitare delle
promesse di Colui che ci invita a dormire senza timore?... Cristo non verrà
mai meno nella sua opera di giustizia e di verità. Egli vive, Egli regna;
perciò che paura possiamo avere?” Ibidem. Dio ascoltò il
grido dei suoi servitori e diede ai principi e ai ministri la grazia e il coraggio
di sostenere la verità contro gli esponenti delle tenebre di questo mondo.
Il Signore dice: “Ecco, io pongo in Sion la pietra del capo del cantone,
eletta, preziosa; e chi crederà in essa non sarà punto svergognato”
1° Pietro 2:6 (D). I riformatori protestanti avevano edificato su Cristo,
e le porte dell’inferno non potevano avere il sopravvento su di loro.
UNA LUCE NUOVA IN FRANCIA.
La protesta di Spira e la confessione di Augusta, che segnarono il trionfo della
Riforma in Germania, furono seguite da lunghi anni di lotte e di tenebre. Indebolito
da divisioni intestine, attaccato da nemici potenti, il Protestantesimo sembrava
destinato a una distruzione totale. Migliaia di persone suggellarono la loro
testimonianza col sangue; scoppiò la guerra civile; la causa protestante
fu tradita da uno dei suoi principali aderenti; i più nobili principi
riformati caddero nelle mani dell’imperatore e furono condotti prigionieri
di città in città. Quando, però, pensava di festeggiare
il suo trionfo, l’imperatore fu sconfitto e vide sfuggirli di mano la
preda che credeva già sua. Fu costretto a concedere la tolleranza alle
dottrine che si era ripromesso di annientare. Egli, che aveva impegnato il suo
regno, i suoi beni e la stessa sua vita per soffocare l’eresia, vide i
suoi eserciti vinti in battaglia, i suoi beni esaurirsi, i suoi numerosi regni
minacciati dalla rivolta, mentre ovunque la fede, che invano si era sforzato
di sopprimere, andava estendendosi sempre più. Carlo V aveva lottato
contro l’Onnipotente. Dio aveva detto “Sia la luce!” e l’imperatore
si era illuso di riuscire a mantenere le tenebre. Il suo progetto era fallito
e, sebbene ancora relativamente giovane, stanco di tante lotte, abdicò
al trono e si seppellì in un convento. In Svizzera, come in Germania,
ci furono giorni oscuri per la Riforma. Mentre molti cantoni accettavano la
fede riformata altri rimanevano attaccati con cieca tenacia al credo di Roma.
La loro persecuzione contro coloro che desideravano accettare la verità
sfociò, ala fine, nella guerra civile.
Zuinglio e molti che si erano uniti a lui nella Riforma, caddero sull’insanguinato
campo di Cappel. Ecolampadio, sopraffatto da queste terribili distrette, morì
di lì a poco. Roma esultava, e sembrò che in molti luoghi dovesse
riconquistare ciò che aveva perduto. Ma Colui i cui consigli sono eterni,
non aveva abbandonato la sua casa né i suoi figli. La sua mano ancora
una volta avrebbe recato loro la liberazione: Dio aveva suscitato in altre terre
degli operai che avrebbero portato avanti la Riforma. In Francia, ancor prima
che il nome di Lutero fosse conosciuto come quello di un riformatore, era spuntata
l’alba di un nuovo giorno. Uno dei primi a scorgere la luce fu Lefevre,
uomo colto, di età avanzata, professore all’università di
Parigi, sincero sostenitore del papa. Indagando nella letteratura antica, egli
fu attratto dalla Bibbia e ne introdusse lo studio fra i suoi studenti. Lefevre
era un entusiasta adoratore dei santi, e si era accinto a scrivere una storia
dei santi e dei martiri, secondo le leggende della chiesa. Era già a
buon punto di questa opera, che esigeva molto lavoro, quando pensò che
la Bibbia gli avrebbe potuto fornire un valido contributo. Cominciò a
studiarla a questo proposito. Trovò in essa dei santi di un genere diverso
da quelli che figuravano sul calendario cattolico. Un fascio di luce divina
inondò la sua mente ed egli, stupito e sdegnato, abbandonò il
lavoro intrapreso e si consacrò alla Parola di Dio. Non passò
molto tempo che cominciò a predicare le preziose verità che vi
aveva scoperte. Nel 1512, prima ancora che Lutero e Zuinglio cominciassero l’opera
della Riforma, Lefevre scrisse: “E’ Dio che per la fede ci dà
quella giustizia che per grazia giustifica a vita eterna” Wylie, vol.
13, cap. 1. Considerando il mistero della redenzione, esclamò: “O
ineffabile grandezza di quella sostituzione! L’innocente è condannato
e il colpevole è messo in libertà. La benedizione subisce la maledizione,
e colui che è maledetto gode della benedizione. La vita muore e i morti
vivono. La gloria è avvolta dalle tenebre e colui che conosceva solo
la confusione del volto è ammalato di gloria” D’Aubigné,
vol. 12, cap. 2. Pur insegnando che la gloria
della salvezza appartiene a Dio, egli dichiarava che all’uomo incombe
il dovere dell’ubbidienza. “Se tu sei un membro della chiesa di
Cristo”, diceva, “sei membro del suo corpo. Se tu sei del suo corpo,
sei ripieno della natura divina… Oh, se gli uomini potessero capire tutta
la portata di questo privilegio, come vivrebbero puramente, castamente, santamente!
Quanto stimerebbero misera la gloria di questo modo se paragonata con quella
interiore che l’occhio della carne non può vedere!” Ibidem.
Fra gli studenti di Lefevre ce ne furono alcuni che ascoltarono avidamente le
sue parole e che, molto tempo dopo che la voce di questo maestro si era spenta,
continuarono a parlare della verità. Uno di essi fu Guglielmo Farel.
Figlio di genitori pii, abituato fin da piccolo ad accettare con fede implicita
gli insegnamenti della chiesa, avrebbe potuto ripetere – parlando di se
stesso – le parole dell’apostolo Paolo: “Secondo la più
rigida setta della nostra religione, sono vissuto Fariseo” Atti 26:5.
Devoto cattolico romano, era pieno di zelo, pronto a distruggere chiunque avesse
osato opporsi alla chiesa. “Io digrignavo i denti come un lupo famelico”,
disse più tardi parlando di quel periodo della sua vita, “ogni
volta che udivo qualcuno parlare contro il papa” Wylie, vol. 13, cap.
2. Instancabile nel culto dei santi, accompagnava Lefevre nel giro delle chiese
di Parigi, adorando dinanzi agli altari e recando doni ai santuari. Queste osservanze,
però, non gli davano la pace dell’anima. Egli sentiva gravare su
di sé la convinzione del peccato, e nulla gli poteva dare la tranquillità,
nonostante tutti i suoi atti di penitenza. Come voce che scendeva dal cielo,
egli ascoltava le parole del riformatore: “La salvezza è per grazia…
L’innocente è condannato e il colpevole è assolto…
Solo la croce di Cristo può schiudere le porte del cielo e serrare le
porte dell’inferno” Ibidem. Farel accettò la verità
con gioia. Con una conversione simile a quella dell’apostolo Paolo, egli
si volse dalla servitù della tradizione alla libertà dei figli
di Dio. “Non più col cuore omicida di un lupo rapace”, egli
disse, “diventai quieto, come un agnello mansueto e inoffensivo, avendo
totalmente ritirato il mio cuore dal papa per darlo a Gesù” D’Aubigné,
vol. 12, cap. 3. Mentre Lefevre continuava a diffondere la luce fra i suoi studenti,
Farel, zelante per la causa di Cristo quanto lo era stato per quella del papa,
cominciò a proclamare la verità in pubblico. Un dignitario della
chiesa, il vescovo di Meaux (Briconnet. N. d. T.) ben presto si unì a
loro. Anche altri insegnanti, noti per il loro sapere e per la loro capacità,
si unirono nella proclamazione del Vangelo, e questo contribuì a conquistare
degli aderenti in ogni ceto: dalle umili dimore degli artigiani e dei contadini,
al palazzo reale.
La sorella di Francesco I, allora monarca regnante, accettò la fede
riformata. Il re stesso e la regina madre si dimostrarono per un certo tempo
favorevoli alla Riforma, e questo fece nascere nei riformati la segreta speranza
che un giorno la Francia sarebbe stata conquistata all’Evangelo. Le loro
speranze, purtroppo, non si attuarono. Prove e persecuzioni, misericordiosamente
nascoste ai loro occhi, aspettavano i discepoli di Cristo. Ci fu un periodo
di pace che contribuì a far loro riprendere vigore per affrontare la
tempesta, mentre la Riforma compiva rapidi progressi. Il vescovo di Meaux si
adoperava con zelo nella sua diocesi per istruire il clero e il popolo. Sacerdoti
ignoranti e immorali furono esonerati dal loro incarico e sostituiti, nella
misura del possibile, da uomini dotti e pii. Il vescovo, che desiderava ardentemente
dare a ognuno la possibilità di avere l’accesso diretto e personale
alla Parola di Dio, riuscì ad attuare questo suo desiderio mediante la
traduzione del Nuovo Testamento fatta da lui stesso. Presso a poco quando la
tipografia di Wittenberg consegnava alla Germania la Bibbia tedesca di Lutero,
a Meaux veniva pubblicato il Nuovo Testamento in lingua francese. Il vescovo
non risparmiò né sforzi, né spese per la diffusione della
Parola di Dio nella su diocesi, e così di lì a poco tempo gli
abitanti di Meaux si trovano in possesso della Sacra Scrittura.
Simili a viandanti assetati che salutano con gioia una sorgente di acqua viva,
queste anime accolsero con entusiasmo il messaggio del cielo. I contadini nel
campo e gli artigiani nel laboratorio rallegravano le loro quotidiane fatiche
parlando delle preziose verità bibliche. La sera, poi, anziché
andare alla bettola si riunivano ora nell’una, ora nell’altra casa
per leggere la Parola di Dio e per pregare. Ben presto si riscontrò un
profondo mutamento in quella comunità. Pur appartenendo alla classe giorno,
Berquin fu condotto al patibolo. Una folla immensa si era raccolta per assistere
all’esecuzione. Molti, con meraviglia e dolore, si rendevano conto che
la vittima era stata scelta fra le migliori e più nobili famiglie della
Francia. Sui volti dei presenti si potevano leggere lo stupore, l’indignazione,
il disprezzo e l’odio. Solo un volto rimaneva sereno: quello di Berquin.
I pensieri del martire erano ben lungi da quella scena: egli sentiva solo la
presenza del Signore. Non si attardava a considerare la rozza carretta sulla
quale lo avevano issato, i volti corrucciati dei suoi persecutori, la spaventosa
morte che lo attendeva. Colui che è morto e che vive nei secoli dei secoli,
Colui che ha in mano le chiavi della morte e del soggiorno dei morti, era al
suo fianco. Sul volto di Berquin risplendevano la luce e la pace del cielo.
Aveva indossato “il suo abito più bello, un vestito di raso e di
damasco, calze dorate e un manto di velluto” D’Aubignè, History
of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 2, cap. 16. Dato che
si accingeva a testimoniare della sua fede al cospetto del Re dei re e dell’intero
universo, nessun segno di lutto doveva turbare la sua gioia. Mentre il corteo
si snodava lentamente lungo le vie affollate, la gente notava stupita la pace
e la luce di trionfo che il suo sguardo e il suo portamento rivelavano. “Egli
è simile”, commentavano gli astanti, a che risiede in un tempio
e medita su cose sacre” Wylie, vol. 13, cap. 9. Salito sul patibolo, Berquin
cercò di dire alcune parole ai presenti, ma i frati, temendo per quanto
poteva derivarne, coprirono la sua voce con le loro grida, mentre i soldati
facevano tintinnare le loro armi così che il clamore soffocò la
voce del martire. In tal modo, la più alta autorità letteraria
ed ecclesiastica della colta Parigi (la Sorbona) nel 1529 “diede al popolino
del 1973 (Rivoluzione Francese. N. d. T.) il vile esempio di soffocare sul patibolo
le parole sacre dei momenti” Ibidem. Berquin fu strangolato e il suo corpo
dato alle fiamme. La notizia della sua morte suscitò vivo dolore fra
gli amici della Riforma in tutta la Francia; ma il suo esempio non fu vano:
“Anche noi”, dichiaravano i testimoni della verità, “siamo
pronti ad affrontare la morte con letizia, fissando i nostri sguardi sulla vita
avvenire” D‘Aubigné, History of the Reformation in Europe
in The Time of Calvin, vol. 2, cap. 16.
Durante la persecuzione a Meaux, coloro che insegnavano la fede riformata furono
privati della licenza di predicatori e costretti a riparare altrove. Lefevre
andò in Germania a Farel ritornò al suo paese natio, nella Francia
orientale, per diffondervi la luce della verità.
Egli era stato preceduto dalle notizie di quello che avveniva a Meaux, e così
la verità che insegnava con fede intrepida trovò molti ascoltatori.
Ben presto le autorità si mossero per farlo tacere, ed egli fu bandito
dalla città. Quantunque non potesse più lavorare pubblicamente,
egli percorse pianure e villaggi insegnando nelle case private e trovando rifugio
nelle foreste e nelle caverne rocciose che tante volte aveva visitato durante
l’infanzia. Dio lo preparava per prove maggiori. “Le croci, le persecuzioni,
le macchinazioni di Satana di cui sono stato preavvertito non mancano”,
egli diceva, “anzi sono ancora più severe di quanto io non pensassi.
Però Dio è il Padre mio e mi ha sempre dato e sempre mi darà
la forza di cui ho bisogno” D’Aubignè, History of the Reformation
of the Sixteenth Century, vol. 12, cap. 9. Come ai giorni degli apostoli, la
persecuzione aveva contribuito “a maggiore avanzamento dell’evangelo”
Filippesi 1:12 (D). Scacciati da Parigi e da Meaux, “andavano attorno
evangelizzando la parola” Atti 8:4. Così la luce penetrò
in molte remote province della Francia. Dio, intanto, stava preparando altri
operai per la sua casa. In una scuola di Parigi c’era un giovane riflessivo,
quieto, che dimostrava di possedere una mente acuta e penetrante. Egli si distingueva
per l’irreprensibilità della sua condotta, oltre che per il vigore
intellettuale e la devozione religiosa. Il suo genio e la sua applicazione facevano
di lui il vanto e l’orgoglio del collegio, tanto che era facile presagire
che Giovanni Calvino – questo era il nome – sarebbe diventato il
più abile e onorato difensore della chiesa. Ma un raggio di luce divina
attraversò le tenebre della scolastica e della superstizione che avviluppavano
Calvino. Egli udì parlare, rabbrividendo, delle nuove dottrine, e pensò
che gli eretici erano meritevoli del fuoco nel quale vanivano gettati. Nondimeno,
del tutto involontariamente egli fu indotto ad affrontare l’eresia e costretto
a mettere alla prova la forza della teologia romana per combattere l’insegnamento
protestante. Calvino aveva a Parigi un cugino, Olivetano, che aveva accettato
la Riforma. I due si incontravano speso e discutevano sulle questioni che turbavano
il mondo cristiano. “Nel mondo”, diceva Olivetano, “ci sono
due soli sistemi religiosi: uno comprende le religioni inventate dagli uomini,
secondo le quali la creatura si salva mediante le cerimonie e le buone opere;
l’altro è la religione rivelata nella Bibbia che insegna all’uomo
di cercare la salvezza unicamente dalla grazia gratuita di Dio”. “Io
non voglio avere nulla a che fare con le tue nuove dottrine”, replicava
Calvino. “Credi tu che io sia vissuto nell’errore tutti i miei giorni?”
Wylie, vol. 13, Cap. 7.
Nella mente di Calvino erano penetrati dei pensieri che egli non riusciva
più a cancellare. Nella solitudine della sua cameretta, egli rifletteva
sulle parole del cugino. Sentiva la convinzione del peccato e si vedeva senza
intercessore alla presenza di un Giudice santo e giusto. La mediazione dei santi,
le buone opere, le cerimonie della chiesa: tutto gli appariva impotente a cancellare
il peccato. Scorgeva dinanzi a sé solo tenebre e disperazione eterna.
Invano i dottori della chiesa si sforzavano di rassicurarlo; inutilmente ricorreva
alla confessione e alla penitenza: nulla riusciva a riconciliare la sua anima
con Dio. Mentre era in preda a queste lotte infruttuose, Calvino un giorno si
trovò a passare da una piazza dove assisté al rogo di un eretico.
Fu colpito dall’espressione di serenità che si leggeva sul volto
del martire. In mezzo alle atroci torture di quella morte spaventosa e sotto
la più terribile condanna della chiesa, questi manifestava una tale fede
e un tale coraggio che il giovane studente non poté fare a meno di paragonare
alla disperazione e alle tenebre che non riusciva a vincere in sé, nonostante
i suoi sforzi per vivere in stretta ubbidienza alla chiesa. Calvino sapeva che
gli eretici basavano la loro fede sulla Bibbia, e decise di studiarla per conoscere
il segreto della loro gioia. Nella Bibbia egli trovò Cristo e gridò:
“Padre, il suo sacrificio ha placato la tua ira; il suo sangue ha cancellato
la mia impurità; la sua croce ha rimosso la mia condanna; la sua morte
ha espiato per me.
Noi avevamo escogitato vane follie, ma tu hai posto la tua Parola dinanzi
a me, simile a una torcia, e hai toccato il mio cuore affinché io ritenga
abominevole qualunque altro merito che non sia quello di Cristo” Martyn,
vol. 3, cap. 13. Calvino era stato preparato per il sacerdozio e fin dall’età
di dodici anni designato come cappellano di una piccola chiesa. Era stato tonsurato
dal vescovo, secondo il canone ecclesiastico. Non avendo ancora ricevuto la
consacrazione sacerdotale, egli non svolgeva le mansioni di prete, però
era, di diritto, membro del clero e percepiva un assegno regolare.
Rendendosi conto ormai di non potere più diventare sacerdote, egli riprese
per un po’ di tempo gli studi di giurisprudenza; ma li abbandonò
poco dopo perché deciso a consacrare la propria vita all’Evangelo.
Esitava ancora a diventare un predicatore perché, timido com’era,
si sentiva oppresso sotto il peso della responsabilità, derivante da
tale posizione. Alla fine, le calde esortazioni dei suoi amici ebbero il sopravvento.
<< È una cosa meravigliosa >>, diceva, << di uno di
così umile origine sia innalzato a una così grande dignità!
>> Wylie, vol. 13, cap. 9.
Calvino si mise quietamente all’opera: le sue parole erano come rugiada
che rinfresca il suolo.
Lasciata Parigi, si recò in una cittadina di provincia, sotto la protezione
della principessa Margherita che, amando l’Evangelo, ne proteggeva i discepoli.
Calvino, giovane dalle maniere gentili, senza presunzione, cominciò la
sua attività visitando le persone nelle loro case.
Circondato dai della famiglia, egli leggeva la Bibbia e spiegava la verità
relativa alla salvezza. Gli ascoltatori, poi, comunicavano ad altri la lieta
novella, e così ben presto Calvino dovette recarsi in altri villaggi
e cittadine. Ovunque veniva accolto favorevolmente sia nelle capanne che nei
suntuosi castelli, e poté gettare le fondamenta di chiese che in seguito
diedero una intrepida testimonianza della verità. Alcuni mesi più
tardi egli si ritrovò a Parigi dove regnava una insolita agitazione nel
mondo dei dotti e dei letterati. Lo studio delle lingue antiche aveva richiamato
l’attenzione sulla Bibbia e molti, il cui cuore non era stato toccato
dalla grazia, discutevano animatamente la verità e combattevano perfino
i campioni del romanesimo. Calvino, sebbene fosse un polemista abile nel campo
della controversia religiosa, aveva da compiere una missione più importante
di quella che interessava quei turbolenti scolastici.
Gli spiriti erano agiati, e il momento pareva adatto per la presentazione
della verità. Mentre le aule universitarie echeggiavano dei clamori delle
dispute teologiche. Calvino andava di casa in casa spiegando le Scritture e
parlando di Cristo crocifisso. Nella provvidenza di Dio Parigi doveva ricevere
un nuovo invito ad accettare l’Evangelo. L’appello di Lefevre e
di Farel era stato respinto, però il messaggio doveva essere ancora predicato
nella capitale a ogni categoria di persone. Il re, in seguito a considerazioni
di carattere politico, non si era ancora pienamente schierato con Roma contro
la Riforma. Sua sorella, la principessa Margherita, che nutriva sempre la speranza
di vedere il Protestantesimo trionfare in Francia, volle che la fede riformata
venisse predicata a Parigi. In assenza del re, ella diede ordine a un pastore
protestante di predicare nelle chiese della città. La cosa non fu permessa
delle autorità ecclesiastiche e la principessa, allora, fece aprire le
porte del palazzo reale. Un appartamento venne adibito a cappella, e fu annunciato
che ogni giorno a una certa ora sarebbe stato predicato un sermone al quale
tutti erano invitati, senza alcuna distinzione di ceto. Una vera folla partecipò
alla riunione; non solo la cappella, ma anche le anticamere e i vestiboli erano
pieni di gente. Ogni giorno affluivano migliaia di persone: nobili, uomini di
stato, avvocati, mercanti, artigiani. Il re, anziché proibire queste
adunanze, diede ordine che fossero aperte due chiese di Parigi. Mai prima di
allora la città era stata così scossa della Parola di Dio. Lo
Spirito di vita sembrava aleggiare sul popolo. La temperanza, la purezza, l’ordine
e l’attività prendevano il posto dell’ubriachezza, della
licenziosità, dei tumulti e dell’ozio.
Le autorità ecclesiastiche, però, non se ne stettero inattive.
Poiché il re non voleva intervenire per mettere fine alla predicazione,
esse ricorsero alla plebaglia. Nessun mezzo fu risparmiato per suscitare timori,
pregiudizi e fanatismo in seno a quelle moltitudini ignoranti e superstiziose.
Cedendo ciecamente ai suoi falsi dottori, Parigi – come l’antica
Gerusalemme – non conobbe il tempo della sua visitazione, né le
cose che appartenevano alla sua pace. Nella capitale, la Parola di Dio fu predicata
per due anni. Molti accettarono il Vangelo, ma la maggior parte del popolo e
lo respinse. Francesco era stato tollerante solo per scopi personali, e così
i papisti riuscirono a esercitare nuovamente su di lui il loro ascendente, col
risultato che le chiese furono chiuse e il patibolo venne di nuovo eretto.
Calvino era ancora a Parigi dove, pur continuando a diffondere la luce intorno
a sé, si preparava all’attività futura mediante lo studio,
la meditazione e la preghiera. Segnalato alle autorità ecclesiastiche,
fu condannato al rogo. Ritenendosi sicuro nel suo rifugio, egli ignorava il
pericolo che lo minacciava. Se ne rese conto solo quando i suoi amici fecero
irruzione nella sua stanza per avvertirlo che la polizia veniva ad arrestarlo.
Proprio in quel momento si udì bussare vigorosamente al portone di casa.
Non c’era tempo da perdere. Mentre alcuni amici cercavano di temporeggiare
con gli agenti che stavano alla porta, altri aiutarono il riformatore a calarsi
dalla finestra. Calvino si diresse rapidamente verso i sobborghi della città,
entrò in casa di un operaio amico della Riforma, si fece dare un vestito,
si mise una gerla sulle spalle e proseguì la sua fuga verso il sud dove
trovò rifugio negli stati della principessa Margherita (Vedi D’Aubigné,
History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 2, cap. 30).
Grazie alla protezione di amici potenti, egli vi rimase alcuni mesi consacrandosi
come prima allo studio. Il suo cuore, però, era ormai legato all’evangelizzazione
della Francia, e così si sentì di non poter rimanere più
a lungo inoperoso. Non appena la tempesta si fu un poco calmata, Calvino cercò
un nuovo campo di lavoro a Poitiers dove c’era una università e
dove le nuove idee erano state accolte favorevolmente. Gente di ogni ceto ascoltava
con letizia l’Evangelo. In assenza di un luogo pubblico per la predicazione,
Calvino esponeva le parole di vita eterna a quanti desideravano ascoltarle,
o in casa del magistrato della città o in casa propria o in un giardino
pubblico. In seguito al costante aumento del numero degli ascoltatori, fu stimato
più prudente riunirsi fuori città. Una caverna situata sul fianco
di una gola stretta e profonda, nascosta da alberi e da rocce, fu scelta come
luogo di raduno. La gente usciva di città a piccoli gruppi e, seguendo
vie diverse, si dava convegno in quel posto, dove veniva letta e spiegata la
Parola di Dio. Fu lì che i protestanti della Francia celebrarono per
la prima volta la Santa Cena. Da quella piccola chiesa uscirono non pochi fedeli
evangelisti. Ancora una volta Calvino ritornò a Parigi, perché
non poteva rinunciare alla speranza di vedere la Francia accettare la Riforma.
Purtroppo trovò quasi tutte le porte chiuse, poiché insegnare
le Sacre Scritture, cioè, il Vangelo significava imboccare la via che
conduceva direttamente al rogo. Alla fine, egli decise di recarsi in Germania.
Aveva appena lasciato la patria che la tempesta si abbatté sui protestanti
francesi. Se egli fosse rimasto, quasi sicuramente sarebbe perito nella strage
generale. I riformatori francesi, ansiosi di vedere il loro paese procedere
di pari passo con la Germania e con la Svizzera, avevano deciso di infliggere
un violento colpo alle superstizioni di Roma e di scuotere in tal modo l’intera
nazione. Una notte in tutta la Francia vennero affissi dei cartelli che attaccavano
la messa.
Questo gesto inconsulto, lungi dal contribuire al progresso della Riforma,
risultò dannoso non solo a chi lo aveva ideato, ma anche agli amici della
Riforma in tutto il paese. Esso fornì ai cattolici il pretesto per chiedere
la totale distruzione degli eretici, considerati agitatori pericolosi per la
stabilità del trono e per la pace della nazione. Una mano ignota –
quella di un amico indiscreto o di un perfido nemico, non si poté mai
appurare - attaccò uno di questi cartelli sulla porta della camera del
re. Il monarca ne rimase inorridito: quel foglio attaccava violentemente una
superstizione venerata per secoli. L’incredibile ardire che osava introdurre
quelle offensive dichiarazioni addirittura nell’intimità della
dimora reale, suscitò l’ira del sovrano. Nella sua costernazione,
egli rimase muto per un attimo, fremente di collera; quindi pronunciò
le terribili parole: “Siano presi tutti indistintamente coloro che sono
sospetti di luteresia. Voglio sterminarli tutti!” Idem, vol. 4, cap. 10.
Il dado era tratto: il re aveva deciso: si era schierato dalla parte di Roma!
Furono prese immediatamente delle misure per l’arresto di ogni luterano
di Parigi. Un povero artigiano, aderente alla fede riformata, che si era preso
l’incarico di convocare i credenti alle assemblee segrete, fu obbligato
– sotto la minaccia di morte sul rogo – di accompagnare l’emissario
del papa nelle case di tutti i protestanti della città. A quella terribile
richiesta egli fremette di orrore, ma alla fine il timore del rogo ebbe il sopravvento,
ed egli accondiscese a tradire i suoi fratelli. Preceduto dall’ostia,
circondato da uno stuolo di preti, di portatori d’incenso, di frati e
di soldati, Morin, poliziotto reale, accompagnato dal traditore, percorse lentamente
e in silenzio le vie di Parigi. Ostentatamente, la manifestazione era in onore
del “santo sacramento”, come atto di espiazione per l’offesa
recata dai protestanti alla messa. Questo pretesto, però, celava un proposito
omicida. Giunto dinanzi alla casa di un luterano, il traditore faceva un segno.
La processione si fermava e gli abitanti della casa in oggetto venivano incatenati.
Dopo di che il corteo riprendeva il suo cammino verso altre vittime.
“Non risparmiarono nessuna abitazione, piccola o grande che fosse, e
neppure i collegi dell’università di Parigi… Morin faceva
tremare tutta la città… Era il regno del terrore” Ibidem.
Le vittime furono messe a morte dopo crudeli torture, in quanto era stato dato
ordine che il fuoco fosse mantenuto basso per prolungare l’agonia. Esse,
però, morirono eroicamente: la loro fermezza rimase inalterata e la loro
pace non fu scossa. I persecutori, incapaci di vincere quella inflessibile costanza,
si sentirono sconfitti. “I patiboli erano stati disseminati per tutti
i quartieri di Parigi, e i condannati venivano arsi in giorni successivi nell’intento
di disseminare maggiormente il terrore dell’eresia. Eppure, alla fine,
l’ultime parola rimase al Vangelo, perché tutti ebbero modo di
vedere che tipo di persone le nuove opinioni producevano. Non c’era pulpito
paragonabile al rogo dei martiri. La serena gioia che illuminava i loro volti
mentre erano in mezzo alle fiamme divampanti, il loro mansueto perdono delle
ingiurie subite valsero in molti casi a trasformare l’ira in pietà,
l’odio in amore e a parlare con irresistibile eloquenza in favore del
Vangelo” Wylie vol. 13, cap. 20.
I sacerdoti, cattolici, per esasperare l’opinione pubblica, facevano
circolare le più terribili accuse contro i protestanti, i quali venivano
accusati di complottare il massacro dei cattolici, di voler rovesciare il governo
e perfino di voler uccidere il re. Nessuna prova, seppure minima, poteva essere
addotta a sostegno di tali affermazioni; nondimeno quelle profezie di sventura
si sarebbero adempiute, sia pure in circostanze diverse e per cause di ben altra
natura. Le crudeltà subite dagli innocenti protestanti per mano dei cattolici
purtroppo accumularono un peso di retribuzioni che alcuni secoli dopo provocarono
la tragedia che era stata predetta come immediatamente e che travolse il re,
il governo e i sudditi. Essa fu provocata dagli increduli e, in certo modo,
dagli stessi cattolici. Non fu lo stabilimento del protestantesimo, ma la sua
soppressione che trecento anni più tardi doveva attirare sulla Francia
quelle calamità. Il sospetto, la sfiducia, il terrore pervasero tutte
le classi sociali.
In modo mezzo all’allarme generale si notò quale profonda presa
avesse avuto l’insegnamento luterano sulle menti di uomini che si distinguevano
sia per cultura che per prestigio, oltre che per eccellenza di carattere. All’improvviso
erano rimasi vacanti dei posti di fiducia e di onore, perché se ne erano
andati via artigiani, tipografi, studiosi, professori di università e
uomini di corte. A centinaia erano fuggiti da Parigi scegliendo la via del volontario
esilio e rivelando, così, di essere favorevoli alla fede riformata. I
cattolici si guardavano attorno sorpresi di avere avuto in mezzo a loro, senza
saperlo, degli eretici. La loro ira si sfogò su vittime meno illustri
che cadevano in loro potere. Le prigioni erano affollate e l’aria sembrava
oscurata dal fumo dei roghi accesi per i confessori del Vangelo.
Francesco I si era gloriato di essere alla testa del grande movimento di risveglio
culturale che aveva segnato l’inizio del sedicesimo secolo, e si era compiaciuto
di accogliere a corte letterati di ogni paese. Al suo amore per la cultura e
al suo disprezzo per l’ignoranza e la superstizione dei frati era dovuta,
almeno in parte, la sua tolleranza nei confronti della Riforma. Ora, però,
che si era acceso in lui lo zelo contro stampa in tutta la Francia. Francesco
I ci offre uno dei tanti esempi che rivelavano come la cultura intellettuale
non sia una salvaguardia contro l’intolleranza religiosa e la persecuzione.
La Francia, con una solenne cerimonia pubblica, annunciava la propria determinazione
di estirpare il Protestantesimo. I sacerdoti chiedevano che l’affronto
subito dal cielo in seguito agli attacchi diretti alla messa fosse lavato con
sangue e che il re, a nome del popolo, annunciasse pubblicamente questa barbara
iniziativa.
Il rito fu fissato per il 21 gennaio 1535. Il timore superstizioso e l’odio
fanatico di tutta la nazione erano stati sollecitati, e Parigi quel giorno era
affollata da grandi moltitudini provenienti dalle località circonvicine.
La giornata sarebbe stata inaugurata con una imponente processione.<<Le
case situate lungo il percorso seguito dal corteo erano ornate di drappi a lutto,
mentre qua di là per le vie sorgevano degli altari >>. Dinanzi
a ogni porta c’era una torcia accesa in onore del santo sacramento. Il
corteo si formò al palazzo reale, allo spuntare del giorno. <<
Prima venivano le bandiere e le croci delle varie parrocchie, poi i cittadini
a due a due con delle torce in mano >>. Seguivano i quattro ordini dei
frati, ognuno col suo saio particolare. Veniva, quindi, una imponente collezione
di famose reliquie e subito dopo seguiva una schiera di alti prelati ammantati
di porpora e di scarlatto, adorni di gioielli scintillanti.
