[Conflitto] [Bibbia]

DOMANDA: Cosa è la chiesa che Dio vuole qui sulla terra?
RISPOSTA: Una riunione di persone con la Bibbia in mano, e che tutti abbiano la possibilità di dire quello che pensano; un pastore, o maestro, un uomo che si prende su di sé tutte le sue responsabilità verso Dio, la responsabilità può essere una grande condanna per il pastore insegnante, se lui non si attiene alla parola biblica, lui dovrà rendere conto al ritorno del figlio di Dio, Gesù Cristo, che è l’erede, che è il Signore, che è Dio.

 

LE CREAZIONI SPIRITUALI O ANGELICHE E LA CADUTA DI QUELLI RIBELLI. (Vita spirituale prima della fondazione della terra).

L’ETERNO, Dio, Jahwè, è il Padre degli spiriti. Questi spiriti sono creature celesti che vivono nelle regioni eteree dello spazio. Essi non posseggono un corpo materiale come quello degli uomini, ma hanno un corpo glorioso, almeno tutti quelli che sono fedeli a Jahwè. La gloria dell’Eterno, manifestata mediante la sua presenza, non può essere sopportata da alcun uomo, poiché Dio abita una luce inaccessibile e nessun uomo l’ha visto né lo può vedere (1 Tim. 6:16). La prima opera dell’Eterno è la creazione del Logos (1Giov. 1:1; Prov. 8:22). Questo Essere glorioso è l’unico Generato dal Padre (Giov. 1:14; Ebrei 1:5). Tutte le altre creature sono state formate dal Logos (la Parola), che fu impiegato come Agente creatore.

Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, nulla è stato fatto senza di Lui. Ciò dimostra quanto Egli sia stato onorato. Le vie dell’unico Figlio di Dio sono sempre state integre e perfette. Egli si è sempre interamente sottomesso alla volontà di Dio ed ha eseguito tutti i suoi ordini. Per mezzo del Logos l’Eterno ha creato gli arcangeli, gli angeli, i cherubini ed i serafini. Tutte queste creature spirituali formano il mondo degli spiriti. Vi sono fra loro dei principati, delle dominazioni e dei poteri. (Gli uomini non sono degli spiriti, ma sono animati da uno spirito più o meno buono o malvagio).

Uno dei principali angeli creati dal Logos è, secondo la Parola, la Stella del Mattino, detta figlio dell’Aurora. Il suo nome indica che egli era il principe della luce. Questo cherubino era dunque un’autorità fra tutti gli angeli gloriosi.

È evidente che la sua gloria sorpassava la gloria degli altri angeli. Malgrado ciò egli era, per il suo rango, inferiore al Figlio generato dal Padre, detto il Logos o la Parola. Esiste nel cielo, come si è detto, una gerarchia nettamente stabilita fra gli esseri che l’abitano. Vi sono gli arcangeli, i cherubini, i serafini e gli angeli. Un cherubino fu scelto per venire sulla terra. Secondo le Scritture, questo inviato da Dio era un cherubino dalle ali spiegate.

Tale linguaggio simbolico indica la sua missione pastorale: missione di pastore protettore. Gli esseri celesti furono creati molto tempo prima della formazione della terra, può darsi che esistessero già centinaia di migliaia d’anni prima della creazione del nostro pianeta, questo non possiamo stabilirlo. Comunque sia, questi esseri spirituali s’interessano moltissimo a tutto ciò che si svolge nell’universo. La Bibbia li nomina sovente le stelle di Dio.

Quando la terra fu creata, gli spiriti celesti l’ammirarono e cantarono inni a gloria dell’Eterno. Le Scritture parlano di questo grande avvenimento nei seguenti termini, indirizzati a Giobbe: «Dov’eri tu, quand’io fondavo la terra? Dillo se hai tanta intelligenza… quando le stelle del mattino prorompevano in canti d’allegrezza, e tutti i figli di Dio davan in grida di giubilo?» (Giob. 38:4,7).

Le stelle del mattino sono i principati fra gli angeli mentre i figli di Dio sono gli spiriti celesti sottomessi a questi principati. Il capo supremo di spiriti è il Figlio, l’unico generato da Dio, il suo primogenito: Colui che fu l’Agente creatore dell’Eterno e il sovrano Pastore di tutti gli eserciti celesti. Egli è la gloria delle glorie celesti. Quando l’Eterno ordina una creazione al Logos (incorporante in se stesso la Parola divina) la potenza della parola pronunciata dal Figlio Unigenito riunisce tutti gli elementi, questi obbediscono alla sua volontà e la cosa esiste.

Le Scritture ci dicono: «Dio disse (per bocca del Logos): Sia la luce! E la luce fu» (Gen. 1:3). Nulla può sottrarsi alla potenza della sua volontà. Gli elementi più disparati obbediscono, si riuniscono e formano un corpo che Dio anima mettendone in movimento gli organi. È in tal modo che Dio formò l’uomo: lo creò con la polvere della terra, ossia mediante i diciassette elementi diversi che, trasformandosi per mezzo della loro unione, formano il corpo umano. Questi elementi sono: il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo, il cloro, il potassio, il sodio, il calcio, il magnesio, il ferro, il silicio, il fluoro, il bromo, lo iodio ed il manganese.

Dio mise in movimento i polmoni dell’uomo; l’aria entrò in essi, il sangue fu ossigenato ed affluì al cuore, che lo spinse con forza in tutte le parti del corpo; l’uomo divenne così un’anima vivente (Gen. 2:7). È il metodo che Dio usò per creare ogni cosa nei cieli e sulla terra ed è pure in tal modo che per volontà di Dio e mediante la potenza della sua Parola, pronunciata dal Logos, furono creati tutti gli eserciti celesti. Dio dice e la cosa esiste! Le creazioni celesti sono superiori a noi in quanto la gloria celeste è superiore alla gloria terrestre.

Il Logos era dunque il sovrano Pastore degli eserciti celesti ed abitava una gloria radiosa e potente. Le Scritture ci parlano della creazione di un cherubino glorioso, che possedeva una gloria di gran lunga superiore a quella degli altri. Dicono: «Tu eri pieno di sapienza, di una bellezza perfetta… Eri coperto di ogni genere di pietre preziose: sardoniche, topazi, diamanti crisòliti, ònici, diaspri, zaffiri, carbonchi, smeraldi ed oro».

Queste pietre simboleggiano delle attitudini veramente grandiose. Tale essere possedeva tutto per glorificare Dio. Il suo carattere era sublime, colmo di bontà, di grazia e di giustizia. Era dunque una creatura particolare per la sua potenza e per la sua gloria. È detto di lui: «Tu mettevi il suggello alla perfezione, eri pieno di sapienza e d’una bellezza perfetta». Questo essere glorioso era stato incaricato dall’Eterno per divenire il protettore della terra, affinché tutte le trasformazioni terrestri non arrecassero alcun danno all’uomo, che abitava nel giardino dell’Eden.

La potenza e la gloria di tale protettore del nostro pianeta e di tutto ciò che in esso è contenuto, potevano dunque influenzare gli elementi della natura. Egli era, come dicono le Scritture, un cherubino protettore dalle ali spiegate. Era posto sul monte santo di Dio, era un principe degli angeli davanti al trono di Dio. Come detto, egli fu delegato dall’Eterno per essere il protettore della terra ed in particolare della prima coppia umana. Il suo nome era: «Il figlio dell’Aurora, la Stella del Mattino», che significa principe degli angeli (Ezech. 28:12-15).
COME IL PRINCIPE DEGLI ANGELI, IL FIGLIO DELL’AURORA, È DIVENUTO SATANA, IL DIAVOLO.
Quando il figlio dell’Aurora ricevette dall’Eterno la gloriosa missione di cherubino protettore della terra, ebbe alle sue dipendenze legioni d’angeli, tutti potenti in forza ed in grazia davanti al Signore. Aveva inoltre ricevuto grandi poteri sugli elementi della natura e doveva vegliare sulla prima coppia umana, ossia su Adamo ed Eva.

Egli sapeva che l’Eterno aveva dato a questa prima coppia il potere di moltiplicarsi e di assoggettare la terra e che vi era una speciale benedizione in tale potere. Allorché il figlio dell’Aurora rifletté sui gloriosi poteri ricevuti in dono dall’Eterno, il suo cuore non riconobbe l’immensità dell’amore che Dio gli aveva manifestato. Malgrado la sua immensa sapienza, la sua grandiosa potenza, la sua giustizia senza ombra né difetto, mancava a questo cherubino qualche cosa: la riconoscenza.

Il cuore di Lucifero non era sufficientemente pio e riconoscente ed il suo amore per l’Eterno, che gli aveva donato tanta gloria e tanta maestà, in breve s’affievolì. Egli vide di cattivo occhio il potere che Dio aveva concesso all’uomo di procreare, di fondare una famiglia, d’avere una posterità. Ben presto ne fu talmente indispettito che il suo amore e la sua riconoscenza per il Signore diminuirono rapidamente l’egoismo, l’amor proprio, penetrarono in lui.

Le immense benedizioni e la fiducia che l’Eterno gli aveva accordato (dimostrazione dell’amore e della stima del Signore per il figlio dell’Aurora) non furono più apprezzate in alcun modo. Fu allora che questo principe degli angeli, dopo aver beneficiato di doni gloriosi, concepì il piano inqualificabile di distaccarsi dal suo Benefattore, l’Eterno, e volle divenire risolutamente il suo avversario. Ciò che incoraggiò Satana a mantenere i suoi cattivi pensieri ed a studiare i suoi piani iniqui, di un’ingratitudine senza limiti, fu soprattutto il fatto che Dio, che vede tutte le cose, non faceva alcuna opposizione.

Colui che scandaglia le reni ed il cuore di tutte le creature, la cui potenza e sapienza sono illimitate, Colui che prevede e conosce ogni cosa prima che si manifesti, pareva non opporsi a questo cherubino protettore detto il figlio dell’Aurora. È evidente che, prima ancora che il minimo atto di ribellione si fosse manifestato da parte di questa creatura celeste, l’Eterno conosceva già ogni particolare. Egli sapeva perfettamente cosa pesava questo principe degli angeli, da Lui altamente onorato. Ma il suo cuore pieno d’amore che crede tutto, spera tutto e sopporta ogni cosa, che è caritatevole, paziente e colmo di bontà, che non ricerca il proprio interesse e non sospetta il male (1 Cor. 13:4-6), questo carattere divino, meraviglioso e glorioso di Jahwè non sarebbe intervenuto che al momento in cui il figlio dell’Aurora avrebbe peccato contro la legge della giustizia e contro l’Eterno.

Nel comportamento di Jahwè non constatiamo alcuna amarezza, alcuna irritazione, ma una dolcezza, una pazienza, una longanimità ed una sopportazione infinita verso quel suo figlio celeste che nei suoi pensieri aveva dimostrato un’ingratitudine così terribile nei suoi riguardi. Il figlio dell’Aurora s’allontanò sempre più dal Signore.

Egli servì della potenza e della gloria accordategli dall’Eterno e concepì il progetto di elevarsi al di sopra delle stelle di Dio, ossia di dominare ed ingannare gli angeli potenti in gloria ed in bellezza che erano sotto i suoi ordini. Pensò pure d’ingannare la donna e di farla cadere in peccato. Astuto com’era prevedeva che se fosse riuscito a far cadere Eva nel peccato, avrebbe potuto far cadere anche Adamo.

Lucifero concepì un piano abominevole. Parlando del figlio dell’Aurora divenuto l’avversario di Dio, le Scritture dicono: «Come mai sei caduto dal cielo, o astro del mattino, figlio dell’Aurora? Come mai sei precipitato? Tu dicevi in cuor tuo: io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, m’assiderò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione, salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo» (Is. 14:12-14).

Nel suo piano colossale il figlio dell’Aurora già si vedeva adorato quale dio di questo mondo, come era suo desiderio. Egli vedeva i figli degli uomini moltiplicarsi all’infinito e obbedirgli, ed inoltre vedeva gli angeli, di cui era il protettore ed il pastore, recargli omaggio e adorazione. Questo cherubino, come ci dimostra il testo, aveva dunque concepito un piano: fondare per conto suo un impero ed avere dei sudditi celesti (gli angeli) e dei sudditi terrestri (l’uomo e la sua discendenza). Voleva sostituirsi all’Eterno sulla terra ed in mezzo all’assemblea degli angeli a lui sottomessi. Non siamo in grado di ammirare sufficientemente il carattere nobile, glorioso e caritatevole dell’Eterno, che non è intervenuto e serba la sua bontà fino all’ultimo momento, accordando il suo amore senza dubbi e senza sospetti al figlio dell’Aurora.

La sapienza, la gloria e la scienza dell’Eterno vogliono che i figli di Dio camminino nella gloria e nella libertà divina. L’Eterno non vuole omaggi ed adorazioni forzate dalle sue creature. Al contrario, Egli desidera che i sentimenti di apprezzamento, d’affetto e di riverenza e dell’amore profondo che esse sentono per il loro Benefattore, il glorioso Jahwè. Tutti questi sentimenti nobili e gloriosi erano stati completamente abbandonati dal figlio dell’Aurora.

Egli pensava al progetto egoistico ed ingrato che avrebbe gettato nella più grande catastrofe e nel più grande dolore miliardi d’esseri all’unico scopo di regnare su di loro. Evidentemente il figlio dell’Aurora nutriva in cuore il progetto di rendere questi esseri (che voleva separare dalla comunione con Dio) più felici di quanto lo fossero sotto l’egida dell’Eterno. Questo principe degli angeli, Satana, aveva notato che Dio faceva tutte le cose secondo un piano determinato; per questo gli venne l’idea di progettare lui pure un piano consistente nel separare l’uomo dalla comunione divina, facendogli false promesse, e nel far peccare gli angeli che erano sotto la sua sorveglianza per crearsi un regno indipendente. L’orgoglio lo fece cadere così in basso, ch’egli divenne un mentitore ed un assassino (Giov. 8:44).

Satana si servì della sua grande potenza per suggestionare Eva, che però conosceva bene la proibizione fattale dall’Eterno di non mangiare il frutto d’un certo albero. Per giungere al suo scopo, Satana suggestionò contemporaneamente un animale: il serpente.

Questo animale era più intelligente di tutti gli altri ed abitualmente teneva compagnia all’uomo. Lo stesso si verifica ancora oggi. Certi animali si affezionano all’uomo, che ritiene questi esseri più intelligenti degli altri in quanto gli rendono dei servizi, ad esempio, il cane, il cavallo, ecc. Il serpente come animale era stato dotato di una grande intelligenza e non aveva l’aspetto ripugnante che ha attualmente.

Tale aspetto è dovuto alla condanna ed alla maledizione ed alla maledizione ce lo colpirono quando cedette a Satana.

Non pensiamo che tale animale si sia servito delle parole per indicare alla donna ciò intendeva dirle. Vediamo sovente gli animali domestici come il cane ed il gatto, farsi capire; ad esempio quando vogliono uscire di casa, sanno benissimo farlo intendere.

Lo stesso avvenne per il serpente, che in quel momento aveva un aspetto attraente ed era molto dotato. Satana suggestionò contemporaneamente l’animale e la donna. Il serpente era ai piedi dell’albero il cui frutto non si doveva mangiare.

Eva ammirava l’animale e la sua intelligenza superiore a quella degli altri, poiché sapeva farsi capire perfettamente. Ella amava molto la sua compagnia.

Sotto la potenza della suggestione di Satana, il serpente mangiò alcuni frutti dell’albero su cui il Signore aveva posto la sua proibizione. Ciò si ripeté per un certo tempo. All’inizio Eva pensò che il serpente sarebbe morto, ma non morì, anzi, sembrava che l’intelligenza gli si fosse maggiormente sviluppata.

Eva ne fu stupita. Fu allora che la potenza della suggestione dell’avversario si fece sentire particolarmente pressante e che il sospetto nacque nel cuore della donna. Ella pensava: «Veramente gli altri non hanno molto valore in confronto a questo serpente che è persino capace d’indicarmi la via per acquistare una più alta intelligenza». Ecco ciò che Eva pensava in fondo al cuore.

 

Esaminiamo ora in che cosa consiste la potenza della suggestione. La suggestione è una forte potenza, capace di far nascere in un’altra persona il pensiero che si desidera inculcare. Tale pensiero viene imposto al cervello di colui che è suggestionato, mediante la potenza della volontà.

Troviamo degli esempi nella vita umana. Un individuo che possiede una forte volontà, può imporla ad un suo simile più debole la cui forza volitiva non è in grado di resistergli.

Quest’ultimo si sente dipendente ed accetta per tal fatto la volontà del suggestionare quasi senza rendersene conto.

Questo è il metodo usato generalmente da Satana per suggestionare l’umanità, secondo quanto è scritto: «Il principio della potestà dell’aria, di quello spirito che opera al presente nei figli della ribellione» (Efe. 2:2). Questo passo delle Scritture c’indica come reagisce il principe della potenza dell’aria, Satana.

Mediante la suggestione egli impone la sua volontà agli uomini, i figli della ribellione, che obbediscono perfettamente alla sua potenza. Satana li fa agire senza che essi se ne rendano conto e si serve di ogni mezzo, d’ogni artificio, pur di giungere a manipolarli come burattini.

L’avversario ed i demoni osservano gli uomini e spesso cercano d’influenzarli inducendoli a commettere una cattiva azione; quando poi quest’azione è compiuta, perseguitano il disgraziato con la paura del castigo, che spinge il colpevole a continuare nella cattiva via.

Si può capire la potenza della suggestione mediante l’esempio seguente: in una seduta d’ipnotismo e di suggestione un ipnotizzatore presenta una persona completamente sotto il suo influsso e le fa compiere tutto ciò che desidera, imponendole la sua volontà.

Ad esempio, può presentarle una patata cruda e imporle di credere che si tratta di una pesca. Questa persona mangia la patata cruda con avidità esente il gusto di una buona pesca, come l’ipnotizzatore le ha impulso. D’improvviso egli può mutare i sentimenti di colui che gli obbedisce: gli può far credere, ad esempio, che una parte della pesca è guasta.

Il suggestionato allora sente una sensazione di disgusto. Lo stesso ipnotizzatore fa un’altra esperienza, non più su una sola persona, ma su chiunque voglia prestarsi alla prova. Fa mettere in ginocchio tutti coloro che si sono presentati, poi dice: «Alzatevi, se lo potete». Su una decina di persone, sette sono in grado di resistere alla suggestione, ma tre non possono alzarsi, pur desiderandolo, in quanto la loro volontà è stata spezzata dalla potenza della volontà della persona che suggestiona.

Come spiegare tale fatto? Si spiega facilmente come segue: l’ipnotizzatore ha una potenza di volontà fortissima, la quale è raddoppiata, rinforzata dalla potenza diabolica. Questa potenza di volontà emette onde (paragonabili alle onde elettriche) che impressionano il cervello del soggetto, proprio come la potenza della volontà comanda alle membra del nostro corpo che obbedisce.

Questa volontà agisce sulle corde vocali di una persona ed ella emette suoni e parla. Da ciascuno di noi si sprigionano onde magnetiche più o meno forti, dovute alla forza del pensiero e della volontà.

Questo spiega come tutti coloro che si occupano specialmente di magnetismo possano trasmettere la loro volontà ad altri, non per mezzo del comando e della parola, nel qual caso il potere suggestivo risulta enormemente rinforzato, ma tramite il pensiero. L’esperienza citata delle tre persone che non sono riuscite a resistere all’ipnotizzatore e che sono rimaste inginocchiate, pur volendosi alzare, dimostra che tali persone avevano ricevuto onde magnetiche superiori a quelle della loro propria volontà e non hanno potuto resistere al forte comando poiché il loro cervello, indebolito sotto l’azione potente della trasmissione del pensiero e della volontà dell’ipnotizzatore, aveva formato con lui un’unica volontà e il loro corpo ha obbedito alla parola di colui che sa bene come suggestionare.

Questi impone la sua volontà al cervello del suggestionato, che diventa per tale fatto il suo schiavo, il suo giocattolo, poiché gli fa fare tutto ciò che vuole. Tanto più è potente l’influsso della volontà dell’ipnotizzatore, quanto meno il suggestionato oppone resistenza alla sua azione.

Il suggestionato potrebbe persino cadere in ipnosi a grandi distanze unicamente per la volontà e la potenza esercitate dall’ipnotizzatore. Ritorniamo ora alla suggestione esercitata da Satana sulla donna e sul serpente.

È evidente che Eva avrebbe potuto perfettamente resistere, poiché nulla in lei doveva provocare il desiderio d’un qualsiasi mutamento di vita.

La sua felicità era completa. Le mancava però quella parte dell’amore che si chiama riconoscenza. Eva non era abbastanza riconoscente.

Non aveva per l’Eterno un affetto veramente sincero ed adeguato, tale da consentirle di ammirare il suo glorioso carattere e cercare di fargli piacere: offrirgli omaggi, adorazione e la riconoscenza sincera e profonda del suo cuore. Eva non cercava di sapere come avrebbe potuto meglio lodare e glorificare Dio e non si preoccupava di ricordare tutto il bene che l’Eterno le aveva fatto, procurandole tutte le cose necessarie alla vita. Al contrario, ella accettava tutte le benedizioni divine considerando la nobiltà del Creatore, che gliele elargiva, come una cosa naturale, dovutale. Per di più pensava al modo di poter acquisire quell’intelligenza che le pareva tanto desiderabile.

Voleva conoscere; era curiosa ed era spinta, in questa via fatale, dalla suggestione dell’avversario. Quante donne, anche attualmente, sono d’una tale curiosità che commetterebbero facilmente qualsiasi cosa pur di riuscire a sapere! E succede anche agli uomini di comportarsi in tale modo.

Come detto, Eva voleva conoscere ad ogni costo, ma aveva tutto per poter resistere facilmente all’avversario. La sorprendeva soprattutto il fatto che il serpente non moriva. Eppure Dio aveva detto all’uomo: «Il giorno in cui mangerai del frutto proibito, morrai». L’avversario si servì di tale circostanza per suggestionare la donna mediante un pensiero d’ingratitudine e di diffidenza verso Colui che è l’Autore d’ogni grazia eccellente e d’ogni dono perfetto (Giac. 1:17).