<< L’ostia era portata dal vescovo di Parigi sotto un magnifico
baldacchino… sorretto da quattro principi di sangue… Dopo l’ostia
vi era il re, a piedi… Francesco I quel giorno non cingeva la corona,
né indossava l’abito reale. A capo scoperto, con gli occhi bassi,
con in mano un cero acceso, il re di Francia appariva come un penitente >>
Idem, vol. 13, cap. 21. Egli si prosternava dinanzi a ogni altare , non per
i propri vizi, non per il sangue innocente che macchiava le sue mani, ma per
il grave peccato che i suoi sudditi avevano commesso condannando la messa. Dopo
di lui venivano la regina e i dignitari della nazione, anch’essi a due
a due, con in mano una torcia accesa.
Il programma di quel giorno comprendeva anche un discorso del monarca alle
alte cariche dello stato, tenuto nella grande sala del palazzo vescovile. Il
re si presentò col volto abbattuto e, con parole di commossa eloquenza,
deplorò << il delitto, la bestemmia, il giorno di ambascia e di
dolore >> che si erano abbattuti sulla nazione. Indi rivolse un vibrante
appello a ogni fedele suddito perché si adoperasse per estirpare l’eresia
pestilenziale che minacciava la rovina del paese.
<< Signori >>, egli disse, << come è vero che io sono
il vostro re, se io sapessi che uno degli organi del mio corpo è macchiato
e infettato da questa detestabile corruzione, vi inviterei a reciderlo…
Dirò di più: se io sapessi che uno dei miei figli è contaminato
da essa, non lo risparmierei… Io stesso ve lo consegnerei perché
venisse sacrificato a Dio >>. Le lacrime soffocarono le sue parole e tutta
l’assemblea, piangendo, esclamò concorde: << Noi vivremo
e morremo per la religione cattolica! >> D’Aubigné, History
of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 4, cap. 12.
Terribili erano le tenebre scese sulla nazione che aveva respinto la luce
della verità. << La grazia salutare di Dio >> era apparsa;
ma la Francia, dopo averne contemplato la potenza e la santità, dopo
che migliaia dei suoi figli erano stati attratti dalla sua divina bellezza,
dopo che città e villaggi erano stati rischiarati dal suo radioso fulgore,
se ne era distolta e aveva preferito le tenebre alla luce. Avendo respinto il
dono celeste che le veniva offerto, aveva chiamato il male bene e il bene male,
col risultato che la gente aveva finito col rimanere vittima della propria seduzione.
Essa poteva, è vero, credere di compiere la volontà di Dio perseguitandone
il popolo; ma questa sua sincerità non diminuiva affatto la sua colpa
in quanto essa aveva deliberatamente rigettato la luce che avrebbe potuto salvarla
dall’inganno e sottrarla alla responsabilità del sangue versato.
Nella grande cattedrale, dove tre secoli più tardi sarebbe stato innalzato
il culto alla
<< Dea Ragione >> da parte di un popolo che aveva abbandonato l’Iddio
vivente, fu pronunciato il solenne giuramento di estirpare l’eresia. La
processione si ricompose e i rappresentanti della Francia misero mano all’opera
che si erano impegnati a compiere. << A breve distanza l’uno dall’altro
furono eretti dei patiboli sui quali i cristiani protestanti sarebbero stati
arsi vivi, e si fece in modo che il rogo venisse acceso proprio nel momento
in cui il re si avvicinava perché, in tal modo, la processione potesse
sostare e assistere al supplizio >> Wylie, vol. 13, cap. 21. I particolari
delle torture inflitte a questi testimoni della verità sono troppo crudi
per essere qui descritti; ad ogni modo nessuna delle vittime tentennò.
Invitata ad abituare, una di esse rispose: “Io credo solo che hanno predicato
i profeti e gli apostoli e a quello che hanno creduto i santi. La mia fede si
fonda su Dio, il quale vincerà tutte le potenze dell’inferno”
D’Aubigné, Hystory of the Reformation in Europe in The time of
Calvin, vol. 4, cap. 12.
La processione si fermò successivamente nei vari luoghi di tortura
e quindi, giunta al punto dove si era formata – il palazzo reale –
si sciolse. Mentre la folla si disperdeva, il re e i prelati si ritirarono,
congratulandosi che l’opera cominciata sarebbe stata proseguita fino alla
totale eliminazione dell’eresia. L’Evangelo della pace che la Francia
aveva respinto doveva essere completamente sradicato, con le terribili conseguenze
che ne sarebbero derivate. Il 21 gennaio 1793, duecentocinquantotto anni dal
giorno in cui la nazione si era pronunciata per la persecuzione dei riformati,
un’altra processione, mossa da motivi ben diversi, attraversava le vie
di Parigi. “Ancora una volta il re ne costituiva la figura principale
e ancora una volta urla e tumulto erano all’ordine del giorno; ancora
una volta e tumulto erano all’ordine del giorno; ancora una volta la giornata
doveva concludersi con sanguinose esecuzioni: Luigi XVI, dibattendosi in mezzo
ai carcerieri e ai carnefici, veniva trascinato a viva forza verso il ceppo
dal quale, di lì a poco, la sua testa recisa dalla mannaia sarebbe rotolata
sulla piattaforma del patibolo” Wylie, vol. 13, cap. 21.
Il re non fu la sola vittima: presso a poco in quello stesso posto, durante
il regno del terrore, oltre duemilaottocento vittime caddero, decapitate dalla
ghigliottina. La Riforma aveva offerto al mondo una Bibbia aperta, sottolineando
i precetti della legge di Dio e additando alle coscienze le sue giuste esigenze.
L’Amore infinito aveva rivelato agli uomini i principi e gli statuti del
cielo dicendo: “Le osserverete dunque e le metterete in pratica; poiché
quella sarà la vostra intelligenza agli occhi dei popoli i quali, udendo
parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è
il solo popolo savio e intelligente!” Deuteronomio 4:6.
Quando la Francia respinse il dono celeste, gettò il seme dell’anarchia
e della rovina, con le inevitabili conseguenze che furono le caratteristiche
della Rivoluzione e del regno del terrore. Molto tempo prima della persecuzione
provocata dai manifesti contro la messa, il prode e zelante Farel era stato
costretto ad abbandonare la sua terra natia e a rifugiarsi in Svizzera, dove
unì le sue forze quelle di Zuignlio contribuendo, in questo modo, a far,
prendere il piatto della bilancia dalla parte della Riforma. Egli trascorse
molti anni in terra elvetica pur continuando a esercitare un notevole influsso
sulla Riforma in Francia. Durante i primi anni dell’esilio, i suoi sforzi
si concentrarono sulla diffusione del Vangelo in patria. Per questo motivo trascorse
non poco tempo predicando fra i suoi connazionali che abitavano vicino alla
frontiera, aiutandoli nella lotta in favore della verità con parole di
incoraggiamento e consigli opportuni. Coadiuvato da altri esuli, egli provvide
alla traduzione in lingua francese degli scritti dei riformatori tedeschi.
Questi scritti, una volta stampati furono largamente diffusi insieme con la
Bibbia in francese dai col portori, i quali li acquistavano a un prezzo ridotto
e potevano, col beneficio ricavato dalla vendita, proseguire l’opera.
Farel aveva intrapreso la sua attività in Svizzera in qualità
di semplice insegnante. Stabilitosi in una parrocchia fuori mano, si era dato
all’istruzione dei fanciulli. Oltre alle comuni materie di insegnamento,
egli introdusse con cautela le verità bibliche nella speranza di poter
raggiungere i genitori tramite i bambini. Alcuni, infatti, accettarono la dottrina,
ma i preti si intromisero per arginare la sua opera, sobillando gli abitanti
di quella zona superstiziosa e istigandoli contro di lui. “Quello non
può essere l’Evangelo di Cristo”, dicevano i sacerdoti, “in
quanto la sua predicazione non reca la pace, ma la guerra” Wylie, vol.
14, cap. 3.
Come i primi discepoli, egli, perseguitato in una località, si recava
in un’altra. Di villaggio in villaggio e di città in città
Farel proseguiva, viaggiando a piedi, soffrendo la fame, il freddo, la stanchezza,
e tutto ciò a rischio della propria vita. Egli predicava sulle piazze
dei mercati, nelle chiese, talvolta dal pulpito di una cattedrale. Certe volte
la chiesa era quasi priva di uditori, altre volte la sua predicazione era ininterrotta
da urli e da motteggi. Non di rado fu strappato con violenza dal pulpito, e
più di una volta preso dalla folla e percosso quasi a morte. Nondimeno,
egli continuò la sua missione. Sebbene spesso respinto, ritornava alla
carica con instancabile perseveranza, ed ebbe la gioia di vedere l’una
dopo l’altra città e villaggi, che un tempo erano state delle fortezze
del papato, aprite le porte al Vangelo. La piccola parrocchia dove egli aveva
cominciato la sua attività accettò la fede riformata. Le città
di Morat e di Neuchâtel rinunciarono ai riti di Roma e tolsero dalle loro
chiese le immagini pagane.
Farel aveva a lungo desiderato piantare a Ginevra il vessillo protestante.
Quella città, se conquistata, sarebbe stata un centro per la Riforma
in Francia, e in Svizzera e in Italia. Con questo progetto nella mente, egli
aveva proseguito la sua opera fino a che numerosi villaggi e cittadine circostanti
avevano accettato la verità. Alla fine si recò a Ginevra con un
solo compagno, ma vi poté predicare due soli sermoni. I preti, non essendo
a presentarsi dinanzi al concilio ecclesiastico al quale essi parteciparono
con armi nascoste sotto le tuniche, decisi a toglierli la vita. Fuori della
sala si era raccolta una folla tumultuosa, armata di bastoni e di spade per
ucciderlo qualora egli fosse riuscito a sottrarsi al concilio.
Fu salvato per la presenza dei magistrati e di una schiera di soldati. L’indomani
mattina, molto presto, Farel fu condotto, insieme col suo amico, sull’altra
riva del lago, in un luogo sicuro. Ebbe così fine il suo primo tentativo
di evangelizzare Ginevra. Per il secondo tentativo fu scelto uno strumento più
modesto: Froment, un giovane dall’apparenza tanto umile che fu accolto
freddamente perfino dagli amici della Riforma. Che cosa avrebbe potuto fare
là dove Farel era stato respinto? Come avrebbe potuto, uno come lui con
poca esperienza e relativo coraggio, affrontare la tempesta davanti alla quale
il più forte e il più valoroso era stato costretto a fuggire?
“Non per potenza né per forza, ma per lo spirito mio, dice l’Eterno
degli eserciti” Zaccaria 4:6. “Ma Dio ha scelto le cose pazze del
mondo per svergognare i savî; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo
per svergognare le forti… poiché la pazzia di Dio è più
savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”
1 Corinzi 1:27:25.
Froment cominciò la sua opera come maestro di scuola. Le verità
che egli insegnava ai fanciulli erano da essi riferite a casa, e ben presto
i genitori vennero per udire la spiegazione della Bibbia. Non passò molto
tempo che l’aula scolastica fu gremita di attenti ascoltatori. Molte copie
del Nuovo Testamento e opuscoli vennero distribuiti gratuitamente e messi nelle
mani di chi non aveva avuto il coraggio di recarsi ad ascoltare le nuove dottrine.
Dopo un po’ anche questo predicatore dovette fuggire, ma ormai la verità
da lui insegnata aveva fatto breccia nella mente del popolo. La Riforma era
stata impiantata e andò sempre più rafforzandosi ed estendendosi.
I predicatori ritornarono, e per la loro attività il culto protestante
finì con lo stabilirsi anche a Ginevra. La città si era già
dichiarata per la Riforma, quando Calvino dopo vari viaggi e peripezie ne varcò
la porta. Di ritorno da una vista al suo paese natio, ed egli era diretto a
Basilea. Saputo che la via che vi conduceva direttamente era occupata dalle
truppe di Carlo V, e gli fu costretto a fare un lungo giro che lo portò
a Ginevra. In questa visita Farel riconobbe la mano di Dio.
Sebbene Ginevra avesse accettato la fede riformata, nondimeno rimaneva da
compiere ancora un grande lavoro. Gli uomini si convertono a Dio individualmente
e non in massa, per cui l’opera della rigenerazione deve compiersi nei
singoli cori e nelle singole coscienze, mediante l’azione dello Spirito
Santo e non già in base ai decreti dei concili. Gli abitanti di Ginevra,
pur avendo rigettata l’autorità di Roma, non erano ancora pronti
a rinunciare ai vizi fioriti durante il suo dominio. Stabilirvi i puri princìpi
del Vangelo e preparare la gente a occupare degnamente il posto al quale la
Provvidenza la chiamava, non era un’impresa facile. Farel sapeva di poter
trovare in Calvino un uomo che lo avrebbe potuto affiancare in questa opera,
e scongiurò il giovane evangelista, nel nome di Dio, di rimanere a Ginevra
per svolgervi la sua attività.
Calvino ne rimase allarmato. Timido per natura, amante della quiete, rifuggiva
il contatto con lo spirito ardito, indipendente e perfino violento dei ginevrini.
D’altra parte, la sua salute cagionevole e le sue abitudini di studio
lo inducevano a starsene appartato. Inoltre, egli stimava di poter meglio servire
la Riforma con la sua penna, e quindi desiderava avere un rifugio tranquillo
dove poter studiare in pace e di là, per mezzo della stampa, istruire
ed edificare le chiese. Il solenne ammonimento di Farel, però, gli giunse
come una chiamata del cielo ed egli, allora, non osò rifiutare. Gli parve
“che la mano di Dio si stendesse fino a lui per afferrarlo e stabilirlo
irrevocabilmente proprio in quel luogo che egli, invece, era tanto impaziente
di lasciare” D’Aubigné History of the Reformation in Europe
in The Time of Calvin, vol. 9, cap. 17.
A quel tempo la causa protestante era minacciata da molti pericoli: gli anatemi
papali tuonavano contro Ginevra e molte nazioni potenti ne meditavano la distruzione.
Quella piccola città come avrebbe potuto resistere a una potenza che
non di rado aveva indotto alla sottomissione re e imperatori? Come avrebbe potuto
resistere agli eserciti dei più grandi conquistatori del mondo? In tutto
il mondo cristiano, il Protestantesimo era avversato da nemici minacciosi. Dopo
i primi trionfi della Riforma, Roma aveva messo insieme nuove forze nell’intento
di annientarla. Fu in quella epoca che nacque l’ordine dei gesuiti, che
si dimostrò il più crudele, il più privo di scrupoli e
il più potente fra i campioni del papato. Alieni da ogni legame terreno
da ogni interesse personale, sordi ai richiami degli affetti naturali, con la
coscienza e la ragione messi a tacere, essi ignoravano qualsiasi regola e vincolo
che non fossero quelli del loro ordine, non conoscevano altro dovere se non
quello di estenderne il potere. Il Vangelo di Cristo aveva messo i suoi aderenti
in condizione di affrontare i pericoli, di sopportare le sofferenze, di sfidare
il gelo, la fame, i disagi, la povertà pur di tenere alta la bandiera
della verità anche di fronte al patibolo, al carcere, al rogo.
Il gesuitismo infondeva nei suoi adepti un fanatismo tale da indurli ad affrontare
analoghi pericoli e apporre alla potenza della verità tutte le armi dell’inganno.
Per loro non esisteva delitto troppo grande, inganno troppo grave, atteggiamento
troppo difficile da assumere. Votati alla povertà e all’umiltà
perpetue, era loro deliberato proposito assicurarsi la ricchezza e il potere
per servirsene contro il Protestantesimo e a favore del ristabilimento della
supremazia papale. Quando si presentavano nella loro veste ufficiale di membri
del loro ordine, essi assumevano un’aria di santità, visitavano
le carceri, gli ospedali, si occupavano degli ammalati e dei poveri, dimostravano
di avere rinunciato al mondo e portavano il sacro nome di Gesù, il quale
andava attorno facendo del bene. Però, sotto l’ineccepibile manto
che li avvolgeva, si celavano i più criminosi e micidiali propositi.
Principio fondamentale dell’ordine era: il furto, lo spergiuro, l’assassinio
non solo erano perdonabili, ma addirittura raccomandabili, se contribuivano
all’interesse della chiesa. In vari modi i gesuiti ascendevano alle alte
cariche dello stato riuscendo a diventare consiglieri dei re e dirigendo la
politica delle nazioni.
Essi si facevano servi per poter spiare i padroni; stabilivano dei collegi
per i figli dei protestanti fossero indotti all’osservanza dei riti papali.
Tutta la pompa esteriore e lo sfarzo del culto romano erano intesi a confondere
le menti, a colpire e conquistare l’immaginazione per modo che la libertà,
in favore della quale i padri si erano battuti e avevano sparso il loro sangue,
fosse tradita dai figli. I gesuiti si sparsero rapidamente per l’Europa,
e ovunque andarono si assisteva a un risveglio del papato. Per accrescere la
loro potenza, fu emessa una bolla che ristabiliva l’Inquisizione. Nonostante
la generale avversione per essa perfino nei paesi cattolici, questo terribile
tribunale fu nuovamente istituito dai governanti papali, e nei segreti sotterranei
furono consumate atrocità troppo orribili per poter affrontare la luce
del sole. In molti paesi migliaia e migliaia di persone che costituivano il
fior fiore della nazione, i più puri e nobili, i più colti e intelligenti,
i pastori devoti e pii, i più puri e nobili, più culti e intelligenti,
i pastori devoti e pii, i cittadini patriottici e industriosi, intellettuali
e scienziati illustri, artisti di talento furono messi a morte, oppure costretti
a fuggire in altri paesi.
Tali erano i mezzi escogitati da Roma per estinguere la luce della Riforma,
per sottrarre agli uomini la Bibbia, per ripristinare l’ignoranza e la
superstizione dei secoli oscuri. Però, per la benedizione di Dio e per
l’attività di quegli uomini nobili e generosi da lui suscitati
per succedere a Lutero, il Protestantesimo non fu sopraffatto. Non già
per il favore dei principi o delle armi temporali, ma per la stessa sua forza.
I paesi più piccoli, le nazioni più deboli e umili divennero dei
baluardi: la piccola Ginevra, situata in mezzo a nemici potenti che ne complottavano
la distruzione; l’Olanda, sui suoi banchi di sabbia del mare del Nord,
che lottava contro la tirannia spagnola, allora il più grande e opulento
dei regni; la modesta e sterile Svezia: tutte conseguirono la vittoria per la
Riforma. Per circa trenta anni Calvino lavorò a Ginevra, prima di stabilirvi
una chiesa che aderisse alla moralità biblica, poi per incrementare la
propagazione della Riforma in tutta l’Europa.
Il suo comportamento come autorità cittadina non fu del tutto scevro
da difetti, e le sue dottrine non furono prive di errori. Nondimeno, egli fu
un valido strumento per la proclamazione di verità che, specie per quella
epoca, erano di particolare importanza; come pure per la difesa e l’affermazione
dei principi del Protestantesimo contro le riaffiorante autorità papale;
nonché per l’incremento in seno alle chiese riformate della semplicità
e della purezza di vita in sostituzione dell’orgoglio e della corruzione
che si erano andati sviluppando dagli insegnamenti di Roma.
Da Ginevra partirono pubblicazioni e predicatori per diffondere le dottrine
riformate. A questo punto, i perseguitati di ogni paese chiedevano direttive,
consigli e incoraggiamenti. La città di Calvino divenne un rifugio per
i riformatori perseguitati di tutta l’Europa occidentale.
Sfuggendo alle paurose tempeste che per secoli si susseguirono, i fuggiaschi
giungevano alle porte di Ginevra affamati, feriti, senza casa, senza famiglia
e venivano accolti calorosamente e assistiti con amore fraterno. Trovata così
una nuova patria, essi la beneficiarono con la loro abilità, il loro
sapere, la loro pietà. Molti, in un secondo tempo, ritornarono ai loro
paesi, determinati a resistere alla tirannia di Roma. Giovanni Knox, il prode
riformatore scozzese; non pochi puritani britannici; i protestanti di Olanda
e di Spagna; ugonotti di Francia: tutti portarono da Ginevra la fiaccola della
verità per fugare le tenebre esistenti nelle loro terre natie.
L’OLANDA E LA SCANDINAVIA SCOSSE DALLA RIFORMA.
In Olanda la tirannia papale suscitò, già in epoche remote, una
vibrata protesta. Settecento anni prima di Lutero, due vescovi mandati come
ambasciatori a Roma si resero conto del vero carattere della “santa sede”
e non esitarono a rivolgere al pontefice delle parole dure: “Dio ha dato
alla chiesa, sua regina e sposa, una nobile ed eterna dote per sé e per
la sua famiglia; dote immarcescibile e incorruttibile: uno scettro e una corona
imperituri… Tu ti appropri di questi vantaggi come un ladro. Siedi nel
tempio di Dio, ma anziché pastore delle pecore sei diventato un lupo…
Vorresti far credere di essere il vescovo supremo e ti comporti da tiranno…
Ti autodefinisci servo dei servi e cerchi di diventare signore dei signori…
Richiami il disprezzo sui comandamenti di Dio… E’ lo Spirito Santo
che edifica le chiese ovunque esse esistono… La città del nostro
Dio, della quale noi siamo cittadini, abbraccia tutte le regioni ed è
più grande della città che i santi profeti hanno chiamato Babilonia,
che si dice di origine divina, che si innalza fino al cielo, che pretende di
avere una saggezza immortale e che afferma di non avere mai sbagliato, di non
poter mai errare” Gerard Brandt, History of the Reformation in and about
the Low Countries, vol. 1, p. 6.
Di secolo in secolo questa protesta fu ripetuta da quei primi predicatori,
del tipo dei missionari valdesi, che attraversando vari paesi, conosciuti sotto
diversi nomi, diffondevano dappertutto la conoscenza del Vangelo. Penetrati
in Olanda, la loro dottrina si propagò rapidamente. La Bibbia valdese
fu tradotta in versi nella lingua olandese. La sua superiorità - si diceva
– consisteva nel fatto che “essa non conteneva né facezie,
né favole, né frivolezze, né inganni, ma solo parole di
verità. Vi si trovava qua e là, è vero, qualche scorza
un po’ dura a spezzare, però la dolcezza del suo contenuto buono
e santo era facile da scoprire” Idem, vol. 1, p. 14.
Così scrivevano nel dodicesimo secolo gli amici della fede antica.
Fu intorno a quella epoca che ebbero inizio le persecuzioni di Roma. Nonostante
i roghi e la tortura, i credenti aumentavano di numero e dichiaravano con intrepida
fermezza che la Bibbia è l’unica e infallibile autorità
in materia di religione e che “nessuno dovrebbe essere obbligato a credere,
ma dovrebbe essere conquistato dalla predicazione” Martyn, vol. 2, p.
87.
Gli insegnamenti di Lutero trovarono in Olanda un terreno propizio: uomini
zelanti e fedeli si misero a predicare l’Evangelo. Da una provincia di
questa nazione uscì Menno Simons. Nato e cresciuto buon cattolico, ordinato
sacerdote, egli ignorava totalmente la Bibbia e non voleva neppure leggerla
per tema di essere trascinato all’eresia. Quando dei dubbi intorno alla
dottrina della transustanziazione affioravano nella sua mente, egli li considerava
tentazioni di Satana, e si sforzava di allontanarli ricorrendo alla preghiera
e alla confessione. Ma tutto era inutile. Cercava, allora, di far tacere la
voce ammonitrice della coscienza partecipando a scene di dissipazione. Anche
questo, però, inutilmente. Alla fine si mise a studiare il Nuovo Testamento
e questo, unito con gli scritti di Lutero, lo spinse ad accettare la fede riformata.
Poco dopo fu testimone, in un villaggio vicino, della decapitazione di un uomo
reo di essersi fatto ribattezzare. Meno studiò la Bibbia per sapere quello
che essa insegnava riguardo al battesimo dei neonati, e non solo non vi trovò
alcuna prova a favore, ma scoprì che le condizioni indispensabili per
essere battezzati sono il pentimento e la fede.
Menno abbandonò la chiesa romana e consacrò la propria vita
all’insegnamento della verità che aveva accettato. In Germania
e in Olanda era sorto un gruppo di fanatici che sostenevano dottrine assurde,
indecenti e sediziose. Essi non esitavano a ricorrere alla violenza e all’insurrezione.
Meno vide a quali terribili conseguenze avrebbero condotto questi insegnamenti
estremisti, e vi si oppose con tutte le forze, lavorando con entusiasmo e con
ottimi risultati fra le vittime di questi “illuminati”, come anche
in seno ai cristiani antichi, discendenti della propaganda valdese. Per venticinque
anni egli viaggiò accompagnato dalla moglie e dai figli, affrontando
fatiche e privazioni, spesse volte rischiando la vita. Percorse l’Olanda
e la Germania settentrionale lavorando principalmente fra le classi povere ed
esercitando un considerevole influsso.
Eloquente per natura, sebbene fosse di cultura limitata, fu uomo di incorruttibile
rettitudine. Umile, di modi gentili, di sincera e sentita pietà, Menno
esemplificava nella propria vita i precetti che insegnava, e ciò gli
attirava la fiducia di quanti lo avvicinavano. I suoi discepoli, oppressi e
dispersi, ebbero molto da soffrire per il fatto che venivano confusi con i fanatici
di Münster. Ma i suoi tentativi determinarono un gran numero di conversioni.
In nessun paese le dottrine riformate furono così generalmente accolte
come in Olanda. Però, in pochi paesi i loro aderenti ebbero a soffrire
più tremende per suzioni. In Germania, Carlo V aveva bandito la Riforma,
e sarebbe stato felice di portare tutti i suoi aderenti sul patibolo; ma i principi
avevano innalzato una barriera contro la sua tirannia. In Olanda, dove la sua
potenza era maggiore, gli editti di persecuzione si susseguivano gli uni agli
altri. Leggere la Bibbia, ascoltarne la lettura, dedicarla, parlarne era motivo
sufficiente per incorrere nella pena di morte.
Pregare Dio in segreto, non prostrarsi dinanzi a una immagine, cantare un
salmo: tutto ciò era passibile di morte. Perfino coloro che abiuravano
i loro errori venivano condannati: gli uomini a morire di spada, le donne a
essere sepolte vive. Migliaia furono le vittime sotto il suo regno e quello
di Filippo II. Una volta un’intera famiglia fu condotta davanti agli inquisitori
sotto l’accusa di non andare alla messa e di celebrare il culto a domicilio.
Durante l’interrogatorio, il figlio più giovane disse: “Noi
ci mettiamo in ginocchio e preghiamo Iddio che illumini le nostre mani e perdoni
i nostri peccati; preghiamo per il nostro sovrano perché il suo regno
sia prospero e la sua vita sia felice; preghiamo per i nostri magistrati perché
Dio li protegga” Wylie, vol. 18, cap. 6. Alcuni giudici rimasero profondamente
commossi; nonostante ciò, il padre e uno dei figli furono condannati
al rogo. All’ira dei persecutori faceva riscontro la fede dei martiri.
Non solo gli uomini, ma anche delle fragili donne, delle adolescenti, davano
prova di indomito coraggio. “La moglie stava vicino al rogo del marito,
e mentre egli era avvolto delle fiamme, gli sussurrava parole di conforto o
cantava dei salmi per infondergli coraggio. Delle giovani scendevano nella fossa
come se entrassero nelle loro camere per il riposo notturno, oppure andavano
al patibolo o al rogo indossando i loro abiti migliori come si recassero a una
festa nuziale” Ibidem.
Come ai tempi in cui il paganesimo cercava di distruggere l’Evangelo
il sangue dei cristiani fu una semenza (vedi Tertulliano, Apologia paragrafo
50). La persecuzione valse solo ad accrescere il numero dei testimoni della
verità. Anno dopo anno, il re, folle d’ira per l’incrollabile
determinazione del popolo, persisté inutilmente nella sua opera crudele.
Sotto il nobile Guglielmo d’Orange, la rivoluzione assicurò all’Olanda
la libertà di tributare il culto a Dio. Sulle montagne del Piemonte,
nelle pianure della Francia, sulle coste dell’Olanda, il progresso del
Vangelo fu bagnato dal sangue dei suoi discepoli, mentre nelle terre del Nord
esso penetrò pacificamente.
Alcuni studenti reduci da Wittenberg portarono alle proprie case la fede riformata:
la pubblicazione degli scritti di Lutero contribuì alla diffusione della
luce in Scandinavia. La gente del Nord, semplice e forte, rinunciò alla
corruzione, alla pompa e alle superstizioni di Roma e accettò la purezza,
la semplicità e le verità della Bibbia, verità apportatrici
di vita. Tausen, il riformatore della Danimarca, era figlio di agricoltori.
Fin da ragazzo diede prova di un intelletto vigoroso e di un vivo desiderio
di studiare. Non poté essere soddisfatto date le precarie condizioni
economiche dei genitori i quali lo fecero entrare in un chiostro dove la purezza
della sua vita, la diligenza e la rettitudine della sua condotta gli valsero
il favore del suo superiore. Un esame al quale venne sottoposto rivelò
che egli aveva del talento, il che faceva presagire l’utilità dei
suoi futuri servigi in favore della chiesa. Fu deciso di mandarlo in una università
della Germania o dell’Olanda, purché non si trattasse di Wittenberg,
per evitare che fosse contagiato dall’eresia.
Così dicevano i frati. Tausen andò a Colonia, che era un baluardo
del Cattolicesimo. Qui egli rimase presto disgustato dal misticismo dei suoi
maestri. Fu verso quel tempo che ebbe accesso agli scritti di Lutero. Li lesse,
con sorpresa e diletto, desideroso di poter godere dell’istruzione personalmente
impartita dal riformatore tedesco. Attuare siffatto proposito equivaleva a offendere
il proprio superiore monastico e perderne l’appoggio. Ad ogni modo, egli
si iscrisse all’università di Wittenberg. Ritornato in Danimarca,
Tausen rientrò nel chiostro. Nessuno lo sospettava di Luteranesimo, e
del resto egli non rivelò il suo segreto; ma si sforzò, senza
creare pregiudizi, di indurre i suoi compagni a praticare una fede più
pura e una vita più santa. Aprì la Bibbia e ne spiegò il
vero significato. Infine predicò loro Cristo, giustizia del peccatore
e unica sua speranza di salvezza.
Grande fu l’ira del priore il quale aveva riposto in lui non poche speranze
come valido difensore di Roma. Tausen fu trasferito in un altro convento e confinato
nella sua cella sotto rigida sorveglianza.
Con sgomento dei suoi nuovi guardiani, vari monaci si dichiararono ben presto
convertiti al Protestantesimo. Attraverso le sbarre della sua cella, Tausen
aveva comunicato ai suoi compagni la conoscenza della verità. Se quei
padri danesi si fossero attenuti al piano della chiesa nei confronti dell’eresia,
la voce di Tausen non si sarebbe più fatta udire. Esse, anziché
seppellirlo vivo in carcere sotterraneo, lo espulsero dal convento. Erano impotenti
ad agire perché un recente editto reale garantiva la protezione a quanti
insegnavano la nuova dottrina. Tausen cominciò a predicare: le chiese
gli furono aperte come ad altri, e la folla vi si accalcò per udire la
Parola di Dio.
Il Nuovo Testamento, tradotto in lingua danese, veniva diffuso ovunque. I
tentativi dei rappresentanti di Roma per impedire questa opera sortirono l’effetto
contrario: contribuirono all’estensione della verità, e la Danimarca
abbracciò la fede riformata. Anche in Svezia furono dei giovani, che
si erano dissetati alle fonti di Wittenberg, a recare l’acqua della vita
ai loro connazionali. Due capi della Riforma svedese, Olaf e Laurentius Petri,
figli di un fabbro di Orebro, avevano studiato sotto la guida di Lutero e di
Zelantone, e cominciarono a insegnare con entusiasmo le verità conosciute.
Come il grande riformatore tedesco, Olaf scuoteva il popolo col suo zelo e con
la sua eloquenza, mentre Laurentius, simile a Zelantone, era dotto, calmo, riflessivo.
Tutti e due erano pii, di alto valore nel campo teologico e di invincibile coraggio
per il progresso della verità. L’opposizione papale si fece sentire,
e i sacerdoti cattolici non trascurarono di istigare le popolazioni ignoranti
e superstiziose.
Olaf Petri fu varie volte assalito dalla folla, e a stento riuscì a
mettersi in salvo. Questi riformatori, però godevano del favore e della
protezione del re. Sotto il dominio della chiesa romana, la gente viveva nella
miseria e gemeva sotto l’oppressione. Priva della Sacra Scrittura, con
una religione fatta di forme e di riti ma vuota per l’intelletto, essa
era praticamente ricaduta nelle credenze superstiziose e nelle usanze dei suoi
antenati pagani. La nazione era divisa in fazioni ostili che si combattevano
continuamente contribuendo, così, ad accrescere la povertà del
paese. Il re, deciso a operare una riforma nello stato e nella chiesa, accolse
con grande gioia la collaborazione dei due fratelli nella lotta che aveva intrapreso
contro Roma. Alla presenza del sovrano e delle altre cariche della Svezia, Olaf
Petri difese con abilità le dottrine della fede riformata contro i campioni
di Roma, dichiarando che gli insegnamenti dei padri vanno accettati solo se
risultano in armonia con le Scritture, e che le dottrine fondamentali della
sono esposte nella Bibbia con tanta chiarezza e con tanta semplicità
che tutti le possono capire. Cristo disse: “La mia dottrina non è
mia, ma di Colui che mi ha mandato” Giovanni 7:16. Paolo, a sua volta,
dichiarò: “Ma quand’anche noi, quand’anche un angelo
dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che v’abbiamo annunziato,
sia egli anatema” Galati 1:8. “Perché, allora”, disse
Petri, “altri presumono di insegnare dei dogmi a loro piacimento e di
imporli come se fossero necessari alla salvezza?” Wylie, vol. 10, cap.
4.
Quindi dimostrò che i decreti della chiesa non hanno valore se risultano
in opposizione con quanto Dio comanda, e sostenne il grande principio protestante:
“La Bibbia e la Bibbia sola è regola di fede e di condotta”.
Questa discussione, sebbene condotta su una scena relativamente oscura, dimostra
“di quali uomini era composto l’esercito dei riformatori. Essi non
erano né degli ignoranti settari, né dei turbolenti controversisti,
ma degli uomini che avevano studiato la Parola di Dio e che sapevano maneggiare
bene le armi fornite dall’arsenale biblico. Quanto a erudizione, essi
erano all’avanguardia, tenuto conto dei tempi. Considerando solo i brillanti
centri di cultura come Wittenberg e Zurigo e i personaggi illustri quali Lutero
e Zuinglio, Zelantone ed Ecolompadio, si potrebbe essere indotti a ritenere
che, data la loro qualità di capi, era lecito attendersi da essi grandi
cose, mentre i gregari non erano alla loro portata. Invece, se consideriamo
l’oscuro campo della Svezia e gli umili nomi di Olaf e Laurentius Petri,
che cosa notiamo?... Erano dotti, teologi, uomini che avevano assimilato alla
perfezione l’intero arco delle verità evangeliche e che potevano
avere facilmente il sopravvento sui sofismi delle scuole e sui dignitari di
Roma” Ibidem.
Come conseguenza della disputa, il re di Svezia abbracciò la Riforma,
e poco dopo l’assemblea nazionale si dichiarò favorevole ad essa.
Il Nuovo Testamento era stato tradotto in lingua svedese da Olaf Petri, e su
richiesta del sovrano i due fratelli intrapresero la traduzione dell’intera
Bibbia nella loro lingua materna. La dieta decretò che in tutto il regno
i ministri di culto spiegassero le Sacre Scritture, e che nelle scuole si insegnasse
ai bambini a leggerle. A poco a poco le tenebre dell’ignoranza e della
superstizione furono dissipate della benefica luce del Vangelo. Liberata dall’oppressione
romana, la nazione pervenne a una forza e a una grandezza mai conosciute prima,
e diventò una vera roccaforte del Protestantesimo. Un secolo più
tardi, in un’ora di grave pericolo, questo piccolo stato, fino ad allora
debole, fu l’unico in Europa ad avere l’ardire di porgere una mano
soccorritrice alla Germania durante la lunga e terribile lotta che fu la Guerra
dei Trenta anni. Tutta l’Europa settentrionale sembrava in procinto di
ricadere sotto la tirannia romana, furono proprio gli eserciti svedesi che permisero
alla Germania di respingere l’ondata assalitrice di Roma e di assicurare
la tolleranza ai protestanti – calvinisti e luterani – oltre che
di garantire la libertà di coscienza nei paesi che avevano accettato
la Riforma.
LA VERITA’ AVANZA NELLE ISOLE BRITANNICHE.
Mentre Lutero presentava al popolo tedesco il volume aperto delle Sacre Scritture
Tendale si sentì spinto dallo Spirito di Dio a fare altrettanto per l’Inghilterra.
La Bibbia di Wycliff era stata tradotta dal testo latino, che conteneva non
pochi errori. Essa, inoltre, non era mai stata stampata, e il costo delle copie
manoscritte era così elevato che solo i ricchi e i nobili erano in condizione
di procurarsela. D’altra parte, siccome era strettamente proibita dalla
chiesa essa aveva una circolazione limitata. Nel 1516, un anno prima che Lutero
presentasse le sue celebri tesi contro le indulgenze, Erasmo aveva pubblicato
una versione greca e latina del Nuovo Testamento.
Era la prima volta che la Parola di Dio veniva stampata nella sua lingua originale.
In questo lavoro furono corretti molti errori di precedenti versioni. Questo
contribuì a rendere più chiaro il testo e permise a numerosi esponenti
delle classi colte di acquisire una migliore conoscenza della verità.
Tutto ciò contribuì a dare un nuovo impulso alla Riforma. Il popolo,
però, era ancora praticamente privo della Parola di Dio, e fu Tendale
a completare l’opera di Wycliff, dando la Bibbia ai propri connazionali.
Studioso diligente, fervido ricercatore della verità, e gli aveva ricevuto
l’Evangelo tramite il Nuovo Testamento di Erasmo.
Predicando coraggiosamente le proprie convinzioni, e gli sottolineava il
fatto che tutte le dottrine debbono essere provate con le Sacre Scritture. Alla
pretesa romana, secondo cui la Bibbia era stata data dalla chiesa e che perciò
solo la chiesa poteva spiegarla, Tyndale rispondeva: “Chi ha insegnato
alle aquile a trovare la preda? Ebbene, è Dio stesso che insegna ai suoi
figli a trovare il loro Padre celeste nella sua Parola. Vi, lungi dal darci
le Scritture, ce le tenete nascoste; bruciate coloro che le insegnano e, se
lo poteste, brucereste le Scritture stesse” D’Aubigné, History
of the Reformation of the Sixteenth Century, vol. 18, cap. 4.
La predicazione di Tendale provocò vivo interesse, e molti accettarono
la verità. I preti, però, stavano all’erta e non appena
egli lasciava il campo si sforzavano, ricorrendo alle minacce e alle calunnie,
di distruggere la sua opera; e in molti casi vi riuscirono. “Che cosa
si deve fare?” diceva Tendale. “Mentre io semino in un luogo, il
nemico guasta il campo da me lasciato. Io non posso essere dappertutto. Oh,
se i cristiani avessero le Sacre Scritture nella loro lingua madre! Potrebbero
resistere da se stessi a questi sofisti. Senza la Bibbia è impossibile
affermare i laici nella verità” Ibidem. Nella sua mente nacque
un nuovo progetto. “Nel tempio di Dio i Salmi erano cantati nella lingua
d’Israele”, egli diceva. “Perché l’Evangelo non
dovrebbe parlare fra noi la lingua inglese?... Avrebbe forse la chiesa meno
luce in pieno meriggio che allo spuntar del sole?... I cristiani debbono poter
leggere il Nuovo Testamento nella loro lingua materna”. I dottori e i
predicatori della chiesa non si trovavano d’accordo fra loro; mediante
la Bibbia, invece, gli uomini potevano discernere la verità. “Uno
si attiene a questo dottore; uno si attiene a un altro… a questi dottori
si smentiscono reciprocamente.
Com’è possibile sapere chi dice il vero e chi afferma il falso?...
Come?... Mediante la Parola di Dio” Ibidem. Poco tempo dopo un dottore
cattolico, polemizzando con lui esclamò: “Meglio essere senza legge
di Dio che senza il papa!”. Tendale replicò: “Io sfido il
papa e tutte le sue leggi: se Dio risparmierà la mia vita ancora per
molti anni, io farò in modo che un semplice ragazzo che spinge l’aratro
conosca la Bibbia meglio di voi” Anderson, Annali of the English Bible,
p. 19.
Deciso più che mai ad attuare il progetto che si era messo in mente
– dare al popolo il Nuovo Testamento in lingua inglese – Tendale
si mise all’opera. Scacciato dalla propria casa in seguito alla persecuzione,
egli andò a Londra dove, per un po’ di tempo, poté continuare
indisturbato il suo lavoro. Presto però la violenza dei seguaci del papa
lo costrinse alla fuga. Tutta l’Inghilterra sembrava chiudergli le porte,
ed egli allora dovette riparare in Germania.
Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte
il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita
in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms,
dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In
quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così
Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono
stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo
e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì
la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità
inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse
Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione.
I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham
acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di
Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera.
Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito
permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore
della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.
Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà
a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese
di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito
più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati,
il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio.
Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere
suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma
da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino
ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità.
Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere
letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è
l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della
sua eternità. Non c’è né re, né imperatore,
né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla
sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola
di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere
quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi
avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward
VI. Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della
verità seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese
erano uomini dotti, e la maggior par
te di essi erano stati particolarmente stimati, per zelo e per pietà,
nelle comunità cattoliche romane. La loro opposizione al papato derivava
dalla consapevolezza degli errori della santa sede. Inoltre, la loro conoscenza
dei misteri di Babilonia dava una particolare potenza alla loro testimonianza
contro di essa. “Vorrei farvi una domanda forse un po’ strana”,
diceva Latimer. “Chi è il più diligente vescovo o prelato
d’Inghilterra?... Vi vedo attenti, ansiosi di sapere da me il nome…
Ebbene, ve lo dirò: è il diavolo. Egli non si allontana mai dalla
sua diocesi… Chiamatelo quando volete: è sempre in sede…
è sempre all’aratro… Non lo vedrete mai ozioso, ve lo assicuro…
Dovunque egli risiede, le sue parole d’ordine sono: Abbasso i libri, evviva
le candele!... Abbasso la Bibbia, evviva il rosario!... Abbasso la luce del
Vangelo, evviva il lume dei ceri, anche in pieno mezzodì!... Abbasso
la croce di Cristo, evviva invece il purgatorio che vuota le tasche dei fedeli!...
Abbasso gli abiti per gli ignudi, i poveri, i derelitti, evviva gli ornamenti
d’oro e d’argento dati a profusione a dei pezzi di legno e di pietra!...
Abbasso le tradizioni di Dio e la sua santa Parola, evviva le tradizioni e leggi
degli uomini!... Oh, se i nostri prelati seminassero il grano della sana dottrina
con lo stesso zelo di cui dà prova Satana nel seminare la zizzania!”
Latimer, Sermon of the Plough.
Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che
era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da
Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile
autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi
negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle
coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva
la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi
uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola
quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi
conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio
mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia
di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà
mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.
In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori
non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese
d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano
ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato
vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun
altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno,
un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa
di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e
gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza
delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e
i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti
di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.
Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche,
percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità
che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta
dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri
a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli
del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo
alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi,
però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola
di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo
le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi
dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di
nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli
più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno
che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio
doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox
aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi
della verità della Parola di Dio.
Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare
Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni
ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di
meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una
volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione
e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore
non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno
a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più
intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del
tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a
sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia,
al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta,
Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò
né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce.
La regina lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare
la religione proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine
di Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti. Knox rispose
con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità
dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini
non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei
principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti
degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i
figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono
per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione
del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla
religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?...
Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro
principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi
interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria,
“mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve
credere? E chi sarà il giudice?”.
“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola”
disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve
credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente
chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una
parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso,
si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in
coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David
Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895. Tali
erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della propria
vita, faceva intendere alla regina.
Con indomito coraggio egli proseguì il suo ministero pregando e combattendo
la battaglia del Signore fino a che la Scozia non ebbe spezzato il giogo del
papato. In Inghilterra lo stabilirsi del Protestantesimo come religione nazionale
fece diminuire le persecuzioni, ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine
di Roma, inoltre, erano state mantenute. Se da un lato era stata rigettata la
supremazia del papa, dall’altro si era eletto il re come capo della chiesa.
Anche nel culto si poteva notare un sensibile distacco dalla purezza e dalla
semplicità del Vangelo. Inoltre, il grande principio della libertà
religiosa non era ancora capito. Quantunque le terribili crudeltà cui
era ricorsa Roma contro l’eresia fossero state raramente ripristinate
dai capi della Riforma, nondimeno il diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo
i dettami della propria coscienza non era riconosciuto. Si esigeva da parte
di tutti l’accettazione e l’osservanza delle forme del culto prescritte
dalla chiesa stabilita.
Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa
si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori
furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e
perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non
fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi
per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte
o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti
che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi
si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante
le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni
erano affollate, le famiglie disperse. Molti dovettero addirittura espatriare.
Dio, però, era col suo popolo, e così le persecuzioni non impedirono
la testimonianza di queste anime fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare
oltre Atlantico, gettarono nel Nuovo Mondo le basi della libertà civile
e religiosa, baluardo e vanto degli Stati Uniti d’America.
Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli, la persecuzione contribuì
alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere, gremito di gente disonesta
e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera del cielo e scrisse
la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla terra della perdizione
alla città celeste. Da oltre duecento anni questa voce uscita da Bedford
parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di Bunyan: Pilgrim’s
Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”) e Grace Abounding to
the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”), hanno guidato molti
lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e altri uomini di talento,
colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono a difesa della fede “che
è stata data ai santi una volta per tutte”. L’opera compiuta
da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai grandi di questo mondo è
imperitura.
Fountain of Life (“Fonte della vita”) e Method of Grace (“Metodo
della grazia”) di Flavel hanno insegnato a migliaia di persone come affidare
a Cristo la cura della propria anima. Reformed Pastor (“Il pastore riformato”)
di Baxter è stato fonte di benedizione per quanti aspiravano a un risveglio
nell’opera di Dio, e il suo volume Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno
riposo dei santi”) ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo”
che rimane per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre
spirituali, apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i
Wesley. Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era
venuta a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere
dal paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero
e compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si
facevano beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di
quello che esse definivano fanatismo.
Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse in una preoccupante ignoranza
e nel vizio mentre la chiesa non aveva né il coraggio né la fede
necessari per sostenere la causa della verità che precipitava verso la
rovina.
La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da
Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio
romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield
e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di
Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza
dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva
di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi
sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io
ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”.
Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta,
l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente
base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro
in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p.
102, ediz. 1845. Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo
l’opera di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria
e distogliendo le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza:
il sangue del Redentore crocifisso. Wesley e i suoi collaboratori giunsero a
capire che la vera religione ha radice nel cuore, e che la legge di Dio non
riguarda solo le azioni e le opere, ma abbraccia anche i pensieri. Convinti
della necessità di avere il cuore santificato, oltre che la rettitudine
del comportamento esteriore, essi vollero vivere una vita nuova. Con sforzi
intensi accompagnati della preghiera, essi cercavano di vincere le tendenze
del cuore naturale. Vivevano un’esistenza fatta di rinuncia, di carità,
di umiltà; osservavano col massimo li potesse aiutare a raggiungere quello
che ardentemente bramavano: la santità che assicurava il favore di Dio.
Essi, però, non riuscivano a raggiungere la mèta, e si affannavano
invano per liberarsi dalla condanna e dalla potenza del peccato. Era una lotta
uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda che tanto aveva
torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come sarebbe il mortale
giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità, che si
era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu ravvivato
dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi. Dopo la Riforma,
il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde di Roma sì
che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono costretti a fuggire.
Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede avita, e attraverso
i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono consacrati al ministero
e mandati in missione in America. A bordo della nave vi era un gruppo di moravi.
La traversata fu caratterizzata da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi
a faccia a faccia con la morte, sentì di non avere la certezza della
pace con Dio. I moravi, per contro, dimostravano una serenità e una fiducia
nell’Eterno che a lui erano totalmente estranee.
“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà
della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere
umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito
a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun
compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che
il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro
offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati,
colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza
che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta. Ebbero anche l’occasione
di dimostrare che si erano liberati non solo dallo spirito di timore, di orgoglio,
d’ira e di vendetta, ma anche da quello della paura. Durante il canto
del salmo che dava inizio alla loro funzione religiosa, il mare scatenato squarciò
la vela maestra e si abbatté sulla nave coprendola con le onde, tanto
che pareva dovesse inghiottirci tutti. Fra gli inglesi si udì un terribile
grido di angoscia, mentre i moravi continuarono a cantare. Più tardi
io chiesi a uno di loro: “Eravate spaventati?”. Mi rispose: “Grazie
a Dio, no”. Domandai: “Ma le vostre donne e i vostri bambini non
erano impauriti?”. Con la massima semplicità egli mi disse: “No:
le nostre donne e i nostri bambini non hanno paura della morte” Whitehead,
Life of the Rev. John Wesley, p. 10, ediz. 1845.
Giunti a Savannah, Wesley si trattenne un po’ di tempo coi Moravi, e
rimase profondamente impressionato dal loro comportamento cristiano. Parlando
di una delle loro funzioni religiose, in così stridente contrasto col
gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse: “La grande semplicità
e la solennità dell’insieme mi fecero dimenticare i millesettecento
anni che erano passati, e mi parve di trovarmi in una delle assemblee presiedute
da Paolo, il fabbricatore di tende, o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era
la manifestazione dello Spirito e della potenza” Idem, pp. 11,12.
Rientrato in Inghilterra, Wesley, per le istruzioni di un predicatore moravo,
pervenne a una più chiara comprensione della vera fede biblica. Si convinse
che bisognava rinunciare alle proprie opere come mezzo di salvezza e fidare
pienamente nell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.
Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta una
dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie
nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in
Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i
miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte”
Idem, p. 52. Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di
dure rinunce, l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare
Iddio. Ora che lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante
digiuni, preghiera, elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza
denaro e senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua
anima arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso
Evangelo della grazia gratuita di Dio. “Io considero il mondo intero come
mia parrocchia”, affermava Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo
ritengo mio diritto, oltre che mio dovere, annunciare a quanti sono disposti
ad ascoltare, la lieta notizia della salvezza” Idem, p. 74.
Egli perseverò nella sua vita di severa rinuncia, nella quale non vedeva
più la condizione, ma la conseguenza della sua fede; non più la
radice, ma il frutto della santità. La grazia di Dio in Cristo è
il fondamento della speranza del cristiano, e questa grazia si manifesta con
l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione della
grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione
delle grandi verità che aveva conosciute: la giustificazione per fede
nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo nel cuore,
il cui frutto è una vita che si conforma a quella di Gesù. Whitefield
e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale convinzione
del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni come buoni
soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo, della
derisione e della persecuzione sia all’università che nel ministero.
Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni di studio
increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una delle maggiori
denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.
Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte
il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita
in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms,
dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In
quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così
Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono
stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo
e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì
la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità
inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse
Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione.
I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham
acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di
Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera.
Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito
permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore
della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.
Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà
a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese
di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito
più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati,
il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio.
Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere
suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma
da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino
ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità.
Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere
letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è
l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della
sua eternità. Non c’è né re, né imperatore,
né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla
sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola
di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere
quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi
avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward
VI.
Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della verità
seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese erano uomini
dotti, e la maggior parte di essi erano stati particolarmente stimati, per zelo
e per pietà, nelle comunità cattoliche romane. La loro opposizione
al papato derivava dalla consapevolezza degli errori della santa sede. Inoltre,
la loro conoscenza dei misteri di Babilonia dava una particolare potenza alla
loro testimonianza contro di essa. “Vorrei farvi una domanda forse un
po’ strana”, diceva Latimer. “Chi è il più diligente
vescovo o prelato d’Inghilterra?... Vi vedo attenti, ansiosi di sapere
da me il nome… Ebbene, ve lo dirò: è il diavolo. Egli non
si allontana mai dalla sua diocesi… Chiamatelo quando volete: è
sempre in sede… è sempre all’aratro… Non lo vedrete
mai ozioso, ve lo assicuro… Dovunque egli risiede, le sue parole d’ordine
sono: Abbasso i libri, evviva le candele!... Abbasso la Bibbia, evviva il rosario!...
Abbasso la luce del Vangelo, evviva il lume dei ceri, anche in pieno mezzodì!...
Abbasso la croce di Cristo, evviva invece il purgatorio che vuota le tasche
dei fedeli!... Abbasso gli abiti per gli ignudi, i poveri, i derelitti, evviva
gli ornamenti d’oro e d’argento dati a profusione a dei pezzi di
legno e di pietra!... Abbasso le tradizioni di Dio e la sua santa Parola, evviva
le tradizioni e leggi degli uomini!... Oh, se i nostri prelati seminassero il
grano della sana dottrina con lo stesso zelo di cui dà prova Satana nel
seminare la zizzania!” Latimer, Sermon of the Plough.
Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che
era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da
Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile
autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi
negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle
coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva
la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi
uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola
quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi
conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio
mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia
di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà
mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.
In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori
non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese
d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano
ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato
vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun
altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno,
un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa
di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e
gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza
delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e
i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti
di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.
Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche,
percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità
che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta
dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri
a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli
del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo
alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi,
però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola
di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo
le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi
dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di
nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli
più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno
che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio
doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox
aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi
della verità della Parola di Dio.
Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare
Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni
ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di
meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una
volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione
e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore
non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno
a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più
intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del
tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a
sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia,
al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta,
Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò
né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce. La regina
lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare la religione
proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine di
Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti.
Knox rispose con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità
dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini
non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei
principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti
degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i
figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono
per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione
del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla
religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?...
Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro
principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi
interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria,
“mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve
credere? E chi sarà il giudice?”.
“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola”
disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve
credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente
chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una
parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso,
si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in
coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David
Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895.
Tali erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della
propria vita, faceva intendere alla regina. Con indomito coraggio egli proseguì
il suo ministero pregando e combattendo la battaglia del Signore fino a che
la Scozia non ebbe spezzato il giogo del papato. In Inghilterra lo stabilirsi
del Protestantesimo come religione nazionale fece diminuire le persecuzioni,
ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine di Roma, inoltre, erano state
mantenute. Se da un lato era stata rigettata la supremazia del papa, dall’altro
si era eletto il re come capo della chiesa. Anche nel culto si poteva notare
un sensibile distacco dalla purezza e dalla semplicità del Vangelo.
Inoltre, il grande principio della libertà religiosa non era ancora
capito. Quantunque le terribili crudeltà cui era ricorsa Roma contro
l’eresia fossero state raramente ripristinate dai capi della Riforma,
nondimeno il diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria
coscienza non era riconosciuto. Si esigeva da parte di tutti l’accettazione
e l’osservanza delle forme del culto prescritte dalla chiesa stabilita.
Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa
si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori
furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e
perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non
fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi
per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte
o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti
che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi
si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante
le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni
erano affollate, le famiglie disperse.
Molti dovettero addirittura espatriare. Dio, però, era col suo popolo,
e così le persecuzioni non impedirono la testimonianza di queste anime
fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare oltre Atlantico, gettarono nel
Nuovo Mondo le basi della libertà civile e religiosa, baluardo e vanto
degli Stati Uniti d’America. Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli,
la persecuzione contribuì alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere,
gremito di gente disonesta e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera
del cielo e scrisse la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla
terra della perdizione alla città celeste. Da oltre duecento anni questa
voce uscita da Bedford parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di
Bunyan: Pilgrim’s Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”)
e Grace Abounding to the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”),
hanno guidato molti lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e
altri uomini di talento, colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono
a difesa della fede “che è stata data ai santi una volta per tutte”.
L’opera compiuta da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai
grandi di questo mondo è imperitura. Fountain of Life (“Fonte della
vita”) e Method of Grace (“Metodo della grazia”) di Flavel
hanno insegnato a migliaia di persone come affidare a Cristo la cura della propria
anima. Reformed Pastor (“Il pastore riformato”) di Baxter è
stato fonte di benedizione per quanti aspiravano a un risveglio nell’opera
di Dio, e il suo volume Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno
riposo dei santi”) ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo”
che rimane per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre
spirituali, apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i
Wesley.
Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era venuta
a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere dal
paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero e
compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si facevano
beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di quello che
esse definivano fanatismo. Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse
in una preoccupante ignoranza e nel vizio mentre la chiesa non aveva né
il coraggio né la fede necessari per sostenere la causa della verità
che precipitava verso la rovina.
La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da
Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio
romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield
e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di
Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza
dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva
di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi
sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io
ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”.
Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta,
l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente
base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro
in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p.
102, ediz. 1845. Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo
l’opera di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria
e distogliendo le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza:
il sangue del Redentore crocifisso.
Wesley e i suoi collaboratori giunsero a capire che la vera religione ha radice
nel cuore, e che la legge di Dio non riguarda solo le azioni e le opere, ma
abbraccia anche i pensieri. Convinti della necessità di avere il cuore
santificato, oltre che la rettitudine del comportamento esteriore, essi vollero
vivere una vita nuova. Con sforzi intensi accompagnati della preghiera, essi
cercavano di vincere le tendenze del cuore naturale. Vivevano un’esistenza
fatta di rinuncia, di carità, di umiltà; osservavano col massimo
li potesse aiutare a raggiungere quello che ardentemente bramavano: la santità
che assicurava il favore di Dio. Essi, però, non riuscivano a raggiungere
la mèta, e si affannavano invano per liberarsi dalla condanna e dalla
potenza del peccato.
Era una lotta uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda
che tanto aveva torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come
sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità,
che si era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu
ravvivato dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi.
Dopo la Riforma, il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde
di Roma sì che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono
costretti a fuggire. Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede
avita, e attraverso i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono
consacrati al ministero e mandati in missione in America.
A bordo della nave vi era un gruppo di moravi. La traversata fu caratterizzata
da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi a faccia a faccia con la
morte, sentì di non avere la certezza della pace con Dio. I moravi, per
contro, dimostravano una serenità e una fiducia nell’Eterno che
a lui erano totalmente estranee.
“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà
della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere
umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito
a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun
compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che
il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro
offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati,
colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza
che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta.
Ebbero anche l’occasione di dimostrare che si erano liberati non solo
dallo spirito di timore, di orgoglio, d’ira e di vendetta, ma anche da
quello della paura. Durante il canto del salmo che dava inizio alla loro funzione
religiosa, il mare scatenato squarciò la vela maestra e si abbatté
sulla nave coprendola con le onde, tanto che pareva dovesse inghiottirci tutti.
Fra gli inglesi si udì un terribile grido di angoscia, mentre i moravi
continuarono a cantare. Più tardi io chiesi a uno di loro: “Eravate
spaventati?”. Mi rispose: “Grazie a Dio, no”. Domandai: “Ma
le vostre donne e i vostri bambini non erano impauriti?”. Con la massima
semplicità egli mi disse: “No: le nostre donne e i nostri bambini
non hanno paura della morte” Whitehead, Life of the Rev. John Wesley,
p. 10, ediz. 1845. Giunti a Savannah, Wesley si trattenne un po’ di tempo
coi Moravi, e rimase profondamente impressionato dal loro comportamento cristiano.
Parlando di una delle loro funzioni religiose, in così stridente contrasto
col gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse: “La grande semplicità
e la solennità dell’insieme mi fecero dimenticare i millesettecento
anni che erano passati, e mi parve di trovarmi in una delle assemblee presiedute
da Paolo, il fabbricatore di tende, o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era
la manifestazione dello Spirito e della potenza” Idem, pp. 11,12.
Rientrato in Inghilterra, Wesley, per le istruzioni di un predicatore moravo,
pervenne a una più chiara comprensione della vera fede biblica. Si convinse
che bisognava rinunciare alle proprie opere come mezzo di salvezza e fidare
pienamente nell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.
Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta una
dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie
nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in
Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i
miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte”
Idem, p. 52.
Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di dure rinunce,
l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare Iddio. Ora che
lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante digiuni, preghiera,
elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza denaro e
senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua anima
arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso
Evangelo della grazia gratuita di Dio. “Io considero il mondo intero come
mia parrocchia”, affermava Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo
ritengo mio diritto, oltre che mio dovere, annunciare a quanti sono disposti
ad ascoltare, la lieta notizia della salvezza” Idem, p. 74.
Egli perseverò nella sua vita di severa rinuncia, nella quale non vedeva
più la condizione, ma la conseguenza della sua fede; non più la
radice, ma il frutto della santità. La grazia di Dio in Cristo è
il fondamento della speranza del cristiano, e questa grazia si manifesta con
l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione della
grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione
delle grandi verità che aveva conosciute: la giustificazione per fede
nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo nel cuore,
il cui frutto è una vita che si conforma a quella di Gesù. Whitefield
e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale convinzione
del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni come buoni
soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo, della
derisione e della persecuzione sia all’università che nel ministero.
Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni di
studio increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una delle
maggiori denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.
Nella loro qualità di membri della chiesa anglicana, essi erano molto
attaccati alle sue forme di culto; però il Signore aveva loro presentato
nella sua Parola un ideale molto più elevato. Lo Spirito Santo li spinse
a predicare Cristo e Cristo crocifisso e la potenza dell’Altissimo accompagnava
i loro lavori. Migliaia di persone furono convinte e conobbero una reale conversione.
Ma era necessario che queste pecorelle fossero protette contro i lupi rapaci.
Wesley non pensava di fondare una nuova denominazione e si limitò a organizzare
i neo convertiti in quella che fu definita Methodist Connection (ramo della
chiesa metodista. n .d .r.). L’opposizione incontrata da questi predicatori
fu apra e misteriosa; ma Dio, nella sua saggezza infinita, fece sì che
la Riforma avesse inizio nella chiesa stessa.
Se fosse venuta dal di fuori, essa forse non sarebbe penetrata dove più
urgente si faceva sentire. Invece, dato che i predicatori erano uomini di chiesa
che lavoravano sotto la sue egida dovunque se ne presentava l’opportunità,
la verità poteva giungere anche dove, altrimenti, le porte sarebbero
rimaste chiuse. Alcuni membri del clero furono scossi dal loro torpore morale
e divennero zelanti predicatori nelle loro parrocchie. Delle chiesa che sembravano
come pietrificate nel formalismo, risorsero così a vita nuova. Al tempo
di Wesley, come del resto in tutti i tempi della storia della chiesa, l’opera
fu compiuta da uomini dotati di doni differenti. Non sempre essi erano d’accordo
fra loro su tutti i punti dottrinali, però erano tutti mossi dallo Spirito
di Dio e uniti dal comune proposito di condurre le anime a Cristo. Una volta
le divergenze fra Whitefield e i Wesley minacciarono di provocare una frattura
tra loro; ma la mansuetudine imparata a scuola di Cristo, unita alla reciproca
sopportazione e alla carità fraterna, fece sì che essi si riconciliassero.
D’altra parte essi non avevano il tempo di perdersi in dispute mentre
da ogni parte l’errore e l’empietà dilagavano e i peccatori
precipitavano nel baratro della perdizione.
I servi del Signore calcavano un difficile sentiero: uomini dotti e influenti
facevano uso della loro potenza contro di essi. Molti esponenti del clero dopo
un po’ di tempo cominciarono a manifestare un’aperta ostilità,
e le porte delle chiese furono chiuse alla fede pura e a coloro che la predicavano.
L’atteggiamento del clero che li denunciava dall’alto dei pulpiti
valse a suscitare contro di loro gli elementi deteriori delle tenebre, dell’ignoranza
e dell’iniquità. Fu solo per merito di segnalati miracoli di Dio
che Giovanni Wesley poté sfuggire alla morte. Una volta che l’ira
della folla sembrava precludergli ogni via di scampo, un angelo in forma umana
si mise al suo fianco e fece indietreggiare la folla, dando così modo
al servitore di Dio di abbandonare quel luogo pericoloso. In una particolare
occasione, parlando della liberazione dal furore della folla, Wesley disse:
“Molti cercarono di farmi precipitare dall’alto di un sentiero sdrucciolevole
che conduceva alla città, stimando che una volta che io fossi caduto
non mi sarei più potuto rialzare. Io, invece, non caddi, non scivolai
e riuscii a sottrarmi a loro… Molti tentarono di prendermi per il colletto
o per gli abiti per farmi cadere; ma non riuscirono nel loro intento. Solo uno
poté stringere saldamente un lembo del mio giubbotto e strapparlo, mentre
l’altro lembo, nella cui tasca c’era del denaro, fu strappato solo
a metà… Un uomo robusto che stava dietro a me tentò ripetutamente
di colpirmi con un solo colpo, per nodoso. Se mi avesse raggiunto alla nuca,
anche con un solo colpo, per me sarebbe stata finita.
Ogni volta, però, il suo colpo fu deviato e non so davvero perché,
dato che io non mi potevo muovere né a destra né a sinistra…
Un altro sopraggiunse, facendosi largo tra la folla, e giunto vicino a me levò
il pugno e lo fece all’improvviso ricadere inerte, sfiorandomi la testa
e dicendo: “Che capelli soffici ha!”… I primi ad avere il
cuore toccato dal Vangelo di Cristo furono proprio i peggiori elementi della
città, i caporioni sempre pronti a fare un buon colpo. Uno di essi era
stato pugile di professione… Con quanta tenera sollecitudine Dio ci prepara
per la sua opera! Due anni fa un pezzo di tegola mi sfiorò le spalle;
un anno dopo, una pietra mi colpì fra gli occhi; il mese scorso ho avuto
un colpo; oggi ne ho ricevuti due: uno prima di giungere in città e uno
dopo che ne eravamo usciti; io però non ne ho risentito alcun danno.