Satana, vedendo che la donna incominciava a dubitare delle buone intenzioni di Dio nei suoi confronti, continuò ad eccitare la curiosità di Eva per mezzo del serpente. Il dramma era impressionante, poiché stava per causare la caduta della donna sotto la sferza della condanna.

I sentimenti di diffidenza di Eva verso Dio s’accentuarono sempre più e da quel momento ella incominciò a sottostare alla suggestione dell’avversario, che pensò: «Ancora uno sforzo e sarà vinta, privata per sempre della comunione con Dio».

Egli suggerì alla donna il pensiero che il frutto proibito doveva essere qualcosa di prezioso e di meraviglioso, che Dio non era sufficientemente buono da fargliene parte, che forse tale frutto le avrebbe aperto l’intelligenza a tal punto da diventare simile a Dio, grazie alla conoscenza del bene e del male (Gen. 3:5), e forse le avrebbe dato addirittura l’immortalità.

Satana convinse Eva che non sarebbe morta anche se avesse mangiato il frutto proibito, poiché il serpente lo aveva sufficientemente dimostrato.

Il dramma spaventoso della caduta d’Adamo dovrebbe servire da lezione salutare a tutti gli uomini e spronarli ad apprezzare la bontà dell’Eterno.

L’ingratitudine è una colpa terribile che causa una quantità di peccati. Sotto la potenza della suggestione di Satana, di cui già abbiamo parlato, la donna non poté resistere a lungo: colse il frutto, né mangiò, e ne mangiò pure Adamo.

Vedendo che la condanna era caduta su Eva, il nostro primogenitore non ebbe il coraggio di unirsi al Donatore, all’Eterno, a Colui che gli aveva procurato tanta felicità. Anch’egli mangiò del frutto, non perché fosse stato sedotto (era cosciente dell’ingratitudine senza limiti della sua compagna ed aveva apprensione per il terribile castigo che ne sarebbe seguito), ma per il fatto che non voleva separarsi dalla sua compagna, divenuta nemica di Dio in seguito alla trasgressione.

È in tal modo che la condanna si è estesa a tutti gli uomini per mezzo di Adamo. L’avversario aveva così nelle sue mani la prima coppia umana, che da quel momento era condannata! Si trattava, per poter realizzare il suo piano, di far peccare gli angeli posti sotto la sua guida.

Conosciamo lo svolgimento di questa spaventosa tragedia, che ha causato la condanna dell’uomo e la sua separazione dallo spirito di Dio. Essa si è realizzata a causa degli intrighi e delle menzogne dell’avversario. Il risultato ha fatto versare cocenti lacrime, commettere iniquità senza nome e discendere nella tomba miliardi d’esseri umani.

Satana è divenuto così mentitore ed assassino, lui, il cherubino protettore dalle ali spiegate, un principe degli angeli, il figlio dell’Aurora, è divenuto Satana, il nemico di Dio! Egli sperava di riuscire ad avere completamente nelle sue mani il genere umano, ed esserne il dio ed il protettore.

Voleva essere lui a procurare agli uomini la felicità e di stabilire un regno terrestre del quale sarebbe stato il sovrano e il dio, incaricandosi d’influenzare gli uomini per mezzo della suggestione, d’ipnotizzarli all’occorrenza, per indurli ad eseguire i suoi piani. Ciò gli fu molto facile, allorché la prima coppia si trovò separata dall’unione con Dio.

Possiamo farci un’idea del potere di un essere come Satana, se pensiamo che può influenzare gli elementi stessi della natura, al punto di provocare tempeste e uragani come quello che si abbatté sul lago di Gennezaret, quando i discepoli svegliarono il loro Maestro che dormiva nella barca (Mt. 8:23-27).

Un’altra dimostrazione della potenza di Satana si manifestò quando gli spiriti puri uscirono dall’indemoniato ed entrarono nel branco di maiali che la potenza diabolica precipitò in mare, per mezzo di un temporale (Mar. 5:13).

MATERIALIZZAZIONE E SMATERIALIZZAZIONE DEGLI SPIRITI CELESTI.
La Bibbia ci dice che quando Adamo peccò, Dio gli fece conoscere la terribile sentenza (equivalenza) che l’avrebbe colpito. Essa prosegue dicendo che Dio scacciò Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. (In realtà fu la loro coscienza che li obbligò a lasciare quel luogo benedetto). In quel momento e più tardi ancora, Dio inviò sulla terra degli spiriti celesti: angeli o messaggeri. Per poter essere visibili agli uomini, tali spiriti devono materializzarsi, ossia prendere una forma materiale. La Bibbia ci dà molti esempi di queste materializzazioni. Non è necessario che lo spirito celeste assuma un corpo d’uomo per apparire sulla terra, in altri termini, non è indispensabile che l’angelo abbia l’apparenza esteriore d’una persona: la Parola divina parla d’un cespuglio ardente visto da Mosè; questo cespuglio bruciava, ma non si consumava.

Tuttavia, in generale, la materializzazione degli angeli avviene piuttosto sotto forma umana, come nel caso dei tre personaggi apparsi ad Abramo, uno dei quali era chiamato il Signore. Tali personaggi avevano l’aspetto di stranieri (Gen. 18:2). Si trattava di una forma di materializzazione appropriata e quindi adottata il più delle volte. Numerose sono le materializzazioni di angeli sotto forma umana. I tre uomini che apparvero ad Abramo mangiarono e bevvero. In tale occasione essi ebbero un organismo esattamente simile a quello degli uomini, malgrado fossero angeli materializzati (Gen. 18 e 19). Anche Giacobbe fu posto di fronte all’angelo dell’Eterno, col quale combatté fino al sorgere dell’aurora (Gen. 32:24-32). Giacobbe incontrò degli angeli sul suo cammino (Gen. 32:1). La Parola di Dio ci parla di Manoah e di sua moglie, genitori di Sansone, ai quali apparve un angelo. Per apparire loro l’angelo dovette materializzarsi. La moglie di Manoah pensò che si trattasse di un uomo pio, di un uomo di Dio, ma ben presto entrambi assistettero alla smaterializzazione dell’Angelo. Nel momento in cui Manoah offriva all’Eterno un olocausto, l’angelo salì in cielo nella fiamma che si sprigionava dall’offerta (Giudici 13:20).

I discepoli del Signore assistettero ad una materializzazione di Gesù, quando il Salvatore apparve in mezzo a loro. In un primo tempo furono presi dal panico, ma Gesù li rassicurò e mostrò loro le mani ed i piedi che erano stati trafitti dai chiodi della croce. Il Signore apparve loro quando erano adunati. Precedentemente il Salvatore si era smaterializzato ad Emmaus, quando disparve dalla vista dei due discepoli. Il Signore apparve dunque ancora in mezzo ai suoi discepoli, materializzandosi di nuovo. In tale occasione disse espressamente: «Uno spirito (ossia uno spirito celeste nella sua condizione naturale) non ha carne e ossa come voi vedete che io ho» (Luca 24:30).

Le Scritture rilevano che se da un lato gli spiriti celesti si sono spesso materializzati dall’altro Dio dà agli uomini il potere di percepire la presenza degli angeli senza una loro effettiva materializzazione. Un esempio di questo genere è in 2 Re 6:14-17. Mediante la potenza di Dio fu accordato al servitore d’Eliseo di vedere gli eserciti spirituali celesti; visione che gli occhi umani non possono percepire, a meno d’un intervento soprannaturale. I siriani, nemici di Eliseo, avevano inviato i loro soldati per catturare il profeta. Eliseo disse al suo servitore: «Non temer poiché quelli che sono con noi più numerosi di quelli che sono con loro». Egli pregò l’Eterno, affinché il suo servitore potesse discernere gli eserciti celesti. L’Eterno aprì gli occhi del servitore, che vide attorno ad Eliseo il monte coperto di cavalli e carri di fuoco.

Questi fatti dimostrano anzitutto il potere che Dio dà gli angeli di materializzarsi e di smaterializzarsi, ed inoltre la facoltà che Dio dà agli esseri umani di sentire e discernere le creature spirituali celesti. L’apparizione che il servitore di Eliseo ebbe fu possibile per il fatto che l’Eterno gli diede tale discernimento per mezzo del potere divino, esercitato mediante lo spirito di Dio. La potenza divina ha dunque agito sul cervello del servitore, per renderlo capace di discernere cose che gli sfuggivano con i mezzi umani. È interessante rilevare che anche il diavolo ha il potere di dare all’uomo il discernimento degli spiriti, ma unicamente di quelli decaduti. Ne parleremo più avanti.

Il potere esercitato da Satana sul cervello di Eva fece pressione su di lei per mezzo d’una manifestazione esteriore: quella del serpente, al fine di indurla a credere in cose che non esistevano. Far dubitare la donna e provocare nel suo cuore pensieri di sospetto e di malevolenza, ecco lo scopo dell’avversario. La suggestione spinse Eva a prendere il frutto proibito, avendo constatato che era piacevole alla vista e prezioso per l’intelligenza (Gen. 3:6). In definitiva tutto ciò che la donna constatò ed imparò con la sua disubbidienza fu che era nuda, ossia condannata. La sua coscienza le rimproverava il suo misfatto e la sua disubbidienza, per questo si nascose; tuttavia non immaginava le terribili conseguenze della sua separazione della comunione con Dio.

COME UNA PARTE DEI SANTI ANGELI DI DIO DIVENNERO DEMONI
Abbiamo potuto renderci conto, da ciò che precede, che gli spiriti celesti, detti angeli, apparivano sulla terra in piena libertà, ma non il cherubino protettore, divenuto Satana, il diavolo. Questo cherubino, che doveva manifestare una potente protezione sugli uomini, ha terribilmente abusato del potere concessogli. Invece di proteggere l’umanità, l’ha fatta cadere nel peccato. Era il primo passo nella realizzazione del suo progetto di formare un impero per proprio conto, per questo divenne l’avversario di Dio, proclamandosi egli stesso di Dio (Isaia 14:14). Il suo piano, che pareva riuscire, gli riservò la sorpresa d’una terribile delusione. Satana non poté custodire in vita l’uomo. La sentenza di morte pronunciata dal Signore si compì malgrado tutto. Tale sentenza e la sua esecuzione dovevano spingere l’uomo a ricercare i favori di Dio, l’unico che possiede la vita in se stesso. Stana, malgrado tutte le sue menzogne, ha condotto il genere umano alla tomba, ed è divenuto il suo omicida (Giov. 8:44). La discesa nel sepolcro è stata inevitabilmente una terribile delusione per l’umanità; le Scritture ci dicono: «Nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è più lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza» (Eccl. 9:10).

Avere quale eredità e risultato di tutta una vita i dolori, la corruzione e la putrefazione, non fa certo sorridere nessuno. Bisognava dunque che Satana immaginasse una menzogna o piuttosto che continuasse nella menzogna, facendo credere all’uomo che egli non poteva morire, che la morte era soltanto apparente e non era la cessazione della vita. A tale scopo l’avversario escogitò la dottrina dell’immortalità dell’anima umana. Questa menzogna è il principale insegnamento di Satana infatti tutta la sua impalcatura d’inganni è basata su questa falsa dottrina, negata da tutta la Bibbia. Citeremo un sol brano, sufficientemente chiaro, per dimostrare la falsità di questa credenza: «I viventi sanno che morranno ma i morti non sanno nulla, e non vi è più per essi alcun salario, poiché la loro memoria è dimenticata» (Eccl. 9:5).

La morte è la cessazione del funzionamento dell’organismo e la perdita di ogni sensazione d’esistenza (La Divina Rivelazione). Satana non si accontentò di questa affermazione poiché davanti ai fatti evidenti della morte, della corruzione e del sepolcro, risultati della condanna, l’avversario temeva che gli uomini gli sfuggissero. Concepì dunque un piano che gli permettesse di rendere vitale l’umanità e, nello stesso tempo, di continuare a propagare la sua menzogna relativa all’immortalità del’anima umana. Satana influenzò gli angeli nel periodo precedente il diluvio; li spinse ad approfittare del potere che Dio aveva loro concesso di materializzarsi a somiglianza degli esseri umani, per avere relazioni sessuali con le figlie degli uomini. Tale fatto è indicato nelle Scritture con le seguenti parole: «…gli angeli che non serbarono la loro dignità primitiva, ma lasciarono la loro propria dimora; nello stesso modo Sodoma e Gomorra e le città circonvicine si abbandonarono alla fornicazione ed a vizi contro natura» (Giuda 6 e 7).

Questa dichiarazione della Bibbia c’indica che cosa risultò di fatto che Dio aveva dato agli angeli di potersi materializzare. Questi, o almeno un certo numero di essi, hanno scandalosamente abusato di tale potere ed hanno avuto, come abbiamo detto, relazioni con le figlie degli uomini. La Genesi (cap. 6) ce lo insegna in questi termini: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono nate delle figliole… i figli di Dio (angeli) ne presero per mogli». Il risultato d’un tale incrocio fu la nascita di giganti. La Bibbia dice: «Furono gli eroi famosi nell’antichità». La loro storia, più o meno esagerata e più o meno ricamata d’ogni genere di menzogne, è citata in parte dalla mitologia, che considera come dei gli angeli che ebbero tali traffici e come semidei la progenie nata da tali relazioni.

Qualche dotto ha creduto di vedere nella mitologia (che cita la vita di esseri soprannaturali i quali avrebbero avuto relazioni con gli uomini) l’inizio di certe religioni. La Bibbia ci dà una chiara spiegazione su questi esseri ibridi: i giganti e gli eroi dell’antichità cono nati dal traffico illecito di angeli con le figlie degli uomini (Gen. 6). Specialmente gli Egiziani davano grande importanza alla mitologia, da loro definita in altro modo. In tale popolo i semidei ebbero una certa popolarità e gli abitanti dell’Egitto costruirono templi in loro onore. Si citano quali divinità Iside ed Osiride. Evidentemente si tratta di una leggenda che ha uno spunto di verità. Questi giganti, nati dall’incrocio delle figlie degli uomini con gli angeli decaduti, sono stati conosciuti da Seth, figlio di Adamo, il cui nome è riportato nella leggenda egiziana insieme a quelli di Iside e di Osiride.

Anche i Greci ebbero una grande conoscenza della mitologia. È evidente che tutti questi fatti furono esagerati; l’avversario, che mediante la suggestione tiene sotto il suo potere l’intera umanità, poteva farlo con estrema felicità. Satana sperava dunque di rendere vitali gli uomini generando esseri ibridi che, secondo lui, avrebbero potuto sfuggire alla morte dovuta alla vecchiaia, essendo nati da esseri spirituali. Il diluvio venne e distrusse questi giganti con tutta l’umanità, eccetto Noè e la sua famiglia. Inoltre la Bibbia afferma che l’Eterno colpì con una terribile condanna gli angeli che si erano prostituiti con le figlie degli uomini. Le Scritture dicono a tale proposito: «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò confidandoli in antri tenebrosi (il tartaro, lo strato d’aria che circonda la terra) per esservi custoditi per il giudizio» (2 Pietro 2:4).

Le menzogne e le malvagità continuarono a manifestarsi. Gli angeli decaduti, colpiti da tenebre ed imprigionati nello strato d’aria che circonda la terra, risentono la loro disgraziata situazione. Essi aggravano la loro infelicità, tormentandosi vicendevolmente. Resteremo in tale condizione fino al giorno del giudizio. Satana ha approfittato della loro situazione infelice per inventare la spaventosa bestemmia dell’inferno, che sotto la suggestione dell’avversario viene insegnata dalle dottrine pagane. È questa l’origine di tale dottrine abominevole. Il regno di Satana si è costituito completamente con esseri decaduti: da un lato gli angeli infedeli e dall’altro l’umanità privata della comunione con Dio e colpita dalla condanna. Ecco in che cosa consiste il regno dell’avversario il dio di questo mondo, colui che avrebbe dovuto essere l’intermediario fra Dio e gli uomini, poiché Iddio l’aveva incaricato di proteggerli. Invece egli è stato il loro seduttore ed il loro omicida (Giov. 8:44). Le Scritture definiscono il regno di Satana: «Questo mondo di tenebre».

Le tenebre del mondo consistono nel far passare la morte per vita (mediante la menzogna dell’immortalità dell’anima umana), le tenebre per luce, l’odio per amore, l’ingiustizia per giustizia. Il Regno della luce è in opposizione, col suo spirito, al mondo delle tenebre. Questo Regno di luce è formato dall’Eterno, il Dio delle luci, dal suo Figlio degli spiriti celesti o angeli fedeli. Il regno di Satana, attualmente stabilito sulla terra, comprende il mondo pagano, maomettano e la grande Babilonia: la cristianità nella quale le autorità civili, militari e religiose sono stabilite sotto la potenza di Satana, il dio di questo mondo.

La grande seduzione, come abbiamo detto, consiste in questo: nessuno suppone che le varie religioni comprese quella cattolica, quella ortodossa e quelle protestanti siano opera di Satana. Le persone che vengono in contatto con i veri figli di Dio, i figli della luce, trovano che questi sono insensati, poiché sono miti e perdonano chi li offende, senza chiedere giustizia, intercedono per i colpevoli e amano i loro nemici, non difendono i loro interessi materiali, hanno fiducia illimitata in Dio ed una fede completa. I figli della luce si lasciano guidare da Dio, si accontentano di ciò che è dato loro e non desiderano le ricchezze umane, né si impegnano nella lotta per la sopravvivenza. Essi amano il loro Padre che è nei cieli ed hanno una totale fiducia in Lui; amano i figli di Dio, ossia i loro fratelli e le loro sorelle. Per questo sono nella luce e non vi è in loro alcuna occasione di caduta (1 Giov. 2:10).

Tali cose non si trovano in Satana e nemmeno nel suo regno. La potenza dello spirito del seduttore fa apparire i tratti discepoli come insensatezze; Satana infatti predica l’egoismo, ossia la difesa degli interessi personali e terreni, che generano la discordia fra gli uomini e li rendono disgraziati ed incapaci di uscire dalla loro terribile situazione, malgrado tutti i loro sforzi. Abbiamo chiaramente dimostrato in che modo gli angeli di Dio sono divenuti dei demoni ed in che modo sono stati colpiti dalle tenebre con il loro capo Satana, che è divenuto il principe delle tenebre dopo essere stato il principe della luce ed aver vissuto in armonia con Dio. Le Scritture lo definiscono principe o dio di questo mondo. Gli angeli decaduti detti demoni, imprigionati nello strato d’aria che circonda la terra, sotto la guida del loro capo suggestionato continuamente gli uomini. Essi desiderano avere e mantenere relazioni con le creature terrestri mediante l’eccitazione di passioni per mezzo di fascini seduttori.



LA RELIGIONE CATTOLICA NELLE SCUOLE
Nell’ora di religione, che cosa insegnano?: NIENTE; perché niente? Perché se insegnano qualche cosa vanno contro le “Sacre Scritture” e non possono insegnare qualche cosa, perché insegnano “idolatria” nella testa degli alunni e devono rendere conto ai genitori, soprattutto a Dio. Allora cosa serve insegnare la religione Cattolica? Per combattere le altre religioni, per paura che altre religioni prosperano e cosi sempre meno vanno nelle chiese Cattoliche. (La chiesa con il campanile, non è la vera chiesa di DIO).

NOME DI DIO - YHWH. Questi antichi ebrei gli hanno dato un nome.
(Esodo 3:13,14,15)
COSA DOVETE FARE PER VIVERE PER SEMPRE QUI’ SULLA TERRA E SU ALTRI PIANETI O IN CIELO CON L’ETERNO DIO:
L’Eterno DIO vi offre un’opportunità meravigliosa, quella di vivere per sempre nel suo giusto sistema di cose. (II Pietro 3:13)
(Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia).
Ma per viverci dovete fare ora la volontà di Dio. L’attuale mondo malvagio, inclusi tutti quelli che continuano a farne parte, sta per scomparire, “ma chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”, in Eterno. (I Giovanni 2:17) Dovete quindi scegliere fra due strade. Una conduce alla morte e l’altra alla vita eterna. (Deuteronomio 30:19, 20) Quale sceglierete? (Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu viva, tu e la tua discendenza, amando il Signore, il tuo Dio, ubbidendo alla Sua voce e tenendoti stretto).

Come potete dimostrare di aver scelto la vita? Innanzi tutto dovete avere fede nell’Eterno Dio e nelle sue promesse. Siete fermamente convinti che Dio esiste “e che è il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano” ? (Ebrei 11:6) (Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano).
Dovete confidare in Dio come un figlio o una figlia confida in un padre amorevole e misericordioso. (Salmo 103:13,14; (Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono)(Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere.) (Proverbi 3:11,12) (Figlio mio, non disprezzare la corruzione del Signore, non ti ripugni la sua riprensione; perché il Signore riprende colui che egli ama, come un padre il figlio che gradisce.) ( Se avete questa fede, non dubiterete della saggezza dei suoi consigli e della giustezza delle sue vie, anche se a volte non li comprenderete pienamente. La fede da sola, però, non è sufficiente. Devono esserci anche opere che dimostrino quello che realmente provate per l’Eterno Dio. (Giacomo 2:20,26) Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?. Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. Avete fatto qualcosa per mostrare che vi dispiace di aver compiuto in passato azioni non giuste? Vi siete sentiti spinti a pentirvi o a fare cambiamenti per mettere la vostra vita in armonia con la volontà dell’Eterno? Vi siete convertiti, abbandonando qualsiasi precedente comportamento errato, e avete cominciato a fare le cose che Dio richiede? (Atti 3:19; 17:30) (Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano).