Sebbene uno mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro
mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia
colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho colpito
la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho sentito più
dolore di quello che avrei potuto provare se mi avessero colpito con della paglia”
John Wesley, Works, vol. 3, pp. 297,298. ed. 1831.
I metodisti di quella epoca – membri e predicatori – erano oggetto
di derisione e di persecuzione sia da parte dei membri della chiesa stabilita,
come pure da parte di persone apertamente ostili alla religione, eccitate contro
di loro da calunnie messe in giro pei confronti dei metodisti. Spesso, fatti
segno a violenza da parte dei persecutori, essi venivano trascinati dinanzi
ai tribunali dove la giustizia esisteva solo di nome perché di fatto,
a quei tempi, era piuttosto rara. La folla andava di casa in casa, sfasciando
i mobili, gli oggetti, portando via quello che più le piaceva, maltrattando
uomini, donne e fanciulli. Non era infrequente il caso di leggere manifesti
nei quali si invitavano quanti desiderassero partecipare alla rottura di finestre
e al saccheggio di abitazioni dei metodisti, a trovarsi in un determinato luogo
a una certa ora.
Queste aperte violazioni delle leggi umane e divine avvenivano senza che nessuno
intervenisse per mettervi un freno! Una sistematica persecuzione fu organizzata
contro un popolo la cui unica colpa consisteva nell’adoperarsi per strappare
i peccatori dal sentiero della perdizione e avviarli su quello della santità.
Riferendosi alle accuse che venivano mosse contro lui e i suoi seguaci, Giovanni
Wesley disse: “Alcuni affermavano che le dottrine di questi uomini sono
false, errate e fanatiche; dicono che sono nuove e che solo di recente se ne
è udito parlare: affermano che si tratta di quacquerismo, di fanatismo,
di papismo. Ebbene, la falsità di siffatte affermazioni è stata
ripetutamente dimostrata in quanto ogni elemento di questa dottrina altro non
è se non la chiara dottrina della Santa Scrittura interpretata dalla
nostra chiesa. Per conseguenza, poiché la Bibbia è verace, è
evidente che l’insegnamento non può essere né falso né
errato”. “Altri dicono: “La loro dottrina è troppo
stretta; essi rendono troppo angusta la via che mena al cielo”.
Questa è, in realtà, l’obiezione originale che segretamente
sta alla base di migliaia di altre che si presentano sotto svariate forme. Chiediamoci,
però, se essi fanno effettivamente la via del cielo più stretta
di quanto la fecero Cristo e gli apostoli. Domandiamoci se la loro dottrina
è più stretta di quella della Bibbia. Per avere la risposta è
sufficiente prendere in esame alcuni versetti di cuore e con tutta l’anima
tua e con tutta la mente tua” “Or io vi dico che d’ogni parola
oziosa che avranno detta, gli uomini renderai conto nel giorno del giudizio”.
“Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcuna altra
cosa, fate tutto alla gloria di Dio”. “Se la loro dottrina è
ancora più stretta, essi sono degni di biasimo; però voi sapete,
in coscienza, che non è così. Chi osa essere meno stretto, fosse
pure di un iota, corrompe la Parola di Dio.
Un depositario dei misteri di Dio può essere ritenuto fedele se cambia
qualche elemento del sacro deposito affidatogli? No, egli non può né
eliminare né attenuare nulla, ed è moralmente tenuto a dire a
tutti gli uomini: “Io non posso adattare la Scrittura ai vostri gusti:
siete voi che dovete adattarvi ad essa se non volete perire!” Questa è
anche la base effettiva dell’altra accusa popolare relativa a “mancanza
di carità in questi uomini”. Mancanti di carità? In che
cosa? Fosse essi rifiutano di vestire gli ignudi e di nutrire gli affamati?
“No, non si tratta di ciò, perché in questo essi non sono
certo in difetto. Piuttosto si tratta del fatto che essi sono privi di carità
nel giudicare: pensano che nessuno possa essere salvato se non fa come loro”
Idem, vol. 3, pp. 152,153.
Il declino spirituale verificatosi in Inghilterra già prima di Wesley
era in gran parte da attribuirsi all’insegnamento dell’antinomianismo.
Molti affermavano che Cristo aveva abolito la legge morale e che, per conseguenza,
i cristiani non erano più tenuti a osservarla in quanto il credente è
“affrancato dalla schiavitù delle opere”. Altri, pur ammettendo
la perpetuità della legge, dichiaravano che non era necessario che i
ministri (di culto. N.d.T.) esortassero il popolo a osservarne i precetti, poiché
“coloro che Dio aveva eletti a salvezza sarebbero stati indotti a praticare
la virtù e la pietà dall’irresistibile impulso della grazia
divina”, mentre coloro che erano condannati alla riprovazione eterna,
“non avevano a forza di ubbidire alla legge dell’Altissimo”.
Altri, infine, sostenevano che “gli eletti non possono scadere dalla grazia,
né perdere il favore divino”, e concludevano: “Le azioni
empie da loro commesse, in realtà non sono peccaminose né debbono
essere considerate come prova della violazione della legge di Dio; per conseguenza,
essi non hanno nessun bisogno di confessare i propri peccati, né di rinunciarvi
mediante il pentimento” McClintock and Strong, Cyclopedia, art. Antinomians.
Ne deducevano che certi peccati, anche quelli “universalmente riconosciuti
come odiosa violazione della legge divina, non sono tali agli occhi dell’Eterno”,
se commessi da un eletto, “perché una delle caratteristiche essenziali
e distintive degli eletti è appunto che essi non possono fare nulla che
sia disapprovato da Dio o proibito dalla legge”. Queste dottrine mostruose
sono fondamentalmente le stesse che si ritrovano nell’insegnamento di
alcuni teologi moderni i quali negano l’esistenza di una legge divina
immutabile come norma di giustizia, affermando che l’indice della moralità
è definito dalla società stessa ed è soggetto a costanti
variazioni. Tutte queste idee errate derivano dal medesimo spirito: quello di
colui che perfino fra gli immacolati abitanti del cielo cercò di abbattere
le giuste restrizioni della legge di Dio. La dottrina dei decreti divini (anche
“predestinazione”. N.d.T.) che fissano in maniera irrevocabile il
carattere degli uomini, aveva indotto molti a rigettare l’autorità
della legge divina. Wesley si oppose con decisione agli errori dei dottori antinomianisti,
e dimostrò che la dottrina che conduce all’antinomianismo è
contraria alle Scritture. “La grazia salutare di Dio è apparita
a tutti gli uomini” Tito 2:11 (D).
“Questo è buono e accettevole nel cospetto di Dio, nostro Salvatore,
il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza
della verità. Poiché c’è un solo Dio e anche un solo
mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, il quale diede se stesso
quale prezzo di riscatto per tutti” 1 Timoteo 2:3-6. Lo Spirito di Dio
è sparso copiosamente per dare a ogni uomo la possibilità di conseguire
la salvezza. Così Cristo, “la vera luce che illumina ogni uomini,
era per venire nel mondo” Giovanni 1:9. Solo chi respinge deliberatamente
il dono della vita non giunge alla salvezza. Ecco quello che diceva Wesley in
risposta all’affermazione che alla morte di Cristo i precetti del decalogo
erano stati aboliti: << La legge morale, contenuta nei dieci comandamenti
e raccomandata dai profeti, non è stata abolita da Cristo. Non era scopo
della sua venuta revocarne neppure una minima parte, in quanto si tratta di
una legge che non può essere infranta e che è “il fedele
testimone che è nei cieli”… Essa esiste sino dalla fondazione
del mondo, e fu scritta non su tavole di pietra, bensì nei cuori dei
figlioli degli uomini quando questi uscirono dalle mani del Creatore.
(Martin Lutero, Filippo Melantone, L’imperatore Carlo V, Il principe elettore
Federico il Saggio,
Erasmo da Rotterdam, Giorgio di Frundsberg, Gerolamo Savonarola, Papa Leone
X.)
Benché le lettere originariamente tracciate dal dito di Dio siano state
parzialmente alterate dal peccato, nondimeno esse non possono essere del tutto
cancellate, perché in noi sussiste la consapevolezza del bene e del male.
Ogni parte di questa legge deve rimanere in vigore per l’intera famiglia
umana e per tutti i secoli. Essa, infatti, non dipende né dal tempo,
né dallo spazio, né dalle circostanze mutevoli, ma dalla natura
stessa di Dio e dall’uomo nei loro immutabili rapporti reciproci. “Io
non sono venuto per abolire, ma per adempiere”… Senza contestazioni,
il significato di queste parole (in piena armonia con il loro contesto) è:
Io sono venuto per stabilirla in tutta la sua pienezza nonostante tutti i sofismi
umani. Io sono venuto per mettere in piena luce ciò che ancora poteva
sembrare oscuro; per affermare il vero e pieno valore di ogni sua parte e per
mostrare quali siano la lunghezza, la larghezza e l’esatta portata di
ogni suo comandamento, oltre che l’altezza, la profondità, la purezza
incommensurabile e la spiritualità di tutti i suoi elementi” Wesley,
sermone 25. Wesley affermò la perfetta armonia esistente fra la legge
e l’Evangelo. Egli diceva: “Fra legge e Vangelo vi è quindi
il più intimo rapporto concepibile.
Da una parte c’è la legge che continuamente prepara la via e
addita l’Evangelo; dall’altra c’è l’Evangelo
che incessantemente ci spinge a un più esatto adempimento della legge.
La legge, per esempio, ci invita ad amare Dio e il nostro prossimo, a essere
mansueti, umili e santi. Noi ci rendiamo conto di non essere capaci di farlo
perché, infatti, per l’uomo tutto ciò è impossibile;
ma Dio ci ha promesso di darci quello amore e di renderci umili, mansueti e
santi. Noi allora, prendiamo questo Vangelo annunciatore di così liete
novelle; ci viene fatto secondo la nostra fede, e si adempie in noi “la
giustizia della legge” mediante la fede che è in Cristo Gesù…
“Al primo posto, tra i nemici del Vangelo di Cristo”, diceva Wesley,
“bisogna mettere quelli che apertamente ed esplicitamente giudicano la
legge, ne parlano male e insegnano agli uomini a infrangere (nel senso di dissolvere,
sopprimere, annullare) non uno – minimo o massimo che sia – ma tutti
i comandamenti… Però la cosa più sorprendente in tutto ciò
è che quanti agiscono in questo modo pensano di onorare Cristo annullando
la sua legge, e di esaltare la sua opera demolendolo la sua dottrina. Purtroppo
essi lo onorano solo come Giuda quando disse: “Salve, Maestro!”,
e lo baciò.
Gesù con ragione può dire di ciascuno di loro: “Tradisci
tu il Figlio dell’uomo con un bacio?”. Infatti, significa tradirlo
con un bacio parlare del suo sangue e strappargli la corona; abolire una parte
qualsiasi della sua legge col pretesto di far progredire l’Evangelo. No,
non può sottrarsi a questa accusa chi predica la fede ed elimina, direttamente
o indirettamente, l’ubbidienza a Dio; chi predica Cristo in questo modo
annulla o sminuisce anche il minimo dei comandamenti dell’Altissimo”
Ibidem. A quanti affermavano che “la predicazione del Vangelo prende il
posto della legge”, Wesley rispondeva: “Noi lo neghiamo nel modo
più assoluto! Essa, ad esempio, non si sostituisce alla legge, che ha
come primo requisito quello di convincere l’uomo di peccato, di scuotere
quanti ancora sono addormentati sulla soglia dell’inferno”. L’apostolo
Paolo dichiara che “per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato”;
e “ora è evidente che fino a che l’uomo non è convinto
di peccato, non proverà il bisogno del sangue espiatorio di Cristo…
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico”, fa notare il nostro
Signore, “ma gli ammalati”. Perciò è assurdo offrire
l’opera del medico a chi è sano o crede di esserlo. Prima dovete
convincerlo che è malato, altrimenti egli non vi sarà affatto
grato dell’interessamento da voi dimostrato nei suoi confronti. E’
altrettanto assurdo offrire Cristo a coloro che non hanno ancora il cuore rotto”
Idem, sermone 35. Così, pur predicando l’Evangelo della grazia
di Dio, Wesley cercava, come il Maestro, di magnificare e rendere illustre la
legge”.
Con fedeltà egli svolse l’opera affiatagli da Dio conseguendo
risultati meravigliosi. Alla fine della sua lunga vita – egli visse più
di ottanta anni – dopo oltre mezzo secolo di ministero itinerante, i suoi
aderenti ufficialmente noti superavano il mezzo milione. Però, la moltitudine
di coloro che nel corso della sua attività evangelistica erano stati
strappati dalla rovina e della degradazione del peccato e introdotti in una
vita più pura e più luminosa, e il numero di quelli che per il
suo insegnamento erano pervenuti a un’esperienza più ricca e più
profonda, saranno noti solo quando l’intera famiglia dei redenti sarà
riunita nel Regno di Dio. La vita di Wesley insegna una lezione di valore inestimabile
per ogni cristiano. Volesse il cielo che la fede, l’umiltà, l’instancabile
zelo, lo spirito di rinuncia e la devozione di questo servo di Dio rivivessero
nelle nostre chiese di oggi!
TERRORE E CASTIGO IN FRANCIA.
Nel sedicesimo secolo la Riforma, con in mano la Bibbia aperta, aveva bussato
alla porta di tutte le nazioni d’Europa. Alcune la ricevettero con gioia,
quale messaggera del cielo, mentre altre, influenzate dall’intervento
papale, le chiusero la porta in faccia, impedendo così alla luce della
conoscenza biblica di esercitare in esse la sua benefica azione. In un paese
la luce penetrò, ma poi venne espulsa dalle tenebre: dopo secoli di lotta
fra verità ed errore, alla fine il male ebbe il sopravvento, e la verità
celeste fu respinta. “Or questa è la condanna: che la luce è
venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce”
Giovanni 3:19 (D). Quella nazione raccolse così gli amari frutti di quello
che aveva seminato. La potenza protettrice dello Spirito di Dio fu rimossa da
un popolo che aveva sprezzato il dono della grazia celeste. Il male, rompendo
ogni freno, ebbe modo di maturare, e il mondo poté vedere il frutto del
volontariato rigetto della luce. La guerra secolare fatta dalla Francia alla
Parola di Dio sfociò nelle scene della Rivoluzione.
Questa terribile vicenda fu il logico risultato della soppressione della Bibbia
da parte di Roma, e fornì la più eloquente illustrazione che il
mondo mai avesse avuto circa i frutti della politica papale dopo un insegnamento
più che millenario. La soppressione delle Sacre Scritture durante il
periodo della supremazia papale era state predetta dai profeti, e l’Apocalisse
aveva preannunciato le terribili conseguenze che sarebbero derivate, specialmente
per la Francia, dal dominio dell’<<uomo di peccato>>. Così
disse l’angelo del Signore: “E questi calpesteranno la santa città
per quarantadue mesi. E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed
essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio…
E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso
muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro
corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente
si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso…
E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno
regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati
gli abitanti della terra. E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita
procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè
e grande spavento cadde su quelli che li videro” Apocalisse 11:2-11.
I periodi profetici qui indicati “quarantadue mesi” e “milleduecentosessanta
giorni” si riferiscono a una stessa cosa: indicano, cioè, il periodo
durante il quale la chiesa di Cristo avrebbe subito l’oppressione di Roma.
I milleduecentosessanta anni della supremazia papale ebbero inizio nel 538 d.
C., e sarebbero finiti nel 1978. Quel anno un esercito francese penetrò
in Roma, fece prigioniero il papa e lo condusse in esilio, dove morì.
Sebbene di lì a poco un nuovo pontefice venisse eletto, pure da allora
il papato non è stato più capace di ristabilire la sua antica
potenza. La persecuzione della chiesa non durò l’intero periodo
dei milleduecentosessanta anni, perché Dio nella sua misericordia verso
il suo popolo abbreviò il tempo della prova. Nel predire la “grande
tribolazione” che la chiesa avrebbe conosciuto, il Salvatore dichiarò:
“E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma,
a cagione degli letti, quei giorni saranno abbreviati” Matteo 24:22. Per
l’azione della Riforma, la persecuzione finì prima del 1798.
A proposito dei due testimoni, il profeta dichiara: “Questi sono i due
olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra”
Apocalisse 11:4. “La tua parola”, dice il Salmista, “è
una lampada al mio piè ed una luce sul mio sentiero” Salmo 119:105.
I due testimoni rappresentano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Entrambe sono testimoni importanti dell’origine e della perpetuità
della legge di Dio e del piano della salvezza. I tipi, i sacrifici, le profezie
dell’Antico Testamento additano il Salvatore che doveva venire; gli evangeli
e le epistole del Nuovo Testamento, a loro volta, parlano del Salvatore venuto
esattamente nel modo predetto dai tipi e dai profeti.
<< Essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio
>> Apocalisse 11: 4.
Durante la maggior parte di questo periodo, i testimoni di Dio rimasero nell’oscurità,
in quanto il potere papale si sforzava di tenere celata al popolo la Parola
della verità e di mettergli dinanzi dei falsi testimoni che ne contraddicessero
la testimonianza. Quando la Bibbia fu proibita dalle autorità civili
e religiose; quando la sua testimonianza fu pervertita e fu messo in atto ogni
sforzo che uomini e demoni potessero escogitare per distogliere da essa la mente
delle persone; quando chi amava la verità era perseguitato, tradito,
torturato, sepolto in orride celle, martirizzato per la sua fede o costretto
a fuggire su per i monti e a rifugiarsi nelle caverne, fu allora che i fedeli
testimoni profetarono vestiti di sacco. In tali condizioni essi resero la loro
testimonianza lungo l’arco dei milleduecentosessanta anni. Anche nelle
ore più oscure si levarono uomini fedeli che avevano a cuore la Parola
di Dio e l’onore dell’Altissimo. A questi fedeli servitori fu data
la saggezza, la forza e l’autorità necessarie per proclamare la
verità durante tutto questo tempo. “E se alcuno li vuole offendere,
esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole
offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera” Apocalisse
11:5.
Gli uomini non possono calpestare impunemente la Parola di Dio. Il significato
di questa terribile denuncia viene espresso nel capitolo conclusivo dell’Apocalisse:
“Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro:
Se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe
descritte in questo libro; e se alcuno toglie qualcosa delle parole del libro
di questa profezia, Iddio gli prenderà la sua parte dell’albero
della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro”
Apocalisse 22: 18,19.
Tali sono gli avvenimenti dati a Dio per mettere gli uomini in guardia contro
la tendenza di cambiare in qualche modo ciò che Egli ha rivelato e comandato;
essi si applicano a tutti coloro che con il loro influsso inducono gli uomini
a considerare con la leggerezza la legge di Dio. Queste solenni dichiarazioni
dovrebbero spingere al timore e al tremore quanti affermano che, in fondo, ubbidire
o meno alla legge di Dio è cosa di scarsa importanza. Chiunque metta
la propria opinione al di sopra della rivelazione divina, chiunque cerchi di
mutare il chiaro significato della Scrittura per adattarlo alle proprie convenienze
o per conformarsi al mondo, si addossa una tremenda responsabilità.
La Parola scritta, la legge di Dio, sarà la misura del carattere di
ognuno e condannerà tutti quelli che saranno stati trovati mancanti.
“E quando avranno compiuta (staranno per compiere, traduzione letterale.
N.d.T.) la loro testimonianza” Apocalisse 11:7. Il periodo durante il
quale i due testimoni avrebbero testimoniato vestiti di cilicio doveva finire
nel 1978. Verso la fine della loro attività, esercitata nell’ombra,
essi sarebbero stati combattuti dal potere rappresentato da “la bestia
che sale dall’abisso”. In molte nazioni europee per secoli le autorità
civili ed ecclesiastiche erano state sotto il controllo di Satana il quale,
per il conseguimento dei suoi fini, si serviva del papato. Qui, ora, si assiste
a una nuova manifestazione della potenza satanica.
Sotto l’apparenza di ossequio alla Bibbia, Roma aveva conservato il Libro
di Dio in una lingua sconosciuta nascondendolo, così, al popolo. Ma ecco
sopraggiungere un’altra potenza – la bestia che sale dall’abisso
– per fare apertamente guerra alla Parola di Dio.
La “grande città”, nelle cui strade furono uccisi i due
testimoni e nelle quali giacquero i loro corpi morti, è chiamata spiritualmente
Egitto. Di tutte le nazioni ricordate nel racconto biblico, l’Egitto è
quella che più delle altre negò l’esistenza di Dio e resistette
ai suoi ordini. Nessun monarca si avventurò in una ribellione più
baldanzosa contro l’autorità celeste di quella del faraone di Egitto.
Quando Mosè gli trasmise il messaggio di Dio, egli disse con orgoglio:
“Chi è il Signore, che io ubbidisca alla sua voce, per lasciare
andare Israele? Io non conosco il Signore, e anche non lascerò andare
Israele!” Esodo 5:2 (D). Questo è ateismo. Orbene, la nazione qui
rappresentata dall’Egitto doveva anche essa ricusare di riconoscere le
esigenze dell’Iddio vivente e manifestare un identico spirito di incredulità
e di sfida. La << grande città >> è anche paragonata
spiritualmente a Sodoma.
La corruzione di Sodoma, che calpestò la legge di Dio, si espresse
specialmente con la lussuria. Questo peccato doveva essere la caratteristica
della nazione che avrebbe dimostrato di possedere i requisiti sopra indicati.
Dalle parole del profeta appare che poco prima del 1798 una potenza di origine
satanica si sarebbe levate per combattere la Bibbia, che è la parola
del solo vero Dio.
Nel paese dove i due testimoni dovevano essere ridotti al silenzio, si sarebbe
manifestato l’ateismo di Faraone e la lussuria di sodomia. Questa profezia
si è adempiuta in maniera impressionante nella storia della Francia.
Durante la Rivoluzione, nel 1793, << per la prima volta il mondo udì
un’assemblea di uomini nati e cresciuti nella piena civiltà arrogarsi
il diritto di governare una delle più nobili nazioni europee, levare
la voce per negare la più solenne verità che l’anima umana
possa conoscere, e rinunciare, unanimi, alla fede e all’adorazione della
Deità >> Walter Scott, Life of Napoleon, vol. 1, cap. 17. <<
Fra tutte le nazioni del mondo delle quali si posseggono degli annali autentici,
la Francia è l’unica che abbia osato levare la mano in aperta ribellione
contro l’Autore dell’universo. È vero, sì, che bestemmiatori
e atei ci sono sempre stati e tuttora ci sono in Inghilterra, in Germania, in
Spagna e altrove; però è altrettanto vero che la Francia ci offre
la visione di uno stato che per decreto della sua assemblea legislativa affermò
la non esistenza di Dio e vide la maggioranza della sua popolazione, nella capitale
e nelle altre città, accogliere l’annuncio con gioia e con danze
>> Blackwood’s Magazine, Novembre 1870.
La Francia, inoltre, manifestò anche le caratteristiche di Sodoma.
Durante la Rivoluzione ci furono immoralità e corruzione simili a quelle
che provocarono la distruzione delle città della pianura. Lo stesso storico,
nel narrare i fatti di quella epoca, presenta l’ateismo e la depravazione
della Francia come la profezia aveva indicato: “In intima relazione con
queste leggi contrarie alla religione, vi era quella che riduceva l’unione
coniugale – che è l’impegno più sacro che l’uomo
possa prendere e la cui permanenza conduce al consolidamento della società
– alla stregua di un semplice contratto civile, di carattere transitorio,
che ognuno dei due contraenti poteva stipulare o sciogliere a suo piacimento…
Se dei nemici della società si fossero imposti il compito di attuare
un sistema per distruggere tutto ciò che è bello, venerabile e
duraturo nella vita domestica, perpetuandolo di generazione in generazione,
non avrebbero potuto escogitare un piano più efficace di quello consistente
nel porre il matrimonio a un così basso livello di degradazione…
Sofia Arnoult, attrice famosa per il suo spirito, definì il matrimonio
repubblicano “Il sacramento dell’adulterio” Scott, vol. 1,
cap. 17. “Dove anche il Signor loro è stato crocifisso”.
Questa profezia si adempì in Francia. In nessun altro paese, infatti,
si manifestò simile spirito di inimicizia contro Cristo. In nessun altro
paese la verità incontrò tanta amara e crudele opposizione. Nella
sua persecuzione contro i confessori del Vangelo, la Francia crocifisse Cristo
nella persona dei suoi discepoli. Nel corso dei secoli il sangue dei santi è
stato copiosamente sparso. Mentre i valdesi morivano sulle Alpi “per la
Parola di Dio e per la testimonianza di Gesù”, altra testimonianza
alla verità veniva data dai loro fratelli, gli albigesi di Francia. Ai
tempi della Riforma, gli ugonotti erano stati uccisi dopo orribili torture.
Il re e i nobili, le donne di alto lignaggio, le fragili e delicate fanciulle,
orgoglio e vanto della nazione, erano stati testimoni dell’agonia dei
martiri di Gesù. Battendosi per quei diritti che sono sacri al cuore
umano, essi avevano sparso copiosamente il loro sangue.
I protestanti, considerati dei fuori legge sulle cui teste gravava una taglia,
erano braccati come belve feroci. I pochi discendenti degli antichi cristiani
che ancora esistevano in Francia nel diciottesimo secolo, conosciuti col nome
di “Chiesa del deserto”, coltivavano la fede dei padri. Quanto di
notte essi si avventuravano lungo i pendii dei monti o si dirigevano verso qualche
luogo appartato per riunirsi e adorare Dio, venivano perseguitati dai dragoni,
arrestati e condannati al carcere a vita. I più puri, i più nobili
e intelligenti dei francesi furono messi in catene, mescolati con ladri e assassini,
dopo essere stati oggetto di torture inaudite (vedi Wylie, vol. 22, cap. 6).
Altri, trattati meno ferocemente, furono uccisi a sangue freddo mentre, inermi
e inoffensivi, pregavano in ginocchio. Centinaia di vecchi, donne e fanciulli
innocenti vennero lasciati, uccisi, là dove si erano riuniti per celebrare
il loro culto. Percorrendo i monti e i boschi dove in generale i protestanti
si radunavano, non era raro incontrare “ogni quattro passi dei cadaveri
stesi al suolo oppure appesi agli alberi”.
Il paese, devastato dalla spada, dalla scure e dal rogo, “diventò
un vasto e desolato deserto”. “Queste atrocità, lo si noti
bene… non furono perpetrate nel fosco Medioevo, ma all’epoca brillante
di Luigi XVI, epoca in cui si coltivava la scienza, fiorivano le lettere, e
i teologi della corte e della capitale, dotti ed eloquenti, ostentavano grazia,
mansuetudine e carità” Idem, vol. 22, cap. 7.
Ma la pagina più nera e più orribile che mai sia stata scritta
nel corso dei secoli è quella relativa al massacro della notte di San
Bartolomeo. Il mondo tuttora ricorda con brividi di orrore le scene di quella
codarda e crudele carneficina. Il re di Francia, spinto dai prelati romani,
diede la propria sanzione a quel eccidio spaventoso. Una campana, suonando a
morto in piena notte, diede il segnale della strage. Migliaia di protestanti
che dormivano tranquilli, fiduciosi dell’impegno di onore del re, furono
presi e, senza profferir parola, trucidati a sangue freddo. Terrore e castigo
in Francia.
Come Cristo fu l’invisibile condottiero d’Israele della schiavitù
dell’Egitto alla libertà in terra di Canaan, così Satana
fu l’invisibile capo che diresse questa spaventosa opera di sterminio.
A Parigi la strage durò sette giorni, i primi tre dei quali furono caratterizzati
da un inconcepibile furore. Essa non si limitò alla sola capitale. Per
ordine speciale del sovrano, fu estesa a tutte le province e a tutte le città
dove c’erano dei protestanti. Non ci fu rispetto alcuno né per
il sesso, né per l’età. Nobili e plebei, vecchi e giovani,
madri e figli vennero uccisi senza nessuna discriminazione. In tutta la Francia
il massacro durò due mesi e i morti, il fior fiore della nazione, furono
settantamila.
“Quando la notizia della strage giunse a Roma, l’esultanza del
clero non conobbe limiti. Il cardinale di Lorena ricompensò il messaggero
con un dono di mille corone; il cannone di Castel Sant’Angelo tuonò
in segno di giubilo; le campane suonarono a stormo; innumerevoli fiaccolate
mutarono la notte in giorno; papa Gregorio XIII, scortato dai cardinali e da
altri dignitari ecclesiastici, si recò in processione alla chiesa di
San Luigi, dove il cardinale di Lorena cantò il Te Deum… Fu coniata
una medaglia a ricordo del massacro, e in Vaticano si possono tuttora vedere
tre affreschi del Vasari: uno raffigura l’uccisione dell’ammiraglio
Coligny; uno il re che col suo consiglio organizza la strage; uno che riproduce
il massacro stesso. Gregorio inviò a Carlo, re di Francia, la rosa d’oro
e quattro mesi più tardi… ascoltò, con vivo compiacimento,
il sermone di un sacerdote francese… che illustrava quel giorno “pieno
di gioia e di felicità”, in cui il “santissimo padre”,
ricevuta la notizia, si era recato solennemente alla chiesa di San Luigi (dei
Francesi N.d.T.) per ringraziare Iddio” Henry Whitw, The Massacre of St.
Bartholomev, cap. 14, par. 34.
Lo stesso spirito malefico che aveva spinto alla strage di San Bartolomeo,
presidiò anche le scene della Rivoluzione. Gesù Cristo fu da essa
dichiarato “impostore”. Il grido degli atei: “Schiacciate
l’infame!” alludeva a Cristo. Bestemmia e depravazione procedevano
di pari passo, sì che degli uomini abietti, veri mostri di vizio e di
perfidia, venivano esaltati e colmati di onori. In tutto ciò non si faceva
che tributare un solenne omaggio a Satana, mentre Cristo nelle sue caratteristiche
di verità, di purezza e di altruistico amore, veniva nuovamente crocifisso.
“La bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li
vincerà e li ucciderà”. Il potere ateo che durante la Rivoluzione
e il regno del Terrore dominò la Francia, fece una guerra senza precedenti
a Dio e alla sua santa Parola. L’adorazione della Deità fu abolita
dall’assemblea nazionale. Gli esemplari della Sacra Scrittura furono raccolti
e dati pubblicamente alle fiamme fra grandi manifestazioni di disprezzo. La
legge di Dio fu calpestata e le istituzioni bibliche vennero abolite.
Al giorno di riposo settimanale si sostituì la decade: ogni decimo
giorno era consacrato alla gozzoviglia e alla bestemmia. Furono vietati il battesimo
e la comunione; le iscrizioni funerarie sulle tombe definivano la morte come
un sonno eterno. Il timore del Signore, che è il principio della sapienza,
fu definito principio della pazzia. Venne inoltre abolito ogni culto, salvo,
quello della libertà e della patria. “Il vescovo costituzionale
di Parigi ebbe la parte principale in questa farsa che può essere a ragione
definita la più imprudente e la più scandalosa che sia stata recitata
da una rappresentanza nazionale… In piena processione, egli dichiarò
dinanzi alla convenzione che la religione da lui insegnata per tanti anni era
un’invenzione dei preti, senza nessuna base né nella storia né
nella sacra verità. In termini espliciti e solenni, egli negò
l’esistenza della Deità al cui culto era stato un tempo consacrato,
e affermò che d’ora innanzi si sarebbe votato al culto della libertà,
dell’uguaglianza, della virtù e della moralità. Ciò
detto, depose le insegne sacerdotali e ricevette un abbracciò fraterno
da parte del presidente della convenzione.
Numerosi sacerdoti apostati imitarono il suo esempio” Scott, vol. 1,
cap. 17. E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa
e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti
avranno tormentati gli abitanti della terra” Apocalisse 11:10. La Francia
incredula aveva ridotto al silenzio la voce ammonitrice dei due testimoni di
io. La Parola di Dio giaceva cadavere nelle strade quelli che odiavano le restrizioni
e le esigenze della legge di Dio giubilavano. Gli uomini sfidavano pubblicamente
il Re del cielo: “Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa,
che vi sia conoscenza nell’Altissimo ?” Salmo 73:11. Con una sfrontatezza
blasfema i limiti del credibile, uno dei sacerdoti del nuovo ordine dichiarò:
“Dio, se esisti, rivendica il tuo nome che viene così ingiuriato.
Io ti sfido! Tu taci e non osi scagliare i tuoi fulmini. Chi, dopo questo, potrà
ancora credere alla tua esistenza ?” Lacretelle, History, vol. 2, p. 309;
citato in A. Alison, in History of Europe,1, cap. 10. Sembra di udire le parole
di Faraone: “Chi è l’Eterno, ch’io debba ubbidire alla
sua voce ? Io non conosco l’Eterno”. “Lo stolto ha detto nel
suo cuore: Non c’è Dio!” Salmo 14:1. Il Signore, parlando
di quanti cercano di pervertire la sua verità, dice: “La loro stoltezza
sarà manifestata a tutti” 2° Timoteo 3:9.