SCEGLIETE LA VITA ETERNA SULLA TERRA PARADISIACA
Non ci sono che due possibilità. Cristo spiegò che era come scegliere fra due strade. Una strada, disse, “è ampia e spaziosa”. Chi la percorre è libero di fare come gli pare. L’altra strada, invece, è “angusta”. Sì, quelli che la percorrono devono ubbidire alle istruzioni e alle leggi di Dio. La maggioranza, osservò Gesù, sceglie la strada larga; pochi quella stretta. Quale strada sceglierete voi? Nel fare la vostra scelta, tenete presente questo: la strada larga finirà all’improvviso in un vicolo cieco, la distruzione! La strada stretta, invece, vi condurrà diritto nel nuovo sistema di Dio. Lì potrete partecipare all’opera di fare della terra uno splendido paradiso, in cui potrete vivere felici per sempre. – Matteo 7:13,14. (Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano).

Non illudetevi che ci siano altre strade o modi per ottenere la vita nel nuovo sistema di Dio. Ce ne una sola. Ci fu solo un’arca che superò il Diluvio, non varie imbarcazioni. E ci sarà un’unica organizzazione – la visibile organizzazione di Dio – sopravvivrà alla “grande tribolazione” che s’avvicina rapidamente. Non è affatto vero che tutte le religioni portino allo stesso luogo. (Matteo 7:21-23; 24:21) (Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Allora dichiarerò loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori”. Perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. Se volete ricevere dall’Eterno la benedizione della vita eterna, dovete far parte della Sua organizzazione, facendo la Sua volontà. – Salmo 133:1-3. (Ecco quanto è buono e quanto è piacevole che i fratelli vivono insieme! È come olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba d’Aronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestiti; è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion; là infatti il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno. Tenete quindi vivo nella mente e nel cuore il quadro del promesso nuovo sistema di cose di Dio. Pensate ogni giorno al grande premio che l’Eterno Dio ha in serbo per voi: la vita eterna sulla terra paradisiaca. Non è un sogno. È una realtà! L’adempimento di questa promessa biblica è infatti certo: “I giusti stessi possederanno la terra, e risiederanno su di essa per sempre . . . Quando i malvagi saranno stroncati, tu lo vedrai”. – Salmo 37:29,34. (I giusti erediteranno la terra e l’abiteranno per sempre. Spera nel Signore e segui la sua via; egli ti esalterà perché tu possiedi la terra, e veda lo sterminio degli empi.

Vuoi far parte ai 144.000? Se ti è possibile. Sarà in tali condizioni paradisiache che Gesù Cristo e i suoi 144.000 re associati giudicheranno l’umanità. Coloro che sceglieranno di servire l’Eterno Dio potranno ricevere la vita eterna. Ma anche nelle migliori delle circostanze alcuni rifiuteranno di servire Dio. Le Scritture dicono: “Benché al malvagio si mostri favore, egli semplicemente non imparerà la giustizia. Nel paese della dirittura agirà ingiustamente”. (Isaia 26:10) Quindi dopo aver ricevuto ogni opportunità di cambiar vita e di imparare la giustizia, quei malvagi saranno distrutti. Alcuni saranno messi a morte anche prima della fine del Giorno del Giudizio. (Isaia 65:20) Non sarà permesso loro di rimanere per corrompere o rovinare la terra paradisiaca.


I COSIDETTI CRISTIANI, MA NON LO SONO: sono cristiani Cattolici
Politicanti, conoscono bene i nomi dei mafiosi, ma non lo dicono, vanno confessarli e li fanno la comunione liberandoli da tutti i peccati, questi cristiani Cattolici: Papa, Cardinali, Vescovi, ecc. Hanno delle Basiliche, Monasteri, Cattedrali, Tesori, ricchezze di ogni genere.
Il Papato, con i suoi vescovi, sono rimasti con la legge che c’era prima che venisse Gesù Cristo, combattendo contro la Città Santa Gerusalemme, ammazzando Ebrei, scribi, Farisei e facendo crociate, sante inquisizioni, rubando terreni e beni di ogni genere. Ancora oggi sono occhio per occhio e dente per dente, naturalmente lo fanno con astuzia, mandando altre persone perché loro non muovono neanche un dito, questi politicanti vescovi. La loro politica è di fare soldi, con l’assistenza sociale rubano i bambini ai propri genitori e li portano nei conventi di suore e così gestiscono il denaro che il Governo li passa, i soldi non li danno ai propri genitori, che si accontenterebbero di molto meno.

Dopo anni i bambini vengono dati ai genitori, finalmente, ormai i ragazzi sono diventati rincretiniti, non sanno di niente. Ora queste suore, che tante sono state raccolte dalla strada, è naturale che non possono darli una buona educazione. Si è visto che tanti preti vanno per gli ospedali per assistere i moribondi poi si è sentito dai parenti che i beni sono andati ai bisognosi, dove sarà mai la verità? Dove andranno finire questi beni dopo che li hanno fatto firmare queste carte.
Gesù Cristo interverà presto affinché ci sia pace qui sulla terra.
Gesù condanna gli scribi e i falsi cristiani cattolici e i farisei.

Matteo 23:1,36
Allora Gesù parlò alla folla e ai suoi discepoli, dicendo: “Gli scribi e i farisei (e tutti quelli che non mettono in pratica la mia parola, cioè i falsi cristiani cattolici e tutto il papato che non hanno insegnato la Bibbia) siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno. Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ad essere chiamati dalla gente: “Rabbi!” Ma voi non vi fate chiamare “Rabbi!”; perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo; ma il maggiore tra di voi sia vostro servitore.

Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato”. “Ma guai a voi, (falsi cristiani) scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare. Guai a voi, (e a tutti quelli che non insegnano le Sacre Scritture) scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra; perciò riceverete maggior condanna. Guai a voi (Vescovi della chiesa romana) scribi e farisei ipocriti, perché viaggiate per mare e per terra per fare un proselito; e quando lo avete fatto, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi.

Guai a voi, guide cieche, che dite: Se uno giura per il tempio, non importa: ma se giura per l’oro del tempio, resta obbligato. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che santifica l’oro? E se uno, voi dite, giura per l’altare, non importa; ma se giura per l’offerta che c’è sopra, resta obbligato. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? Chi dunque giura per l’altare, giura per esso e per tutto quello che c’è sopra, e chi giura per il tempio, giura per esso e per Colui che lo abita; e chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi siede sopra. Guai a voi scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell’aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. Guide cieche, che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello. Guai a voi, (preti e frati) scribi e farisei ipocriti, perché pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere del piatto, affinché anche l’esterno diventi pulito. Guai a voi, (che vi fate chiamare maestri) scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.

Guai a voi, (falsi cristiani) scribi e farisei ipocriti, perché costruite i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: “Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere sangue dei profeti!” In tal modo voi testimoniate contro voi stessi di essere figli di coloro che uccisero i profeti. E colmate pure la misura dei vostri padri! Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna? Perciò ecco, io vi mando dei profeti dei saggi e degli scribi; di questi alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città, affinché ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare. Io vi dico in verità che tutto ciò ricadrà su questa generazione.

Apocalisse 16:15
Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti perché non cammini nudo e non si veda la sua vergogna. (che vuol dire, senza la parola, cioè, la conoscenza della Bibbia).

PASSI BIBLICI DIMOSTRANTI GLI ERRORI DELLE RELIGIONI
L’uomo non ha un’anima immortale, ma egli è un’anima vivente (o essere sensitivo) in virtù della circolazione del sangue nell’organismo.
Genesi 2:7 E l’Uomo divenne un’anima vivente. Genesi 2:17 Perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai. Genesi 3:4,5 Satana disse alla donna: No, non morrete affatto. Levitico 17:14 Perché la vita d’ogni carne è il sangue. Ecclesiaste 3:19,20 Come muore l’animale, così muore l’uomo, hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha alcuna superiorità sulla bestia. Ecclesiaste 9:10 Nel soggiorno dei morti dove vai, non vi è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza. Ezechiele 18:4,20 L’anima che pecca sarà quella che morrà. Matteo 10:28 Temete quelli che possono far perire l’anima e il corpo. Matteo 12:40 Gesù restò tre giorni nella terra (nel soggiorno dei morti). Giovanni 3:13 Nessuno è salito in cielo, se non Colui che è disceso dal cielo: il Figliuolo dell’uomo. Atti 2:34 Davide non è salito in cielo. Romani 2:7 Coloro che cercano gloria, onore e immortalità. 1 Corinzi 15:45 Adamo fu fatto anima vivente. 1 Timoteo 6:15,16 Iddio solo possiede l’immortalità. 2 Timoteo 1:10 Gesù mise in evidenza vita e immortalità mediante l’Evangelo. Romani 6:23 Il salario del peccato è la morte.

LA RISURREZIONE DALLA TOMBA (DALLA MORTE)
Isaia 26:19 Risorgano i tuoi morti! La terra ridarà alla vita le ombre. Isaia 38:17,19 Non è la morte né il sepolcro che ti possano lodare. Ezechiele 37:1-14 E lo spirito entrò in esse, e tornarono alla vita. Daniele 12:2 Coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno. (Matteo 27:51-53 Versetti inesistenti negli antichi manoscritti). 2 Timoteo 2:18 La risurrezione non ha ancora avuto luogo. Giovanni 5:28,29 Tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la Sua voce e risorgeranno. Giovanni 11:24,25 Marta disse: Io so che Lazzaro risorgerà nell’ultimo giorno. Giovanni 20:9 e Atti 17:31 Gesù risuscitato dai morti. Atti 26:23 Il Cristo è il primo risuscitato dai morti. Atti 26:8 Vi pare incredibile che Iddio risusciti i morti? Atti 23:6 L’apostolo Paolo predice la risurrezione (ed è giudicato per questo). Atti 24:15 Vi sarà la risurrezione dei giusti e degli ingiusti. 1 Corinzi 15:20,23 Tutti risorgeranno in Cristo, ma ognuno nel proprio ordine, Cristo la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta. 1 Tessal. 4:16,17 I morti in Cristo risusciteranno i primi, alla sua venuta. Apocalisse 20:6 Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione.

CONTRO LA DOTTRINA DELL’INFERNO
Ebrei 12:29 Perché il nostro Dio è anche un fuoco ardente. Ebrei 1:7 Gli angeli sono fiamme di fuoco. Marco 9:49 Ogni uomo sarà provato col fuoco (vi sono tre inferni):

1) Ebrei Capitolo 2° Purificazione degli antichi dignitari.

2) 1 Pietro 4:12 Purificazione dei discepoli. “Non meravigliatevi della fornace che è in mezzo a voi per provarvi”.

3) Malachia 4:1 (Gli uomini) Il giorno viene ardente come una fornace. Malachia 3:2 Egli è come un fuoco d’affinatore, come la potassa dei lavatori di panni. Luca 12:49 Io son venuto ad accendere un fuoco sulla terra (con la verità). 2 Samuele 22:9 Un fuoco ardente usciva dalla sua bocca (la verità). Isaia 10:17 La luce d’Israele diverrà un fuoco, e il suo Santo una fiamma. Isaia 31:9 L’Eterno ha il suo fuoco in Sion e la sua fornace in Gerusalemme. Isaia 48:10 Ti ho affinato nel crogiuolo dell’afflizione. Isaia 33:14 Chi di noi potrà resistere al fuoco divorante? Chi potrà resistere alle fiamme eterne? (con i figli di Dio e la verità).

1 Corinzi 3:12,14 Il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ognuno. Apocalisse 20:7,10 Stagno di fuoco e di zolfo (Kolasin distruzione) vedi: Apocalisse 20:14 La morte e l’inferno furono gettati nello stagno di fuoco (cioè nella seconda morte). Salmo 37:20 Gli empi periranno. Ebrei 2:14 Egli distrusse colui che ha il potere della morte, il diavolo. Apocalisse 21:4 La morte non ci sarà più, né cordoglio, né grida, né dolore, ed ogni cosa sarà nuova. Daniele 7:9,10 Fiamme di fuoco erano il suo trono.

ADORAZIONE: PAPA OD ALTRI TITOLI DELLA CHIESA
Matteo 4:10 Adora il Signore Iddio tuo ed a Lui solo rendi il culto. Matteo 23:7,12 Non fatevi chiamare maestro, padre o dottore ecc. Atti 10:26 Pietro dice a Cornelio: alzati, anch’io sono uomo! Atti 14:14,15 Paolo disse a Listra: Anche noi siamo uomini. Apocalisse 19:10 L’angelo rispose a Giovanni: Attenzione, non adorarmi, io sono un tuo conservo, ma adora Iddio solo.

IL PAPA NON È IL SUCCESSORE DI PIETRO
Atti 11:2 I fedeli di Gerusalemme fecero dei rimproveri a Pietro. 1 Corinzi 3:11 Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Gesù Cristo. Atti 1:26 Dio solo conosce i suoi; esempio: Mattia e Paolo. 2 Corinzi 11:5 Paolo dice: Non son stato inferiore in nulla ai sommi apostoli. Galati 2:11 Quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistetti in faccia. Efesini 1:22 Gesù è il capo supremo della Chiesa. Efesini 2:20 Gesù stesso è la Pietra angolare dell’edificio. Efesini 4:15 Il Cristo è il capo. 1 Pietro 5:1 Pietro dice: Io anziano con loro. 1 Pietro Noi siamo tutti delle pietre viventi. 2 Pietro 1:1 Pietro, servitore ed apostolo di Gesù Cristo. La supremazia del vescovo di Roma fu riconosciuta al concilio di Efeso nel 431 e confermata al concilio di Calcedonia nel 451. Il primo papa fu Leone I° dall’anno 440 al 461. Alla fine del I° secolo, s. Ignazio, vescovo di Antiochia, fece delle epistole; è lui il primo che dice: Questa chiesa cattolica, cioè universale. (Papato) 2 Tessalonicesi 2:7-9; Ezechiele 28:2-10.

IMMAGINI, RELIQUIE ECC.
Atti 17:29 La divinità non è simile ad oro, argento, o idoli terrestri. Isaia 44:10-20 Idoli delle nazioni; Isaia 45:20; 46:5-9; Geremia 10:1,5. Deuteronomio 5:8 Non ti fare scultura alcuna, né immagini tagliate. Giovanni 4:24 Occorre adorare Iddio in spirito ed in verità.

ASSOLUZIONI, INTERCESSIONI, CONFESSIONE, SALVEZZA
2 Corinzi 5:10 Dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo. Giacomo 5:16 Confessate i vostri falli gli uni agli altri. 1 Timoteo 2:5 Vi è un solo Dio e un solo Mediatore fra Dio e gli uomini, Gesù Cristo. Efesini 1:7 In Gesù Cristo abbiamo la redenzione, nel suo sangue la remissione dei peccati. 1 Giovanni 1:7 Il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato. 1 Giovanni 2:1,2 Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre. Romani 14:4 Se il servitore cade, ciò riguarda il suo Maestro. (Confessioni). Atti 4:12 Non vi è salvezza in nessun altro. Giovanni 14:6 Io sono la via… Nessuno viene al Padre se non per me. Giovanni 14:13 Ogni cosa che avrete chiesta in nome mio, quella farò. 1 Timoteo 4:10 Iddio è il Salvatore di tutti gli uomini, principalmente dei credenti.

MESSE
Ebrei 7:25,27 Gesù si è offerto una volta per tutte, ed egli non ha bisogno, come i sacrificatori, di offrire ogni giorno dei sacrifici. Ebrei 9:25,28 Gesù apparve una sola volta per abolire il peccato, con il suo sacrificio. Ebrei 10:10,14 Siamo santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per tutte. 1 Pietro 3:18 Cristo ha sofferto una volta per i peccati. Romani 6:10 È per i peccati che Egli è morto una volta per sempre. Salmo 51 (Miserere); Salmo130 (Deprofundis).

VERGINE MARIA
Matteo 12;47,50 Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Dice Gesù. Matteo 13:53,58; Marco 6:3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, fratello di Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi? Marco 3:32,34 La famiglia di Gesù. Luca 8:19,21 Chi è mia madre?

LA TRINITÀ
Il Padre è una persona, il Figlio è una persona ed il santo spirito è la potenza di Dio… e non una persona (Atti 1:8). Giovanni 14:28 Il Padre è più grande di me (versetto 31). Giovanni 5:19,21 Non faccio nulla da me stesso (versetti 26,30,37,43). Giovanni 8:17,18 Io rendo testimonianza di me stesso, il Padre rende testimonianza di me (versetto 42). Filippesi 2:6 Gesù essendo in forma di Dio. Atti 17:31 Dio ha risuscitato Gesù. Giovanni 12:49 Il Padre che mi ha mandato, Lui stesso mi ha ordinato ciò che io devo dire e annunciare (Giovanni 17:7,8). 1 Giovanni 2:1 Noi abbiamo un avvocato presso il Padre. Luca 2:49 Occupato negli affari del Padre suo. 1 Corinzi 11:3 Dio è il capo di Cristo. 1 Corinzi 15:28 Allora il Figlio sarà sottoposto al Padre.

IL SANTO SPIRITO
Giovanni 3:6 Ciò che è nato dallo spirito è spirito. Giovanni 3:34 Iddio non dà lo spirito con misura. Numeri 11:17 Io prenderò dello spirito che è sopra di te. Atti 2:4 Tutti furono ripieni dello spirito santo. Isaia 11:2 Lo spirito dell’Eterno riposerà sopra di lui, spirito di sapienza. Atti 1:8 Voi riceverete la virtù dello spirito santo (che è una potenza).

L’APPELLO CELESTE: (I NUOVI CIELI, I 144.000) ELETTI)
Matteo 5:3 Beati i poveri in spirito, perché di loro è il Regno dei cieli. Matteo 24:22 A cagione degli eletti quei giorni saranno abbreviati. Giovanni 14:3 Quando io sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi accoglierò con me, affinché dove sono io siate anche voi. Giovanni 14:19 Fra poco tempo il mondo non mi vedrà più. Giovanni 17:24 Padre, io voglio che dove io sono, quelli che Tu mi hai dato siano anche con me. Giovanni 18:36 Il mio Regno non è di qui. Atti 15:14 Dio ha dato uno sguardo sulle nazioni per scegliersi un popolo. Atti 8:33 La sua vita è stata tolta dalla terra (quella di Gesù). Efesini 1:20,21 Egli lo fece sedere alla propria destra nei luoghi celesti… non soltanto in questo secolo, ma anche nei secoli futuri. Filippesi 3:20 La nostra cittadinanza è nei cieli… il Signore trasformerà il nostro corpo vile per l’umiliazione… simile al corpo della sua gloria. 2 Timoteo 4:18 Il Signore mi farà entrare nel suo Regno celeste. Ebrei 3:1 Fratelli santi che avete parte alla vocazione celeste. Ebrei 10:12 Gesù si è seduto per sempre alla destra di Dio. Ebrei 12:14 Senza la santificazione (cambiar di carattere) nessuno vedrà il Signore. 1 Pietro 1:4 Per l’eredità… custodita nei cieli per voi. 2 Pietro 1:4 Affinché possiate divenire partecipi della natura divina. Apocalisse 14:4,5 Essi sono stati riscattati di fra gli uomini per essere primizie a Dio…

L’APPELLO TERRESTRE, L’ESERCITO DELL’ETERNO (LA NUOVA TERRA)
Matteo 5:5 Beati i mansueti perché essi erediteranno la terra. Giovanni 10:16 ho anche delle altre pecore, che non son di questo ovile, anche quelle devo raccogliere (i mansueti). Salmo 37:29 I giusti erediteranno la terra e l’abiteranno in eterno. Proverbi 2:21 Perché gli uomini giusti, retti, abiteranno la terra. Ezechiele 16:53,55 Sodoma, Samaria e le loro terre ritorneranno al loro stato primitivo. Michea 4:4 Siederanno ognuno sotto la sua vigna e sotto il suo fico. Isaia cap. 35 Il deserto fiorirà come la rosa, ecc.. Isaia 11:1,10-11 Il lupo e l’agnello vivranno insieme ecc. (versetti 6,7). Isaia 65:17,25 Edificheranno delle case e vi abiteranno. Daniele 2:44,34 E la pietra (il Regno di Dio) empie tutta la terra. Gioele 2:2-17 Come l’alba si spande sui monti viene un popolo numeroso e potente . . . mai visto prima . . . (Habacuc 3:16-19).

LA BIBBIA
2 Timoteo 3:16 Tutta la Scrittura è utile per insegnare, istruire e correggere. Atti 17:10,11 Quelli di Berea esaminavano ogni giorno le Scritture. Giovanni 5:39 Le Scritture rendono testimonianza di me. Luca 16:29 Hanno Mosé ed i profeti, ascoltino quelli. 1 Tessalonicesi 5:20,21 Non disprezzare le profezie, ma esaminate ogni cosa. Ebrei 4:12,13 Perché la Parola di Dio è vivente ed efficace. Giovanni 14:26 Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa (1 Giovanni 2:27). 1 Corinzi 2:10,15 Lo Spirito Santo investiga ogni cosa, anche le cose profonde di Dio.

IL SERVITORE FEDELE E PRUDENTE
Matteo 24:45-47 Qual è mai il servitore fedele e prudente che il padrone abbia costituito sui suoi domestici per dar loro il vitto a suo tempo? Beato quel servitore . . . Giobbe 33:14-30 Se v’è un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all’uomo il suo dovere, Iddio gli dice: Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto (versetti 23,24). Apocalisse 1:3 Beato chi legge e beati coloro che ascoltano questa profezia. Malachia 3:1 Vi mando il mio messaggero, egli preparerà la via davanti a me . . . Malachia 4:5 Vi mando Elia il profeta (la Chiesa) prima del Giorno dell’Eterno . . .