La Francia, dopo che ebbe rinunciato al culto dell’Iddio vivente, “l’Alto
e l’Eccelso che abita l’eternità”, scivolò nella
più abietta idolatria, celebrando il culto alla dea Ragione nella persona
di una donna corrotta. E questo nell’assemblea rappresentativa della nazione
e da parte delle autorità civili e legislative. Ricorda lo storico: “Una
delle cerimonie di questo insano periodo si impone, senza tema di rivali, per
la sua assurdità, oltre che per la sua empietà… Le porte
della convenzione si spalancarono per lasciar entrare un gruppo di musicanti
seguiti, in solenne processione, dai membri del consiglio municipale i quali
cantavano un inno in onore della libertà e scortavano l’oggetto
del loro futuro culto: una donna velata che essi chiamavano dea Ragione. Introdotta
nel recinto, solennemente liberata dal velo che la copriva, ella prese posto
alla destra del presidente. A questa donna, una danzatrice dell’Opera,
considerata come il “migliore emblema” della Ragione, la convenzione
nazionale di Francia tributò un pubblico omaggio. “Tale rito empio
e ridicolo ebbe un seguito: l’insediamento della dea Ragione fu rinnovato
e imitato in tutte quelle regioni francesi che ci tenevano a dimostrarsi all’altezza
della Rivoluzione” Scott, vol. 1, cap. 17.
L’oratore che espose il culto della Ragione: i suoi occhi velati non
potevano resistere al fulgore della luce. Oggi una immensa folla si è
data convegno sotto queste gotiche volte che per la prima volta hanno fatto
echeggiare la verità. Qui i francesi hanno celebrato il solo, vero culto:
quello della Libertà e della Ragione. Qui noi abbiamo formulato voti
agli idoli inanimati per la Ragione che è una immagine animata, capolavoro
della natura” M. A. Thiers, History of the French Revolution, vol. 2,
pp. 370,371. Quando la dea fu presentata alla convenzione, l’oratore la
prese per mano e, rivolto all’assemblea, disse: “Mortali! Cessate
di tremare dinanzi ai tuoni impotenti di un Dio creato dai vostri timori! D’ora
innanzi voi non riconoscerete altra divinità che la Ragione. Io ve ne
offro l’immagine più nobile e più pura. Se volete avere
degli idoli, ebbene sacrificate solo a uno come questo!... Cadi, di fronte all’augusto
Senato della Libertà, o velo della Ragione!”.
<< La dea, dopo abbracciata dal presidente, fu fatta salire su un magnifico
carro e condotta, in mezzo a una immensa folla plaudente, alla cattedrale di
Notre Dame per prendervi il posto della Deità. Qui ella fu insediata
sopra l’altare maggiore e ricevette l’adorazione dei presenti >>
Alison, vol. 1, cap. 10. Poco tempo dopo, la Bibbia fu pubblicamente bruciata.
In una certa occasione la << Società popolare dei musei >>
entrò in municipio gridando << Viva la Ragione! >> e sbandierando
in cima a una pertica i resti semiarsi di vari libri fra i quali: breviari,
messali, Antico e Nuovo Testamento, << che spiavano in un immenso falò
>>, dichiarò il presidente, << tutte le follie che avevano
fatto commettere al genere umano >> Journal de Paris, 1793, n. 318, citato
da Buchez-Rroux, Collection of Parliamentary History, vol. 30 pp. 200,201.
L’ateismo completava l’opera iniziata dal papato. La politica
di Roma aveva determinato le condizioni sociali, politiche e religiose che provocarono
la rovina della Francia. Degli scrittori, alludendo agli orrori della Rivoluzione,
dicono che simili eccessi vanno attribuiti al trono e alla chiesa. Per un sereno
criterio di giustizia dobbiamo dire che in realtà essi vanno messi sul
conto della chiesa. Il papato, purtroppo, aveva avvelenato le menti dei re contro
la Riforma, definita nemica del trono, elemento di discordia, fatale alla pace
e alla buona armonia del paese. Fu Roma, perciò, a ispirare le crudeltà
più inaudite e l’oppressione più pesante da parte della
monarchia. Lo spirito di libertà si era affermato con la Bibbia. Dovunque
il Vangelo veniva accolto, le menti si svegliavano, gli uomini infrangevano
i ceppi che li avevano tenuti così a lungo schiavi dell’ignoranza,
del vizio e della superstizione, e cominciavano a pensare e ad agire da uomini.
I sovrani se ne resero conto e tremarono per il dispotismo di cui si erano resi
colpevoli. Roma, però, non trascurò di alimentare i loro gelosi
timori. Parlando al reggente di Francia, nel 1525, il papa disse: “Questa
mania risulta fatale anche ai principati, alle nobiltà, alle leggi, agli
ordini religiosi e alle classi sociali” G. De Felice, History of the Protestants
of France, vol. 1, cap. 2, par. 8. Alcuni anni più tardi un nunzio pontificio
avvertì il re di Francia: “Sire, non si lasci ingannare: i protestanti
sconvolgeranno ogni ordine civile e religioso… Il trono corre lo stesso
pericolo dell’altare… L’introduzione di una nuova religione
dovrà necessariamente produrre un nuovo governo” D’Aubigné,
History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 1, cap. 36.
I teologi facevano appello ai pregiudizi della gente affermando che la dottrina
protestante “porta gli uomini alla novità e alla follia, deruba
i re dell’affetto dei loro sudditi e devasta sia la chiesa che lo stato”.
Fu così che Roma riuscì ad aizzare la Francia contro la Riforma.
La spada della persecuzione fu sguainata in Francia, per la prima volta per
sostenere il trono, proteggere la nobiltà e mantenere le leggi”
Wylie, vol. 13, cap. 4.
I capi di governo non si rendevano conto delle conseguenze di questa loro
fatale politica. Gli insegnamenti della Bibbia avrebbero inculcato nelle menti
e nei cuori del popolo i principi di giustizia, di temperanza, di verità,
di equità e di benevolenza che stanno alla base della prosperità
nazionale. “La giustizia innalza una nazione” Proverbi 14:34. “Il
trono è reso stabile con la giustizia” Proverbi 16:12. “E
ciò che la giustizia opererà sarà riposo e sicurezza, in
perpetuo” Isaia 32:17 (D). Chi ubbidisce alla legge divina, è automaticamente
portato al rispetto delle leggi del paese e dall’ubbidienza di esse. Chi
teme Dio onorerà il re nell’esercizio della sua autorità
giusta e legittima. Sfortunatamente, la Francia vietò la Bibbia e ne
proscrisse i suoi discepoli. Secolo dopo secolo, molti uomini integri, coscienziosi,
ricchi di vigore intellettuale e morale, che avevano il coraggio delle proprie
opinioni e la fede che permette di soffrire qualunque cosa per amore della verità,
furono incatenati sulle galere, arsi sul rogo, lasciati marcire in orride celle.
Migliaia e migliaia di altri trovarono scampo nella fuga, e la cosa durò
per oltre duecentocinquanta anni dopo l’inizio della Riforma.
“Forse non c’è stata una sola generazione in Francia, durante
questo lungo periodo di tempo, che non abbia visto i discepoli del Vangelo fuggire
dinanzi alla furia violenta dei loro persecutori. Portando seco le arti, le
industrie (nelle quali eccellevano), l’intelligenza che li caratterizzava,
lo spirito di ordine al quale erano abituati, andarono ad arricchire i paesi
che offrirono loro asilo, a detrimento di quello che li metteva al bando. Se
tutto ciò che fu portato via fosse rimasto; se durante questi tre secoli
la mano abile di questi esuli avesse coltivato il suolo nativo; se i loro talenti
industriali avessero dato incremento alle officine; se il loro genio creativo
e le loro capacità analitiche avessero arricchito la letteratura e curato
le scienze; se la loro ben nota saggezza avesse diretto i consigli; se la loro
equità avesse diretto i consigli; se la loro equità avesse collaborato
alla redazione delle leggi: se la religione della Parola di Dio, l’Evangelo,
avesse fortificato l’intelletto e guidato la coscienza del popolo, quanto
grande sarebbe stata la gloria della Francia! (Naturalmente la parola dei vescovi,
cardinali, papi, preti e frati cattolici, non è la Parola di Dio) Che
paese grande, prospero, felice – vero modello dei popoli – sarebbe
attualmente! “Purtroppo, un cieco e inescusabile bigottismo bandì
dal suolo i predicatori della virtù, i campioni dell’ordine, i
veri sostenitori del trono. Esso diceva agli uomini che avrebbero potuto dare
alla Francia la fama e la gloria: Avete la scelta: o il rogo o l’esilio!
Alla fine il paese conobbe una rovina totale: in esso non ci fu più nessuna
coscienza da proscrivere, nessuna religione da trascinare sul rogo, nessun patriottismo
da mandare in esilio” Wylie, vol. 13, cap. 20.
La conseguenza fu la Rivoluzione con tutti i suoi orrori. “Con la partenza
degli ugonotti, la Francia conobbe un declino generale. Fiorenti città
industriali caddero a poco a poco in decadenza; zone fertili finirono col piombare
in uno stato di quasi totale abbandono; ad un periodo di progresso subentrò
il marasma intellettuale seguito dal collasso morale. Parigi fu trasformata
in una vera e propria “casa di beneficenza”. Si stima, infatti,
che all’inizio della Rivoluzione duecentomila poveri venivano mantenuti
con i sussidi della casa reale. Solo i gesuiti prosperavano in questa nazione,
ormai in preda alla crisi, e dominavano con vera tirannia nelle scuole, nelle
chiese, nelle prigioni e nelle galere”. Il Vangelo avrebbe recato alla
Francia la soluzione di quei problemi di ordine sociale e politico che sfidavano
l’abilità del suo clero, del suo re, dei suoi legislatori e che
dovevano finire col trascinare il paese all’anarchia e alla rovina. Sotto
il dominio di Roma, il popolo aveva dimenticato l’altruismo e l’amor
fraterno. Il ricco non veniva rimproverato per l’oppressione del povero,
e il povero, a sua volta, era totalmente abbandonato al suo stato di servitù
e di degradazione. In tal modo l’egoismo dei ricchi e dei potenti andò
gradatamente aumentando fino a diventare addirittura oppressivo. Per secoli
l’ingordigia e la dissipazione dei nobili si erano concretizzate in sistematiche
estorsioni sui contadini. Le conseguenze erano ora palesi: i poveri odiavano
i ricchi e questi sfruttavano i poveri. In molte province le terre appartenevano
ai nobili, i quali si servivano della mano d’opera delle classi lavoratrici.
I latifondisti, perciò, dettavano legge, e i loro dipendenti erano costretti
a soggiacere alle loro esorbitanti pretese. Il peso derivante dal dover mantenere
sia lo stato oggetto di balzelli da parte delle autorità civili e religiose.
“Il beneplacito dei nobili era considerato legge suprema; se gli agricoltori
morivano di fame, in fondo nessuno se ne curava… La precedenza assoluta
era data agli interessi dei proprietari, per cui ogni altra considerazione passava
in secondo piano. La vita degli agricoltori era fatta di incessante lavoro e
di immutabile povertà. I loro lamenti venivano accolti con insolenti
sarcasmi. Perfino le corti di giustizia davano invariabilmente ragione ai nobili,
in quanto gli stessi giudici si lasciavano corrompere e appagavano i capricci
degli aristocratici in virtù di questo sistema di generale corruzione…
Del denaro strappato al popolo mediante le imposte, solo una parte affluiva
nelle casse reali o vescovili; il resto veniva sprecato in dissoluta intemperanza.
Coloro che, in tal modo, riducevano alla miseria i loro simili, erano esenti
da tasse; e per legge o per consuetudine avevano accesso a tutte le cariche
dello stato.
Le classi privilegiate contavano circa centocinquantamila membri, e per provvedere
alla loro prodigalità, milioni di persone erano condannate a una vita
di stenti che sembrava non dovesse conoscere nessuna via di uscita”. La
corte viveva nel lusso e nella dissipazione. La sfiducia esistente fra popolo
e governanti faceva sì che ogni provvedimento del governo fosse accolto
con diffidenza. Per ben capire le cose bisogna ricordare che prima della Rivoluzione,
per oltre mezzo secolo, il trono era stato occupato da Luigi XV, noto per la
sua debolezza, la sua frivolezza e la sua sensualità. Con un’aristocrazia
depravata e crudele, con una popolazione ignorante e ridotta alla miseria, lo
stato si trovava in serie difficoltà economiche. I sudditi erano esasperati,
e non occorreva possedere occhio profetico per prevedere una catastrofe a breve
scadenza.
Agli avvertimenti dei consiglieri, il re soleva rispondere: “Cercate
di fare in modo che le cose vadano avanti finché io vivo: dopo la mia
morte sarà quel che sarà”. Invano si cercava di mettere
in risalto la necessità di una riforma: egli vedeva benissimo i mali
che affliggevano la nazione, però gli mancavano le forze e il coraggio
di porvi rimedio. La Francia, perciò, era minacciata da un fato che lo
stesso sovrano, senza volerlo, definì molto bene quando disse: “
Dopo di me il diluvio!”. Sfruttando la gelosia dei re e delle classi dirigenti,
Roma aveva indotto gli uni e le altre a tenere il popolo in uno stato di servitù,
sapendo che in tal modo lo stato si sarebbe indebolito. Questo, essa pensava,
avrebbe contribuito a rafforzare ancora di più la sua autorità
sulle nazioni. Con una politica lungimirante, Roma sapeva che per poter asservire
gli uomini bisogna incatenare le anime; e che il mezzo più efficace per
impedir loro di sottrarsi alla servitù consisteva nel renderli incapaci
di libertà.
La degradazione morale derivante da tale politica era mille volte più
terribile delle sofferenze fisiche da essa provocate. Privati della Bibbia,
abbandonati a un insegnamento che era un tessuto di bigottismo e di fanatismo,
il popolo giaceva immerso nell’ignoranza e nella superstiziose, preda
del vizio e incapace di autogovernarsi. Però le conseguenze di tale stato
di cose furono diverse da quelle previste da Roma. Apparve ben presto evidente
che le masse, anziché rimanere ciecamente sottomesse ai dogmi romani,
diventavano sempre di più incredule e rivoluzionarie. Il Romanesimo era
disprezzato come clericalismo, e il clero, a sua volta, considerato come un
incentivo all’oppressione e come alleato degli oppressori. Il solo dio
e la sola religione conosciuta erano il dio e l’insegnamento di Roma,
la cui avarizia e ingordigia erano ritenuti i frutti legittimi del Vangelo che,
perciò, finiva con l’essere messo al bando di tutti. Roma aveva
travisato il carattere di Dio e pervertito le sue esigenze, sì che gli
uomini avevano finito col rigettare la Bibbia e il suo Autore.
Essa aveva chiesto una fede cieca ai suoi dogmi, con la pretesa che essi erano
sanzionati dalle Scritture. Per reazione, Voltaire e i suoi colleghi avevano
messo da parte la Parola di Dio e diffondevano ovunque il veleno dell’incredulità.
Roma aveva schiacciato il popolo sotto il suo tallone di ferro; e ora le masse,
degradate e abbrutite, assetate di libertà, spezzavano ogni freno. Furenti
di avere tanto a lungo tributato omaggio a un inganno attraente, non volevano
più saperne né della verità, né della falsità.
Scambiando la licenza per libertà, gli schiavi del vizio esultavano della
loro presunta indipendenza.
All’inizio della rivoluzione, per concessione reale il popolo aveva
ottenuto, presso gli stati generali, una rappresentanza numericamente superiore
a quella costituita dal clero e dalla nobiltà riuniti. In tal modo, il
piatto della bilancia del potere aveva finito col pendere dalla sua parte. Il
popolo, però, non era preparato a farne un uso savio e moderato. Nella
sua ansia di riparare i torti subiti, esso decise di intraprendere la ricostruzione
della società. Un popolazzo, inasprito dall’amaro ricordo delle
ingiustizie patite, decise di rivoluzionare lo stato di povertà che si
era andato progressivamente stabilendo e di vendicarsi di quanti erano considerati
gli autori responsabili delle passate sofferenze. In tal modo gli oppressi,
applicando le lezioni apprese sotto la tirannia, divennero a loro volta oppressori
di coloro che li avevano precedentemente soggiogati.
La Francia raccolse nel sangue la messe di quello che aveva seminato, e terribili
furono le conseguenze della sua passata sottomissione al giogo romano. Là
dove, per l’influsso di Roma, era stato acceso il primo rogo all’inizio
della Riforma, la Rivoluzione vi innalzò la prima ghigliottina. Sullo
stesso luogo in cui nel sedicesimo secolo erano stati arsi i primi martiri della
fede protestante, si ebbero le prime vittime ghigliottinate del diciottesimo
secolo. Nel rigettare la Parola di Dio, la Sacra Scrittura, la Bibbia, l’Evangelo,
che avrebbe assicurato la sua guarigione, la Francia aveva aperto la porta all’incredulità
e alla rovina. Dove erano state disprezzate le legittime restrizioni della legge
di Dio, ci si accorse che le leggi umane erano incapaci di tenere freno l’ondata
delle passioni popolari, e la nazione precipitò nella ribellione e nell’anarchia.
La guerra alla Bibbia inaugurò un’era che il mondo tuttora ricorda
col il nome di Regno del Terrore. La pace e la felicità furono bandite
dai focolari e dai cuori; nessuno si sentiva al sicuro, perché il trionfatore
di oggi poteva essere domani sospettato e condannato a morte. La violenza e
la lussuria regnavano incontrastate. Il re, il clero e la nobiltà furono
costretti a subire le atrocità di un popolo reso pazzo dal furore. La
decapitazione del re servì solo a stimolare ancor più la sete
di vendetta dei francesi, e così coloro che ne avevano decretata la morte
anch’essi ghigliottinati. Una spaventosa carneficina spazzò via
tutti quelli che erano sospettati di ostilità verso la Rivoluzione.
Le prigioni erano affollate, tanto che a un certo momento i carcerati furono
oltre duecentomila. Le città del regno erano teatro di scene orribili.
I veri patiti rivoluzionari si combattevano fra loro, e la Francia finì
col diventare un immenso campo di battaglia fra masse in continua lotta, sospinte
dal fuoco delle loro violente passioni. << A Parigi i tumulti si susseguivano
e i cittadini erano suddivisi in una lunga teoria di fazioni che sembravano
avere come unico scopo quello di annientarsi a vicenda >>. Per mettere
il colmo a questa angosciosa situazione, il paese fu coinvolto in una lunga
e disastrosa guerra contro le grandi potenze europee. << La nazione venne
a trovarsi sull’orlo del fallimento. Gli eserciti reclamavano il loro
saldo arretrato; i parigini erano ridotti alla fame e le province devastate
da bande di briganti. Pareva che la civiltà dovesse estinguersi, vittima
dell’anarchia e della depravazione >>.
Il popolo aveva assimilato fin troppo bene le lezioni di crudeltà e
di tortura che Roma aveva impartito con tanta diligenza, e ora che era giunto
il giorno della retribuzione, non erano più i discepoli di Cristo a essere
gettati in prigione o trascinati sul patibolo, in quanto ormai da tempo essi
o erano morti e se n’erano andati in esilio. Toccava ora a Roma provare
tutta la micidiale violenza di coloro che essa aveva addestrati a commettere
fatti di sangue. << L’esempio di persecuzione dato dal clero di
Francia per tanti secoli si ritorceva su di esso con inaudito rigore: i patiboli
erano arrossati dal sangue dei preti; le galere e le carceri, un tempo gremite
di Ugonotti, erano ora piene dei loro persecutori. Incatenati al banco, affaticandosi
sui remi, i membri del clero romano sperimentavano tutta la severità
delle pene che un tempo essi avevano inflitte ai mansueti eretici >>.
<< Vennero poi i giorni nei quali il più barbaro dei tribunali
applicò il più barbaro dei codici; i giorni nei quali nessuno
poteva salutare il proprio vicino o dire le proprie preghiere… senza correre
il rischio di essere accusato di delitto capitale; i giorni nei quali le spie
erano sempre in agguato a ogni angolo, mentre la ghigliottina era all’opera
fin dal mattino; i giorni nei quali le fogne di Parigi vomitavano fiumi di sangue
nella Senna… Mentre quotidianamente le carrette cariche di vittime percorrevano
le vie di Parigi, i proconsoli mandati dal Comitato di Salute Pubblica nei vari
dipartimenti davano prova di una crudeltà ignota perfino nella capitale.
La lama della macchina micidiale saliva e scendeva troppo lentamente per espletare
in pieno la sua opera di sterminio; lunghe file di prigionieri, perciò,
venivano falciati dalla mitraglia, mentre per gli annegamenti in massa si ricorreva
a imbarcazioni col fondo forato. Lione diventò un deserto; ad Arras fu
negata ai prigionieri perfino la crudele misericordia di una morte rapida. Lungo
la Loira, da Saumur al mare, folti gruppi di corvi e di avvoltoi si cibavano
di cadaveri nudi, orrendamente confusi in spasmodici abbracci. Non esisteva
misericordia né per il sesso, né per l’età. Ragazzi
e ragazze al di sotto dei diciassette anni furono immolati a centinaia. I giacobini
si lanciavano l’uno all’altro, con la punta aguzza delle loro picche,
dei neonati strappati al seno materno >>. Nel breve volgere di dieci anni,
intere moltitudini di esseri umani perirono di morte violenta. Tutto ciò
corrispondeva al piano di Satana e agli scopi da lui perseguiti attraverso i
secoli. La sua politica si basa sull’inganno, e la sua mèta è
di opprimere il genere umano sotto il peso di tutti i mali; di deformare e contaminare
l’opera di Dio; di osteggiare il divino piano di bontà e di amore;
di contristare il cielo. Per le sue arti seduttrici, egli riesce a confondere
le menti degli uomini e a provocare il risentimento contro Dio, che viene ritenuto
responsabile di quello che accade, come se ciò fosse il risultato naturale
del piano creativo dell’Altissimo. Quando poi coloro che sono stati avviliti
e abbrutiti dal suo potere crudele conquistano la libertà, egli spinge
a commettere eccessi e atrocità che i tiranni e gli oppressori definiscono
come conseguenza della libertà.
Allorché l’errore è smascherato sotto una delle sue forme,
Satana ricorre ad altri camuffamenti, affinché le moltitudini lo accettino
con lo stesso favore di prima. Vedendo che il Romanesimo era stato smascherato
e che, per conseguenza, non poteva più servirsene per indurre il mondo
e a trasgredire le leggi divine, Satana fece credere che tutta la religione
fosse menzognera e che la Bibbia fosse una favola. Le masse, allora, rigettarono
gli statuti divini e si abbandonarono a una sfrenata iniquità. L’errore
fatale che attirò sulla Francia tante calamità derivò dall’ignoranza
di questa grande verità: la vera libertà si trova nell’ubbidienza
alla legge di Dio. << Oh, avessi tu pure atteso a’ miei comandamenti!
La tua pace sarebbe stata come un fiume, e la tua giustizia come le onde del
mare… Non vi è alcuna pace per gli empi, ha detto il Signore >>
Isaia 48:18,22(D). << Ma chi mi ascolta abiterà in sicurtà
e viverà in riposo, fuor di spavento di male >>Proverbi 1:33 (D).
Gli atei, gli increduli e gli apostati respingono e combattono la legge di Dio,
ma i risultati dimostrano che il benessere umano dipende dall’ubbidienza
agli statuti divini. Coloro che non leggono le lezioni insegnate dal Libro di
Dio le leggeremo, poi, nella storia dell’umanità.
Quando Satana si serviva della chiesa di Roma per distogliere gli uomini dall’ubbidienza
a Dio, agiva nell’ombra affinché la sua opera nascosta, la degradazione
e la miseria morale non fossero riconosciute come frutto della trasgressione.
La sua potenza però, era ostacolata dallo Spirito di Dio, e così
egli non riuscì a mandare in pieno e a effetto i suoi propositi. La gente
non seppe risalire dagli effetti alla causa, e quindi non riuscì a scoprire
quale fosse la fonte dei suoi mali. Però alla Rivoluzione la legge di
Dio venne apertamente posta al bando dall’Assemblea Nazionale, e durante
il Regno del Terrore ognuno poté stabilire il rapporto che intercorreva
tra la causa e gli effetti. Quando la Francia pubblicamente rigettò Iddio
e mise al bando la Bibbia, gli empi esultarono perché avevano raggiunto
il loro scopo: un regno svincolato dalle restrizioni della legge divina. <<
Siccome la sentenza contro una mala azione non si eseguisce prontamente, il
cuore dei figliuoli degli uomini è pieno della voglia di fare il male
>> Ecclesiaste 8:11.
Nondimeno la trasgressione di una legge giusta non può non provocare
disordini e rovina, e il castigo – anche se non segue immediatamente la
trasgressione – è sicuro. Secoli di apostasia e di crimini avevano
accumulato un tesoro d’ira per il giorno della retribuzione, sì
che quando l’iniquità giunse al colmo, gli schernitori di Dio si
accorsero, troppo tardi, che è cosa spaventevole mettere a dura prova
la pazienza dell’Eterno. Il potere mitigatore dello Spirito di Dio, che
arginava l’azione crudele di Satana, fu parzialmente rimosso, e così
colui che si diletta nelle sventure degli uomini poté operare a suo piacimento.
Chi aveva scelto la ribellione ne raccolse il frutto, e il paese fu pieno di
delitti troppo orribili per poterli descrivere. Alle province devastate e dalle
città in rovina salì un grido di amare ambascia. La Francia fu
scossa come da un terremoto. Religione, legge, ordine sociale, famiglia, stato
chiesa: tutto fu abbattuto dall’empia mano che si era levata contro le
leggi dell’Onnipotente. Giustamente il Savio aveva detto: “L’empio
cade per la sua empietà”. “Quantunque il peccatore faccia
cento volte il male e pur prolunghi i suoi giorni, pure io so che il bene è
per quelli che temono Dio, che provano timore nel suo cospetto”. “Il
bene non sarà per l’empio” Proverbi 11:5; Ecclesiate 8:12.
“Perciocché hanno odiata la scienza, e non hanno eletto il timor
del Signore… Perciò, mangeranno del frutto delle loro vie, e saranno
saziati dei loro consigli” Proverbi 1:29,31 (D). Sebbene immolati dal
potere blasfemo che “sale dall’abisso”, i testimoni di Dio
non dovevano rimanere a lungo silenziosi. “E in capo di tre giorni e mezzo,
lo Spirito della vita, procedente da Dio, entrò in loro, e si rizzarono
in piè, e grande spavento cadde sopra quelli che li videro” Apocalisse
11:11 (D). Nel 1793, l’assemblea francese emanò un decreto che
aboliva la religione cristiana e metteva la Bibbia al bando. Tre anni e mezzo
più tardi, una delibera della stessa assemblea nazionale annullò
tale decreto, dichiarando che le Sacre Scritture erano tollerate. Il mondo,
sgomento dinanzi all’enormità delle colpe derivanti dal rigetto
dei sacri oracoli, riconosceva la necessità della fede in Dio e nella
sua Parola come fondamento della virtù e della moralità.
Sta scritto: “Chi hai tu insultato e oltraggiato? Contro chi hai tu alzata
la voce e levati in alto gli occhi tuoi? Contro il Santo d’Israele.”
Isaia 37:23.
“Perciò, ecco… questa volta farò loro conoscere
la mia mano e la mia potenza; e sapranno che il mio nome è l’Eterno”
Geremia 16:21. Riguardo ai due testimoni, il profeta aggiunge: “Ed essi
udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono
al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro” Apocalisse 11:12. Dacché
la Francia ha fatto guerra ai due testimoni di Dio, questi sono stati onorati
più che mai. Nel 1804 nacque la Società Biblica Britannica e Forestiera,
seguita poi da altre organizzazioni consimili in tutta l’Europa. Nel 1816
fu fondata la Società Biblica Americana. Quando venne organizzata la
Società Biblica Britannica, le Sacre Scritture erano stampate in cinquanta
lingue; oggi esse lo sono in centinaia e centinaia di lingue e dialetti. Ne
corso dei cinquanta anni che precedettero il 1792, ben scarsa attenzione era
stata data alle missioni estere. Nessuna nuova società era stata fondata,
e poche erano le chiese che compivano qualche sforzo per la diffusione del cristianesimo
in terra pagana. Verso la fine del diciottesimo secolo si verificò un
notevole cambiamento.
Gli uomini, per nulla soddisfatti del razionalismo, si rendevano conto della
necessità di una rivelazione divina e di una religione sperimentale.
Da allora l’opera delle missioni ebbe uno sviluppo senza precedenti.
I progressi effettuati nel campo della stampa diedero un nuovo impulso alla
diffusione della Bibbia. Le accresciute facilitazioni nelle comunicazioni fra
i paesi, la scomparsa delle vecchie barriere di pregiudizi e di esclusivismo
nazionalistico, la caduta del potere temporale dei pontefici romani spalancarono
le porte alla Parola di Dio. Sono anni ormai che la Bibbia viene venduta senza
alcuna restrizione nelle vie di Roma, ed essa va sempre più diffondendosi
nelle religioni abitate del mondo. Lo scettico Voltaire una volta ebbe a dire,
con baldanzosa presunzione: “Sono stanco di sentire che dodici uomini
hanno stabilito la religione cristiana. Io dimostrerò che un solo uomo
è sufficientemente per abbatterla”. Voltaire è morto da
circa due secoli [morì nel 1778], e da allora milioni di uomini hanno
fatto, come lui, guerra alla Bibbia.
Tutti i loro tentativi sono risultati vani. Là dove al tempo di Voltaire
forse si contavano cento copie della Bibbia, oggi ce ne sono diecimila; che
dico? centomila! Ripeteremo qui le parole di un riformatore: “La Bibbia
è un’incudine che ha consumato molti martelli!”. Il Signore
afferma: “Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà; e ogni
lingua che sorgerà in giudizio contro di te, tu la condannerai”
Isaia 54:17. “La parola del nostro Dio sussiste in eterno” Isaia
40:8. “Le opere delle sue mani sono verità e con dirittura”
Salmo 111:7,8. Tutto ciò che si basa sull’autorità dell’uomo
sarà abbattuto, mentre quello che si fonda sulla roccia dell’immutabile
Parola di Dio dimora eternamente.
ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ NEL NUOVO MONDO.
I riformatori inglesi, pur abbandonando la religione romana, avevano conservate
molte delle sue forme. Così, quantunque l’autorità e il
credo di Roma fossero stati respinti, si notavano nella chiesa anglicana non
pochi dei suoi costumi e delle sue cerimonie. Si riteneva che tali cose non
avessero nulla a che fare con la coscienza e che, anche se non ordinate nelle
Scritture, non erano neppure proibite; perciò non potevano essere considerate
perniciose, in quanto non essenziali. La loro osservanza, del resto, contribuiva
a ridurre la distanza fra le chiese riformate e Roma, il che poteva agevolare
ai cattolici romani l’accettazione della fede riformata. Ai conservatori
e agli opportuni tali argomenti apparivano conclusivi; però vi era un’altra
categoria di persone che non la pensava così. Il fatto che questi costumi
“tendevano a diminuire la distanza fra Roma e la Riforma” Martyn,
vol. 5, p. 22, non era secondo loro un valido argomento per continuare a praticarli.
Anzi stimavano addirittura che essi costituissero la prova della schiavitù
dalla quale si erano liberate e nella quale non intendevano assolutamente ritornare.
Dicevano che Dio nella sua Parola ha stabilito i requisiti del culto che gli
è dovuto, e che gli uomini, perciò, non hanno alcun diritto di
aggiungere o di togliere niente. L’inizio della grande apostasia era stata
proprio questa tendenza a sostituire l’autorità della chiesa all’autorità
di Dio. Roma aveva cominciato con l’imporre quello che Dio non proibiva,
e aveva finito col vietare ciò che Dio espressamente comanda. Molti,
i quali desideravano ardentemente un ritorno alla purezza e alla semplicità
che avevano caratterizzato la chiesa primitiva, e consideravano tanti costumi
della chiesa anglicana veri e propri monumenti eretti all’idolatria, in
coscienza non potevano unirsi al suo culto.
La chiesa però, sostenuta dalle autorità civili, non consentiva
nessuna deviazione dalle forme da essa stabilite. La partecipazione alle sue
funzioni era imposta per legge, e le riunioni di carattere religioso non autorizzate
erano vietate sotto pena di carcere, di esilio e perfino di morte. All’inizio
del diciassettesimo secolo, il monarca asceso al trono d’Inghilterra manifestò
la decisione di indurre i puritani a “conformarsi… sotto pena di
esilio o di qualcosa di peggio” Gorge Bancroft, History of the United
States of America, parte I, cap. 12, par. 6. Braccati, perseguitati, gettati
in carcere, essi non vedevano nessuna prospettiva di giorni migliori, e molti
si convinsero che “l’Inghilterra non era più abitabile per
chi intendeva servire Iddio secondo la propria coscienza” J. G. Palfrey,
History of the New England, cap. 3, par. 43. Alcuni perciò decisero di
cercare rifugio in Olanda.
Nonostante le difficoltà, le perdite materiali, i tradimenti e altre
non piccole contrarietà, essi perseverarono, finirono col trionfare di
ogni ostacolo e raggiunsero felicemente le rive ospitali della repubblica olandese.
Fuggendo, dovettero abbandonare case, beni e mezzi di sussistenza. Stranieri,
in un paese sconosciuto, in mezzo a un popolo di lingua e costumi differenti
dai loro, per guadagnarsi da vivere furono costretti a svolgere un’attività
totalmente diversa da quella svolta fino allora. Uomini di mezza età,
che avevano trascorso la vita coltivando il suolo, dovettero imparare un nuovo
mestiere; però seppero accettare la situazione senza rimpianti o recriminazioni.
Sebbene spesso ridotti alla povertà, ringraziavano Dio per i benefici
di cui godevano, e si rallegravano di poter praticare liberamente la loro fede.
“Sapevano di essere dei pellegrini e perciò non si preoccupavano
di certe cose; alzavano gli occhi al cielo, verso la loro patria diletta, e
si sentivano consolati” Bancroft, Idem, parte I, cap. 12, par. 15.
Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte
il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita
in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms,
dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In
quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così
Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono
stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo
e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì
la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità
inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse
Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione.
I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham
acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di
Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera.
Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito
permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore
della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.
Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà
a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese
di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito
più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati,
il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio.
Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere
suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma
da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino
ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità.
Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere
letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è
l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della
sua eternità. Non c’è né re, né imperatore,
né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla
sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola
di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere
quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi
avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward
VI. Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della
verità seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese
erano uomini dotti, e la maggior parte di essi erano
stati particolarmente stimati, per zelo e per pietà, nelle comunità
cattoliche romane. La loro opposizione al papato derivava dalla consapevolezza
degli errori della santa sede. Inoltre, la loro conoscenza dei misteri di Babilonia
dava una particolare potenza alla loro testimonianza contro di essa. “Vorrei
farvi una domanda forse un po’ strana”, diceva Latimer. “Chi
è il più diligente vescovo o prelato d’Inghilterra?... Vi
vedo attenti, ansiosi di sapere da me il nome… Ebbene, ve lo dirò:
è il diavolo. Egli non si allontana mai dalla sua diocesi… Chiamatelo
quando volete: è sempre in sede… è sempre all’aratro…
Non lo vedrete mai ozioso, ve lo assicuro… Dovunque egli risiede, le sue
parole d’ordine sono: Abbasso i libri, evviva le candele!... Abbasso la
Bibbia, evviva il rosario!... Abbasso la luce del Vangelo, evviva il lume dei
ceri, anche in pieno mezzodì!... Abbasso la croce di Cristo, evviva invece
il purgatorio che vuota le tasche dei fedeli!... Abbasso gli abiti per gli ignudi,
i poveri, i derelitti, evviva gli ornamenti d’oro e d’argento dati
a profusione a dei pezzi di legno e di pietra!... Abbasso le tradizioni di Dio
e la sua santa Parola, evviva le tradizioni e leggi degli uomini!... Oh, se
i nostri prelati seminassero il grano della sana dottrina con lo stesso zelo
di cui dà prova Satana nel seminare la zizzania!” Latimer, Sermon
of the Plough.
Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che
era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da
Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile
autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi
negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle
coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva
la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi
uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola
quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi
conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio
mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia
di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà
mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.
In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori
non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese
d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano
ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato
vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun
altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno,
un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa
di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e
gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza
delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e
i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti
di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.
Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche,
percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità
che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta
dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri
a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli
del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo
alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi,
però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola
di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo
le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi
dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di
nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli
più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno
che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio
doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox
aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi
della verità della Parola di Dio.
Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare
Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni
ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di
meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una
volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione
e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore
non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno
a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più
intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del
tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a
sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia,
al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta,
Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò
né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce.
La regina lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare
la religione proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine
di Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti. Knox rispose
con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità
dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini
non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei
principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti
degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i
figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono
per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione
del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla
religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?...
Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro
principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi
interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria,
“mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve
credere? E chi sarà il giudice?”.
“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola”
disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve
credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente
chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una
parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso,
si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in
coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David
Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895.
Tali erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della
propria vita, faceva intendere alla regina. Con indomito coraggio egli proseguì
il suo ministero pregando e combattendo la battaglia del Signore fino a che
la Scozia non ebbe spezzato il giogo del papato. In Inghilterra lo stabilirsi
del Protestantesimo come religione nazionale fece diminuire le persecuzioni,
ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine di Roma, inoltre, erano state
mantenute. Se da un lato era stata rigettata la supremazia del papa, dall’altro
si era eletto il re come capo della chiesa. Anche nel culto si poteva notare
un sensibile distacco dalla purezza e dalla semplicità del Vangelo. Inoltre,
il grande principio della libertà religiosa non era ancora capito. Quantunque
le terribili crudeltà cui era ricorsa Roma contro l’eresia fossero
state raramente ripristinate dai capi della Riforma, nondimeno il diritto di
ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza non era
riconosciuto. Si esigeva da parte di tutti l’accettazione e l’osservanza
delle forme del culto prescritte dalla chiesa stabilita.
Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa
si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori
furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e
perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non
fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi
per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte
o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti
che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi
si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante
le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni
erano affollate, le famiglie disperse. Molti dovettero addirittura espatriare.
Dio, però, era col suo popolo, e così le persecuzioni non impedirono
la testimonianza di queste anime fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare
oltre Atlantico, gettarono nel Nuovo Mondo le basi della libertà civile
e religiosa, baluardo e vanto degli Stati Uniti d’America.
Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli, la persecuzione contribuì
alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere, gremito di gente disonesta
e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera del cielo e scrisse
la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla terra della perdizione
alla città celeste. Da oltre duecento anni questa voce uscita da Bedford
parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di Bunyan: Pilgrim’s
Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”) e Grace Abounding to
the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”), hanno guidato molti
lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e altri uomini di talento,
colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono a difesa della fede “che
è stata data ai santi una volta per tutte”. L’opera compiuta
da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai grandi di questo mondo è
imperitura. Fountain of Life (“Fonte della vita”) e Method of Grace
(“Metodo della grazia”) di Flavel hanno insegnato a migliaia di
persone come affidare a Cristo la cura della propria anima. Reformed Pastor
(“Il pastore riformato”) di Baxter è stato fonte di benedizione
per quanti aspiravano a un risveglio nell’opera di Dio, e il suo volume
Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno riposo dei santi”)
ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo” che rimane
per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre spirituali,
apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i Wesley.
Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era venuta
a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere dal
paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero e
compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si facevano
beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di quello che
esse definivano fanatismo. Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse
in una preoccupante ignoranza e nel vizio mentre la chiesa non aveva né
il coraggio né la fede necessari per sostenere la causa della verità
che precipitava verso la rovina.
La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da
Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio
romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield
e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di
Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza
dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva
di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi
sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io
ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”.
Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta,
l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente
base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro
in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p.
102, ediz. 1845.
Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo l’opera
di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria e distogliendo
le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza: il sangue del Redentore
crocifisso. Wesley e i suoi collaboratori giunsero a capire che la vera religione
ha radice nel cuore, e che la legge di Dio non riguarda solo le azioni e le
opere, ma abbraccia anche i pensieri. Convinti della necessità di avere
il cuore santificato, oltre che la rettitudine del comportamento esteriore,
essi vollero vivere una vita nuova. Con sforzi intensi accompagnati della preghiera,
essi cercavano di vincere le tendenze del cuore naturale. Vivevano un’esistenza
fatta di rinuncia, di carità, di umiltà; osservavano col massimo
li potesse aiutare a raggiungere quello che ardentemente bramavano: la santità
che assicurava il favore di Dio.
Essi, però, non riuscivano a raggiungere la mèta, e si affannavano
invano per liberarsi dalla condanna e dalla potenza del peccato. Era una lotta
uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda che tanto aveva
torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come sarebbe il mortale
giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità, che si
era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu ravvivato
dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi. Dopo la Riforma,
il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde di Roma sì
che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono costretti a fuggire.
Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede avita, e attraverso
i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono consacrati al ministero
e mandati in missione in America. A bordo della nave vi era un gruppo di moravi.
La traversata fu caratterizzata da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi
a faccia a faccia con la morte, sentì di non avere la certezza della
pace con Dio. I moravi, per contro, dimostravano una serenità e una fiducia
nell’Eterno che a lui erano totalmente estranee.
“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà
della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere
umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito
a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun
compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che
il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro
offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati,
colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza
che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta. Ebbero anche l’occasione
di dimostrare che si erano liberati non solo dallo spirito di timore, di orgoglio,
d’ira e di vendetta, ma anche da quello della paura. Durante il canto
del salmo che dava inizio alla loro funzione religiosa, il mare scatenato squarciò
la vela maestra e si abbatté sulla nave coprendola con le onde, tanto
che pareva dovesse inghiottirci tutti. Fra gli inglesi si udì un terribile
grido di angoscia, mentre i moravi continuarono a cantare. Più tardi
io chiesi a uno di loro: “Eravate spaventati?”. Mi rispose: “Grazie
a Dio, no”. Domandai: “Ma le vostre donne e i vostri bambini non
erano impauriti?”.
Con la massima semplicità egli mi disse: “No: le nostre donne
e i nostri bambini non hanno paura della morte” Whitehead, Life of the
Rev. John Wesley, p. 10, ediz. 1845. Giunti a Savannah, Wesley si trattenne
un po’ di tempo coi Moravi, e rimase profondamente impressionato dal loro
comportamento cristiano. Parlando di una delle loro funzioni religiose, in così
stridente contrasto col gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse:
“La grande semplicità e la solennità dell’insieme
mi fecero dimenticare i millesettecento anni che erano passati, e mi parve di
trovarmi in una delle assemblee presiedute da Paolo, il fabbricatore di tende,
o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era la manifestazione dello Spirito
e della potenza” Idem, pp. 11,12. Rientrato in Inghilterra, Wesley, per
le istruzioni di un predicatore moravo, pervenne a una più chiara comprensione
della vera fede biblica. Si convinse che bisognava rinunciare alle proprie opere
come mezzo di salvezza e fidare pienamente nell’Agnello di Dio che toglie
il peccato del mondo”.
Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta
una dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie
nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in
Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i
miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte”
Idem, p. 52. Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di
dure rinunce, l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare
Iddio. Ora che lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante
digiuni, preghiera, elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza
denaro e senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua
anima arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso
Evangelo della grazia gratuita di Dio.
“Io considero il mondo intero come mia parrocchia”, affermava
Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo ritengo mio diritto, oltre che
mio dovere, annunciare a quanti sono disposti ad ascoltare, la lieta notizia
della salvezza” Idem, p. 74. Egli perseverò nella sua vita di severa
rinuncia, nella quale non vedeva più la condizione, ma la conseguenza
della sua fede; non più la radice, ma il frutto della santità.
La grazia di Dio in Cristo è il fondamento della speranza del cristiano,
e questa grazia si manifesta con l’ubbidienza. Wesley consacrò
la sua vita alla predicazione della grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò
la sua vita alla predicazione delle grandi verità che aveva conosciute:
la giustificazione per fede nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice
dello Spirito Santo nel cuore, il cui frutto è una vita che si conforma
a quella di Gesù.
Whitefield e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale
convinzione del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni
come buoni soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo,
della derisione e della persecuzione sia all’università che nel
ministero. Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni
di studio increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una
delle maggiori denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati
Uniti. Nella loro qualità di membri della chiesa anglicana, essi erano
molto attaccati alle sue forme di culto; però il Signore aveva loro presentato
nella sua Parola un ideale molto più elevato. Lo Spirito Santo li spinse
a predicare Cristo e Cristo crocifisso e la potenza dell’Altissimo accompagnava
i loro lavori. Migliaia di persone furono convinte e conobbero una reale conversione.
Ma era necessario che queste pecorelle fossero protette contro i lupi rapaci.
Wesley non pensava di fondare una nuova denominazione e si limitò a organizzare
i neo convertiti in quella che fu definita Methodist Connection (ramo della
chiesa metodista. n .d .r.).
L’opposizione incontrata da questi predicatori fu apra e misteriosa;
ma Dio, nella sua saggezza infinita, fece sì che la Riforma avesse inizio
nella chiesa stessa.
Se fosse venuta dal di fuori, essa forse non sarebbe penetrata dove più
urgente si faceva sentire. Invece, dato che i predicatori erano uomini di chiesa
che lavoravano sotto la sue egida dovunque se ne presentava l’opportunità,
la verità poteva giungere anche dove, altrimenti, le porte sarebbero
rimaste chiuse. Alcuni membri del clero furono scossi dal loro torpore morale
e divennero zelanti predicatori nelle loro parrocchie. Delle chiesa che sembravano
come pietrificate nel formalismo, risorsero così a vita nuova.
Al tempo di Wesley, come del resto in tutti i tempi della storia della chiesa,
l’opera fu compiuta da uomini dotati di doni differenti. Non sempre essi
erano d’accordo fra loro su tutti i punti dottrinali, però erano
tutti mossi dallo Spirito di Dio e uniti dal comune proposito di condurre le
anime a Cristo. Una volta le divergenze fra Whitefield e i Wesley minacciarono
di provocare una frattura tra loro; ma la mansuetudine imparata a scuola di
Cristo, unita alla reciproca sopportazione e alla carità fraterna, fece
sì che essi si riconciliassero. D’altra parte essi non avevano
il tempo di perdersi in dispute mentre da ogni parte l’errore e l’empietà
dilagavano e i peccatori precipitavano nel baratro della perdizione.
I servi del Signore calcavano un difficile sentiero: uomini dotti e influenti
facevano uso della loro potenza contro di essi. Molti esponenti del clero dopo
un po’ di tempo cominciarono a manifestare un’aperta ostilità,
e le porte delle chiese furono chiuse alla fede pura e a coloro che la predicavano.
L’atteggiamento del clero che li denunciava dall’alto dei pulpiti
valse a suscitare contro di loro gli elementi deteriori delle tenebre, dell’ignoranza
e dell’iniquità. Fu solo per merito di segnalati miracoli di Dio
che Giovanni Wesley poté sfuggire alla morte. Una volta che l’ira
della folla sembrava precludergli ogni via di scampo, un angelo in forma umana
si mise al suo fianco e fece indietreggiare la folla, dando così modo
al servitore di Dio di abbandonare quel luogo pericoloso. In una particolare
occasione, parlando della liberazione dal furore della folla, Wesley disse:
“Molti cercarono di farmi precipitare dall’alto di un sentiero sdrucciolevole
che conduceva alla città, stimando che una volta che io fossi caduto
non mi sarei più potuto rialzare.
Io, invece, non caddi, non scivolai e riuscii a sottrarmi a loro… Molti
tentarono di prendermi per il colletto o per gli abiti per farmi cadere; ma
non riuscirono nel loro intento. Solo uno poté stringere saldamente un
lembo del mio giubbotto e strapparlo, mentre l’altro lembo, nella cui
tasca c’era del denaro, fu strappato solo a metà… Un uomo
robusto che stava dietro a me tentò ripetutamente di colpirmi con un
solo colpo, per nodoso. Se mi avesse raggiunto alla nuca, anche con un solo
colpo, per me sarebbe stata finita. Ogni volta, però, il suo colpo fu
deviato e non so davvero perché, dato che io non mi potevo muovere né
a destra né a sinistra… Un altro sopraggiunse, facendosi largo
tra la folla, e giunto vicino a me levò il pugno e lo fece all’improvviso
ricadere inerte, sfiorandomi la testa e dicendo: “Che capelli soffici
ha!”… I primi ad avere il cuore toccato dal Vangelo di Cristo furono
proprio i peggiori elementi della città, i caporioni sempre pronti a
fare un buon colpo.
Uno di essi era stato pugile di professione… Con quanta tenera sollecitudine
Dio ci prepara per la sua opera! Due anni fa un pezzo di tegola mi sfiorò
le spalle; un anno dopo, una pietra mi colpì fra gli occhi; il mese scorso
ho avuto un colpo; oggi ne ho ricevuti due: uno prima di giungere in città
e uno dopo che ne eravamo usciti; io però non ne ho risentito alcun danno.
Sebbene uno mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro
mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia
colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho colpito
la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho sentito più
dolore di quello che avrei potuto provare se mi avessero colpito con della paglia”
John Wesley, Works, vol. 3, pp. 297,298. ed. 1831.
I metodisti di quella epoca – membri e predicatori – erano oggetto
di derisione e di persecuzione sia da parte dei membri della chiesa stabilita,
come pure da parte di persone apertamente ostili alla religione, eccitate contro
di loro da calunnie messe in giro pei confronti dei metodisti. Spesso, fatti
segno a violenza da parte dei persecutori, essi venivano trascinati dinanzi
ai tribunali dove la giustizia esisteva solo di nome perché di fatto,
a quei tempi, era piuttosto rara. La folla andava di casa in casa, sfasciando
i mobili, gli oggetti, portando via quello che più le piaceva, maltrattando
uomini, donne e fanciulli. Non era infrequente il caso di leggere manifesti
nei quali si invitavano quanti desiderassero partecipare alla rottura di finestre
e al saccheggio di abitazioni dei metodisti, a trovarsi in un determinato luogo
a una certa ora.
Queste aperte violazioni delle leggi umane e divine avvenivano senza che nessuno
intervenisse per mettervi un freno! Una sistematica persecuzione fu organizzata
contro un popolo la cui unica colpa consisteva nell’adoperarsi per strappare
i peccatori dal sentiero della perdizione e avviarli su quello della santità.
Riferendosi alle accuse che venivano mosse contro lui e i suoi seguaci, Giovanni
Wesley disse: “Alcuni affermavano che le dottrine di questi uomini sono
false, errate e fanatiche; dicono che sono nuove e che solo di recente se ne
è udito parlare: affermano che si tratta di quacquerismo, di fanatismo,
di papismo. Ebbene, la falsità di siffatte affermazioni è stata
ripetutamente dimostrata in quanto ogni elemento di questa dottrina altro non
è se non la chiara dottrina della Santa Scrittura interpretata dalla
nostra chiesa.
Per conseguenza, poiché la Bibbia è verace, è evidente
che l’insegnamento non può essere né falso né errato”.
“Altri dicono: “La loro dottrina è troppo stretta; essi rendono
troppo angusta la via che mena al cielo”. Questa è, in realtà,
l’obiezione originale che segretamente sta alla base di migliaia di altre
che si presentano sotto svariate forme. Chiediamoci, però, se essi fanno
effettivamente la via del cielo più stretta di quanto la fecero Cristo
e gli apostoli. Domandiamoci se la loro dottrina è più stretta
di quella della Bibbia. Per avere la risposta è sufficiente prendere
in esame alcuni versetti di cuore e con tutta l’anima tua e con tutta
la mente tua” “Or io vi dico che d’ogni parola oziosa che
avranno detta, gli uomini renderai conto nel giorno del giudizio”. “Sia
dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcuna altra cosa, fate
tutto alla gloria di Dio”. “Se la loro dottrina è ancora
più stretta, essi sono degni di biasimo; però voi sapete, in coscienza,
che non è così. Chi osa essere meno stretto, fosse pure di un
iota, corrompe la Parola di Dio. Un depositario dei misteri di Dio può
essere ritenuto fedele se cambia qualche elemento del sacro deposito affidatogli?
No, egli non può né eliminare né attenuare nulla, ed è
moralmente tenuto a dire a tutti gli uomini: “Io non posso adattare la
Scrittura ai vostri gusti: siete voi che dovete adattarvi ad essa se non volete
perire!” Questa è anche la base effettiva dell’altra accusa
popolare relativa a “mancanza di carità in questi uomini”.
Mancanti di carità? In che cosa? Fosse essi rifiutano di vestire gli
ignudi e di nutrire gli affamati? “No, non si tratta di ciò, perché
in questo essi non sono certo in difetto. Piuttosto si tratta del fatto che
essi sono privi di carità nel giudicare: pensano che nessuno possa essere
salvato se non fa come loro” Idem, vol. 3, pp. 152,153.
Il declino spirituale verificatosi in Inghilterra già prima di Wesley
era in gran parte da attribuirsi all’insegnamento dell’antinomianismo.
Molti affermavano che Cristo aveva abolito la legge morale e che, per conseguenza,
i cristiani non erano più tenuti a osservarla in quanto il credente è
“affrancato dalla schiavitù delle opere”. Altri, pur ammettendo
la perpetuità della legge, dichiaravano che non era necessario che i
ministri (di culto. N.d.T.) esortassero il popolo a osservarne i precetti, poiché
“coloro che Dio aveva eletti a salvezza sarebbero stati indotti a praticare
la virtù e la pietà dall’irresistibile impulso della grazia
divina”, mentre coloro che erano condannati alla riprovazione eterna,
“non avevano a forza di ubbidire alla legge dell’Altissimo”.
Altri, infine, sostenevano che “gli eletti non possono scadere dalla grazia,
né perdere il favore divino”, e concludevano: “Le azioni
empie da loro commesse, in realtà non sono peccaminose né debbono
essere considerate come prova della violazione della legge di Dio; per conseguenza,
essi non hanno nessun bisogno di confessare i propri peccati, né di rinunciarvi
mediante il pentimento” McClintock and Strong, Cyclopedia, art. Antinomians.
Ne deducevano che certi peccati, anche quelli “universalmente riconosciuti
come odiosa violazione della legge divina, non sono tali agli occhi dell’Eterno”,
se commessi da un eletto, “perché una delle caratteristiche essenziali
e distintive degli eletti è appunto che essi non possono fare nulla che
sia disapprovato da Dio o proibito dalla legge”.
Queste dottrine mostruose sono fondamentalmente le stesse che si ritrovano
nell’insegnamento di alcuni teologi moderni i quali negano l’esistenza
di una legge divina immutabile come norma di giustizia, affermando che l’indice
della moralità è definito dalla società stessa ed è
soggetto a costanti variazioni. Tutte queste idee errate derivano dal medesimo
spirito: quello di colui che perfino fra gli immacolati abitanti del cielo cercò
di abbattere le giuste restrizioni della legge di Dio. La dottrina dei decreti
divini (anche “predestinazione”. N.d.T.) che fissano in maniera
irrevocabile il carattere degli uomini, aveva indotto molti a rigettare l’autorità
della legge divina. Wesley si oppose con decisione agli errori dei dottori antinomianisti,
e dimostrò che la dottrina che conduce all’antinomianismo è
contraria alle Scritture. “La grazia salutare di Dio è apparita
a tutti gli uomini” Tito 2:11 (D).
“Questo è buono e accettevole nel cospetto di Dio, nostro Salvatore,
il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza
della verità. Poiché c’è un solo Dio e anche un solo
mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, il quale diede se stesso
quale prezzo di riscatto per tutti” 1 Timoteo 2:3-6. Lo Spirito di Dio
è sparso copiosamente per dare a ogni uomo la possibilità di conseguire
la salvezza. Così Cristo, “la vera luce che illumina ogni uomini,
era per venire nel mondo” Giovanni 1:9. Solo chi respinge deliberatamente
il dono della vita non giunge alla salvezza. Ecco quello che diceva Wesley in
risposta all’affermazione che alla morte di Cristo i precetti del decalogo
erano stati aboliti: << La legge morale, contenuta nei dieci comandamenti
e raccomandata dai profeti, non è stata abolita da Cristo. Non era scopo
della sua venuta revocarne neppure una minima parte, in quanto si tratta di
una legge che non può essere infranta e che è “il fedele
testimone che è nei cieli”… Essa esiste sino dalla fondazione
del mondo, e fu scritta non su tavole di pietra, bensì nei cuori dei
figlioli degli uomini quando questi uscirono dalle mani del Creatore.
(Martin Lutero, Filippo Melantone, L’imperatore Carlo V, Il principe elettore
Federico il Saggio,
Erasmo da Rotterdam, Giorgio di Frundsberg, Gerolamo Savonarola, Papa Leone
X.)
Benché le lettere originariamente tracciate dal dito di Dio siano state
parzialmente alterate dal peccato, nondimeno esse non possono essere del tutto
cancellate, perché in noi sussiste la consapevolezza del bene e del male.
Ogni parte di questa legge deve rimanere in vigore per l’intera famiglia
umana e per tutti i secoli. Essa, infatti, non dipende né dal tempo,
né dallo spazio, né dalle circostanze mutevoli, ma dalla natura
stessa di Dio e dall’uomo nei loro immutabili rapporti reciproci. “Io
non sono venuto per abolire, ma per adempiere”… Senza contestazioni,
il significato di queste parole (in piena armonia con il loro contesto) è:
Io sono venuto per stabilirla in tutta la sua pienezza nonostante tutti i sofismi
umani. Io sono venuto per mettere in piena luce ciò che ancora poteva
sembrare oscuro; per affermare il vero e pieno valore di ogni sua parte e per
mostrare quali siano la lunghezza, la larghezza e l’esatta portata di
ogni suo comandamento, oltre che l’altezza, la profondità, la purezza
incommensurabile e la spiritualità di tutti i suoi elementi” Wesley,
sermone 25.
Wesley affermò la perfetta armonia esistente fra la legge e l’Evangelo.
Egli diceva: “Fra legge e Vangelo vi è quindi il più intimo
rapporto concepibile. Da una parte c’è la legge che continuamente
prepara la via e addita l’Evangelo; dall’altra c’è
l’Evangelo che incessantemente ci spinge a un più esatto adempimento
della legge. La legge, per esempio, ci invita ad amare Dio e il nostro prossimo,
a essere mansueti, umili e santi. Noi ci rendiamo conto di non essere capaci
di farlo perché, infatti, per l’uomo tutto ciò è
impossibile; ma Dio ci ha promesso di darci quello amore e di renderci umili,
mansueti e santi. Noi allora, prendiamo questo Vangelo annunciatore di così
liete novelle; ci viene fatto secondo la nostra fede, e si adempie in noi “la
giustizia della legge” mediante la fede che è in Cristo Gesù…
“Al primo posto, tra i nemici del Vangelo di Cristo”, diceva Wesley,
“bisogna mettere quelli che apertamente ed esplicitamente giudicano la
legge, ne parlano male e insegnano agli uomini a infrangere (nel senso di dissolvere,
sopprimere, annullare) non uno – minimo o massimo che sia – ma tutti
i comandamenti… Però la cosa più sorprendente in tutto ciò
è che quanti agiscono in questo modo pensano di onorare Cristo annullando
la sua legge, e di esaltare la sua opera demolendolo la sua dottrina.
Purtroppo essi lo onorano solo come Giuda quando disse: “Salve, Maestro!”,
e lo baciò. Gesù con ragione può dire di ciascuno di loro:
“Tradisci tu il Figlio dell’uomo con un bacio?”. Infatti,
significa tradirlo con un bacio parlare del suo sangue e strappargli la corona;
abolire una parte qualsiasi della sua legge col pretesto di far progredire l’Evangelo.
No, non può sottrarsi a questa accusa chi predica la fede ed elimina,
direttamente o indirettamente, l’ubbidienza a Dio; chi predica Cristo
in questo modo annulla o sminuisce anche il minimo dei comandamenti dell’Altissimo”
Ibidem. A quanti affermavano che “la predicazione del Vangelo prende il
posto della legge”, Wesley rispondeva: “Noi lo neghiamo nel modo
più assoluto! Essa, ad esempio, non si sostituisce alla legge, che ha
come primo requisito quello di convincere l’uomo di peccato, di scuotere
quanti ancora sono addormentati sulla soglia dell’inferno”. L’apostolo
Paolo dichiara che “per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato”;
e “ora è evidente che fino a che l’uomo non è convinto
di peccato, non proverà il bisogno del sangue espiatorio di Cristo…
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico”, fa notare il nostro
Signore, “ma gli ammalati”.
Perciò è assurdo offrire l’opera del medico a chi è
sano o crede di esserlo. Prima dovete convincerlo che è malato, altrimenti
egli non vi sarà affatto grato dell’interessamento da voi dimostrato
nei suoi confronti. E’ altrettanto assurdo offrire Cristo a coloro che
non hanno ancora il cuore rotto” Idem, sermone 35. Così, pur predicando
l’Evangelo della grazia di Dio, Wesley cercava, come il Maestro, di magnificare
e rendere illustre la legge”. Con fedeltà egli svolse l’opera
affiatagli da Dio conseguendo risultati meravigliosi. Alla fine della sua lunga
vita – egli visse più di ottanta anni – dopo oltre mezzo
secolo di ministero itinerante, i suoi aderenti ufficialmente noti superavano
il mezzo milione.
Però, la moltitudine di coloro che nel corso della sua attività
evangelistica erano stati strappati dalla rovina e della degradazione del peccato
e introdotti in una vita più pura e più luminosa, e il numero
di quelli che per il suo insegnamento erano pervenuti a un’esperienza
più ricca e più profonda, saranno noti solo quando l’intera
famiglia dei redenti sarà riunita nel Regno di Dio. La vita di Wesley
insegna una lezione di valore inestimabile per ogni cristiano. Volesse il cielo
che la fede, l’umiltà, l’instancabile zelo, lo spirito di
rinuncia e la devozione di questo servo di Dio rivivessero nelle nostre chiese
di oggi!
TERRORE E CASTIGO IN FRANCIA.
Nel sedicesimo secolo la Riforma, con in mano la Bibbia aperta, aveva bussato
alla porta di tutte le nazioni d’Europa. Alcune la ricevettero con gioia,
quale messaggera del cielo, mentre altre, influenzate dall’intervento
papale, le chiusero la porta in faccia, impedendo così alla luce della
conoscenza biblica di esercitare in esse la sua benefica azione. In un paese
la luce penetrò, ma poi venne espulsa dalle tenebre: dopo secoli di lotta
fra verità ed errore, alla fine il male ebbe il sopravvento, e la verità
celeste fu respinta. “Or questa è la condanna: che la luce è
venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce”
Giovanni 3:19 (D). Quella nazione raccolse così gli amari frutti di quello
che aveva seminato. La potenza protettrice dello Spirito di Dio fu rimossa da
un popolo che aveva sprezzato il dono della grazia celeste. Il male, rompendo
ogni freno, ebbe modo di maturare, e il mondo poté vedere il frutto del
volontariato rigetto della luce. La guerra secolare fatta dalla Francia alla
Parola di Dio sfociò nelle scene della Rivoluzione.
Questa terribile vicenda fu il logico risultato della soppressione della Bibbia
da parte di Roma, e fornì la più eloquente illustrazione che il
mondo mai avesse avuto circa i frutti della politica papale dopo un insegnamento
più che millenario. La soppressione delle Sacre Scritture durante il
periodo della supremazia papale era state predetta dai profeti, e l’Apocalisse
aveva preannunciato le terribili conseguenze che sarebbero derivate, specialmente
per la Francia, dal dominio dell’<<uomo di peccato>>. Così
disse l’angelo del Signore: “E questi calpesteranno la santa città
per quarantadue mesi. E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed
essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio…
E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso
muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro
corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente
si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso…
E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno
regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati
gli abitanti della terra. E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita
procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè
e grande spavento cadde su quelli che li videro” Apocalisse 11:2-11.
I periodi profetici qui indicati “quarantadue mesi” e “milleduecentosessanta
giorni” si riferiscono a una stessa cosa: indicano, cioè, il periodo
durante il quale la chiesa di Cristo avrebbe subito l’oppressione di Roma.
I milleduecentosessanta anni della supremazia papale ebbero inizio nel 538 d.
C., e sarebbero finiti nel 1978. Quel anno un esercito francese penetrò
in Roma, fece prigioniero il papa e lo condusse in esilio, dove morì.
Sebbene di lì a poco un nuovo pontefice venisse eletto, pure da allora
il papato non è stato più capace di ristabilire la sua antica
potenza. La persecuzione della chiesa non durò l’intero periodo
dei milleduecentosessanta anni, perché Dio nella sua misericordia verso
il suo popolo abbreviò il tempo della prova. Nel predire la “grande
tribolazione” che la chiesa avrebbe conosciuto, il Salvatore dichiarò:
“E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma,
a cagione degli letti, quei giorni saranno abbreviati” Matteo 24:22. Per
l’azione della Riforma, la persecuzione finì prima del 1798.
A proposito dei due testimoni, il profeta dichiara: “Questi sono i due
olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra”
Apocalisse 11:4. “La tua parola”, dice il Salmista, “è
una lampada al mio piè ed una luce sul mio sentiero” Salmo 119:105.