LA RINUNCIA PER GLI ELETTI
Luca 14:26-33 Chi non rinuncia a tutto ciò che ha non può esser mio discepolo. Matteo 5:8 Beati i puri di cuore . . . Matteo 19:10-12 Vi sono degli eunuchi che si son fatti per il Regno (Isaia 56:4,5). Romani 6:12-20 Non prestate le vostre membra all’iniquità. Romani 12:1 Vi esorto a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente. 2 Timoteo 2:21 Chi si serba puro sarà un vaso santificato . . . 1 Giovanni 2:15 Non amate il mondo né le cose del mondo. Giacomo 4:4 Non sapete che l’amicizia del mondo è contro Dio. Apocalisse 3:5,12,21 Chi vince sarà vestito di veste bianca, ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e dei suoi angeli . . . Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

NON ABBIATE “FEDE” IN NESSUNA RELIGIONE, SOPRATTUTTO QUELLA CHE SVIA LE PERSONE DALLA “VERITÀ”. ASCOLTARE LA “PAROLA”, CHE È NELLA ”BIBBIA”, SI HA LA “VERA FEDE” E IL DONO DELLO “SPIRITO SANTO”. “GESÙ” È SALITO IN CIELO (NON LA MADONNA) E HA MANDATO UN CONSOLATORE, ORA SIAMO SULLA BUONA STRADA PER LA SALVEZZA ETERNA. COME CHIAMARLO; DIO? SI PUÒ CHIAMARLO “DIO”, “ETERNO”, “SIGNORE”, “PADRE CELESTE CHE SEI NEI CIELI”. PREGANDOLO PER DELLE COSE UTILI CHE SONO NECESSARIE, E LUI, C’È LE DA, SEMPRE CHIEDENDOLO, SOLO NEL NOME DEL SIGNORE GESÙ. SOLO LUI HA PAGATO PER IL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI. SOLO LUI PUÒ PARLARE CON IL PADRE CHE È NEI CIELI E NESSUN ALTRO PUÒ INTERCEDERE.
MOSÉ DISSE A DIO: “ECCO, QUANDO SARÒ ANDATO DAI FIGLI D’ISRAELE E AVRÒ DETTO LORO: “IL DIO DEI VOSTRI PADRI MI HA MANDATO DA VOI”, SE ESSI DICONO: QUAL È IL SUO NOME?” CHE COSA RISPONDERÒ LORO?” DIO DISSE A MOSÉ: “IO SONO COLUI CHE SONO”. POI DISSE: “DIRAI COSÌ AI FIGLI D’ISRAELE: “L’IO SONO MI HA MANDATO DA VOI”. DIO DISSE ANCORA A MOSÉ: DIRAI COSÌ AI FIGLI D’ISRAELE: “IL SIGNORE, IL DIO DEI VOSTRI PADRI, IL DIO D’ABRAAMO, IL DIO D’ISACCO E IL DIO DI GIACOBBE MI HA MANDATO DA VOI”. TALE È IL MIO NOME IN ETERNO; COSÌ SARÒ INVOCATO DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE. ESODO 3:13,14,15. DIO È SEMPRE ESISTITO DAL PRINCIPIO, PERSONE IN FUTURO LI HANNO DATO NOMI VARI.

(6)QUELLI CHE CONOSCONO IL TUO NOME, CONFIDERANNO IN TE, O ETERNO. (Salmo 9:10)
(Quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te, perché, o Signore, tu non abbandoni quelli che ti cercano).
Per poter aver fiducia di una persona è necessario conoscerla (non è possibile fidarsi di qualcuno che non conosciamo) e che questa conoscenza ci offra fondate garanzia sulle sue capacità e sulle sue potenzialità. Sappiamo bene purtroppo come a volte può succedere che più conosciamo una persona e meno ci fidiamo di lei. L’affermazione del salmista Davide esprime una certezza: le persone che conoscono Dio avranno sicuramente fiducia di Lui! che equivale a dire che non è possibile conoscere Dio e non avere fiducia in Lui. Ne consegue che l’incredulità è frutto dell’ignoranza. Chi non ha fede in Dio non si è mai neppure minimamente impegnato a conoscerLo, perché il conoscerLo lo avrebbe inevitabilmente condotto alla fede. L’ateo, quindi, non è uno che non crede in Dio, ma è piuttosto uno che si rifiuta ostinatamente di conoscerLo: prima della scelta di non credere, egli ha compiuto la scelta di non conoscere. La fede nasce, infatti, dall’ascolto e dalla conoscenza della Parola di Dio (Romani 10:17).
(Cosi la Fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo). Ascoltare per conoscere: questa è la prima scelta da compiere per giungere alla fede. p.m.

MARIA MADDALENA non ha lavato i piedi a Gesù. È Maria di Betania che ha lavato i piedi a Gesù; Gesù dunque, sei giorni avanti la Pasqua, venne a Betania dov’era Lazzaro ch’egli aveva risuscitato dai morti. E quivi gli fecero una cena: Marta serviva, e Lazzaro era uno di quelli ch’erano a tavola con lui. Allora Maria, (Maria di Betania, sorella di Lazzaro) presa una libbra d’olio odorifero profumato, di nardo schietto, di gran prezzo, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli; e la casa fu ripiena del profumo dell’olio. (Giov. 12:1-3) (Giov.11:32)(Luca 10:39)
MARIA MADDALENA fu liberata da sette demoni; Con Lui vi erano i dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni (Luca 8:2). Gesù risorto apparve a lei per prima; Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demoni (Marco 16:9). LA DONNA ADULTERA non era MARIA MADDALENA; Gesù andò al monte degli Ulivi. All’alba tornò nel tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: “Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?” Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: “Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più”.

PADRE NOSTRO. (Dio è sempre esistito anche prima di formare la terra e il sole e tutte le stelle).
“PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI, (sei per tutto l’universo)SIA SANTIFICATO IL TUO NOME; (gli Ebrei li hanno dato un nome). Mosè disse a Dio: “Ecco, quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono: “Qual è il suo nome?” Che cosa risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. Poi disse: “Dirai così ai figli d’Israele: “ l’IO SONO mi ha mandato da voi ”. Dio disse ancora a Mosè: “Dirai così ai figli d’Israele: “Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe mi ha mandato da voi”. Tale è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione in generazione. “Esodo 3:13,14,15” ( noi veri Cristiani andiamo al Padre solo tramite Gesù e non tramite santi e madonne).VENGA IL TUO REGNO; SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ (la volontà di Dio, non è quella del Papato, dell’uomo e del mondo). ANCHE IN TERRA COME È FATTA IN CIELO. (Noi dobbiamo fare un paradiso qui sulla terra, se non siamo capaci di andare in cielo con i 144.000). DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO; (la tua Parola SIGNORE che si trova nella Bibbia). RIMETTICI I NOSTRI DEBITI COME NOI GLI ABBIAMO RIMESSI AI NOSTRI DEBITORI; (la Parola del SIGNORE, dobbiamo farla conoscere a tutta l’umanità anche se ci costa sacrifici). E NON CI ESPORRE ALLA TENTAZIONE, (non fare che l’avversario Satana l’abbia vinta su di noi veri Cristiani).MA LIBERACI DAL MALIGNO. (Dalle grinfie di Satana, dai cattivi insegnamenti, dal Papato, dai Cattolici da chi vuol essere Dio in terra, dai stregoni, dai idolatri, dall’indovini, dai filosofi, dalle religioni che non si attengono alla parola di Gesù, il Cristo. PERCHÉ A TE APPARTENGONO IL REGNO, LA POTENZA E LA GLORIA IN ETERNO, AMEN, Amen…”

NOSTRADAMUS, dopo l’11 settembre, Nostradamus spopolava su Internet; era una delle parole più cliccate sui motori di ricerca. La biografia del veggente francese divenne il libro più venduto e più richiesto on-line. Insomma, Nostradamus era dappertutto. Questa profezia, che veniva attribuita a Nostradamus, compariva su molti siti Internet due giorni dopo i tragici attacchi alle Torri:
“Nella città di Dio ci sarà un gran tuono. Due fratelli fatti a pezzi dal caos, mentre la fortezza resiste, il grande leader soccomberà. La terza grande guerra comincerà quando la grande città brucerà”.
Nostradamus è morto nel 1566, quindi non può aver scritto questi versi nel 1654; la quartina inoltre non è stata trovata nei suoi scritti. Queste profezie è dunque un falso?. Ma? I fratelli KENNEDY sono morti nel caos è un fatto, Bin Laden Osama soccomberà? (Nella città di Dio ci sarà un gran tuono) dove? A GERUSALEMME, alla MECCA (Islam), alla città del VATICANO (Roma). Il profeta, inoltre, scrisse molte profezie che riguardavano il futuro del Papa e della sua Casa.
“Perseguitata sarà la Chiesa di Dio, E saranno spogliati i santi Il figlio la madre nuda in camicia metterà Gli Arabi e i Polacchi saranno collegati”.
“La grande stella per sette giorni brillerà, La nube farà apparire due soli Il grosso mastino urlerà tutta la notte, Quando cambierà regione il grande pontefice”.
Appariranno due Papi, uno eretico e uno vero. Purtroppo, prenderà il sopravvento l’anti-Papa e il papa angelico sarà costretto alla fuga lontano da Roma. Ma per la Chiesa le sciagure non finiscono qui. In II, 93, è prevista la fine anche fisica della Santa Sede che dovrebbe affondare, come un vascello, trascinando nella piena del Tevere il suo capo, con tutti i significati allegorici del caso.

“Si spargerà il sangue del popolo della Chiesa Come in una grande abbondanza d’acqua Non più sarà rinnovato per tanto tempo E gli uomini di chiesa vedranno disastro e sofferenza”.
“La luna oscurata da profonde tenebre, Suo fratello diventa di colore ferruginoso Per lunga pezza nascosto nelle tenebre, Terrà il fendente nella ferita sanguinante”.
La Chiesa cadrà nella procella dello scisma, attaccata da nemici che le imporranno la loro legge. Nostradamus sembra voler prevedere un nuovo martirio, il più esteso e feroce mai subito dalla Chiesa Cattolica Romana. Questa dura prova non sarà limitata al solo clero, ma si allargherà anche ai danni della popolazione civile. La seconda quartina riporta a nuova modernità quanto espresso dalla precedente. Il fratello della Luna è Marte, il dio della guerra. Questo qualcuno, che è rimasto per tempo immemore nascosto nelle latebre, se ne verrà fuori per far strage. Potrebbe insidiarsi nei movimenti religiosi non-cattolici, nelle sette che – come i fatti di cronaca ci attestano – non esitano a ricorrere alla forza delle armi tecnologicamente più avanzate. La pietra squadrata potrebbe essere la “pietra angolare” sulla quale Cristo, nei Vangeli, dice che sarà fondata la sua Chiesa, nientemeno cioè che S. Pietro, il primo Papa della Storia (così fanno intendere, ma Pietro era un vero cristiano e non è mai stato a Roma). Dunque la profezia potrebbe essere la formulazione del desiderio, da parte del veggente, che in futuro tutto torni a riferirsi al papato e in certo qual modo a un potere di origine divina.

“Pontefice Romano guardati dall’avvicinarti, Alla città bagnata da due fiumi: Lì accanto sputerai il tuo sangue Tu e i tuoi quando la rosa fiorirà”.
È emblematico di questi nostri tempi l’ossessivo pensiero della morte del papa Wojtyla, che ritorna come previsione in molti degli astrologi del nostro periodo. Vero è che il Santo Padre ha subito un attentato il 13 Maggio del 1981 a opera di “Ali Agca” un turco, che venne poi condannato, per il grave atto compiuto, all’ergastolo. Vennero fatte indagini per stabilire i mandanti del grave gesto, che ebbe ripercussioni internazionali e pareva frutto di una tarma ben precisa. Si formularono varie ipotesi e si batté anche la pista araba, ma nessuno riuscì a dipanare l’intricata matassa dei perché e, nonostante le supposizioni, rimane tuttora un mistero il meccanismo esatto che portò al ferimento di Giovanni Paolo II.
“Il grande senato decreterà la cerimonia, Uno verrà esiliato dopo vinto Saranno i suoi seguaci a suon di tromba I beni saranno posti all’incanto e i nemici scacciati”.

Il nuovo Papa, appena eletto al soglio pontificio dai Cardinali fedeli, sarà costretto a fuggire sotto la minaccia delle armi di un grande nemico (i Russi fino a qualche tempo fa erano molto accreditati in questo ruolo, ma gli ultimi avvenimenti sembrano non permettere la consueta sicumera). Verranno confiscati i beni di tutti i religiosi di ogni ordine e grado e, costretto all’esilio, il Papa sarà proclamato nemico della Chiesa. Ma non andrà tutto bene nemmeno al pontefice scismatico, poiché prima verrà imprigionato e poi ucciso.
“Otterrà per sette mesi e non di più la prelatura Con al sua dipartita un grande scisma farà nascere, Un altro terrà la pretura per sette mesi, Presso Venezia rinascerà concordia e pace”.
L’imperatore del grande Nord, il “grande mentitore”, mai soddisfatto di rivendicare territori e ricchezze per la propria nazione, otterrà di farsi incoronare Imperatore dal suo Antipapa, dal “grande subdolo”. Dopo, solo lontano dalla patria cambierà le disposizioni e gli ordini impartiti quando era presso i suoi sudditi, addirittura li smentirà con i fatti.
“Per la potenza dei tre Re temporali, In altro luogo sarà posta la santa sede, Dove la sostanza dello spirito corporeo, Sarà posta e in adeguata sede ricevuta”.
“Allorché sarà trovato il sepolcro del gran Romano, Sarà eletto Pontefice il giorno dopo: Per dispute non sarà approvato dal conclave, Nel calice sacro il suo sangue verrà avvelenato”.
Nella profezia si legge della futura elezione a Pontefice di un uomo di grande personalità, un cardinale originario del terzo mondo, il quale, sotto l’influenza delle sue origini, introdurrà , nella dottrina cristiana, innovazioni discordanti con la teologia classica. I tutori dell’ortodossia, preoccupati per tale situazione, si opereranno per sopprimerlo, ma facendo apparire l’evento non determinato da cruente mani umane, bensì come se fosse da ascrivere a cause naturali. Qualche tempo fa David Yallop in suo libro: In nome di Dio (1984) sosteneva una tesi inquietante a proposito della morte di papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, il cui mandato durò dal 26 Agosto al 28 Settembre del 1978.

Asserì cioè che il prelato fosse stato assassinato per ragioni di stato e che esistesse una catena di corruzione che legava importanti prelati a esponenti dell’alta finanza. Fece soprattutto risaltare alcuni nomi: monsignor Marcinkus presidente dello IOR, il segretario di stato Jean Vallot, il banchiere Sindona, l’altro Banchiere Roberto Calvi, l’Arcivescovo di Chicago Cody e Licio Gelli. Secondo l’autore, Luciani venne avvelenato in quanto era, per i suoi modi semplici e per la sua genuina proposta innovativa, un grande pericolo. Non si fecero indagini o, meglio, le indagini non parevano necessarie. La posizione e la caratura stesse del personaggio in questione resero facile far sembrare davvero naturale la sua morte. La definizione di Anticristo, in senso lato, si riferisce a tutti quelli che hanno alterato la dottrina di Cristo e a tutti quelli che hanno perseguitato la Chiesa.
Nostradamus venne sepolto in una chiesa francescana a Salon. Per duecento anni la sua anima riposò in pace. Ma nel 1789, durante i disordini provocati dalla Rivoluzione francese, la sua tomba venne profanata da alcuni ladri.

L’evento fece nascere la leggenda secondo cui i ladri avrebbero trovato i resti del suo scheletro e un medaglione di rame intorno al collo su cui era riportata la data esatta in cui la tomba sarebbe stata aperta. Quello stesso anno i resti mortali di Nostradamus furono raccolti e trasferiti nella Chiesa di Saint Laurent a Salon de Provence. “In origine – svela lo storico Bridges, - Nostradamus era stato sepolto in posizione eretta, come era stato trovato la mattina in cui morì. In seguito alla profanazione della tomba, (Al collo aveva una medaglia di rame, con la scritta di quella stessa data di quello stesso giorno dalla profanazione della tomba e con una grande maledizione per quelli che l’avessero trovato e forse anche a chi lo ha trasportato in un altro luogo) sono state raccolte le poche ossa rimaste che ora sono conservate in questo luogo”. La sua cripta occupa un posto d’onore nella Cappella Notre-Dame, che da lui ha preso il nome. Questa, quindi, è la seconda sepoltura di Nostradamus. Sull’iscrizione si legge: “Le ossa benedette di Michel Nostradame, che secondo l’opinione di ogni essere umano, con la sua penna divina profetizzò le catastrofi future con l’ausilio degli astri…”.

Nostradamus era un conoscitore della Bibbia, ma non poteva dire quello che era scritto perché sarebbe stato perseguitato dal clero, dal Papato e sarebbe stato messo al rogo come tutti quelli che a quel tempo non si sottomettevano alla santa inquisizione. È meglio leggere l’Apocalisse per sapere più di preciso quello che avverrà in futuro, senza tormentarsi tutta la vita su cose che rassomigliano. Peggio sono quelli che credono ai maghi, ai veggenti, agli oroscopi, e a tutte le superstizioni.
Queste profezie di Nostradamus ci tengono schiavi fino all’anno 3797 e noi non dobbiamo credere a Nostradamus, ma solo a Gesù Cristo, qui sta la salvezza.

ERESIE ED INVENZIONI UMANE ADOTTATE E PERPETUATE DALLA CHIESA CATTOLICA ROMANA NEL CORSO DI 1.600 ANNI
Le invenzioni umane contrarie al Vangelo, praticate dalla Chiesa Cattolica Romana nel corso dei secoli, sono:

(1) Le preghiere per i defunti ed il segno della croce che hanno avuto inizio verso l’anno 310, e ufficialmente adottate verso il . . . . . . 500

(2) Le candele di cera furono in uso verso il . . . . . . 320

(3) La venerazione dei santi e degli angeli datano dal . . . . . 375

(4) Il dogma della trinità è iniziato verso l’anno . . . . . . 381

(5) La Messa in latino quotidiana fu istituita nell’anno . . . . . 394

(6) L’acqua santa venne usata verso l’anno 400 e autorizzata nell’anno . . . 850

(7) L’adorazione di Maria come “Madre di Dio” cominciò nell’anno . . . 431

(8) I preti vestirono diversamente dai laici a partire dal . . . . . 500

(9) I conventi dei monaci iniziarono nel 528 – (Gesù ordinò di evangelizzare tutta la terra e non di rinchiudersi in conventi o monasteri (Matteo 10:5-8; 28:19-20; Marco 16:15-20).

(10) La dottrina del purgatorio fu introdotta circa l’anno . 593

(11) Il latino come lingua di culto fu imposto da Papa Gregorio I nel . . . 600

(12) Le preghiere a Maria e ai santi ebbero origine verso il . . . . 600

(13) Il Papato è di origine pagana. Il titolo di Papa (Vescovo universale fu dato dall’imperatore Foca al vescovo di Roma nel . . . . . . . . . 610

(14) Il bacio del piede del Papa fu istituito nell’anno . . . . . 709

(15) Il potere temporale del Papa (dominio di governo politico), iniziò: . . . 750

(16) Il culto della croce, immagini e reliquie fu adottato nel 788 (La Bibbia chiama questi culti “Idolatria” e li condanna severamente) (Esodo 20:4-6; Deuter. 27:15; Salmo 115; Geremia 10:1-5).

(17) La quaresima e il digiuno iniziarono nell’anno . . . . . . 800

(18) Il culto a San Giuseppe iniziò nell’anno . . . . . . . 890

(19) La canonizzazione dei santi iniziò . . . . . . . 995

(20) La Messa quale sacrificio fu sviluppata e stabilita nel secolo XI (Il Vangelo insegna che il sacrificio di Cristo fu offerto una sola volta per tutte, e non deve essere ripetuto, ma solo com memorato nella Santa Cena (Ebrei 7:27; 9:26-28; 10:10-14).

(21) Il celibato dei preti fu decretato da Papa Gregorio VII nel . . . . 1079

(22) La corona del rosario fu introdotta da Pietro l’eremita nel 1090 (Questa fu copiata dai Maomettani. Il contare le preghiere è pratica pagana severamente condannata da Cristo) (Matteo 6:5-13).

(23) La dottrina dei 7 sacramenti fu elencata nel 1160 e proclamata nel . . . 1439

(24) L’inquisizione per gli eretici fu istituita dal Concilio di Verona verso il 1184 (Gesù condanna la violenza e non obbliga nessuno).

(25) La vendita delle indulgenze incominciò verso il . . . . . 1190

(26) Il dogma della Transustanziazione, da Papa Innocenzo III nel . . . . 1215

(27) La confessione auricolare dei peccati (all’orecchio) verso il . . . . 1215

(28) L’adorazione dell’ostia da Papa Onorio III nell’anno . . . . . 1220

(29) La Bibbia proibita al popolo e messa all’indice nel 1229 al Concilio di Tolosa (Gesù dice che tutti devono leggere la Bibbia).

(30) Il celibato obbligatorio dei preti proclamato nell’anno . . . . . 1287

(31) Il battesimo dei bambini obbligatorio al Concilio di Ravenna nel . . . 1311

(32) La dottrina del purgatorio fu considerata dogma al Concilio di Firenze nel 1439 (Nel Vangelo non vi è alcun accenno al purgatorio, è il sangue di Cristo che ci purifica dai peccati (1 Giov. 1:7-9)

(33) La recitazione dell’Ave Maria iniziò nel IV secolo e fu adottata nel 1568 (La Bibbia esorta a pregare unicamente Dio, il pregare altri è idolatria) (Apocalisse 22:8-9).

(34) Il Concilio di Trento (nel 1545) dichiarò che la tradizione ha autorità come la Bibbia (Gesù rimproverò gli Ebrei poiché, con le loro tradizioni, gli uomini annullano la Parola di Dio) Mar. 7:7-13.

(35) I libri apocrifi furono aggiunti alla Bibbia al Concilio di Trento . . . 1564

(36) L’immacolata concezione di Maria proclamata dogma da Pio X nel 1854 (Il Vangelo dice: tutti gli uomini, eccetto Cristo, sono peccatori).

(37) Pio IX stabilì il dogma dell’infallibilità del Papa nel 1870 (È il colmo della bestemmia, il segno dell’anticristo annunciato dalle Scritture (2 Tessalonicesi 2:2-12); (Apocalisse 13:5-8-18).

(38) Papa Pio X condannò assieme al “Modernismo” tutte le scoperte della civiltà che non piacciono al Papa, nell’anno . . . . . . . . . 1907

(39) Pio XI condannò le scuole pubbliche nell’anno . . . . . . 1930

(40) L’ultimo dogma venne proclamato da Pio XII e fu: l’assunzione della vergine Maria in cielo. Questo dogma fu stabilito nell’anno . . . . . . . . 1950

La Chiesa Cattolica Romana asserisce di non cambiare mai; mentre quante cose non ha essa inventate contrarie alla Bibbia, praticando riti e cerimonie presi nel paganesimo!... Nell’anno 300 dopo Cristo, i cattolici non conoscevano il purgatorio, l’ostia, le preghiere per i morti, le candele, le processioni, i sacramenti, la trinità, le reliquie, i santi, le madonne ecc. – Come potranno salvarsi i primi cristiani senza tutto ciò?... Il Cristo stesso, gli Apostoli e tutti i veri discepoli dovettero abbandonare le loro religioni, a causa delle loro tradizioni e dei loro comandamenti umani fallibili. Durante l’età evangelica, tutti i discepoli, cioè dal Cristo ad oggi, dovettero uscire da Babilonia, dalle loro religioni, (Apocalisse 18:4), per seguire il Cristo crocifisso , e per accettare e fare la sua volontà, rinunciando a loro stessi per divenire delle vittime con il loro Maestro, onde formare il Corpo di Cristo, i 144 mila eletti (Apocalisse 14), i quali sono decapitati a causa della testimonianza che devono dare al mondo (Apocalisse 6:9).

Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo saranno perseguitati (2 Tim. 3:12). “Nessuno può essere mio discepolo se non rinuncia a tutto ciò che possiede per seguirmi” (Luca 14:26, 27-33). “E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a cagione degli eletti quei giorni saranno abbreviati” (Matteo 24:22). “Quali non dovete essere per condotta santa e per pietà, affrettando la venuta del Giorno di Dio!” (2 Pietro 3:10-14).

L’unica speranza, l’unico Nome per il quale possiamo essere salvati è il Cristo, la Pietra angolare che edifica i Nuovi Cieli “Beati i poveri in spirito perché di loro è il Regno dei cieli” (Matteo 5:3) e la Nuova Terra: “Beati i mansueti perché essi erediteranno la Terra” (Matteo 5:5). Come preghiamo nel “Padre Nostro”: “Venga il tuo Regno e sia fatta la tua volontà in terra come è fatta nel cielo” (Matteo 6:9). Leggete: “Il Messaggio all’Umanità”, scritto dal Servo fedele e prudente indicato in Matteo 24:45.

Questo prezioso libro contiene l’Evangelo eterno, la Legge e la Costituzione della Nuova Terra per liberare gli uomini dagli errori, dai timori, dalle sofferenze e per aiutarli a ricevere la grazia divina a schiudersi al glorioso influsso dello spirito di Dio, spirito di luce, di pace e di consolazione per tutti i cuori assetati di giustizia e di verità.
Molti vedono il numero 666 nelle lettere romane, (VICARIVS FILII DEI) sarà così? Si, Io credo.

VICARIVS FILII DEI –V-5, I-1, C-100, I-1, V-5, I-1 L-50, I-1, I-1, D-500, I-1, Totale 666.

Il calcolo dei numeri avviene così: 5+1+100+1+5+1+50+1+1+500+1= 666

 

ADAMO ED EVA
Abele (Abele fu ucciso da Caino)(Adamo ed Eva ebbero un altro figlio dal nome Set).
Set
Enosh
Chenan
Mahalaleel
Jared
Enok
Methuselah
Lamek (Visse 182 anni e generò un figlio e gli pose nome Noè).
Noè (Noè ebbe 3 figli, Sem, Cam, Jafet).
Sem
Cam
Jafet
Sem (da Sem nacque 5 figli, Elam, Assur, Arpakshad, Lud e Aram).
Elam
Assur
Arpakshad
Scelah
Eber
Peleg
Reu
Serug
Nahor
Tera
Abraamo (generò Ismaele e Isacco).
Ismaele
Isacco (generò Giacobbe).
Giacobbe (generò 12 figli).
Ruben
Simeone
Levi
Giuda
Issacar
Zabulon
Giuseppe
Beniamino
Dan
Neftali
Gad
Cusim
Ascer

DISCENDENZA DI CAINO
Caino
Enok
Irad
Methusael
Lamek (si prese 2 mogli Ada e Tsillah) (da Ada nacque Jabal, da Tsillah nacque Tubalcain).
Con la venuta di Noè finisce la discendenza di Caino.

GENEALOGIA DI GESÙ CRISTO
Gesù figlio di Abraamo, figlio di Davide, Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram; Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; Salmon generò Boos da Raab; Boos generò Obed da Rut; Obed generò Iesse, e Iesse generò Davide, il re. Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria; Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asa; Asa generò Giosafat; Giosafat genrò Ioram; Ioram generò Uzzia; Uzzia generò Ioatam; Ioatam genrò Acaz; Acaz generò Ezechia; Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò Giosia; Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel; Salatiel generò Zorobabel; Zorobabel generò Abiud; Abiud generò Eliachim; Eliachim generò Azor; Azor generò Sadoc: Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud; Eliud generò Eleàzaro; Eleàzaro generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo.

VIVIAMO IN ASPETTAZIONE DELL’ADEMPIMENTO DELLA PROMESSA.
UN INTERO ORDINE MONDIALE DEVE CAMBIARE. Ne dovrà risentire ogni aspetto della vita umana. Questo cambiamento è inevitabile poiché l’infallibile “Parola di Dio” ha decretato la fine dei cieli e della terra attuali e la loro sostituzione mediante nuovi cieli e nuova terra gloriosi. Che significheranno per noi questi avvenimenti? Come possiamo mostrare di vivere in aspettazione dell’adempimento di ciò che l’Eterno Dio ha promesso? Dopo aver fatto riferimento al diluvio universale dei giorni di Noè, l’apostolo Pietro scrive: “I cieli e la terra che sono ora son custoditi per il fuoco e sono riservati al giorno del giudizio e della distruzione degli uomini empi” (II Pietro 3:7) L’apostolo prosegue, dicendo che “i cieli passeranno con rumore sibilante, ma gli elementi, essendo intensamente caldi, saranno dissolti, e la terra e le opere che sono in essa saranno scoperte”. – II Pietro 3:10.

In base a queste parole ispirate, dobbiamo forse concludere che sia la nostra terra letterale che il sole, la luna e le stelle saranno distrutti? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo considerare come Dio giudica le sue proprie opere. In riferimento alla fine del periodo creativo, il racconto di Genesi ci dice: “Dio vide poi tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”. (Genesi 1:31) Dinanzi ai primi uomini era la prospettiva di un’eternità di vita felice sulla terra, purché rimanessero ubbidienti. (Genesi 2:16,17 3:3) Nel racconto di Genesi non c’è nulla che faccia pensare che la terra sarebbe stata per l’uomo solo una dimora temporanea, per essere infine distrutta in qualche futuro giorno di giudizio. Logicamente ne consegue che il proposito di Dio è che l’universo materiale, inclusa la terra, continui a esistere senza fine. Inoltre, l’apostolo Pietro fece una distinzione fra 1° i cieli dei tempi antichi e la terra che era solidamente fuori dell’acqua e nel mezzo dell’acqua e 2° “i cieli e la terra che sono ora”. (II Pietro 3:5,7)

Tuttavia, la terra che esisté prima del Diluvio è lo stesso pianeta che esiste ancora. È vero che il diluvio portò in effetti dei cambiamenti negli aspetti fisici della terra. Poiché non c’era più acqua in sospensione al di sopra della superficie della terra, questo influì sull’aspetto dell’universo visibile dal punto di vista dell’osservatore umano. Comunque, questi cambiamenti furono semplicemente effetti collaterali del Diluvio. Il suo scopo non fu di distruggere il pianeta letterale ma di distruggere la società umana empia fuori dell’arca. Per mezzo del diluvio, tutte le opere e le disposizioni edificate dalla società umana empia perirono.

Quindi, perché ci sia qualcosa che corrisponda al diluvio universale, tutto ciò che ha relazione con la società umana malvagia attuale deve perire, come se fosse consumato dal fuoco. Si, l’intera struttura delle cose umane venuta all’esistenza dopo il Diluvio è stata riservata alla distruzione e al giorno del giudizio o della resa dei conti. Che il “fuoco” sia qui usato in maniera rappresentativa dalla completezza della distruzione è confermato nel libro biblico dell’Apocalisse, dove il Signore Gesù Cristo è raffigurato come un re guerriero. Si dice che l’azione della sua battaglia lasci molti cadaveri sparsi sulla superficie della terra, perché siano consumati da uccelli necrofagi: (uccelli che mangiano i morti) (Apocalisse 19:15-18) Tale quadro non potrebbe essere adempiuto in nessun grado se questo pianeta dovesse essere letteralmente ridotto a un tizzone spento privo di vita. Or dunque, la raffigurazione di Pietro della distruzione della terra e dei cieli attuali si riferisce all’annientamento della società umana empia.

I governi istituiti dagli uomini che hanno dominato sulla società umana come “cieli” scompariranno dall’esistenza. (Confronta Isaia 34:2-5 Michea 1:3,4). Il suono che si produrrà quando si dissolveranno nella rovina, descritto come un “rumore sibilante” simile a quello del vapore che sfugge sotto pressione, aumenterà di intensità. Gli “elementi”, cioè lo spirito che spinge l’empio genere umano a pensare, predisporre, parlare e agire nella loro maniera che disonora Dio, saranno dissolti o ridotti a nulla. (Confronta Atti 9:1 Efesini 2:1-3). Questo significherà la fine per tutte le filosofie, le teorie, le intese e gli schemi che riflettono lo spirito del genere umano alienato dall’Altissimo. “La terra e le opere che sono in essa saranno scoperte” o esposte come meritevoli di distruzione. Non ci sarà scampo per nessun membro della società umana malvagia, la “terra”. (Confronta Genesi 11:1 Isaia 66:15,16 Amos 9:1-3 Sofonia 1:12-18).

Tutte le opere degli uomini illegali – sia le istituzioni e le organizzazioni che quanto è stato edificato in relazione con queste – saranno rivelate come disapprovate da Dio, per essere eliminate come rifiuti senza valore. Noi servitori di Dio vogliamo perciò vivere in una maniera tale da dimostrare che crediamo realmente che ogni parte di questo sistema empio attuale perirà per sempre. Questo ciò che l’apostolo Pietro ci esorta a fare, dicendo: Giacché tutte queste cose devono quindi esser dissolte, quale sorta di persone dovete essere voi in santi atti di condotta e opere di santa devozione, aspettando e tenendo bene in mente la presenza del giorno di Dio, per cui i cieli essendo infuocati saranno dissolti e gli elementi essendo intensamente caldi si fonderanno!” – II Pietro 3:11,12.

Quando ogni parte di questo sistema sarà dissolta dal fuoco dell’ira di Dio espressa per mezzo del Signore Gesù Cristo, scamperanno solo le persone che avranno tenuto una condotta retta e che avranno mostrato santa devozione. La vera adorazione non è passiva, riflettendosi unicamente nella propria astinenza da certi errori. Mentre è essenziale mantenere la purezza morale e spirituale, abbiamo anche l’obbligo di dimostrare amore ai nostri simili e di essere disposti e desiderosi di appagare le loro necessità fisiche e spirituali. E questo contribuisce a una grande gioia, poiché “vi è più felicità nel dare che nel ricevere”. – Atti 20:35.

IL MIRACOLO DI DIO
Quando una persona è morta, cosa viene risuscitato? Non lo stesso corpo che è morto. La Bibbia lo indica quando descrive la risurrezione celeste. Anche quelli risuscitati sulla terra non riceveranno il medesimo corpo che avevano prima di morire. Quel corpo probabilmente si è decomposto ed è tornato alla terra. Col tempo gli elementi del corpo morto possono essere divenuti parte di altre creature viventi. Perciò Dio non risuscita lo stesso corpo, ma la stessa persona che è morta. A quelli che vanno in cielo dà un nuovo corpo spirituale. A quelli risuscitati sulla terra dà un nuovo corpo fisico. Questo nuovo corpo fisico sarà senz’altro simile a quello che l’individuo aveva prima di morire, di modo che questi sarà riconoscibile da chi lo conosceva.

LA RISURREZIONE
La risurrezione è davvero un miracolo stupendo. Nel corso di una vita l’individuo può aver accumulato una grande esperienza, conoscenza e molti ricordi, e sviluppato una personalità che lo distingueva da qualsiasi altra persona vissuta. Eppure l’Eterno Dio ne ricorda ogni particolare, e quando lo risusciterà ne ricostruirà l’intera personalità. Riguardo ai morti che saranno risuscitati, la Bibbia dice: “Per lui sono tutti viventi”. Gli uomini possono registrare la voce e l’immagine di una persona, e riascoltarla o rivederla molto tempo dopo che la persona è morta. Ma Dio può riportare in vita tutti quelli che vivono nella sua memoria, e lo farà!

LA BIBBIA
La Bibbia dice molte altre cose sulla vita nel Paradiso dopo la risurrezione dei morti. Per esempio, Gesù parlò di alcune persone che sarebbero venute fuori a una “risurrezione di vita”, e di altre a una “risurrezione di giudizio”. A cosa si riferiva? La situazione in cui verranno a trovarsi i “giusti” risuscitati sarà diversa da quella degli “ingiusti”? Conosceremo la risposta esaminando l’argomento del Giorno del Giudizio.

IL GIORNO DEL GIUDIZIO: DURANTE E DOPO
Cosa vi fa venire in mente l’espressione “Giorno del Giudizio”? Alcuni pensano a un grande trono davanti al quale si snoda una lunga fila di risuscitati. Man mano che passano davanti al trono, vengono giudicati in base alle loro opere passate, tutte scritte nel libro del giudice. A seconda di quello che hanno fatto, vengono mandati o in cielo o in un inferno di fuoco. La Bibbia però dà un’idea molto diversa del Giorno del Giudizio. Non è un giorno di cui aver paura. Notate cosa dice la Bibbia: “[Dio] ha stabilito un giorno in cui si propone di giudicare la terra abitata con giustizia mediante un uomo che ha costruito”.

Questo giudice costituito da Dio è ovviamente Gesù Cristo. Possiamo essere certi che Cristo sarà un giudice giusto ed equo. Ce lo assicura Isaia 11:3,4, una profezia che parla di lui. Contrariamente all’opinione comune, egli non giudicherà le persone in base ai loro peccati passati, molti dei quali commessi forse per ignoranza. La Bibbia spiega che alla morte l’individuo è prosciolto o assolto da tutti i peccati commessi. Essa dice: “Colui che è morto è stato assolto dal suo peccato”.

Questo significa che i risuscitati saranno giudicati in base a quello che faranno durante il Giorno del Giudizio, non a quello che hanno fatto prima di morire. Il Giorno del Giudizio, quindi, non è un giorno letterale di 24 ore. La Bibbia lo indica chiaramente quando parla di quelli che saranno giudici insieme a Cristo. (I Corinti 6:1-3) “E vidi dei troni”, dice lo scrittore biblico, “vi erano quelli che sedettero su di essi, e fu data loro la potenza di giudicare”. Questi giudici sono i fedeli unti seguaci di Cristo che, come prosegue la Bibbia, “vennero alla vita e regnarono col Cristo per mille anni”. Perciò il giorno del Giudizio durerà mille anni”. È lo stesso periodo di mille anni nel quale Cristo e i suoi 144.000 fedeli unti seguaci regneranno come “nuovi cieli” sulla “nuova terra”. – Apocalisse 20:4,6; II Pietro 3:13.



BATTESIMO DEI BAMBINI.
IL PECCATO ORIGINALE
Benché Gesù Cristo abbia chiaramente insegnato che non sussiste miglior condizione spirituale di quella goduta dai bambini, da più parti si afferma che essi nascono con il peccato originale. Che significato hanno infatti le Sue parole- “di TALI è il Regno dei Cieli” (Luca 18:16)- se non proprio quello che i bambini sono ‘ TALI ’ quali sono coloro che regnano con Cristo? Nei bambini esiste una tale innocenza e purezza spirituale che Cristo ha dichiarato che tra Sé e loro esistono la stessa comunione ed identità che sussistono tra Egli e Dio: “E preso un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro; e recatoselo in braccio, disse loro: chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato.” (Marco 9:36-37).

LA SCELTA DI UN MODELLO.
Nel plasmare il modello della Sua Chiesa, il Maestro aveva ben poca scelta. C’erano gli angeli, ma essi appartengono ad una matura celeste e perciò irraggiungibili, nella loro pietà, dall’uomo peccatore. Cristo, dunque, additò un piccolo bambino come unico esempio e modello esistente nel mondo: “In verità io vi dico: se non mutate e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete punto nel Regno dei Cieli.” (Matteo 18:3). E quando nell’uomo peccatore subentra questo mutamento, in virtù del quale si accede nel Regno di Cristo, egli diventa “TALE-QUALE” quel bambino. Per questo motivo – e come “conditio sine qua non” – chiunque desidera “entrare” nella Chiesa, deve prima “nascere di nuovo” (Giovanni 3:3,5,7). “Nascere di nuovo” significa ritornare al primordiale stato spirituale dell’anima, allorché ebbe inizio la nostra esistenza terrena. L’Apostolo Pietro lo afferma a chiare note: “Avendo purificate le anime vostre con l’ubbidienza alla verità… essendo stati rigenerati (nati di nuovo) mediante la parola di Dio… gettando lungi da voi ogni malizia, e ogni frode, le ipocrisie, e le invidie, ed ogni sorta di maldicenze, come BAMBINI PUR ORA NATI, appetite il puro latte spirituale, onde per esso cresciate per la salvezza.” (I° Pietro I:22-2:2).

Se questi insegnamenti non affermano che i bambini sono privi di qualsiasi peccato o colpa, neppure affermano che colui che è “rigenerato” si trova senza peccato o colpa! Ma la Scrittura ribadisce e conferma che l’uomo rinnovato e purificato spiritualmente diventa “una nuova creatura in Cristo” (2° Corinzi 5:17). Per poter “nascere di nuovo… nascere d’acqua e di spirito” (Giovanni 3:3,5) occorre la fede: prerequisito del quale i bambini sono naturalmente ed integralmente sprovveduti: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio… Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.” (I° Giovanni 5:1-5). Lo stesso Apostolo Giovanni ci riconferma che soltanto “coloro che credono nel Suo nome… sono nati da Dio.” (Giovanni I:12-13).
Giova dunque ripetere che se un neonato non è esente da ogni colpa, non lo è neppure colui che realizza la propria “rinascita” spirituale per “diventare come i piccoli fanciulli”! Soltanto se i bambini nascono “vivi”, il Cristo può parlare di una “nuova nascita”; soltanto se sono “generati” è possibile parlare di “rigenerazione”! Sarebbe impossibile “rinnovare” ciò che non è mai stato “nuovo” (cfr. 2° Corinzi 4:16 e Romani 12:2) e d’altra parte sarebbe assurdo predicare e praticare la necessità di “essere riconciliati con Dio” (2° Corinzi 5:18-21) se non si crede che i bambini nascono già “conciliati”, cioè nel favore divino.

Cristo non si limita ad additare i bambini come esempio d’innocenza spirituale, ma esalta anche le loro condizioni d’animo e le loro virtù sociali: “Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo, è lui il maggiore nel Regno dei Cieli” (Matteo 18:4). Ecco la vera grandezza: quella di chi non vuole farsi grande! Questa umiltà sociale, questa mancanza di ambizione per pervenire a qualsiasi posizione di preminenza, sono così evidenti nei bambini da indurre Cristo ad insegnare che “chi non avrà ricevuto il Regno di Dio come un piccolo fanciullo, non entrerà punto in esso.” (Marco 10:13).Il Maestro sottolinea non solo le nobili virtù sociali dei bambini, ma anche la loro innocenza spirituale. Lungi dall’insegnare che il loro rapporto di Adamo, Cristo afferma senza possibilità di equivoci: “Guardatevi dal disprezzare alcuno di questi piccoli; perché io vi dico che gli angeli loro, nei cieli, vedono del continuo la faccia del Padre mio che è nei cieli.” (Matteo 18:10). Oh! Quanto è grande la dignità di quelle anime che hanno gli angeli di Dio come guardiani! Come è consolante sapere che anche tutti coloro che sono “nati di nuovo” godono la stessa benedizione! Come gli angeli hanno cura del benessere spirituale dei bambini, così essi sono anche “spiriti ministratori, mandati a servire a pro di quelli che hanno da predare la salvezza.” (Ebrei I°:14).

IL << LIBERO ARBITRIO >> DIFESO
È ovvio che il Maestro sapeva che i fanciulli sarebbero cresciuti e che con il trascorrere del tempo avrebbero acquisito una conoscenza ed una personalità proprie. Tramite i Suoi Apostoli, Cristo ha insegnato che i figli, nati in una famiglia cristiana, debbono << essere allevati in disciplina ed in ammonizione del Signore… ubbidire nel Signore ai loro genitori, poiché ciò è giusto. Onore il padre e tua madre (è questo il primo comandamento con promessa, alfine che ti sia bene e tua abbia lunga vita sulla terra. >> Efesini 6:1-4). Imparando ad ubbidire ai loro genitori << nel Signore >>, allorché avvertiranno di avere trasgredito la Legge, essi ricercheranno anche, tramite Cristo, il perdono dei propri peccati. E quando giunge quel momento, essi non debbono mai essere né ostacolati né forzati: << Lasciate i piccoli fanciulli venire a me, e non glielo vietate. >> (Matteo 19:14; Marco 10:13; Luca 18:15).
E se è vero, come è vero, che Cristo non costringe alcuno a servirLo, nemmeno ai bambini deve mai essere sottratto quel inestimabile dono costituito dal << libero arbitrio >>. << E lo spirito e la sposa dicono: vieni. E chi ode dica: vieni. E chi ha sette venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita. >> (Apocalisse 22:17).