I due testimoni rappresentano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Entrambe sono testimoni importanti dell’origine e della perpetuità
della legge di Dio e del piano della salvezza. I tipi, i sacrifici, le profezie
dell’Antico Testamento additano il Salvatore che doveva venire; gli evangeli
e le epistole del Nuovo Testamento, a loro volta, parlano del Salvatore venuto
esattamente nel modo predetto dai tipi e dai profeti.
<< Essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio
>> Apocalisse 11: 4. Durante la maggior parte di questo periodo, i testimoni
di Dio rimasero nell’oscurità, in quanto il potere papale si sforzava
di tenere celata al popolo la Parola della verità e di mettergli dinanzi
dei falsi testimoni che ne contraddicessero la testimonianza. Quando la Bibbia
fu proibita dalle autorità civili e religiose; quando la sua testimonianza
fu pervertita e fu messo in atto ogni sforzo che uomini e demoni potessero escogitare
per distogliere da essa la mente delle persone; quando chi amava la verità
era perseguitato, tradito, torturato, sepolto in orride celle, martirizzato
per la sua fede o costretto a fuggire su per i monti e a rifugiarsi nelle caverne,
fu allora che i fedeli testimoni profetarono vestiti di sacco. In tali condizioni
essi resero la loro testimonianza lungo l’arco dei milleduecentosessanta
anni. Anche nelle ore più oscure si levarono uomini fedeli che avevano
a cuore la Parola di Dio e l’onore dell’Altissimo.
A questi fedeli servitori fu data la saggezza, la forza e l’autorità
necessarie per proclamare la verità durante tutto questo tempo. “E
se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro
nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa
maniera” Apocalisse 11:5. Gli uomini non possono calpestare impunemente
la Parola di Dio. Il significato di questa terribile denuncia viene espresso
nel capitolo conclusivo dell’Apocalisse: “Io lo dichiaro a ognuno
che ode le parole della profezia di questo libro: Se alcuno vi aggiunge qualcosa,
Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; e se
alcuno toglie qualcosa delle parole del libro di questa profezia, Iddio gli
prenderà la sua parte dell’albero della vita e della città
santa, delle cose scritte in questo libro” Apocalisse 22: 18,19.
Tali sono gli avvenimenti dati a Dio per mettere gli uomini in guardia contro
la tendenza di cambiare in qualche modo ciò che Egli ha rivelato e comandato;
essi si applicano a tutti coloro che con il loro influsso inducono gli uomini
a considerare con la leggerezza la legge di Dio. Queste solenni dichiarazioni
dovrebbero spingere al timore e al tremore quanti affermano che, in fondo, ubbidire
o meno alla legge di Dio è cosa di scarsa importanza. Chiunque metta
la propria opinione al di sopra della rivelazione divina, chiunque cerchi di
mutare il chiaro significato della Scrittura per adattarlo alle proprie convenienze
o per conformarsi al mondo, si addossa una tremenda responsabilità. La
Parola scritta, la legge di Dio, sarà la misura del carattere di ognuno
e condannerà tutti quelli che saranno stati trovati mancanti. “E
quando avranno compiuta (staranno per compiere, traduzione letterale. N.d.T.)
la loro testimonianza” Apocalisse 11:7. Il periodo durante il quale i
due testimoni avrebbero testimoniato vestiti di cilicio doveva finire nel 1978.
Verso la fine della loro attività, esercitata nell’ombra, essi
sarebbero stati combattuti dal potere rappresentato da “la bestia che
sale dall’abisso”. In molte nazioni europee per secoli le autorità
civili ed ecclesiastiche erano state sotto il controllo di Satana il quale,
per il conseguimento dei suoi fini, si serviva del papato. Qui, ora, si assiste
a una nuova manifestazione della potenza satanica.
Sotto l’apparenza di ossequio alla Bibbia, Roma aveva conservato il Libro
di Dio in una lingua sconosciuta nascondendolo, così, al popolo. Ma ecco
sopraggiungere un’altra potenza – la bestia che sale dall’abisso
– per fare apertamente guerra alla Parola di Dio. La “grande città”,
nelle cui strade furono uccisi i due testimoni e nelle quali giacquero i loro
corpi morti, è chiamata spiritualmente Egitto. Di tutte le nazioni ricordate
nel racconto biblico, l’Egitto è quella che più delle altre
negò l’esistenza di Dio e resistette ai suoi ordini. Nessun monarca
si avventurò in una ribellione più baldanzosa contro l’autorità
celeste di quella del faraone di Egitto. Quando Mosè gli trasmise il
messaggio di Dio, egli disse con orgoglio: “Chi è il Signore, che
io ubbidisca alla sua voce, per lasciare andare Israele? Io non conosco il Signore,
e anche non lascerò andare Israele!” Esodo 5:2 (D).
Questo è ateismo. Orbene, la nazione qui rappresentata dall’Egitto
doveva anche essa ricusare di riconoscere le esigenze dell’Iddio vivente
e manifestare un identico spirito di incredulità e di sfida. La <<
grande città >> è anche paragonata spiritualmente a Sodoma.
La corruzione di Sodoma, che calpestò la legge di Dio, si espresse specialmente
con la lussuria. Questo peccato doveva essere la caratteristica della nazione
che avrebbe dimostrato di possedere i requisiti sopra indicati. Dalle parole
del profeta appare che poco prima del 1798 una potenza di origine satanica si
sarebbe levate per combattere la Bibbia, che è la parola del solo vero
Dio.
Nel paese dove i due testimoni dovevano essere ridotti al silenzio, si sarebbe
manifestato l’ateismo di Faraone e la lussuria di sodomia. Questa profezia
si è adempiuta in maniera impressionante nella storia della Francia.
Durante la Rivoluzione, nel 1793, << per la prima volta il mondo udì
un’assemblea di uomini nati e cresciuti nella piena civiltà arrogarsi
il diritto di governare una delle più nobili nazioni europee, levare
la voce per negare la più solenne verità che l’anima umana
possa conoscere, e rinunciare, unanimi, alla fede e all’adorazione della
Deità >> Walter Scott, Life of Napoleon, vol. 1, cap. 17. <<
Fra tutte le nazioni del mondo delle quali si posseggono degli annali autentici,
la Francia è l’unica che abbia osato levare la mano in aperta ribellione
contro l’Autore dell’universo. È vero, sì, che bestemmiatori
e atei ci sono sempre stati e tuttora ci sono in Inghilterra, in Germania, in
Spagna e altrove; però è altrettanto vero che la Francia ci offre
la visione di uno stato che per decreto della sua assemblea legislativa affermò
la non esistenza di Dio e vide la maggioranza della sua popolazione, nella capitale
e nelle altre città, accogliere l’annuncio con gioia e con danze
>> Blackwood’s Magazine, Novembre 1870.
La Francia, inoltre, manifestò anche le caratteristiche di Sodoma.
Durante la Rivoluzione ci furono immoralità e corruzione simili a quelle
che provocarono la distruzione delle città della pianura. Lo stesso storico,
nel narrare i fatti di quella epoca, presenta l’ateismo e la depravazione
della Francia come la profezia aveva indicato: “In intima relazione con
queste leggi contrarie alla religione, vi era quella che riduceva l’unione
coniugale – che è l’impegno più sacro che l’uomo
possa prendere e la cui permanenza conduce al consolidamento della società
– alla stregua di un semplice contratto civile, di carattere transitorio,
che ognuno dei due contraenti poteva stipulare o sciogliere a suo piacimento…
Se dei nemici della società si fossero imposti il compito di attuare
un sistema per distruggere tutto ciò che è bello, venerabile e
duraturo nella vita domestica, perpetuandolo di generazione in generazione,
non avrebbero potuto escogitare un piano più efficace di quello consistente
nel porre il matrimonio a un così basso livello di degradazione…
Sofia Arnoult, attrice famosa per il suo spirito, definì il matrimonio
repubblicano “Il sacramento dell’adulterio” Scott, vol. 1,
cap. 17. “Dove anche il Signor loro è stato crocifisso”.
Questa profezia si adempì in Francia. In nessun altro paese, infatti,
si manifestò simile spirito di inimicizia contro Cristo. In nessun altro
paese la verità incontrò tanta amara e crudele opposizione. Nella
sua persecuzione contro i confessori del Vangelo, la Francia crocifisse Cristo
nella persona dei suoi discepoli. Nel corso dei secoli il sangue dei santi è
stato copiosamente sparso. Mentre i valdesi morivano sulle Alpi “per la
Parola di Dio e per la testimonianza di Gesù”, altra testimonianza
alla verità veniva data dai loro fratelli, gli albigesi di Francia. Ai
tempi della Riforma, gli ugonotti erano stati uccisi dopo orribili torture.
Il re e i nobili, le donne di alto lignaggio, le fragili e delicate fanciulle,
orgoglio e vanto della nazione, erano stati testimoni dell’agonia dei
martiri di Gesù. Battendosi per quei diritti che sono sacri al cuore
umano, essi avevano sparso copiosamente il loro sangue.
I protestanti, considerati dei fuori legge sulle cui teste gravava una taglia,
erano braccati come belve feroci. I pochi discendenti degli antichi cristiani
che ancora esistevano in Francia nel diciottesimo secolo, conosciuti col nome
di “Chiesa del deserto”, coltivavano la fede dei padri. Quanto di
notte essi si avventuravano lungo i pendii dei monti o si dirigevano verso qualche
luogo appartato per riunirsi e adorare Dio, venivano perseguitati dai dragoni,
arrestati e condannati al carcere a vita. I più puri, i più nobili
e intelligenti dei francesi furono messi in catene, mescolati con ladri e assassini,
dopo essere stati oggetto di torture inaudite (vedi Wylie, vol. 22, cap. 6).
Altri, trattati meno ferocemente, furono uccisi a sangue freddo mentre, inermi
e inoffensivi, pregavano in ginocchio. Centinaia di vecchi, donne e fanciulli
innocenti vennero lasciati, uccisi, là dove si erano riuniti per celebrare
il loro culto. Percorrendo i monti e i boschi dove in generale i protestanti
si radunavano, non era raro incontrare “ogni quattro passi dei cadaveri
stesi al suolo oppure appesi agli alberi”. Il paese, devastato dalla spada,
dalla scure e dal rogo, “diventò un vasto e desolato deserto”.
“Queste atrocità, lo si noti bene… non furono perpetrate
nel fosco Medioevo, ma all’epoca brillante di Luigi XVI, epoca in cui
si coltivava la scienza, fiorivano le lettere, e i teologi della corte e della
capitale, dotti ed eloquenti, ostentavano grazia, mansuetudine e carità”
Idem, vol. 22, cap. 7.
Ma la pagina più nera e più orribile che mai sia stata scritta
nel corso dei secoli è quella relativa al massacro della notte di San
Bartolomeo. Il mondo tuttora ricorda con brividi di orrore le scene di quella
codarda e crudele carneficina. Il re di Francia, spinto dai prelati romani,
diede la propria sanzione a quel eccidio spaventoso. Una campana, suonando a
morto in piena notte, diede il segnale della strage. Migliaia di protestanti
che dormivano tranquilli, fiduciosi dell’impegno di onore del re, furono
presi e, senza profferir parola, trucidati a sangue freddo. Terrore e castigo
in Francia.
Come Cristo fu l’invisibile condottiero d’Israele della schiavitù
dell’Egitto alla libertà in terra di Canaan, così Satana
fu l’invisibile capo che diresse questa spaventosa opera di sterminio.
A Parigi la strage durò sette giorni, i primi tre dei quali furono caratterizzati
da un inconcepibile furore. Essa non si limitò alla sola capitale. Per
ordine speciale del sovrano, fu estesa a tutte le province e a tutte le città
dove c’erano dei protestanti. Non ci fu rispetto alcuno né per
il sesso, né per l’età. Nobili e plebei, vecchi e giovani,
madri e figli vennero uccisi senza nessuna discriminazione. In tutta la Francia
il massacro durò due mesi e i morti, il fior fiore della nazione, furono
settantamila.
“Quando la notizia della strage giunse a Roma, l’esultanza del
clero non conobbe limiti. Il cardinale di Lorena ricompensò il messaggero
con un dono di mille corone; il cannone di Castel Sant’Angelo tuonò
in segno di giubilo; le campane suonarono a stormo; innumerevoli fiaccolate
mutarono la notte in giorno; papa Gregorio XIII, scortato dai cardinali e da
altri dignitari ecclesiastici, si recò in processione alla chiesa di
San Luigi, dove il cardinale di Lorena cantò il Te Deum… Fu coniata
una medaglia a ricordo del massacro, e in Vaticano si possono tuttora vedere
tre affreschi del Vasari: uno raffigura l’uccisione dell’ammiraglio
Coligny; uno il re che col suo consiglio organizza la strage; uno che riproduce
il massacro stesso. Gregorio inviò a Carlo, re di Francia, la rosa d’oro
e quattro mesi più tardi… ascoltò, con vivo compiacimento,
il sermone di un sacerdote francese… che illustrava quel giorno “pieno
di gioia e di felicità”, in cui il “santissimo padre”,
ricevuta la notizia, si era recato solennemente alla chiesa di San Luigi (dei
Francesi N.d.T.) per ringraziare Iddio” Henry Whitw, The Massacre of St.
Bartholomev, cap. 14, par. 34. Lo stesso spirito malefico che aveva spinto alla
strage di San Bartolomeo, presidiò anche le scene della Rivoluzione.
Gesù Cristo fu da essa dichiarato “impostore”. Il grido
degli atei: “Schiacciate l’infame!” alludeva a Cristo. Bestemmia
e depravazione procedevano di pari passo, sì che degli uomini abietti,
veri mostri di vizio e di perfidia, venivano esaltati e colmati di onori. In
tutto ciò non si faceva che tributare un solenne omaggio a Satana, mentre
Cristo nelle sue caratteristiche di verità, di purezza e di altruistico
amore, veniva nuovamente crocifisso. “La bestia che sale dall’abisso
muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà”.
Il potere ateo che durante la Rivoluzione e il regno del Terrore dominò
la Francia, fece una guerra senza precedenti a Dio e alla sua santa Parola.
L’adorazione della Deità fu abolita dall’assemblea nazionale.
Gli esemplari della Sacra Scrittura furono raccolti e dati pubblicamente alle
fiamme fra grandi manifestazioni di disprezzo. La legge di Dio fu calpestata
e le istituzioni bibliche vennero abolite.
Al giorno di riposo settimanale si sostituì la decade: ogni decimo
giorno era consacrato alla gozzoviglia e alla bestemmia. Furono vietati il battesimo
e la comunione; le iscrizioni funerarie sulle tombe definivano la morte come
un sonno eterno. Il timore del Signore, che è il principio della sapienza,
fu definito principio della pazzia. Venne inoltre abolito ogni culto, salvo,
quello della libertà e della patria. “Il vescovo costituzionale
di Parigi ebbe la parte principale in questa farsa che può essere a ragione
definita la più imprudente e la più scandalosa che sia stata recitata
da una rappresentanza nazionale… In piena processione, egli dichiarò
dinanzi alla convenzione che la religione da lui insegnata per tanti anni era
un’invenzione dei preti, senza nessuna base né nella storia né
nella sacra verità. In termini espliciti e solenni, egli negò
l’esistenza della Deità al cui culto era stato un tempo consacrato,
e affermò che d’ora innanzi si sarebbe votato al culto della libertà,
dell’uguaglianza, della virtù e della moralità. Ciò
detto, depose le insegne sacerdotali e ricevette un abbracciò fraterno
da parte del presidente della convenzione. Numerosi sacerdoti apostati imitarono
il suo esempio” Scott, vol. 1, cap. 17.
E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno
regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati
gli abitanti della terra” Apocalisse 11:10. La Francia incredula aveva
ridotto al silenzio la voce ammonitrice dei due testimoni di io. La Parola di
Dio giaceva cadavere nelle strade quelli che odiavano le restrizioni e le esigenze
della legge di Dio giubilavano. Gli uomini sfidavano pubblicamente il Re del
cielo: “Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi
sia conoscenza nell’Altissimo ?” Salmo 73:11. Con una sfrontatezza
blasfema i limiti del credibile, uno dei sacerdoti del nuovo ordine dichiarò:
“Dio, se esisti, rivendica il tuo nome che viene così ingiuriato.
Io ti sfido! Tu taci e non osi scagliare i tuoi fulmini. Chi, dopo questo, potrà
ancora credere alla tua esistenza ?” Lacretelle, History, vol. 2, p. 309;
citato in A. Alison, in History of Europe,1, cap. 10. Sembra di udire le parole
di Faraone: “Chi è l’Eterno, ch’io debba ubbidire alla
sua voce ? Io non conosco l’Eterno”. “Lo stolto ha detto nel
suo cuore: Non c’è Dio!” Salmo 14:1. Il Signore, parlando
di quanti cercano di pervertire la sua verità, dice: “La loro stoltezza
sarà manifestata a tutti” 2° Timoteo 3:9.
La Francia, dopo che ebbe rinunciato al culto dell’Iddio vivente, “l’Alto
e l’Eccelso che abita l’eternità”, scivolò nella
più abietta idolatria, celebrando il culto alla dea Ragione nella persona
di una donna corrotta. E questo nell’assemblea rappresentativa della nazione
e da parte delle autorità civili e legislative. Ricorda lo storico: “Una
delle cerimonie di questo insano periodo si impone, senza tema di rivali, per
la sua assurdità, oltre che per la sua empietà… Le porte
della convenzione si spalancarono per lasciar entrare un gruppo di musicanti
seguiti, in solenne processione, dai membri del consiglio municipale i quali
cantavano un inno in onore della libertà e scortavano l’oggetto
del loro futuro culto: una donna velata che essi chiamavano dea Ragione. Introdotta
nel recinto, solennemente liberata dal velo che la copriva, ella prese posto
alla destra del presidente. A questa donna, una danzatrice dell’Opera,
considerata come il “migliore emblema” della Ragione, la convenzione
nazionale di Francia tributò un pubblico omaggio. “Tale rito empio
e ridicolo ebbe un seguito: l’insediamento della dea Ragione fu rinnovato
e imitato in tutte quelle regioni francesi che ci tenevano a dimostrarsi all’altezza
della Rivoluzione” Scott, vol. 1, cap. 17.
L’oratore che espose il culto della Ragione: i suoi occhi velati non
potevano resistere al fulgore della luce. Oggi una immensa folla si è
data convegno sotto queste gotiche volte che per la prima volta hanno fatto
echeggiare la verità. Qui i francesi hanno celebrato il solo, vero culto:
quello della Libertà e della Ragione. Qui noi abbiamo formulato voti
agli idoli inanimati per la Ragione che è una immagine animata, capolavoro
della natura” M. A. Thiers, History of the French Revolution, vol. 2,
pp. 370,371. Quando la dea fu presentata alla convenzione, l’oratore la
prese per mano e, rivolto all’assemblea, disse: “Mortali! Cessate
di tremare dinanzi ai tuoni impotenti di un Dio creato dai vostri timori! D’ora
innanzi voi non riconoscerete altra divinità che la Ragione. Io ve ne
offro l’immagine più nobile e più pura. Se volete avere
degli idoli, ebbene sacrificate solo a uno come questo!... Cadi, di fronte all’augusto
Senato della Libertà, o velo della Ragione!”.
<< La dea, dopo abbracciata dal presidente, fu fatta salire su un magnifico
carro e condotta, in mezzo a una immensa folla plaudente, alla cattedrale di
Notre Dame per prendervi il posto della Deità. Qui ella fu insediata
sopra l’altare maggiore e ricevette l’adorazione dei presenti >>
Alison, vol. 1, cap. 10. Poco tempo dopo, la Bibbia fu pubblicamente bruciata.
In una certa occasione la << Società popolare dei musei >>
entrò in municipio gridando << Viva la Ragione! >> e sbandierando
in cima a una pertica i resti semiarsi di vari libri fra i quali: breviari,
messali, Antico e Nuovo Testamento, << che spiavano in un immenso falò
>>, dichiarò il presidente, << tutte le follie che avevano
fatto commettere al genere umano >> Journal de Paris, 1793, n. 318, citato
da Buchez-Rroux, Collection of Parliamentary History, vol. 30 pp. 200,201.
L’ateismo completava l’opera iniziata dal papato. La politica
di Roma aveva determinato le condizioni sociali, politiche e religiose che provocarono
la rovina della Francia. Degli scrittori, alludendo agli orrori della Rivoluzione,
dicono che simili eccessi vanno attribuiti al trono e alla chiesa. Per un sereno
criterio di giustizia dobbiamo dire che in realtà essi vanno messi sul
conto della chiesa. Il papato, purtroppo, aveva avvelenato le menti dei re contro
la Riforma, definita nemica del trono, elemento di discordia, fatale alla pace
e alla buona armonia del paese. Fu Roma, perciò, a ispirare le crudeltà
più inaudite e l’oppressione più pesante da parte della
monarchia.
Lo spirito di libertà si era affermato con la Bibbia. Dovunque il Vangelo
veniva accolto, le menti si svegliavano, gli uomini infrangevano i ceppi che
li avevano tenuti così a lungo schiavi dell’ignoranza, del vizio
e della superstizione, e cominciavano a pensare e ad agire da uomini. I sovrani
se ne resero conto e tremarono per il dispotismo di cui si erano resi colpevoli.
Roma, però, non trascurò di alimentare i loro gelosi timori. Parlando
al reggente di Francia, nel 1525, il papa disse: “Questa mania risulta
fatale anche ai principati, alle nobiltà, alle leggi, agli ordini religiosi
e alle classi sociali” G. De Felice, History of the Protestants of France,
vol. 1, cap. 2, par. 8. Alcuni anni più tardi un nunzio pontificio avvertì
il re di Francia: “Sire, non si lasci ingannare: i protestanti sconvolgeranno
ogni ordine civile e religioso… Il trono corre lo stesso pericolo dell’altare…
L’introduzione di una nuova religione dovrà necessariamente produrre
un nuovo governo” D’Aubigné, History of the Reformation in
Europe in the Time of Calvin, vol. 1, cap. 36.
I teologi facevano appello ai pregiudizi della gente affermando che la dottrina
protestante “porta gli uomini alla novità e alla follia, deruba
i re dell’affetto dei loro sudditi e devasta sia la chiesa che lo stato”.
Fu così che Roma riuscì ad aizzare la Francia contro la Riforma.
La spada della persecuzione fu sguainata in Francia, per la prima volta per
sostenere il trono, proteggere la nobiltà e mantenere le leggi”
Wylie, vol. 13, cap. 4. I capi di governo non si rendevano conto delle conseguenze
di questa loro fatale politica. Gli insegnamenti della Bibbia avrebbero inculcato
nelle menti e nei cuori del popolo i principi di giustizia, di temperanza, di
verità, di equità e di benevolenza che stanno alla base della
prosperità nazionale. “La giustizia innalza una nazione”
Proverbi 14:34. “Il trono è reso stabile con la giustizia”
Proverbi 16:12. “E ciò che la giustizia opererà sarà
riposo e sicurezza, in perpetuo” Isaia 32:17 (D).
Chi ubbidisce alla legge divina, è automaticamente portato al rispetto
delle leggi del paese e dall’ubbidienza di esse. Chi teme Dio onorerà
il re nell’esercizio della sua autorità giusta e legittima. Sfortunatamente,
la Francia vietò la Bibbia e ne proscrisse i suoi discepoli. Secolo dopo
secolo, molti uomini integri, coscienziosi, ricchi di vigore intellettuale e
morale, che avevano il coraggio delle proprie opinioni e la fede che permette
di soffrire qualunque cosa per amore della verità, furono incatenati
sulle galere, arsi sul rogo, lasciati marcire in orride celle. Migliaia e migliaia
di altri trovarono scampo nella fuga, e la cosa durò per oltre duecentocinquanta
anni dopo l’inizio della Riforma. “Forse non c’è stata
una sola generazione in Francia, durante questo lungo periodo di tempo, che
non abbia visto i discepoli del Vangelo fuggire dinanzi alla furia violenta
dei loro persecutori.
Portando seco le arti, le industrie (nelle quali eccellevano), l’intelligenza
che li caratterizzava, lo spirito di ordine al quale erano abituati, andarono
ad arricchire i paesi che offrirono loro asilo, a detrimento di quello che li
metteva al bando. Se tutto ciò che fu portato via fosse rimasto; se durante
questi tre secoli la mano abile di questi esuli avesse coltivato il suolo nativo;
se i loro talenti industriali avessero dato incremento alle officine; se il
loro genio creativo e le loro capacità analitiche avessero arricchito
la letteratura e curato le scienze; se la loro ben nota saggezza avesse diretto
i consigli; se la loro equità avesse diretto i consigli; se la loro equità
avesse collaborato alla redazione delle leggi: se la religione della Parola
di Dio, l’Evangelo, avesse fortificato l’intelletto e guidato la
coscienza del popolo, quanto grande sarebbe stata la gloria della Francia! (Naturalmente
la parola dei vescovi, cardinali, papi, preti e frati cattolici, non è
la Parola di Dio) Che paese grande, prospero, felice – vero modello dei
popoli – sarebbe attualmente!
“Purtroppo, un cieco e inescusabile bigottismo bandì dal suolo
i predicatori della virtù, i campioni dell’ordine, i veri sostenitori
del trono. Esso diceva agli uomini che avrebbero potuto dare alla Francia la
fama e la gloria: Avete la scelta: o il rogo o l’esilio! Alla fine il
paese conobbe una rovina totale: in esso non ci fu più nessuna coscienza
da proscrivere, nessuna religione da trascinare sul rogo, nessun patriottismo
da mandare in esilio” Wylie, vol. 13, cap. 20. La conseguenza fu la Rivoluzione
con tutti i suoi orrori. “Con la partenza degli ugonotti, la Francia conobbe
un declino generale. Fiorenti città industriali caddero a poco a poco
in decadenza; zone fertili finirono col piombare in uno stato di quasi totale
abbandono; ad un periodo di progresso subentrò il marasma intellettuale
seguito dal collasso morale. Parigi fu trasformata in una vera e propria “casa
di beneficenza”. Si stima, infatti, che all’inizio della Rivoluzione
duecentomila poveri venivano mantenuti con i sussidi della casa reale.
Solo i gesuiti prosperavano in questa nazione, ormai in preda alla crisi,
e dominavano con vera tirannia nelle scuole, nelle chiese, nelle prigioni e
nelle galere”. Il Vangelo avrebbe recato alla Francia la soluzione di
quei problemi di ordine sociale e politico che sfidavano l’abilità
del suo clero, del suo re, dei suoi legislatori e che dovevano finire col trascinare
il paese all’anarchia e alla rovina. Sotto il dominio di Roma, il popolo
aveva dimenticato l’altruismo e l’amor fraterno. Il ricco non veniva
rimproverato per l’oppressione del povero, e il povero, a sua volta, era
totalmente abbandonato al suo stato di servitù e di degradazione. In
tal modo l’egoismo dei ricchi e dei potenti andò gradatamente aumentando
fino a diventare addirittura oppressivo. Per secoli l’ingordigia e la
dissipazione dei nobili si erano concretizzate in sistematiche estorsioni sui
contadini. Le conseguenze erano ora palesi: i poveri odiavano i ricchi e questi
sfruttavano i poveri. In molte province le terre appartenevano ai nobili, i
quali si servivano della mano d’opera delle classi lavoratrici.
I latifondisti, perciò, dettavano legge, e i loro dipendenti erano
costretti a soggiacere alle loro esorbitanti pretese. Il peso derivante dal
dover mantenere sia lo stato oggetto di balzelli da parte delle autorità
civili e religiose. “Il beneplacito dei nobili era considerato legge suprema;
se gli agricoltori morivano di fame, in fondo nessuno se ne curava… La
precedenza assoluta era data agli interessi dei proprietari, per cui ogni altra
considerazione passava in secondo piano. La vita degli agricoltori era fatta
di incessante lavoro e di immutabile povertà. I loro lamenti venivano
accolti con insolenti sarcasmi. Perfino le corti di giustizia davano invariabilmente
ragione ai nobili, in quanto gli stessi giudici si lasciavano corrompere e appagavano
i capricci degli aristocratici in virtù di questo sistema di generale
corruzione… Del denaro strappato al popolo mediante le imposte, solo una
parte affluiva nelle casse reali o vescovili; il resto veniva sprecato in dissoluta
intemperanza. Coloro che, in tal modo, riducevano alla miseria i loro simili,
erano esenti da tasse; e per legge o per consuetudine avevano accesso a tutte
le cariche dello stato. Le classi privilegiate contavano circa centocinquantamila
membri, e per provvedere alla loro prodigalità, milioni di persone erano
condannate a una vita di stenti che sembrava non dovesse conoscere nessuna via
di uscita”. La corte viveva nel lusso e nella dissipazione.
La sfiducia esistente fra popolo e governanti faceva sì che ogni provvedimento
del governo fosse accolto con diffidenza. Per ben capire le cose bisogna ricordare
che prima della Rivoluzione, per oltre mezzo secolo, il trono era stato occupato
da Luigi XV, noto per la sua debolezza, la sua frivolezza e la sua sensualità.
Con un’aristocrazia depravata e crudele, con una popolazione ignorante
e ridotta alla miseria, lo stato si trovava in serie difficoltà economiche.
I sudditi erano esasperati, e non occorreva possedere occhio profetico per prevedere
una catastrofe a breve scadenza. Agli avvertimenti dei consiglieri, il re soleva
rispondere: “Cercate di fare in modo che le cose vadano avanti finché
io vivo: dopo la mia morte sarà quel che sarà”. Invano si
cercava di mettere in risalto la necessità di una riforma: egli vedeva
benissimo i mali che affliggevano la nazione, però gli mancavano le forze
e il coraggio di porvi rimedio. La Francia, perciò, era minacciata da
un fato che lo stesso sovrano, senza volerlo, definì molto bene quando
disse: “ Dopo di me il diluvio!”.
Sfruttando la gelosia dei re e delle classi dirigenti, Roma aveva indotto
gli uni e le altre a tenere il popolo in uno stato di servitù, sapendo
che in tal modo lo stato si sarebbe indebolito. Questo, essa pensava, avrebbe
contribuito a rafforzare ancora di più la sua autorità sulle nazioni.
Con una politica lungimirante, Roma sapeva che per poter asservire gli uomini
bisogna incatenare le anime; e che il mezzo più efficace per impedir
loro di sottrarsi alla servitù consisteva nel renderli incapaci di libertà.
La degradazione morale derivante da tale politica era mille volte più
terribile delle sofferenze fisiche da essa provocate. Privati della Bibbia,
abbandonati a un insegnamento che era un tessuto di bigottismo e di fanatismo,
il popolo giaceva immerso nell’ignoranza e nella superstiziose, preda
del vizio e incapace di autogovernarsi. Però le conseguenze di tale stato
di cose furono diverse da quelle previste da Roma. Apparve ben presto evidente
che le masse, anziché rimanere ciecamente sottomesse ai dogmi romani,
diventavano sempre di più incredule e rivoluzionarie.
Il Romanesimo era disprezzato come clericalismo, e il clero, a sua volta,
considerato come un incentivo all’oppressione e come alleato degli oppressori.
Il solo dio e la sola religione conosciuta erano il dio e l’insegnamento
di Roma, la cui avarizia e ingordigia erano ritenuti i frutti legittimi del
Vangelo che, perciò, finiva con l’essere messo al bando di tutti.
Roma aveva travisato il carattere di Dio e pervertito le sue esigenze, sì
che gli uomini avevano finito col rigettare la Bibbia e il suo Autore. Essa
aveva chiesto una fede cieca ai suoi dogmi, con la pretesa che essi erano sanzionati
dalle Scritture. Per reazione, Voltaire e i suoi colleghi avevano messo da parte
la Parola di Dio e diffondevano ovunque il veleno dell’incredulità.
Roma aveva schiacciato il popolo sotto il suo tallone di ferro; e ora le masse,
degradate e abbrutite, assetate di libertà, spezzavano ogni freno. Furenti
di avere tanto a lungo tributato omaggio a un inganno attraente, non volevano
più saperne né della verità, né della falsità.
Scambiando la licenza per libertà, gli schiavi del vizio esultavano
della loro presunta indipendenza. All’inizio della rivoluzione, per concessione
reale il popolo aveva ottenuto, presso gli stati generali, una rappresentanza
numericamente superiore a quella costituita dal clero e dalla nobiltà
riuniti. In tal modo, il piatto della bilancia del potere aveva finito col pendere
dalla sua parte. Il popolo, però, non era preparato a farne un uso savio
e moderato. Nella sua ansia di riparare i torti subiti, esso decise di intraprendere
la ricostruzione della società. Un popolazzo, inasprito dall’amaro
ricordo delle ingiustizie patite, decise di rivoluzionare lo stato di povertà
che si era andato progressivamente stabilendo e di vendicarsi di quanti erano
considerati gli autori responsabili delle passate sofferenze. In tal modo gli
oppressi, applicando le lezioni apprese sotto la tirannia, divennero a loro
volta oppressori di coloro che li avevano precedentemente soggiogati.