E’ sempre nella facoltà di ciascun uomo il voler sapere quanto Dio esige da tutte le creature: “Se uno vuol fare la volontà di Dio, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio.” (Giovanni 7:17).. Ma se l’uomo si rifiuta di ambire a questa conoscenza, nessuno può sottrargli questa facoltà. In tal caso – e come conseguenza della propria scelta – l’uomo si perderà perché “NON HA VOLUTO venire a Cristo per avere la vita.” (Giovanni 5:50). Quando il messia pianse sulla sorte della città di Gerusalemme che Lo aveva respinto, nel Suo grido patetico possiamo riscontrarne l’intima determinazione di non violare quella libera scelta che è offerta a tutti: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati; quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi NON AVETE VOLUTO!” (Matteo 23:37-38). Con Cristo è sempre e soltanto “CHI VUOLE”! “CHI VUOLE” e “QUANDO VUOLE”! Il libero arbitrio – anche quello dei bambini – va sempre e comunque rispettato! Cristo non voleva che i bambini fossero impediti di andare a Lui – “non glielo vietate” – ma neppure voleva che fossero prepotentemente spinti ad un battesimo che personalmente non possono richiedere, non essendo in grado di apprezzarne il significato. “Lasciate che i bambini vengano a me”; ma lasciamo che siano essi stessi a deciderlo!

BAMBINI NON BATTEZZATI
E’ importante notare che i bambini di cui Cristo parlava sovente, che “prendeva in braccio e benediceva” scegliendoli come modello per il Suo Regno, ERANO TUTTI FIGLI DI EBREI; nessuno di loro era figlio di genitori Cristiani, né alcuno di loro era stato battezzato. Ciò formava che né Cristo né il popolo ebraico credevano nella “iniquità eredata”, nella “colpa trasmessa”, nel “peccato originale”. E’ per questo motivo che gli Ebrei non hanno mai esercitato alcuna pratica rituale, né hanno mai offerto alcun sacrificio o insegnato alcuna dottrina al fine di rimuovere un tale preteso “peccato ereditario”, ignoto anche e soprattutto a Cristo stesso!

Le anime di quei bambini aditati da Cristo erano nello stesso stato spirituale in cui si trovavano al momento della loro nascita poiché nessuno, a quei tempi, credeva di dover espletare qualche rito per cambiare il proprio stato spirituale. E, come i bambini ebraici, anche tutti gli altri bambini che nascono sulla faccia della terra si trovano e si troveranno sempre nella loro stessa ed identica condizione!Ogni infante che “fresco-fresco” dalle mani creatrici del “Padre degli Spiriti” (EBREI 12:9) è nello stesso stato spirituale in cui si trovava Adamo prima che peccasse, anche se ovviamente non è nello stesso suo stato fisico. Non c’è alcun passo in tutta la Bibbia che insegni, suggerisca e dal quale si possa desumere la dottrina della “colpa trasmessa” o del “peccato ereditario”. Al contrario, vi sono molteplici insegnamenti che negano categoricamente la validità di una così assurda idea! Qualsiasi dottrina, dogma o teoria che affermi una tale ipotesi si mette in evidente opposizione con l’esplicito e chiaro insegnamento della Scrittura che – non dimentichiamolo mai! – è PAROLA DI DIO!

Se è vero che Cristo ha voluto farci credere nella trasmissione del peccato di Adamo su tutti gli uomini, perché ci ha lasciato molti Suoi insegnamenti che contraddicono tale dottrina? Non è possibile che Iddio imputi ai bambini un tale peccato e che Egli Stesso non si sia premuto di lasciare il debito insegnamento al fine di concedere all’uomo la possibilità di porvi riparo! Com’è possibile credere che Cristo abbia trascurato di spiegarci un fatto di così rilevante importanza? Perché dovremmo credere che Egli ha trascurato le Sue creature più indifese? Perché non ci ha detto chiaramente che i bambini debbono essere battezzati? Eppure non Gli sono mancate le occasioni: quante volte Lo vediamo abbracciarli teneramente!

LA “PROVA” NON PROVA!
Anche noi conosciamo i vari passi della Scrittura dai quali si può affermare la trasmissione delle cattive abitudini, delle funeste conseguenze, della stessa morte fisica; ma nella Bibbia non esiste alcun passo che insegni la trasmissione di una colpa! Anche noi conosciamo i vari passi biblici che vengono addotti – erroneamente! – per suffragare la falsa tesi del peccato ereditario. Nel proporci di esaminare tutti i passi della Scrittura che vengono citati a sostegno di una simile dottrina, non soltanto ci rendiamo conto che questi stessi passi negano tale idea ma emergerà anche e palesemente la futilità di ogni tentativo compiuto da parte di chi è alla ricerca di una “PROVA SCRITTURALE” a sostegno delle proprie tesi.

I° – GENESI 8:21: “I disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua fanciullezza …” Notiamo: (a) Questo passo allude ai proponimenti del cuore degli uomini e Non ai “peccati ereditati”. (b) La tendenza alla malvagità può risalire alla giovinezza di una persona, NON alla sua infanzia. (c) Un bambino appena nato NON ha disegno alcuno nel proprio cuore. (d) NON è menzionato il peccato di Adamo che dovrebbe sussistere anche laddove i disegni malvagi non esistono.

II° - I° RE 8:46: “Quando peccheranno contro di te – poiché non v’è uomo che non pecchi…” Notiamo: (a) Il passo NON parla di una colpa ereditata. (b) Il testo si riferisce ai peccati personali e NON al peccato di Adamo. (c) Il passo dice che “non v’è uomo che non pecchi”; NON parla dei bambini.

III° - GIOBBE 14:4: “Chi può trarre una cosa pura da una impura?” Notiamo: (a) Le nostre anime provengono da Dio, NON da Adamo; e Dio è puro! (b) E’ vero anche il rovescio della medaglia: “chi può trarre una cosa impura da una pura?” (c) Molte volte Gesù ha insegnato questa verità: “O voi fate l’albero buono e buono pure il suo frutto, o fate l’albero cattivo e cattivo pure il suo frutto; perché dal frutto si conosce l’albero.” (MATTEO 12:33). (D) Poiché Iddio è “l’albero” e le nostre anime sono il “frutto”, stiano attenti a ciò che insegnano coloro i quali adducono questo passo di Giobbe quale “PROVA” della loro tesi!

IV° - SALMO 51:5: “Ecco, io sono stato formato nella iniquità e la madre mia mi ha concepito nel peccato.” Notiamo: (a) Il peccato in questione NON era né quello di Adamo né quello di Davide. (b) Il nascere NON costituisce un peccato! V° - LAMENTAZIONI 5:7: “I nostri padri hanno peccato, e non sono più; e noi portiamo la pena delle loro iniquità.” Notiamo: (a) I figli portano la “pena”, MAI la “colpa”! (b) NON furono i peccati di Adamo a causare la prigionia in Babilonia, ma quelli commessi dai padri! VI° - ROMANI 5:12-19: Questo passo sarà attentamente considerato nel prosieguo di questo studio. Questi sono gli unici passi che vengono addotti a sostegno della tesi del “peccato originale”. Come abbiamo visto, nessuno di essi parla di “colpa trasmessa”; anzi, spesse volte, la negano.

UNA STRANA CONFUSIONE
L’unica possibilità per la quale un figlio può essere ritenuto colpevole dei peccati commessi dal proprio padre, comporta e postula questo quesito: una colpa può essere trasmessa? La teologia cattolica risponde “sì” poiché Adamo, capostipite del genere umano, ha peccato e perciò tutta la razza umana è colpevole al pari di Adamo. Agostino ed Ambrogio furono i principali fautori dell’espandersi di una tale idea. Pur essendo reputati dalla Chiesa Cattolica quali Padri e Dottori della Chiesa stessa, noi sosteniamo che il loro insegnamento non era ispirato e ribadiamo altresì che essi non hanno compreso né la Scrittura né il suo insegnamento.

E’ mai possibile che un peccato – un peccato qualunque, anche quello di Adamo! – possa essere trasmesso? I figli possono essere condannati per una trasgressione commessa dal proprio padre? Una simile credenza ci sembra non soltanto ingiusta ed immorale, ma viene energicamente negata e combattuta dalla Bibbia stessa. Infatti proprio in quelle Leggi che sono state date da Dio al popolo ebraico – Leggi che proteggono i diritti di tutti e difendono la innocenza degli innocenti – è stata inserita anche questa Legge: “Non si metteranno a morte i padri per i figliuoli, né si metteranno a morte i figliuoli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato.” (Deuteronomio 24:16). Iddio considera ogni individuo singolarmente, cioè per i peccati che commette personalmente: una Legge, questa, immutata ed immutabile perché Legge divina. Una così chiara ed inequivocabile dichiarazione non avrebbe dovuto far sorgere tra gli Ebrei alcun dubbio. Purtroppo non è stato così.

L’UVA ACERBA
Proprio la confusione tra ciò che è la conseguenza e ciò che è la colpa, ha spinto alcuni ad affermare la “ereditaria della colpa”. Chi non discerne la colpa dalla pena può essere indotto a confondere l’una per l’altra oppure a non fare alcuna distinzione considerando l’una uguale all’altra. Durante la cattività babilonese una tale confusione era penetrata anche nella dottrina giudaica. Gli Ebrei confondevano le conseguenze dei peccati dei loro padri con le colpe dovute a quei peccati. E’ ben vero che, in un certo qual modo, essi subirono alcune ripercussioni materiali a causa dei misfatti commessi dai loro padri giungendo però alla illogica conclusione che stavano “ANCHE” subendone la colpa. Per questo motivo gli Ebrei accusarono Iddio di averli imputati ingiustamente. E Dio stesso intervenne – tramite i profeti Ezechiele e Geremia – per smentire una così esecrabile idea: “E la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: “i padri hanno mangiato l’agresto e ai figliuoli s’allegano i denti? – Com’è vero che io vivo, dice il Signore, l’Eterno, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele.

Ecco, tutte le anime sono mie; è mia tanta l’anima del padre quanto quella del figliuolo: l’anima che pecca sarà quella che morrà.” (EZECHIELE 18:1-4). Il voler affermare con questo proverbio un’assurdità spirituale che si riflette e si ripercuote negativamente sulla stessa giustizia di Dio, indusse Dio Stesso ad intervenire per negare la banalità di una simile dottrina. Il fatto è che la posta in gioco riguarda le anime degli uomini e Iddio ci dice: “tutte le anime sono mie”! Perciò soltanto Lui ha il potere di stabilire “CHI” è colpevole e per “QUALI” peccati! Questo passo del profeta Ezechiele non soltanto contraddice la tesi della “colpa trasmessa”, ma ribadisce altresì il concetto che “l’anima che pecca sarà quella che morrà”. Ciò significa che fino a quando l’anima non pecca, essa “vive”. E “vive” spiritualmente. Come è assurdo affermare che se il padre mangia l’uva acerba, ai figli – che non hanno mangiata – gli si allegano i denti, così è altrettanto assurdo sostenere che l’anima di un bambino può o deve portare la colpa commessa dal padre. Entrambe le idee sono ridicole e vengono chiaramente condannate dal testo biblico che stiamo meditando.

CHI E’ IL COLPEVOLE?
<< La parola dell’Eterno mi fu rivolta >> - dice Ezechiele. Affinché nessuno fraintenda l’applicazione pratica dell’insegnamento di Dio e allo scopo di impedire qualsiasi affrettata ed imprudente conclusione, il profeta ribadisce che << l’anima che pecca è quella che morrà. Il figliuolo non porterà l’iniquità del padre e il padre non porterà l’iniquità del figliuolo; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell’empio sarà sull’empio. >> (vs. 20).
Il figlio, dunque, potrà subire le conseguenze del peccato paterno, MAI LA COLPA!
Allorquando il profeta Geremia – contemporaneo di Ezechiele – parlò contro l’abuso derivato da quell’assurdo proverbio, egli l’incluse in un testo che si riferisce all’era cristiana: << In quei giorni non si dirà più: ‘i padri han mangiato l’agresto, e i denti dei figliuoli si sono allegati ’; ma ognuno morrà per la propria iniquità; chiunque mangerà l’agresto ne avrà i denti allegati. >> (Geremia 31:29-30).

Dunque, soltanto coloro che hanno violato personalmente la Legge di Dio morranno. I bambini non possono essere imputati di alcun peccato e perciò essi << vivono>>. I padri – Adamo compreso – possono avere mangiato l’agresto (cioè aver peccato, come vuole la figura); ma ciò non avrà alcun effetto sui denti dei loro figli (cioè sulle loro anime, come vuole l’allegoria). Un figlio può essere chiamato ‘figlio di un ladro ’ se il suo padre ha rubato; ma finché egli personalmente non ruba non può né deve essere chiamato ‘ladro’! C’è dunque una grande differenza tra la conseguenza per un peccato e la colpa dovuta ad esso. Tale confusione crea una grave responsabilità morale in chi non sa discernere questo principio di così vitale importanza.

FRUTTI DEL BENE E DEL MALE
La Scrittura non soltanto ammette che i figli possono subire le conseguenze derivate dal peccato dei propri genitori, ma ci dice anche che possono essere benedetti mediante la loro giustizia. Non è una strada a senso unico!
Nel dare la Legge a Mosè, Iddio dichiarò questa fondamentale verità decretando il secondo comandamento con il quale intese vietare l’uso di qualsiasi immagine ed il relativo culto: << Io, l’Eterno, il tuo Dio, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri sopra i figliuoli fino alla terza e quarta generazione di quelli che m’odiano, ed uso benignità fino a mille generazioni verso quelli che m’amano e osservano i miei comandamenti. >> (Deuteronomio 5:9-10).

Se non fosse così, la legge dell’influenza paterna sarebbe davvero una legge ingiusta. Chi crede nel peccato originale non si illuda di aver trovato qualche sostegno alla propria tesi adducendo quale prova il secondo comandamento che, d’altra parte, non può essere citato dal Cattolicesimo in quanto tale comandamento è << scomparso >> dal decalogo contenuto nel cosiddetto catechismo. Infatti i Cattolici evitano, con comprensibile paura, questo argomento quando parlano del loro dogma. Non soltanto questo testo nega la << continua>> trasmissione della colpa, ma insegna che le conseguenze esauriscono il loro corso nel ciclo di tre o quattro generazioni, mentre la trasmissione delle conseguenze benefiche dureranno mille generazioni! Il bene, dunque, è superiore al male e le conseguenze del bene dureranno mille volte più a lungo che non il frutto del male. Inoltre lo stesso testo insegna che i figli non sono moralmente colpevoli fino a quando non imitano il cattivo esempio dei loro padri e tanto meno il contesto allude al peccato di Adamo.

<< Com’è vero ch’io vivo, dice il Signore, l’Eterno, non avrete più occasione di dire questo proverbio! >>. Dura sentenza, dalla quale traspare evidente l’offesa che gli Ebrei avevano recato a Dio tacciandoLo di << ingiustizia >>! E per rimuovere un concetto così indegno della Sua giustizia, Dio Stesso intervenne per affermare categoricamente che la Sua Legge non è iniqua, irragionevole, disonesta e sleale! Dio non può essere accusato di abusare dell’innocenza degli innocenti. La Sua Legge è pura ed imparziale . E chi osa contraddire il giudizio pronunciato da Dio? Il male morale dei genitori non può essere esteso alle anime della loro prole e nemmeno la giustizia morale può essere travasata da una persona all’altra!

LE TRE GENERAZIONI CONSECUTIVE
Al fine di esporre ogni possibile combinazione morale, il profeta presenta ben tre generazioni consecutive: un padre giusto che ha un figlio ingiusto il quale, a sua volta, ha un figlio giusto. Se ci fosse qualche responsabilità morale, essa dovrebbe apparire in questa triplice combinazione! Ma Dio afferma che << se uno è giusto >> (Ezechiele 18:5) << ma ha generato un figliuolo che è violento, che spande il sangue >> (vs. 10-12) la giustizia del padre non salverà il figliuolo poiché << questo figlio vivrà egli? No, non vivrà! >> (vs. 13). E nemmeno l’iniquità del figlio potrà condannare il padre perché << quel tale è giusto; certamente egli vivrà >> (vs. 9). E di fronte a questa argomentazione noi diciamo << amen >>, perché ciò è giusto!
Ma è vero anche il rovescio della medaglia! Se questo << figliuolo ch’è un violento >> genera un figlio che vede l’iniquità del proprio padre e << vi pon mente e non fa cotali cose >>, allora << il figliuolo non morrà per l’iniquità del padre; egli certamente vivrà! >> (vs. 14-17). E noi diciamo nuovamente << amen >>! Il padre, però, dovrà pur << morire per la sua iniquità >> (vs. 18).
Perciò, per esaurire ogni controversia, Iddio conclude: << l’anima che pecca è quella che morrà >>! Un insegnamento che elimina, una volta per sempre, ogni possibilità di << trasferimento >> della colpa e della giustizia. Di fronte a Dio non esiste un << travaso >> di meriti o demeriti: NESSUNO DOVRA’ MORIRE PER I PECCATI ALTRUI: NEMMENO PER QUELLO DI ADAMO!
Così come nessuno potrà essere salvato per la fede, la giustizia o l’altrui merito. Nemmeno per i << meriti >>dei cosiddetti << Santi >>!

In tutti i peccati del mondo non c’è sufficiente potenza per condannare un uomo giusto, così come non ci sono sufficienti << meriti >> per salvare un solo peccatore! Soltanto tramite Gesù Cristo – espressione dell’amore e della grazia di Dio - il peccatore può aspirare e pervenire alla propria salvezza!
CHI SEMINA … RACCOGLIE!
Nella Scrittura vi sono molteplici passi i quali attestano che l’uomo dovrà rendere conto soltanto dei propri peccati, Giammai di quelli altrui: <<Non v’ingannate; non si può beffarsi di Dio, perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché chi semina per la propria carne, mieterà dalla carne corruzione; ma chi semina per lo spirito, mieterà dallo spirito vita eterna. >> (Galati 6:7-8). << Nel giorno del giusto giudizio di Dio, Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere… tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo. >> ( Romani 2:5,16). << Poiché dobbiamo comparire tutti davanti al tribunale di Cristo affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quando era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene, o male. >> (2° Corinzi 5:10). << Così dunque ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio >>. (Romani 14-12). << Perché il Figliuol dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, ed allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua. >> (Matteo 16:27). << E vidi i morti grandi e piccoli che stavano ritti davanti al trono; ed i libri furono aperti. E un altro libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro… ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. >> (Apocalisse 20:12-13).

Com’è possibile credere diversamente? Chi ci autorizza a sovvertire ed a pervertire un così chiaro insegnamento? Non è blasfemo arrogarsi il diritto o la pretesa di capovolgere la dottrina di Dio? Potremmo citare molti altri passi analoghi a quelli or ora menzionati; ma ci sembra superfluo farlo. Basti ricordare quanto è scritto proprio al termine della Bibbia: << Ecco (dice il Signore), vengo tosto, e il mio premio è meco PER RENDERE A CIASCUNO SECONDO CHE SARA’ L’OPERA SUA. >> (Apocalisse 22:12).
LA SALVEZZA PER I <<NOSTRI>> PECCATI
Ci sono alcuni i quali – o perché mantenuti nella loro ignoranza oppure male istruiti – si pongono questa domanda: Se non esiste il peccato originale, quale è lo scopo della venuta di Cristo?
Se Cristo non è venuto per salvarci dal peccato originale, perché è stato crocifisso?. Altri chiedono:
Se non dobbiamo essere battezzati per togliere quel peccato, per quale altro motivo dovremmo farsi battezzare?. Un simile ragionamento è assurdo se si considera che abbiamo già un notevole carico di peccati personali, anche se escludiamo quello << ereditato >> da Adamo! Il fatto è che Cristo è morto per riscattarci dai NOSTRI peccati. La Scrittura insegna che tutti gli uomini debbono farsi battezzare affinché possano ricevere il perdono dei propri peccati; ma in essa non è citato MAI un solo esempio di un credente che si sia fatto battezzare per il peccato di Adamo!
L’Apostolo Pietro nel suo discorso pentecostale, disse: << Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei VOSTRI peccati. >> (Atti 2:38).
Allo stesso Saulo, divenuto poi Paolo Apostolo, fu rivolta questa esortazione: << Ed ora che indugi?
Lèvati, e sii battezzato, e lavato dei TUOI peccati, invocando il suo nome. >> (Atti 22:16).

Se un bambino fosse colpevole di un peccato che non ha mai commesso e responsabile di fronte ad una legge che non è in grado di conoscere, desiderare, adempiere – restando così in balìa di una sorte che non può né potrà mai personalmente controllare – quella legge non avrebbe alcuna parvenza di giustizia! E nessuna legge ingiusta può essere attribuita a Dio senza ledere la Sua Stessa DIGNITA’ PERSONALE!

Erano gli Ebrei che dicevano: “la via del Signore non è retta!”. Perché? Perché essi credevano – come abbiamo già sottolineato – che Iddio li ritenesse responsabili dei peccati commessi dai loro padri! Ma Dio Stesso li redarguì: “Sono proprio le mie vie quelle che non sono rette, o casa d’Israele? Non sono piuttosto le vie vostre quelle che non sono rette?” (EZECHIELE 18:29). No! L’anima dei bambini è integra anche senza il battesimo! Anche la stessa giustizia umana – una giusta che spesso manca della “G” maiuscola – non permetterà mai che un bambino sia punito, imprigionato o condannato perché suo padre ha commesso qualche delitto! O forse siamo divenuti talmente trionfi da voler addirittura sostenere che la giustizia umana supera quella di Dio? Nemmeno dei bambini che nascessero dentro una prigione sarebbero tenuti prigionieri. Se sosteniamo il peccato originale e le conseguenze che ne derivano, con la stessa superficialità possiamo affermare che tutti i figli nati da un genitore condannato per qualche crimine, dovrebbero essere mandati in prigione al momento stesso della loro nascita. Non accetteremo mai un sistema giuridico così palesemente ingiusto; ed allora, perché dovremmo ledere la dignità stessa di Dio imputandoGli una così orrenda ingiustizia?

CHI HA BISOGNO DI TORNARE A CASA?
Rivolto al Suo popolo – abbiamo già detto quale fosse l’errato concetto che Ebrei avevano riguardo il peccato – il Signore pose questo quesito: “Provo io forse piacere se l’empio muore? Non ne provo piuttosto quand’egli si converte dalle sue vie e vive?... Poiché io non ho alcun piacere nella morte di colui che muore… convertitevi dunque, e vivete!” (Ezechiele 18:23,32). Quando l’anima pecca, essa “muore” spiritualmente ed ha quindi bisogno di “convertirsi e vivere”. Ma i bambini sono esclusi da una simile prassi poiché né possono peccare, né possono convertirsi. Soltanto i figli “prodighi” cioè soltanto coloro che hanno abbandonato la casa paterna, hanno bisogno di ritornarvi: “Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato, e fatevi un cuor nuovo spirito nuovo; e perché morreste, o casa d’Israele?” (Ezechiele 18:30-31). Queste parole confermano che anche agli Ebrei la Legge di Dio imponeva il “rinnovamento” interiore quale condizione indispensabile per essere realmente convertiti. Anche Cristo ribadì la stessa necessità per poter accedere nel Suo Regno. Né gli Ebrei, né Cristo intesero mai che i bambini dovessero seguire una simile prassi poiché questi già “vivono” in Dio senza alcun bisogno di essere “spiritualmente rinnovati”!

LA MORTE DEL CORPO NON QUELLA DELLO SPIRITO
Abbiamo già visto – esaminando diversi passi dell’Antico Testamento – che v’è una chiara distinzione tra il peccato e le conseguenze che ne derivano. Lo stesso principio è chiaramente ribadito anche dal Nuovo Testamento. L’Apostolo Paolo – nel passo che, all’inizio di questo studio, ci siamo proposti di approfondire più dettagliamene – afferma che tutti gli uomini subiscono le conseguenze del peccato di Adamo, NEGANDO però categoricamente l’ereditarietà della colpa: “Perciò, siccome per mezzo d’un sol uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v’è entrata la morte, e in questo modo la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Poiché fino alla legge (di Mosé) il peccato era nel mondo; ma il peccato non è imputato quando non v’è legge. Eppure la morte regnò, da Adamo fino a Mosé, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo, il quale è il tipo di colui che doveva venire.” (Romani 5:12-14).

L’Apostolo distingue nettamente il peccato di Adamo dalle conseguenze che ne derivano. Quel peccato portò la colpevolezza SOLO alla sua anima, pur avendo recato la ripercussione della morte fisica a tutti gli uomini. Ciò che è “passata su tutti” non è il “peccato”, ma la conseguenza materiale, cioè la “morte” fisica! Fino alla legge di Mosé “il peccato era nel mondo” ma non era imputato. Nessuno ne fu tenuto responsabile. Iddio non accusò alcuna anima del peccato di Adamo semplicemente perché “il peccato non è imputato quando non v’è legge!”. Però gli uomini “morirono” fisicamente da Adamo a Mosé, anche se “non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo”! Tutti “morirono” fisicamente! Ma questa non è una colpa! E’ una semplice – anche se brutta – conseguenza! Se gli uomini sono da ritenersi colpevoli è solo “perché tutti hanno commesso il peccato” e NON per la cosiddetta “COLPA EREDITATA”! L’Apostolo Giovanni ribadisce che “chi fa il peccato, commette una violazione della Legge; e il peccato è la violazione della Legge.” (I° Giovanni 3:4). Ma quando non c’è Legge da violare, è impossibile che Dio imputi il peccato poiché “il peccato è la violazione della Legge.” Dunque: quale Legge violano i bambini? Sotto quale Legge vivono? Non è possibile che la morte cui allude Paolo sia quella dello spirito. Lo conferma lo stesso Apostolo: “Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono. Infatti, poiché per mezzo d’un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d’un uomo è venuta la resurrezione dei morti. Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati. Ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine.” (I° Corinzi 15:20-23).

Questo passo è perfettamente analogo a quello di Romani 5:12-14! In entrambi si parla della “morte fisica”, introdotta nel mondo per mezzo di Adamo, per cui “tutti muoiono”: Cristo compreso! Proprio “mediante la morte” Cristo “distrusse colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo, e liberò tutti quelli che per il timor della morte erano per tutta la vita soggetti a schiavitù.” (Ebrei 2:14-15). Anche Cristo “morì” fisicamente, proprio “come tutti muoiono in Adamo”! Ma Cristo è Realmente “risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono” e perciò “tutti coloro che muoiono in Adamo…in Cristo saranno tutti vivificati”!

IL DOGMA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE.
Per togliere ogni difficoltà inerente la tesi del peccato originale, è stato inventato uno strano dogma. L’idea della “IMMACOLATA CONCEZIONE” è stata promulgata soltanto nel 1854 dal Papa Pio IX; ma di essa non esiste alcun riscontro in tutta la Bibbia. Anzi la Scrittura insegna che tutti gli uomini sono “immacolatamente concepiti” nel senso che non sono imputabili di alcuna colpa quando nascono. E’ mai possibile che una dottrina così importante (almeno per i Cattolici) sia stata completamente trascurata da tutti gli Scrittori Sacri e lasciata così alla mercé dell’umana speculazione? Cristo non è stato risparmiato o esentato – in qualche maniera speciale – dalla sorte comune di tutti gli uomini: “Egli doveva essere fatto in ogni cosa simile ai suoi fratelli… perché in quanto Egli stesso ha sofferto essendo tentato, può soccorrere quelli che sono tentati.” (Ebrei 2:17-18).

La Sua “distinzione” spirituale deriva soltanto del fatto che Egli non si è mai contaminato peccando. Se fosse stato favorito in qualche odo con un purezza “originale” preclusa agli altri uomini, la Sua posizione di “Mediatore” cadrebbe nel ridicolo. Se avesse goduto rispetto a noi il benché minimo vantaggio spirituale (anche se i Cattolici sostengono che il peccato originale ci danneggia enormemente) allora avremo tutti i diritti di dirGli: “Tu parli bene, perché non hai avuto la mia nativa debolezza”! Ma l’assurdità di una simile tesi è palesemente contraddetta dalla Scrittura, la quale afferma e conferma che Cristo si è perfettamente identificato con noi, senza alcun vantaggio: “Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena facilità al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi nel momento opportuno.” (Ebrei 4:15-16).

Cristo è stato tentato proprio << come noi >> e << in ogni cosa >>! Egli non ha usufruito di alcuna potenza divina – che non sia anche a nostra disposizione – per vincere il diavolo. E nemmeno ha usato la propria potenza per << cambiare i sassi in pane >>; ché, in tal caso, non avrebbe potuto lasciarci l’esempio derivato dal Suo rifiuto agli allettamenti satanici. Se Cristo, nelle Sue tentazioni, fosse stato favorito rispetto a noi con qualche vantaggio fisico o spirituale, la Sua vittoria sul peccato costituirebbe una farsa e ci ridicolizzerebbe a causa della nostra ‘ DEBOLEZZA EREDITARIA ’! No! Questo non può essere! Cristo ha incontrato Satana sullo stesso terreno in cui noi stessi l’incontriamo!

Cristo è morto affinché tutti gli uomini – Adamo compreso – fossero liberati dalla morte fisica; cattivi e buoni ereditano questo beneficio scaturito dalla Sua morte. Egli visse perfettamente immacolato – non perché dotato di un dono speciale conferitoGli da Dio – ma perché seppe vincere ogni tentazione: (cfr. Matteo 4:1-11). E così – adempiuta ogni Legge morale – Cristo << morì come agnello senza difetto né macchia >> appunto perché tutti – Adamo compreso – avessimo la possibilità di << essere riscattati dal vano modo di vivere. >> ( I° Pietro 1:18-19).
La visione di queste mirabili realtà indusse Paolo ad esclamare: << L’amore di Dio ci costringe; perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e che Egli morì per tutti affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro… Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura… >> (2° Corinzi 5:14-17).

I FIGLI DI DIO NASCONO NELLA SUA CASA
Benché anche i bambini abbiano bisogno, tramite Cristo, di essere liberati dalla morte fisica – perché Cristo, << morendo per tutti >>, è morto anche per loro – tuttavia essi non necessitano di alcuna liberazione spirituale non avendo commesso alcun peccato.
Infatti, secondo Gesù, ciò che condanna una persona è << ciò che viene dal suo cuore; ed è quello che contamina l’uomo. >> (Matteo 15:19). Se non proviene dal ‘ Suo ’ cuore, non può contaminarne l’anima. Inoltre il Maestro insegna che solo << chi commette il peccato è schiavo del peccato. Or lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figliuolo vi dimora per sempre. >> (Giovanni 8:34-35).

I figli di Dio nascono nella Sua casa e quivi dimorano col Padre fino a quando, cadendo nel peccato – che li allontana dalla casa paterna – divengono << schiavi del maligno >>. Solo lo schiavo << non dimora nella casa di Dio >>. Poiché Iddio è il << Padre degli Spiriti >> (Ebrei 12:9) le nostre anime provengono direttamente ed esclusivamente da Lui, senza passare attraverso il crogiuolo del fuoco infernale. Salomone ci conferma l’origine divina dell’anima asserendo che, quando muoiamo, il corpo << tornerà alla polvere com’era prima >>, ma << lo Spirito tornerà a Dio che l’ha dato. >> (Ecclesiaste 12:9).

Tutte le Creature nascono sotto la grazia di Dio. Soltanto tramite il loro libero arbitrio, la loro libera scelta, i loro peccati personali, possono divenire << prodighi >>. Nella parabola di Gesù, ad esempio, il figlio non era << prodigo >> fino a quando non decise personalmente di abbandonare la casa paterna. Quel figlio né nacque << in quel paese lontano >>, né << nel porcile >>! Nacque nella sua casa; ed in quella casa – pentito di averla abbandonata – vi ritorno come chi << era morto, ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato.>> (Luca 15:8-32). Fintantoché si trovava nella casa paterna – cioè sotto la grazia di Dio – non era né morto né perduto!

LA LEGGE DELLA VITA E DELLA MORTE
L’Apostolo Giacomo ci descrive le cause che conducono l’uomo verso la morte spirituale: << Nessuno, quand’è tentato, dica: ‘ io sono tentato da Dio ‘. Perché Dio non può essere tentato dal male né Egli Stesso tenta alcuno. Ma ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza, avendo concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quand’è compiuto, produce la morte. Non errate fratelli miei diletti.>> (Giacomo 1:13-16). Nessuna eccezione, dunque, alla regola! E’ così per tutti! Questo è l’ineluttabile succedersi degli eventi allorché il peccato produce la morte spirituale. Non c’è alcuna eccezione! Fintantoché il peccato non è compiuto, << OGNUNO >> vive! Il peccato non può essere << compiuto >> se prima non è stato << concepito dalla propria concupiscenza >>. E, prima ancora che possa sussistere la concupiscenza, debbono esservi le << tentazioni >> che << attraggono e adescano >> l’uomo inducendolo a violare la Legge. E’ finché non avvengono tutte queste cose, l’uomo << vive >>!

Ci si astenga dal pensare e dal credere che Dio sia il nostro tentatore o che infligga la pena spirituale a chi non ha commesso alcun peccato! Iddio non tenta i bambini, << né Egli stesso tenta alcuno >>! Egli non imputa ai bambini alcun peccato, perché sa che essi non hanno violato alcuna delle Sue Leggi! Essi non << hanno compiuto >> alcuna cosa illecita; la loro volontà non ha mai << partorito >> alcun peccato! La << morte spirituale >> non li riguarda perché << dove non c’è Legge il peccato non è imputato. >>! La Legge di Dio non riguarda i bambini: << Or noi sappiamo che la Legge è buona se uno l’usa legittimamente, riconoscendo che la Legge è fatta non per il giusto, ma per gli iniqui. >> (I° Timoteo 1:8-9).
Di quale << iniquità >> sono colpevoli i bambini? Nessuna. Dunque, << la Legge non è fatta >> per loro!

IL BATTESIMO CATTOLICO
Dopo avere esposto il pensiero della Bibbia riguardo la condizione spirituale dei bambini e aver dimostrato l’impossibilità della << trasmissione della colpa >> di Adamo, è utile esaminare quanto afferma in merito la dottrina della Chiesa Cattolica Romana. Vedremo quanto questa contrasti con gli insegnamenti della Scrittura.
Per scoprire la teologia del loro dogma non c’è disponibile miglior fonte d’informazione dello stesso rito o cerimonia del battesimo dei bambini, così come è praticato dai sacerdoti della Chiesa Romana. Ben pochi Cattolici laici conoscono tutte le strane cose che vengono insegnate e praticate durante tale rito. (Forse è questo il motivo per cui si preferisce l’uso del latino?).
La prassi seguita durante lo svolgimento del battesimo di un bambino può essere rinvenuta in qualsiasi breviario o messàle comunemente usato dai sacerdoti Cattolici. Sarà utile altresì notare le spiegazioni che essi adducono per questo rito, così pieno di significative rivelazioni sugli errori che tale pratica comporta.

Seguendo l’intera cerimonia – il cui testo l’abbiamo integralmente desunto dall’opuscolo <<BATTESIMO, RITO >>, Edizioni Paoline, pubblicato con il ‘ nihil obstat ’ dal Sac. Pietro Ribri, Revisore Delegato. Frascati, 20 novembre 1955 – di tanto in tanto porremo qualche domanda suggerita dallo stesso cerimoniale.
Ecco come viene presentato il rito:
‘Un gruppo di persone sorridenti sta fermo sulla soglia della Chiesa. C’è un neonato sorretto dalle braccia di una donna; è chiaro quindi, che si tratta di gente convenuta per il battesimo di quel piccino. Ma cosa si aspetta? Si aspetta il sacerdote! Eccolo con i suoi chierichetti. Egli viene incontro al battezzando indossando cotta e stola violacea. Quel colore di penitenza indica la mestizia della Chiesa alla vita di un’anima ancora nelle grinfie del demonio ’. (DOMANDA: ma il bimbo è sotto la cura degli << Angeli di Dio >> - come disse Cristo – oppure, come dice il sacerdote, è ‘ ancora nelle grinfie del demonio?’).
La spiegazione Cattolica così continua: ‘ Quell’anima ancora schiava del demonio è l’anima del neonato! Egli, poverino, non sa di portare in sé la brutta eredità del peccato originale di Adamo e Eva, peccato che gli tiene chiuse le porte del Paradiso.’ (DOMANDA: Può Iddio ritenere il bambino responsabile di ciò che egli ‘ non sa ’, né potrebbe sapere? Ma, secondo Cristo, chi << è schiavo del peccato? >>. Colui che << commette il peccato >>, oppure colui che ‘ eredita ’ i peccati altrui? << può il figliuolo portare l’iniquità del padre? >>).
Il racconto così procede: ‘ Ma lo sanno bene i padrini che rispondono per lui alle domande del sacerdote e che fanno da testimoni e da portavoce alla sua professione di fede! E lo sa la gente che è venuta – parenti ed amici – ad assistere al bel rito di quel Sacramento che trasformerà il bimbo da pagano (!) in << Cristiano >>, ovvero in seguace di Gesù ’. (DOMANDA: Si può credere << per procura >>? Non ha detto l’apostolo Paolo che << ciascuno esamini invece l’opera propria; e allora avrà motivo di gloriarsi rispetto a se stesso soltanto, e non rispetto ad altri. Poiché ciascuno porterà il proprio carico. >>?!? (Galati 6:4-5). E, se ciò non bastasse, << quando >> e << dove >> mai troviamo che qualcuno sia stato battezzato sull’altrui fede? Se ‘ quel bel rito trasformerà il bimbo da pagano in << Cristiano >>, perché Cristo ha scelto proprio un << pagano >> (!) per insegnarci che se vogliamo entrare nel Suo Regno dobbiamo << mutare e divenire >> come quel ‘ pagano ’ o ‘ schiavo di Satana ’? Era proprio un ‘ pagano ’ quel bambino del quale Cristo ebbe a dire: << di tali è il Regno dei Cieli >>?
Il rito prosegue: << Tra il sacerdote ed il battezzando si svolge questo dialogo: ‘ Carlo, che cosa domandi alla Chiesa di Dio? ’. I padrini rispondono: ‘ La Fede ’. ‘ Che cosa ti procura la Fede? ’.
‘ La Vita Eterna ’. Se dunque vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti: ‘ Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso ’. (DOMANDA: Che significa questo ‘ cosa comandi ’? E’ proprio il bambino che può domandare qualche cosa? Perché, chiamando il bambino per nome, il sacerdote gli pone queste domande? Il bambino può essere in grado di ricevere la Fede che altri gli fanno ‘ chiedere ’? Quei comandamenti che il bimbo deve osservare << per entrare nella vita eterna >> non sono quelli contenuti nella Legge? Ma, allora, Carlo è << con >> o << senza >> la Legge? Si può passivamente diventare peccatori ed altrettanto passivamente essere salvati?).
A questo punto, il sacerdote << soffia tre volte, in onore della Santissima Trinità, sulla faccia del bimbo. Poi dice: ‘ Esci da lui, spirito immondo, e cedi il posto allo Spirito Santo Consolatore ’. Questo è il primo esorcismo operato sul bambino dal ministro di Dio, che da Lui ha ricevuto il potere di cacciare il demonio >>. (DOMANDA: Ma << chi >> ha messo quel demonio nell’anima del neonato? Iddio? E’ proprio da colui che è dotato di una perfetta identità e comunione con Cristo che si deve cacciare il demonio? Il bambino riceve in quel momento lo Spirito Santo, oppure ne rimane privo fino alla Cresima? Si può ammettere una teologia che inventa l’idea dei bambini indemoniati ed usurpa il potere di esorcizzarli? (cfr. Atti 19:15)!