La Francia raccolse nel sangue la messe di quello che aveva seminato, e terribili
furono le conseguenze della sua passata sottomissione al giogo romano. Là
dove, per l’influsso di Roma, era stato acceso il primo rogo all’inizio
della Riforma, la Rivoluzione vi innalzò la prima ghigliottina. Sullo
stesso luogo in cui nel sedicesimo secolo erano stati arsi i primi martiri della
fede protestante, si ebbero le prime vittime ghigliottinate del diciottesimo
secolo. Nel rigettare la Parola di Dio, la Sacra Scrittura, la Bibbia, l’Evangelo,
che avrebbe assicurato la sua guarigione, la Francia aveva aperto la porta all’incredulità
e alla rovina. Dove erano state disprezzate le legittime restrizioni della legge
di Dio, ci si accorse che le leggi umane erano incapaci di tenere freno l’ondata
delle passioni popolari, e la nazione precipitò nella ribellione e nell’anarchia.
La guerra alla Bibbia inaugurò un’era che il mondo tuttora ricorda
col il nome di Regno del Terrore. La pace e la felicità furono bandite
dai focolari e dai cuori; nessuno si sentiva al sicuro, perché il trionfatore
di oggi poteva essere domani sospettato e condannato a morte. La violenza e
la lussuria regnavano incontrastate. Il re, il clero e la nobiltà furono
costretti a subire le atrocità di un popolo reso pazzo dal furore.
La decapitazione del re servì solo a stimolare ancor più la
sete di vendetta dei francesi, e così coloro che ne avevano decretata
la morte anch’essi ghigliottinati. Una spaventosa carneficina spazzò
via tutti quelli che erano sospettati di ostilità verso la Rivoluzione.
Le prigioni erano affollate, tanto che a un certo momento i carcerati furono
oltre duecentomila. Le città del regno erano teatro di scene orribili.
I veri patiti rivoluzionari si combattevano fra loro, e la Francia finì
col diventare un immenso campo di battaglia fra masse in continua lotta, sospinte
dal fuoco delle loro violente passioni. << A Parigi i tumulti si susseguivano
e i cittadini erano suddivisi in una lunga teoria di fazioni che sembravano
avere come unico scopo quello di annientarsi a vicenda >>. Per mettere
il colmo a questa angosciosa situazione, il paese fu coinvolto in una lunga
e disastrosa guerra contro le grandi potenze europee. << La nazione venne
a trovarsi sull’orlo del fallimento. Gli eserciti reclamavano il loro
saldo arretrato; i parigini erano ridotti alla fame e le province devastate
da bande di briganti. Pareva che la civiltà dovesse estinguersi, vittima
dell’anarchia e della depravazione >>.
Il popolo aveva assimilato fin troppo bene le lezioni di crudeltà e
di tortura che Roma aveva impartito con tanta diligenza, e ora che era giunto
il giorno della retribuzione, non erano più i discepoli di Cristo a essere
gettati in prigione o trascinati sul patibolo, in quanto ormai da tempo essi
o erano morti e se n’erano andati in esilio. Toccava ora a Roma provare
tutta la micidiale violenza di coloro che essa aveva addestrati a commettere
fatti di sangue. << L’esempio di persecuzione dato dal clero di
Francia per tanti secoli si ritorceva su di esso con inaudito rigore: i patiboli
erano arrossati dal sangue dei preti; le galere e le carceri, un tempo gremite
di Ugonotti, erano ora piene dei loro persecutori. Incatenati al banco, affaticandosi
sui remi, i membri del clero romano sperimentavano tutta la severità
delle pene che un tempo essi avevano inflitte ai mansueti eretici >>.
<< Vennero poi i giorni nei quali il più barbaro dei tribunali
applicò il più barbaro dei codici; i giorni nei quali nessuno
poteva salutare il proprio vicino o dire le proprie preghiere… senza correre
il rischio di essere accusato di delitto capitale; i giorni nei quali le spie
erano sempre in agguato a ogni angolo, mentre la ghigliottina era all’opera
fin dal mattino; i giorni nei quali le fogne di Parigi vomitavano fiumi di sangue
nella Senna… Mentre quotidianamente le carrette cariche di vittime percorrevano
le vie di Parigi, i proconsoli mandati dal Comitato di Salute Pubblica nei vari
dipartimenti davano prova di una crudeltà ignota perfino nella capitale.
La lama della macchina micidiale saliva e scendeva troppo lentamente per espletare
in pieno la sua opera di sterminio; lunghe file di prigionieri, perciò,
venivano falciati dalla mitraglia, mentre per gli annegamenti in massa si ricorreva
a imbarcazioni col fondo forato. Lione diventò un deserto; ad Arras fu
negata ai prigionieri perfino la crudele misericordia di una morte rapida. Lungo
la Loira, da Saumur al mare, folti gruppi di corvi e di avvoltoi si cibavano
di cadaveri nudi, orrendamente confusi in spasmodici abbracci. Non esisteva
misericordia né per il sesso, né per l’età. Ragazzi
e ragazze al di sotto dei diciassette anni furono immolati a centinaia. I giacobini
si lanciavano l’uno all’altro, con la punta aguzza delle loro picche,
dei neonati strappati al seno materno >>.
Nel breve volgere di dieci anni, intere moltitudini di esseri umani perirono
di morte violenta. Tutto ciò corrispondeva al piano di Satana e agli
scopi da lui perseguiti attraverso i secoli. La sua politica si basa sull’inganno,
e la sua mèta è di opprimere il genere umano sotto il peso di
tutti i mali; di deformare e contaminare l’opera di Dio; di osteggiare
il divino piano di bontà e di amore; di contristare il cielo. Per le
sue arti seduttrici, egli riesce a confondere le menti degli uomini e a provocare
il risentimento contro Dio, che viene ritenuto responsabile di quello che accade,
come se ciò fosse il risultato naturale del piano creativo dell’Altissimo.
Quando poi coloro che sono stati avviliti e abbrutiti dal suo potere crudele
conquistano la libertà, egli spinge a commettere eccessi e atrocità
che i tiranni e gli oppressori definiscono come conseguenza della libertà.
Allorché l’errore è smascherato sotto una delle sue forme,
Satana ricorre ad altri camuffamenti, affinché le moltitudini lo accettino
con lo stesso favore di prima. Vedendo che il Romanesimo era stato smascherato
e che, per conseguenza, non poteva più servirsene per indurre il mondo
e a trasgredire le leggi divine, Satana fece credere che tutta la religione
fosse menzognera e che la Bibbia fosse una favola. Le masse, allora, rigettarono
gli statuti divini e si abbandonarono a una sfrenata iniquità. L’errore
fatale che attirò sulla Francia tante calamità derivò dall’ignoranza
di questa grande verità: la vera libertà si trova nell’ubbidienza
alla legge di Dio. << Oh, avessi tu pure atteso a’ miei comandamenti!
La tua pace sarebbe stata come un fiume, e la tua giustizia come le onde del
mare… Non vi è alcuna pace per gli empi, ha detto il Signore >>
Isaia 48:18,22(D).
<< Ma chi mi ascolta abiterà in sicurtà e viverà
in riposo, fuor di spavento di male >>Proverbi 1:33 (D). Gli atei, gli
increduli e gli apostati respingono e combattono la legge di Dio, ma i risultati
dimostrano che il benessere umano dipende dall’ubbidienza agli statuti
divini. Coloro che non leggono le lezioni insegnate dal Libro di Dio le leggeremo,
poi, nella storia dell’umanità. Quando Satana si serviva della
chiesa di Roma per distogliere gli uomini dall’ubbidienza a Dio, agiva
nell’ombra affinché la sua opera nascosta, la degradazione e la
miseria morale non fossero riconosciute come frutto della trasgressione. La
sua potenza però, era ostacolata dallo Spirito di Dio, e così
egli non riuscì a mandare in pieno e a effetto i suoi propositi. La gente
non seppe risalire dagli effetti alla causa, e quindi non riuscì a scoprire
quale fosse la fonte dei suoi mali. Però alla Rivoluzione la legge di
Dio venne apertamente posta al bando dall’Assemblea Nazionale, e durante
il Regno del Terrore ognuno poté stabilire il rapporto che intercorreva
tra la causa e gli effetti. Quando la Francia pubblicamente rigettò Iddio
e mise al bando la Bibbia, gli empi esultarono perché avevano raggiunto
il loro scopo: un regno svincolato dalle restrizioni della legge divina. <<
Siccome la sentenza contro una mala azione non si eseguisce prontamente, il
cuore dei figliuoli degli uomini è pieno della voglia di fare il male
>> Ecclesiaste 8:11.
Nondimeno la trasgressione di una legge giusta non può non provocare
disordini e rovina, e il castigo – anche se non segue immediatamente la
trasgressione – è sicuro. Secoli di apostasia e di crimini avevano
accumulato un tesoro d’ira per il giorno della retribuzione, sì
che quando l’iniquità giunse al colmo, gli schernitori di Dio si
accorsero, troppo tardi, che è cosa spaventevole mettere a dura prova
la pazienza dell’Eterno. Il potere mitigatore dello Spirito di Dio, che
arginava l’azione crudele di Satana, fu parzialmente rimosso, e così
colui che si diletta nelle sventure degli uomini poté operare a suo piacimento.
Chi aveva scelto la ribellione ne raccolse il frutto, e il paese fu pieno di
delitti troppo orribili per poterli descrivere. Alle province devastate e dalle
città in rovina salì un grido di amare ambascia. La Francia fu
scossa come da un terremoto. Religione, legge, ordine sociale, famiglia, stato
chiesa: tutto fu abbattuto dall’empia mano che si era levata contro le
leggi dell’Onnipotente. Giustamente il Savio aveva detto: “L’empio
cade per la sua empietà”.
“Quantunque il peccatore faccia cento volte il male e pur prolunghi
i suoi giorni, pure io so che il bene è per quelli che temono Dio, che
provano timore nel suo cospetto”. “Il bene non sarà per l’empio”
Proverbi 11:5; Ecclesiate 8:12. “Perciocché hanno odiata la scienza,
e non hanno eletto il timor del Signore… Perciò, mangeranno del
frutto delle loro vie, e saranno saziati dei loro consigli” Proverbi 1:29,31
(D). Sebbene immolati dal potere blasfemo che “sale dall’abisso”,
i testimoni di Dio non dovevano rimanere a lungo silenziosi. “E in capo
di tre giorni e mezzo, lo Spirito della vita, procedente da Dio, entrò
in loro, e si rizzarono in piè, e grande spavento cadde sopra quelli
che li videro” Apocalisse 11:11 (D). Nel 1793, l’assemblea francese
emanò un decreto che aboliva la religione cristiana e metteva la Bibbia
al bando. Tre anni e mezzo più tardi, una delibera della stessa assemblea
nazionale annullò tale decreto, dichiarando che le Sacre Scritture erano
tollerate. Il mondo, sgomento dinanzi all’enormità delle colpe
derivanti dal rigetto dei sacri oracoli, riconosceva la necessità della
fede in Dio e nella sua Parola come fondamento della virtù e della moralità.
Sta scritto: “Chi hai tu insultato e oltraggiato? Contro chi hai tu
alzata la voce e levati in alto gli occhi tuoi? Contro il Santo d’Israele.”
Isaia 37:23. “Perciò, ecco… questa volta farò loro
conoscere la mia mano e la mia potenza; e sapranno che il mio nome è
l’Eterno” Geremia 16:21. Riguardo ai due testimoni, il profeta aggiunge:
“Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua.
Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro” Apocalisse
11:12. Dacché la Francia ha fatto guerra ai due testimoni di Dio, questi
sono stati onorati più che mai. Nel 1804 nacque la Società Biblica
Britannica e Forestiera, seguita poi da altre organizzazioni consimili in tutta
l’Europa.
Nel 1816 fu fondata la Società Biblica Americana. Quando venne organizzata
la Società Biblica Britannica, le Sacre Scritture erano stampate in cinquanta
lingue; oggi esse lo sono in centinaia e centinaia di lingue e dialetti. Ne
corso dei cinquanta anni che precedettero il 1792, ben scarsa attenzione era
stata data alle missioni estere. Nessuna nuova società era stata fondata,
e poche erano le chiese che compivano qualche sforzo per la diffusione del cristianesimo
in terra pagana. Verso la fine del diciottesimo secolo si verificò un
notevole cambiamento. Gli uomini, per nulla soddisfatti del razionalismo, si
rendevano conto della necessità di una rivelazione divina e di una religione
sperimentale. Da allora l’opera delle missioni ebbe uno sviluppo senza
precedenti.
I progressi effettuati nel campo della stampa diedero un nuovo impulso alla
diffusione della Bibbia. Le accresciute facilitazioni nelle comunicazioni fra
i paesi, la scomparsa delle vecchie barriere di pregiudizi e di esclusivismo
nazionalistico, la caduta del potere temporale dei pontefici romani spalancarono
le porte alla Parola di Dio. Sono anni ormai che la Bibbia viene venduta senza
alcuna restrizione nelle vie di Roma, ed essa va sempre più diffondendosi
nelle religioni abitate del mondo. Lo scettico Voltaire una volta ebbe a dire,
con baldanzosa presunzione: “Sono stanco di sentire che dodici uomini
hanno stabilito la religione cristiana. Io dimostrerò che un solo uomo
è sufficientemente per abbatterla”. Voltaire è morto da
circa due secoli [morì nel 1778], e da allora milioni di uomini hanno
fatto, come lui, guerra alla Bibbia. Tutti i loro tentativi sono risultati vani.
Là dove al tempo di Voltaire forse si contavano cento copie della Bibbia,
oggi ce ne sono diecimila; che dico? centomila! Ripeteremo qui le parole di
un riformatore: “La Bibbia è un’incudine che ha consumato
molti martelli!”. Il Signore afferma: “Nessuna arma fabbricata contro
di te riuscirà; e ogni lingua che sorgerà in giudizio contro di
te, tu la condannerai” Isaia 54:17. “La parola del nostro Dio sussiste
in eterno” Isaia 40:8. “Le opere delle sue mani sono verità
e con dirittura” Salmo 111:7,8. Tutto ciò che si basa sull’autorità
dell’uomo sarà abbattuto, mentre quello che si fonda sulla roccia
dell’immutabile Parola di Dio dimora eternamente.
ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ NEL NUOVO MONDO.
I riformatori inglesi, pur abbandonando la religione romana, avevano conservate
molte delle sue forme. Così, quantunque l’autorità e il
credo di Roma fossero stati respinti, si notavano nella chiesa anglicana non
pochi dei suoi costumi e delle sue cerimonie. Si riteneva che tali cose non
avessero nulla a che fare con la coscienza e che, anche se non ordinate nelle
Scritture, non erano neppure proibite; perciò non potevano essere considerate
perniciose, in quanto non essenziali. La loro osservanza, del resto, contribuiva
a ridurre la distanza fra le chiese riformate e Roma, il che poteva agevolare
ai cattolici romani l’accettazione della fede riformata. Ai conservatori
e agli opportuni tali argomenti apparivano conclusivi; però vi era un’altra
categoria di persone che non la pensava così. Il fatto che questi costumi
“tendevano a diminuire la distanza fra Roma e la Riforma” Martyn,
vol. 5, p. 22, non era secondo loro un valido argomento per continuare a praticarli.
Anzi stimavano addirittura che essi costituissero la prova della schiavitù
dalla quale si erano liberate e nella quale non intendevano assolutamente ritornare.
Dicevano che Dio nella sua Parola ha stabilito i requisiti del culto che gli
è dovuto, e che gli uomini, perciò, non hanno alcun diritto di
aggiungere o di togliere niente.
L’inizio della grande apostasia era stata proprio questa tendenza a
sostituire l’autorità della chiesa all’autorità di
Dio. Roma aveva cominciato con l’imporre quello che Dio non proibiva,
e aveva finito col vietare ciò che Dio espressamente comanda. Molti,
i quali desideravano ardentemente un ritorno alla purezza e alla semplicità
che avevano caratterizzato la chiesa primitiva, e consideravano tanti costumi
della chiesa anglicana veri e propri monumenti eretti all’idolatria, in
coscienza non potevano unirsi al suo culto.
La chiesa però, sostenuta dalle autorità civili, non consentiva
nessuna deviazione dalle forme da essa stabilite. La partecipazione alle sue
funzioni era imposta per legge, e le riunioni di carattere religioso non autorizzate
erano vietate sotto pena di carcere, di esilio e perfino di morte. All’inizio
del diciassettesimo secolo, il monarca asceso al trono d’Inghilterra manifestò
la decisione di indurre i puritani a “conformarsi… sotto pena di
esilio o di qualcosa di peggio” Gorge Bancroft, History of the United
States of America, parte I, cap. 12, par. 6. Braccati, perseguitati, gettati
in carcere, essi non vedevano nessuna prospettiva di giorni migliori, e molti
si convinsero che “l’Inghilterra non era più abitabile per
chi intendeva servire Iddio secondo la propria coscienza” J. G. Palfrey,
History of the New England, cap. 3, par. 43. Alcuni perciò decisero di
cercare rifugio in Olanda.
Nonostante le difficoltà, le perdite materiali, i tradimenti e altre
non piccole contrarietà, essi perseverarono, finirono col trionfare di
ogni ostacolo e raggiunsero felicemente le rive ospitali della repubblica olandese.
Fuggendo, dovettero abbandonare case, beni e mezzi di sussistenza. Stranieri,
in un paese sconosciuto, in mezzo a un popolo di lingua e costumi differenti
dai loro, per guadagnarsi da vivere furono costretti a svolgere un’attività
totalmente diversa da quella svolta fino allora. Uomini di mezza età,
che avevano trascorso la vita coltivando il suolo, dovettero imparare un nuovo
mestiere; però seppero accettare la situazione senza rimpianti o recriminazioni.
Sebbene spesso ridotti alla povertà, ringraziavano Dio per i benefici
di cui godevano, e si rallegravano di poter praticare liberamente la loro fede.
“Sapevano di essere dei pellegrini e perciò non si preoccupavano
di certe cose; alzavano gli occhi al cielo, verso la loro patria diletta, e
si sentivano consolati” Bancroft, Idem, parte I, cap. 12, par. 15.
PARALELLISMO STORICO E CRONOLOGICO DELLE VISIONI DI APOCALISSE.
| Secolo …………| Le sette …………|
I sette ……………| Le sette Trombe | Le tre Bestie
e i tre…|
| dell’era Cristiana | .lettere Cap. 1a3 | Sigilli Cap. 4a7 ….|
Cap. 8a11…….| messaggi Cap. 2a14 ..|
| I° Secolo ………| EFESO …………| Cavallo
bianco ….| Cap. 8,9 ……….| ……………..……|
| ……….………..| (desiderabile) ……|
Chiesa Apostolica | I°. II°. III°. IV°…| IL DRAGONE…|
|II° e III° Secolo .| SMIRNE ……….| Cavallo rosso ……|
TROMBE ……..| LE DIECI …………|
| …………………| (amarezza) ……..|
(persecuzione) ……| VISIGOTI 400 .| CORNA O ROMA .|
| …………………| …………………..|
inizio apostasia …..| VANDALI 429 .| IMPERIALE…….|
| IV° e V° Secolo .| PERGAMO …….| Cavallo nero la …..|
UNNI ……451..| …(Cap. 12) ……...|
| …………………| (elevazione) …….|
Chiesa si unisce ….| ERULI …..476..| ……………………|
| …………………| …………………..|
allo stato …………| …………………|
…………………..|
| dal VI° al XVI°..| TIATIRI (incenso.| Cavallo giallo ……|
V° TROMBA …| LA BESTIA A….|
| SECOLO ………| pestato consuma=.| apostata la Chiesa ..| Saraceni
o Arabi.| DIECI CORNA.|
|………………….| zione delle vittime)| perseguitata
durante | 630-700 ………| o Roma papale …|
|………………….| …………………..|
i 1260 anni ………..| …………………|
erede dell’Impero |
| XVI°- XVII° …..| SARDI ………….| Le anime
sull’altare.| VI° TROMBA…| (Cap. 13:1-10)…..|
| XVIII° …………| (canto di gioia)….| La riforma
……….| I Turchi ottomani .| O mare di petrolio |
| SECOLO……….| …………………..|
……………………| 1449-1840 ……..|……IRAQ…….|
| XIX° ……….…..| FILADELFIA…..| I segni della
fine …| Il piccolo libro ….| LA BESTIA A ..|
| SECOLO ………| (amore dei ………| nel cielo
e sulla ….| aperto (Cap. 10)…| DUE CORNA…|
|………………….| . fratelli)…………|
terra……………….| I DUE Testimoni..| STATI UNITI…|
| …………………| …………………..|
……………………| (Cap. 11:1-14)…..|
D’AMERICA…|
| …………………| …………………..|
……………………| …………………..|
(Cap.13-11-18).|
| XX° ……………| LAODICEA…….| 144.000
segnati …..| …………………..| Il grido
dei tre ..|
| SECOLO ………| (popolo giusto)….| ……………………|
…………………..| angeli ...............|
| ............................| .........................….| Silenzio
nel cielo …| …………………..| Cap.
14:1-13….|
|………………….| …………………..|
…………………….| …………………..|
Mietitura e….|
|………………….| …………………..|
…………………….| VII° TROMBA.…|
vendemmia …..|
|………………….| …………………..|
…………………….| (Cap. 11:15-19)…|
(Cap.14:14-20).|
| FINE DEL TEMPO DI GRAZIA..………………………………..|
I mari che sorgono dalla terra,
| I sette flagelli (Cap. 15-16) – Il giudizio di Babilonia (Cap.17-18).|
sono il petrolio ?
| Il re dei re appare (Cap. 19) ……(o Cristo o Satana, scegli)……..
| Nuova terra e nuovi cieli, si va
| Il giudizio millenario universale (Cap. 20) ………………………..|
su marte ?
| La nuova terra – La nuova Gerusalemme (Cap. 21,22)……………|
Noi dobbiamo scegliere se star
| L’ETERNITA’, AMEN……………………………………………|
con il bene o con il male.
UN CONFRONTO TRA LA BIBBIA E LA VERSIONE INGANNATRICE DELLA TRADUZIONE DEL
NUOVO MONDO
LA SACRA BIBBIA_______________LA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO
I Quattro Pericoli dell'Organizzazione dei Testimoni di Geova
I Testimoni di Geova dichiarano di essere l’unico vero gruppo cristiano
nel mondo intero. Essi affermano che tutte le altre chiese, Cattolici o Protestanti
che siano, insegnano false dottrine e che coloro che non sono Testimoni di Geova
saranno distrutti da Dio. Comunque, i fatti dimostrano che questa organizzazione
è una setta ingannatrice. Qui sotto elenchiamo quattro motivi per cui
bisognerebbe evitarli.
1. I Testimoni di Geova rifiutano gli insegnamenti centrali della Bibbia.
I Testimoni di Geova negano che Gesù Cristo è Dio. Essi insegnano
che Gesù Cristo è un angelo creato da Dio.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che Gesù Cristo, il Figlio è
Dio. Per esempio, Ebrei 1:8 dice: “parlando del Figlio dice: “Il
tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo...”. Inoltre tanti altri versetti
parlano di questo, vedi: Giovanni 1:1, 1:14, 20:26-28; Atti 20:28; Romani 9:5;
Ebrei 1:3, 8-9; 2 Pietro 1:1.
I Testimoni di Geova rifiutano la resurrezione fisica di Gesù Cristo.
Essi insegnano che il corpo di Cristo fu dissolto in stato gassoso. Charles
Taze Russel, fondatore dell’organizzazione affermò che, “la
persona di Gesù è morta, per sempre morta” (Studies in the
Scriptures, Vol. 5, 1899, p. 454).
Invece la Bibbia chiaramente insegna che il corpo di Gesù resuscitò
in vita. Per esempio, Luca 24:39 dice: “Guardate le mie mani e i miei
piedi, perchè sono proprio io; toccatemi e guardate; perchè un
fantasma non ha carne e ossa come vedete che ho io”. Guarda inoltre: Giovanni
2:19-21, 20:26-28; 1 Corinzi 15:6, 15:14.
I Testimoni di Geova rifiutano che lo Spirito Santo sia Dio. Essi insegnano
che lo Spirito Santo è una forza impersonale, come l’elettricità.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che lo Spirito Santo è Dio. Atti
5:3-4 dice: “Ma Pietro disse: “Anania, perchè Satana ha così
riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo...tu non hai mentito
agli uomini ma a Dio”. Guarda inoltre: Giovanni 14:16-17, 16:13-15; Romani
8:26-27; 2 Corinzi 3:6, 3:17-18; Efesini 4:30.
I Testimoni di Geova rifiutano che la Salvezza sia un dono dato gratuitamente
da Dio. Essi insegnano che la salvezza debba essere guadagnata e meritata. Per
ottenere la salvezza e scampare dal giudizio divino, ogni persona dovrebbe unirsi
e compiere le opere descritte e create dall’organizzazione dei Testimoni
di Geova.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che la Salvezza non può essere meritata
e guadagnata, la Salvezza è un dono da parte di Dio. Efesini 2:8-9 dice:
“Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede;
e ciò non viene da voi, ma è il dono di Dio. Non è in virtù
di opere affinché nessuno se ne vanti.” Guarda inoltre: Romani
4:1-4; Galati 2:16; Tito 3:5
I Testimoni di Geova negano il giudizio finale dei malvagi. Essi insegnano che
le persone non giuste verrano estinte e cesseranno di esistere.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che c’è un giudizio finale
per i malvagi. Matteo 25:41, 25:46 dice: “Allora dirà anche a quelli
della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato
per il diavolo e per i suoi angeli...Questi se ne andranno a punizione eterna;
ma i giusti a vita eterna.” Guarda inoltre: Matteo 18:8; 2 Tessalonicesi
1:8-9; Apocalisse 14:10-11, 20:10, 20:15.
I Testimoni di Geova rifiutano che gli esseri umani abbiano uno spirito che
esisterà dopo la morte. Essi insegnano che come gli animali, la vita
di una persona cesserà di esistere dopo la morte.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che lo spirito dell’uomo continuerà
ad esistere coscientemente dopo la morte. 2 Corinzi 5:8 dice: “Ma siamo
pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore”.
Guarda inoltre: Luca 16:19-31; Filippesi 1:23-24, Apocalisse 6:9-11.
I Testimoni di Geova insegnano che la vita eterna nella presenza di Dio sarà
solo per poche selezionate persone. Essi affermano che solo un gruppo speciale
di 144.000 Testimoni di Geova possono nascere di nuovo e vivere per sempre con
Dio in paradiso; tutti gli altri Testimoni di Geova vivranno sulla terra.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che tutti coloro che ripongono la propria
fede in Gesù Cristo avranno vita eterna e vivranno alla presenza di Dio.
La Bibbia si riferisce a queste persone come una innumerevole moltitudine. Apocalisse
7:9, 7:15 dice: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che
nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli
e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello...Perciò
sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel Suo tempio”.
Guarda inoltre: Giovanni 3:15, 5:24, 12:26; Efesini 2:19; Filippesi 3:20; Colossesi
3:1; Ebrei 3:1, 12:22; 2 Pietro 1:10-11.
I Testimoni di Geova rifiutano la Tre in Una natura di Dio (la Trinità)
e insegnano che Satana abbia creato la dottrina della Trinità. Essi rinnegano
tutti i passi nella Bibbia che identificano Gesù Cristo come Dio e lo
Spirito Santo come Dio.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che il Figlio e lo Spirito Santo, come
il Padre sono tutte e tre Dio (Giovanni 1:1, 20:28; 1 Giovanni 5:20; Atti 5:3-4).
La Bibbia inoltre insegna con chiarezza che c’è un solo unico Dio
(Isaia 43:10, 44:6-8; ecc.). Inoltre insegna che il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo sono uno (Matteo 28:19; 1 Corinzi 12:4-6; 2 Corinzi 13:14; 1 Pietro 1:2).
Alla luce di tutto questo, non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione
che non si basa sugli insegnamenti centrali della Bibbia?
2. I Testimoni di Geova hanno manipolato la Bibbia.
L’organizzazione dei Testimoni di Geova ha creato la loro propria versione
della Bibbia. Questa versione è chiamata la Traduzione del Nuovo Mondo.
Essa contiene cambiamenti deliberati di molti versetti delle Scritture. Queste
modificazioni sono state attuati per nascondere il fatto che gli insegnamenti
dei Testimoni di Geova sono antibiblici e falsi.
Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che manipola
la Sacra Scrittura?
3. I Testimoni di Geova hanno storia di profezie che non si sono realizzate.
I leader dei Testimoni di Geova dichiarano di parlare per mezzo di Geova Dio
con autorità profetiche. Essi hanno detto tante profezie che non si sono
mai realizzate. Per esempio, essi hanno predetto che l’Armageddon e la
fine del mondo si sarebbe verificata nel 1975.
Per coprire il mancato avvenimento di questa profezia, molti Testimoni di Geova
oggi rinnegano tale fatto anche se molta della loro propria letteratura ne parla.
I Testimoni di Geova inoltre avevano predetto che la fine del mondo sarebbe
avvenuta nel 1914, 1915, 1918, 1925 e 1942. Avevano predetto anche che Abramo,
Isacco e Giacobbe sarebbero ritornati in vita e su questa terra nel 1935. Erano
nell’errore ogni volta. La Bibbia dichiara che la profezia non realizzata
è un segno del falso profeta (Deuteronomio 18:21-22).
Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che ha storia
di profezie che non si sono realizzate?
4. I Testimoni di Geova abusano della loro autorità.
Nonostante le loro innumerevoli non realizzate profezie, l’Organizzazione
dei Testimoni di Geova insegna che essa è la sola vera religione, e solo
i suoi membri sono veri Cristiani. Dichiara che nessuno può raggiungere
la verità spirituale se non tramite loro. Insegna inoltre che la salvezza
si può ottenere solo entrando nella loro organizzazione e che tutti coloro
che non sono Testimoni di Geova saranno distrutti nel giorno di Armageddon.
L’Organizzazione dei Testimoni di Geova richiede che ogni membro debba
ubbidire e accettare senza nessuna domanda, ogni ordine e interpretazione biblica
data dalla organizzazione.
Per esempio, l’Organizzazione dei Testimoni di Geova proibisce di usare
trasfusioni di sangue. Le persone dell’organizzazione sono obbligati a
morire e lasciar morire i propri figli, piuttosto che non rispettare questo
comandamento, anche se da nessuna parte nella Bibbia troviamo che le trasfusioni
del sangue sono sbagliate. A tutti coloro che disubbidiscono a questa regola
viene detto che saranno distrutti nel giorno dell’Armageddon, annientati
nel giorno del giudizio.
In questo modo i leader dell’Organizzazione cercano di tenere i membri
ubbidienti attraverso la paura e l’intimidazione. I leader dei Testimoni
di Geova hanno anche usato le loro profezie riguardo la fine del mondo, per
mettere timore e paura nei cuori dei loro seguaci.
Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che abusa della
sua autorità?
Questi quattro punti dimostrano quanto sia pericolosa un’organizzazione
come i Testimoni di Geova. Forse ti stai chiedendo “Qual è la buona
novella nella Bibbia?” I seguenti quattro punti presentano il vero vangelo
di Gesù Cristo come si trova nella Bibbia.
Come trovare pace con Dio
Il messaggio della Bibbia può essere riassunto in quattro semplici
punti:
1. I nostri peccati ci separano dal vero e vivente Dio.
Romani 3:23 “Perchè tutti hanno peccato e sono privi della Gloria
di Dio”.
Romani 6:23 “Perchè il salario del peccato è la morte, ma
il dono di Dio è la vita eterna in Gesù Cristo il Signore”.
2. Non possiamo salvare noi stessi.
Romani 3:20 “Perchè mediante le opere della legge nessuno sarà
giustificato davanti a Lui; infatti la legge dà soltanto conoscenza del
peccato.”
Tito 3:5 “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma
per la Sua misericordia”
3. Gesù Cristo è il rimedio che Dio ha mandato sulla terra per
il nostro peccato.
Giovanni 3:16 “Poichè Iddio ha tanto amato il mondo che ha mandato
il Suo unigenito figliolo affinchè chiunque crede in Lui non perisca
ma abbia vita eterna”.
1 Pietro 3:18a “Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui
giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio”.
4. Dobbiamo personalmente ricevere Gesù Cristo nella nostra vita per
fede, per ottenere il perdono dai peccati e la vita eterna.
Giovanni 1:12 “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha
dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono
nel suo nome”.
Romani 10:9 “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore
e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvato”.
Se queste verità tratte dalla Parola di Dio hanno toccato il tuo cuore,
puoi chiedere proprio adesso a Dio di perdonare i tuoi peccati e darti nuova
vita in Cristo. Questa semplice preghiera può aiutarti ad esprimere la
tua fede in Cristo Gesù per essere salvato.
LA VERITÀ?
Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, capisco di aver peccato contro di te con
le mie azioni, parole e pensieri. Non posso salvare me stesso e grazie per aver
mandato il Tuo figlio Gesù Cristo, a versare il Suo prezioso sangue per
me. Ti chiedo perdono dei miei peccati, e rimetto la mia fiducia in Gesù
Cristo, colui che è morto al mio posto e resuscitò dalla morte.
Amen.