Il racconto prosegue: << Il sacerdote fa un segno di croce sulla fronte del battezzando… poi sul petto… dicendo una preghiera. Indi stende la destra sul capo del bambino… per indicare che la Santa Chiesa lo accoglie tra i suoi figli e, tenendo il braccio teso su di lui, dice: ‘ Preghiamo! Dio Onnipotente e Sempiterno, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, dègnati di riguardare con tenerezza questo tuo servo Carlo che ti degnasti chiamare ai primi elementi della Fede; caccia da lui ogni cecità di cuore; spezza tutti i legami con cui fu legato da Satana; aprigli, o Signore, la porta della tua pietà onde, pervaso dal segno della tua sapienza, vada immune dalle sozzure di ogni cupidigia, sì che seguendo l’odore dei tuoi precetti, ti serva lietamente nella tua Chiesa e faccia progressi nel bene di giorno in giorno. Per lo stesso Cristo Signor Nostro. I padrini rispondono: ‘ così sia ’.>> (DOMANDA: Quando mai Iddio decretò di << chiamare >> i bambini al battesimo o – ancor più stranamente – alla Fede? Questi ‘ legami con cui il bimbo è legato da Satana ’, sono gli stessi legami che lo uniscono a Cristo? Non ha detto Gesù che << chi riceve un piccolo fanciullo in nome mio, riceve me >>? Ricevendo un bimbo, si riceve Cristo oppure il diavolo?).
<< Poi il sacerdote benedice il sale, dicendo questa preghiera: ‘ Ti esorcizzo, creatura del sale, nel nome di Dio, Padre Onnipotente, e per la carità di nostro Signore Gesù Cristo e nella virtù dello Spirito Santo. Ti esorcizzo per Dio vivo, per Dio vero, per Dio santo… affinché tu diventi sacramento salutare atto a scacciare il nemico… affinché divenga per tutti coloro che la ricevano, medicina perfetta, stabile dentro di loro…>>. (DOMANDA: Si deve prima cacciare i demoni dal sale, e poi esso diverrà atto ad esorcizzare i demoni? Il nostro medico è il sale, oppure lo è Cristo?).
<< Il sacerdote mette un po’ di sale benedetto nella boccuccia di Carlo, dicendo: ‘ prendi il sale della sapienza e ti sia di propiziazione per la vita eterna. ’ (DOMANDA: Lo ha insegnato Cristo che il sale materiale, una volta purificato, diventa ‘ atto a cacciare Satana ’??? E se non lo ha insegnato Cristo chi ha voluto immettere una così banale ed assurda innovazione nel rito del battesimo?).
<< Dopo un’altra preghiera, il sacerdote traccia tre segni di croce sul bimbo. Per la seconda volta comanda poi al demonio di uscire dall’anima di quella creatura, dicendo: ‘Ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché esca e ti allontani da questo servo di Dio… Perciò, diavolo maledetto, riconosci la tua sentenza e rendi onore a Dio vivo e vero, a Gesù Cristo Suo Figliuolo, allo Spirito Santo e discostati da questo servo di Dio, perché Iddio e nostro Signor Gesù Cristo si è degnato invitarlo alla Sua santa grazia e benedizione, e al fonte battesimale! >> (DOMANDA: Iddio, Cristo e lo Spirito Santo sono veramente disposti ad accertare ‘ onori resi dal diavolo maledetto ’? Ma il Vangelo non ci dice piuttosto che Cristo sgridò i demoni, non permettendo loro di parlare? (cfr. Luca 4:41). Dov’è, nella Scrittura, il passo in cui Cristo comanda ai bambini di battezzarsi? Si può << inventare >> degli insegnamenti estranei al pensiero e alla dottrina di Cristo e poi pretendere che siano originati da Lui? Se i bambini sono già << santi >>, anche senza il battesimo (I° Corinzi 7:14), non si trovano già, per natura, nella ‘ santa grazia di Dio ’? E non godono già la << benedizione dei Suoi Angeli >> in conformità a quanto disse Cristo: cioè che << gli Angeli loro vedono del continuo la faccia del Padre mio che è nei
Cieli >>).
<< Poi il sacerdote traccia con il pollice un nuovo segno di croce sulla fronte del bimbo, dicendo:
‘ Non aver mai l’ardire, o diavolo maledetto, di violare questo segno della santa croce che imprimiamo sulla sua fronte. Per lo stesso Cristo Signor Nostro.’ I padroni rispondono: ‘ Così sia. ’
(DOMANDA: Perché il sacerdote continua ad imprecare contro il diavolo, se << invece l’arcangelo Michele quando contendendo col diavolo, disputava circa il corpo di Mosè, non ardì lanciare contro a lui un giudizio ingiurioso, ma disse: ‘ Ti sgridi il Signore ’? << Ma costoro dicono male di tutte le cose che non sanno >>!!! (Giuda 9-10).
<< Il sacerdote poi stende la mano destra sopra la testina di Carlo e fa un’altra preghiera, implorando la ‘ pietà ’ di Dio sopra questo ‘ suo servo ’. Inoltre mette sul bimbo un lembo della propria stola (che è insegna del potere di Dio a lui conferito) e lo introduce nella Chiesa dicendo:
‘ Entra nel Tempio di Dio, per avere parte con Cristo alla Vita Eterna ’. >> (DOMANDA: << Chi riceve un piccolo fanciullo in nome mio, riceve me >> non significa che i bambini, senza essere battezzati, ‘ hanno già parte con Cristo ’? I bambini non solo << tali- quali >> coloro che già si trovano nel Regno di Dio? Il lembo della stola sacerdotale possiede qualche speciale virtù taumaturgica?).
<< Avviandosi al battistero, recitando il Credo ed il Padre Nostro, il sacerdote volge le spalle al battistero (terzo esorcismo) dicendo: ‘ Ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome di Dio Padre Onnipotente e nel nome di Gesù Cristo Suo Figliuolo Nostro Signore e Giudice, e nella virtù dello Spirito Santo; lascia definitivamente questa creatura di Dio che Nostro Signore si è degnato chiamare al Tempio Suo santo, perché divenga tempio di Dio vivo, e lo Spirito Santo abiti in lui. Per lo stesso Cristo Signor Nostro il quale verrà a giudicare i vivi e i morti e il mondo con il fuoco. ’ Il bimbo è detto ‘ creatura di Dio ’ perché Iddio l’ha creato. E di Dio deve tornare ad essere. Non lo era per colpa del peccato ereditario, gli dona la vita della grazia, lo fa figlio adottivo di Dio, lo unisce a Gesù e lo rende membro della Chiesa. >> (DOMANDA: Poiché è Iddio che ha creato l’anima del bimbo, che significa questa tiritèra sui demoni? Dio ha creato l’anima per poi subito inserirvi uno ‘ spirito immondo ’? Se il bimbo deve ‘ tornare ad essere di Dio ’, di chi è o a chi appartiene se non è battezzato? Come mai Cristo non ha dato alcun insegnamento in merito?).
<< Accostandosi al fronte battesimale, il sacerdote inumidisce con la saliva della propria bocca il suo pollice destro. Poi tocca l’orecchio destro dicendo: ‘ apriti ’. Tocca anche le narici del bimbo dicendo: ‘ in odore di soavità. E tu diavolo, vattene via, poiché è vicino il giudizio di Dio ’. >> (DOMANDA: La saliva del sacerdote è dotata di qualche virtù spirituale che le consente di cacciare i demoni? Ma quante volte deve essere cacciato questo diavolo?!? Questo toccare qua e là con la saliva del sacerdote corrisponde a qualche insegnamento che Cristo o gli Apostoli hanno decretato riguardo al battesimo?).
<< Il sacerdote chiede al battezzando i ‘ voti battesimali ’ ed interroga il bimbo per sapere se ha davvero intenzione di rinunciare a Satana per essere di Cristo. I padrini rispondono invece del neonato per lui compiono i ‘ voti battesimali ’; cioè prendono per lui l’impegno di rinnegare il diavolo per affermare il suo attaccamento a Dio. ‘ Rinunzi a Satana ’? I padrini rispondono: ‘ Rinuncio ’. ‘ E a tutte le sue opere ’? ‘ Rinuncio ’. ‘ E a tutte le sue pompe ’? ‘ Rinuncio ’. >> (DOMANDA: Donde questo ‘ rinuncio ’ vicario? Come può il bimbo ‘ rinunciare a Satana e a tutte le sue opere e pompe per essere di Cristo ’ se non sa né può sapere che esistono l’uno e l’altro? Che valore può avere per il bimbo il ‘ rinuncio ’ altrui? Ma, ammesso e non concesso che sussistano dei motivi, che cosa succederebbe se il bimbo rispondesse ‘ no ’? Quanti sono, infatti, i bambini che crescendo non si sono sentiti affatto ‘ legati ’ a Cristo?!?).
<< Dopo che l’olio santo viene messo sul bimbo, e quindi tolto, il sacerdote interroga il battezzando sulle verità della Fede. Per l’ultima volta il sacerdote sottopone il neonato, chiamandolo per nome, ad un interrogatorio: ‘Credi in Dio Padre Onnipotente, Creatore e Signore del Cielo e della terra? ‘I padrini rispondono: ‘ credo ’. ‘ Credi nello Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne, la vita eterna ’? ‘ Credo ’. ‘ Vuoi essere battezzato ’? ‘ Lo voglio ’! (DOMANDA: Perché il sacerdote interroga il bambino, chiamandolo per nome, se sono i padrini a rispondergli? Forse si vuol creare l’impressione che il bimbo sia conseziente a questa costrizione ed a questo abuso della sua ingenuità, oppure si vuol dimostrare che il bambino può davvero credere a tutte queste dottrine cattoliche? L’Apostolo Paolo ha insegnato una confessione di fede più semplice, ma è una confessione che riguarda soltanto coloro che HANNO VERAMENTE FEDE: << La Parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore; questa è la parola della fede che noi predichiamo; perché se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti col cuore si crede per ottener la giustizia, e con la bocca si fa confessione per essere salvati. >> (Romani 10:8-10) Il bimbo crede davvero? Confessa tale fede con la propria bocca? Crede davvero col suo cuore? Se i padrini rinunciano al diavolo per il bimbo, se fanno per lui i ‘ voti battesimali ’, perché allora non si battezzano per lui? Se si può credere << per procura >>? Il bimbo è consenziente a tutto questo? Oppure il rito cattolico comporta soltanto la più assoluta indifferenza, ingenuità e passività del bimbo? E tutto questo viene fatto senza alcun rispetto verso il libero arbitrio del bimbo stesso!!! E forse lui che ha chiesto di essere battezzato?).
<< Il sacerdote, invitati i padrini a tenere il bimbo sul fonte battesimale, gli versa tre volte l’acqua sul capo dicendo le parole della formula: ‘ Carlo, io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. ’ E’ in questo istante che il bimbo diventa figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, membro della Chiesa: è qui tutta l’essenza del battesimo. Quando il bimbo stesse per morire, il ‘ ministro ’ (che in questo caso può essere chiunque, anche un fanciullo) lascia da parte ogni altra cerimonia e compie solo questo atto essenziale: ‘ Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello spirito Santo! >> (DOMANDA: Chi battezza i bambini dimostra di avere completamente dimenticato che Cristo insegna che prima del battesimo il candidato DEVE essere ammaestrato e DEVE credere personalmente: << Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro d’osservar tutte quante le cose che v’ho comandate. >> (Matteo 28:19-20) La fede – ribadisce il Signore – è condizione indispensabile per essere battezzati: <<Andate per tutto il mondo e predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato. >> (Marco 16:15-16). Se basta il semplice rito composto di poche parole e di acqua, allora perché si fanno tutte quelle altre cose? Credono forse di abbellire questo rito voluto da Cristo in una forma così semplice? E poiché la parola ‘ battesimo ’ significa ‘ immersione, sepoltura ’, perché si asperge l’acqua sul capo del bimbo invece di immergerne l’intero corpo, come si faceva per gli adulti nella Chiesa primitiva? (cfr. Romani 6:3-5).
<<Dopo questa lunga e fantasiosa cerimonia, il sacerdote fa alcuni segni di croce, pone sul corpo del bimbo una veste bianca, consegna ai padrini una candela accesa e così (dopo il relativo pagamento!) si chiude il rito>>.

IL CONTRASTO CON CRISTO E’ PALESE.
Nella cerimonia cattolica che abbiamo descritto ed esaminato, c’è un enorme differenza, un pesante contrasto con quanto Cristo ha insegnato. C’è ben poca affinità tra la dottrina cattolica e l’insegnamento di Cristo. Nessuno può accampare la pretesa di ignorare quanto Cristo ha decretato circa il battesimo ed i bambini, per inserire cose che Egli non ha MAI insegnato, inventare dogmi che contrastano la Sua dottrina e chiamare la confusione risultante un “battesimo cristiano”!!! Se il battesimo che amministra un sacerdote è un “battesimo cristiano”, come dovremmo chiamare il battesimo decretato da Cristo? A parte ogni ovvia inconsistenza ed incoerenza nella teoria del peccato originale, a parte il suo contrasto con la verità scritturale, a parte il fatto che la teologia cattolica insegna che i bambini nascono “indemoniati”, a parte l’assurdità di una fede “vicaria e dei “voti battesimali” fatti “per procura” – a parte ogni altra considerazione – resta il fatto incontestato ed incontestabile che Cristo NON HA MAI inteso, insegnato o comandato che i bambini debbono essere battezzati. La pratica del battesimo degli infanti – che riassume il dogma cattolico del peccato originale – è una pratica totalmente estranea a tutti i principi neo-testamentari e contraria anche alla pratica del Cristianesimo primitivo. Se il peccato originale fosse vero, allora il battesimo dei bambini non avrebbe avuto inizio né con Cristo (come ai Cattolici piace credere!) né con Mosè e neppure con Noé; bensì con i primi figli di Adamo! Poiché non appena il peccato di Adamo incominciò a trasmettersi ai suoi figli, Iddio avrebbe dovuto comandare in quel istante stesso il loro battesimo a almeno qualche rito di pari efficacia per cancellare quella colpa!

NON E’ PER I MOTIVI DI POLEMICA.
La nostra avversione al battesimo dei bambini, non scaturisce da un sentimento anti-cattolico, ma dalla diretta applicazione di tutto quello che l’ispirata Parola di Dio decreta e stabilisce riguardo ai bambini ed alla impossibilità di trasmettere il peccato di Adamo ad altri. La nostra convinzione che il battesimo dei bambini non fu mai praticato nella Chiesa apostolica non è una teoria avventurosa, ma è il frutto diretto della ricerca storica e dello studio delle Scritture. E le nostre convinzioni sono anche PIENAMENTE CONFERMATE DAGLI STESSI TEOLOGI CATTOLICI E DAGLI STORICI DELLA CHIESA ROMANA! Infatti difficilmente troveremo una voce più autorevole di quella del sommo e noto teologo Bernard Bartmann, autore di un’imponente opera, << TEOLOGIA DOGMATICA >> recante tutte le autorizzazioni ecclesiastiche e che serve, come testo di studio, nei seminari cattolici.

AMMISSIONI CATTOLICHE
Ecco quanto scrive il Bartmann circa il dogma cattolico: <<Il battesimo è il sacramento della remissione dei peccati e della rigenerazione. E’ di fede. Cristo indica come effetto del battesimo la rigenerazione spirituale e l’ammissione al Regno di Dio.>> (Giovanni 3:5) (op. cit. pg. 1205-1206).
Commentandone la dottrina della Chiesa del primo secolo il teologo afferma: <<I fedeli sono dunque ‘tuffati o immersi ’ in Cristo, entrando nella sua appartenenza diretta e vitale; essi possono così beneficiare di tutta la sua potenza e dei suoi favori. Se si esamina più profondamente l’espressione greca ‘ pisteuein eis ’ – cioè dare la propria fede e fiducia a qualcuno, donarsi cioè totalmente a Lui – si trova qui la concezione fondamentale della fede primitiva che riassume tutta la vita cristiana nella persona di Cristo.>> (op. cit. pg. 1215). Noi sosteniamo che ciò che fu la pratica della Chiesa primitiva è cosa molto diversa da quanto si fa ora tramite i padrini, poiché il bimbo non può dare il proprio ‘ pisteuein eis ‘!

Il teologo continua: <<Nei primi tempi della Chiesa, Cristo non era un dogma, una concezione, un ideale più o meno astratto, ma una persona viva, qualcuno. Essere di Cristo significa credere all’insegnamento di Gesù, fidare nei suoi soccorsi imitare i suoi esempi, vivere sotto il sguardo consacrarsi al suo servizio, donarsi a Lui come ci si dona ad un amico che si stima infinitamente, nel quale si ha una confidenza assoluta e si ama senza misura; in una parola, essere cristiani è appartenere a Cristo… S. Paolo dice che mediante il battesimo noi siamo stati immersi nella morte e nella resurrezione di Cristo per condurre con Lui una vita nuova… E’ l’insegnamento cui risponde S. Paolo in Colossesi 2:11-12: <<Siete stati con Lui sepolti nel battesimo, ed anche con Lui resuscitati, per la fede nell’onnipotenza di Dio che lo risuscitò da morte.>> E’ questa fede; il neofita aderisce formalmente ala realtà salvatrice della Passione; e quindi il battesimo lo fa entrare in uno stato di santità, nel senso biblico del termine, stato che consiste in una somiglianza reale, una conformazione a Cristo.>> (loc. cit.). La fede primitiva era così! Dunque, non ci vengano a dire che il battesimo dei bambini rispecchia ‘ quella ‘ fede! E non ci vengono a criticare perché noi, nella Chiesa di Cristo, seguiamo proprio quella prassi, rifiutandoci di battezzare i bambini – che non possono avere una tale fede – e tanto meno facendolo ‘ per procura ‘! E’ fin troppo ovvio che la Chiesa Cattolica ha scarsa affinità con la fede apostolica!

LA FEDE: PREREQUISITO ESSENZIALE
Le affermazioni del Bartmann si trovano subito in difficoltà con la dottrina cattolica e con la storia dei primi secoli della Chiesa: << Benché il Concilio di Trento, esponendo la dottrina dei sacramenti, accentui l’<< opus operatum >>, tuttavia quando parla della grazia fa pure spiccare l’<< opus operantis >> (s. 6 cap. 6 Denz. 798) ossia lo sforzo e la collaborazione di chi riceve il sacramento, in quanto richiede come disposizioni per la giustificazione, la fede, la speranza, il timor di Dio, l’amore iniziale e la penitenza. La Scrittura dice che chi crederà e sarà battezzato sarà salvo (Marco 16:16). Secondo l’insegnamento dei Padri, il battesimo – per produrre la vita nuova – deve essere preceduto dalla penitenza e da una seria conversione. Anche gli Scolastici, nonostante la loro insistenza sull’<< opus operatum >>, non conoscono altra dottrina. >> (op. cit. pg. 1140).
Dunque: né la Scrittura, né Cristo, né i << Padri >>, né la Scolastica conoscono altra dottrina che questa: << Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato >>! Ma la Chiesa Cattolica ha sovvertito questo principio e poi pretende che si creda che ‘ E’ sempre stato così ’!!!
Infatti, continua il Bartmann: << Più tardi la prassi del battesimo dei bambini fece perdere al sacramento parte del suo primitivo prestigio; già in un Concilio a Parigi dell’829 constata con rincrescimento il fatto. Nel Cristianesimo primitivo il battesimo significava una rottura consapevole, totale e definitiva, con il passato! Si abbandonava la via delle tenebre e della morte per entrare in quella della luce e della vita. Ora che riceviamo il battesimo ancora bambini, senza l’uso della ragione, non possiamo essere consapevoli degli atti di penitenza che un tempo lo precedevano, né delle gravi e serie obbligazioni che assumemmo per mezzo dei padrini. Proprio per questo è maggiormente necessario che i fedeli abbiano piena conoscenza del più importante e del più necessario dei sacramenti. >> (op. cit. pg. 1192).

Noi chiediamo: se Cristo ha dato originariamente al battesimo il significato di << una rottura consapevole con il passato >>, chi è stato a dare << Più tardi >> quell’altro significato? E se nella Chiesa primitiva lo si << precedeva con atti di penitenza >>, perché non dovrebbe essere << sempre così >>? Ed inoltre: perché si vuole sostenere ora che << la prassi del battesimo dei bambini >> non è stata introdotta << più tardi >>? C’era forse qualche imperfezione nel battesimo decretato da Cristo, oppure c’era qualche lacuna della pratica della Chiesa primitiva?
La teoria cattolica si confessa da sé affermando che tutto ciò è avvenuto << più tardi >>! Il Bartmann ammette che il battesimo dei bambini non è fatto << con il pieno prestigio >>, così come lo stesso Concilio di Parigi constatava << con rincrescimento >> la dolorosa << perdita di parte del suo primitivo prestigio >>! E la data dell’anno 829 è assai significativa poiché dimostra che il battesimo dei bambini non era ben consolidato nella Chiesa Cattolica neppure in quel periodo ampiamente posteriore all’epoca apostolica.

UN NUOVO SACRAMENTO INVENTATO
Quando il battesimo era accompagnato dalla fede, dal ravvedimento e da << una seria e consapevole conversione >>, non era necessario rimandare per otto o più anni la
<< confermazione >> del battesimo stesso onde ricevere lo Spirito Santo. Nella Chiesa del primo secolo non esisteva il battesimo dei bambini e tanto meno esisteva l’idea della << cresima >> degli adolescenti come conferma della validità del loro << infantile >> battesimo. Siamo davvero agli antipodi con quanto è decretato dalla Scrittura!!!
Il battesimo ha come effetto immediato il dono dello Spirito Santo; dono che l’Apostolo Paolo descrive con queste parole: << In lui voi pure, dopo avere udito la parola della Verità, l’Evangelo della vostra salvazione, in Lui avendo creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio s’è acquistati, a lode della Sua gloria. >> (Efesini 1:13-14). Tale dono non proveniva né dagli Apostoli né per mezzo dell’imposizione delle loro mani. E’ Dio stesso che << ci rende fermi in Cristo, e ci ha unti, il quale ci ha pur segnati col proprio sigillo, e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.>> (2° Corinzi 1:21-22). E questo dono è così chiamato: << quei tempi di refrigerio che vengono dalla presenza del Signore. >> (Atti 3:20).

La prassi della dottrina Cristiana dimostra che questo dono era una diretta conseguenza del battesimo. Proprio nel giorno della Pentecoste, allorché la Chiesa ebbe i propri natali, Pietro rispose così a coloro che, << compunti nel cuore >>, gli avevano chiesto << che cosa dobbiamo fare? >>: << Ravvedetevi – disse loro – e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi è la promessa, e per i vostri figliuoli e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà. >> (Atti 2:38-39). Questo dono proviene al battezzando DIRETTAMENTE da Dio, e non tramite presunti << ministri >> umani intrinsecamente incapaci a donare od a rifiutare << la caparra dello Spirito Santo >>!
Commentando tale argomento, il Bartmann – nel paragrafo riguardante il << Battesimo e Cresima verso il 200 >> - afferma: << Già a partire dagli Atti degli Apostoli, battesimo e cresima sono storicamente e liturgicamente uniti insieme. E lo sono anche teologicamente; i due sacramenti infatti hanno come effetto la comunicazione dello Spirito Santo. Di più, nella Scrittura e nei <<Padri >> hanno lo stesso nome. >> (op. cit. pg. 1227). Nella Scrittura – che è la norma per ogni prassi – la comunicazione dello Spirito Santo proviene, secondo il Bartmann, dal Battesimo e dalla Cresima che sono << storicamente e liturgicamente uniti insieme. >>! Hanno lo stesso nome, cioè un nome unico! Questa arbitraria divisione dell’integro rito del battesimo come Cristo l’ha istituito – per farne due riti, dei quali uno è largamente posteriore all’ altro – distrugge l’integrità di tutto il rito! Ora comprendiamo perché << la prassi del battesimo dei bambini fece perdere al sacramento parte del suo primitivo prestigio. >>! Bartmann avrebbe dovuto dire piuttosto che tale prassi << fece perdere TUTTO il primitivo prestigio. >>!!!
L’imposizione delle mani degli Apostoli non aveva nulla a che fare con << la caparra dello Spirito Santo >>, né con il battesimo inteso come rito. Il cosiddetto << sacramento della cresima >> non ha motivo di insistere né << storicamente e liturgicamente >>, né secondo la Scrittura, né secondo i <<Padri >>, né secondo la storia!
Allorché Paolo si incontrò con << circa dodici uomini>> che erano stati battezzati ad Efeso, senza prima essere stati istruiti intorno allo Spirito Santo, si premurò di illuminarli sull’argomento; ed essi, << udito questo, furono battezzati nel nome del Signor rito, essi non furono ri-battezzati, ma semplicemente << battezzati >>. Infatti il battesimo che non concede immediatamente << la caparra dello Spirito >> non è battesimo! E’ come se una persona non sia stata mai battezzata; e perciò urge che si battezzi veramente!!!

FUTILE RICERCA PER UN SOSTEGNO
Come tutti i Cattolici, anche Bartmann tenta di trovare una prova per il battesimo dei bambini affermando che nella Scrittura << si possono trarre alcune testimonianze dalle quali è lecito presumere il fatto del battesimo dei bambini. Non è inverosimile supporre che nel battesimo di intere famiglie, di cui si narra nel libro degli Atti, venissero battezzati anche i bambini: famiglie di Cornelio (10:44-48), di Lidia (16:14ss), del carceriere di Filippi (16:33), del capo della sinagoga Crispo (18:8ss), di Stefana a Corinto (I° Corinzi 1:16). Questa ipotesi è ragionevole se si pensa che l’ordine di battezzare, come pure le parole di Gesù in Giovanni 3:5, hanno una portata assolutamente universale. >> (op. cit. pg. 1221).
Dunque, << si presume >>, << si suppone >>, << è un’ipotesi non inverosimile >>! Ma come si può seriamente sostenere l’esistenza del peccato originale e la necessità del battesimo dei bambini basandosi sulle << ipotesi >>, sulle << supposizioni. >>?!?
E’ vero che è stato Cristo stesso a decretare l’universalità del battesimo, ma nel comandare ciò non ha lasciato idea alcuna da “presumere”, da “supporre”. Il Suo comando fu ed è chiaro: “Ammaestrare tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre del Figliuolo e dello Spirito Santo… Predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvato.” Cristo ha decretato che senza la predicazione dell’Evangelo, senza l’ammaestramento, senza la fede, non si può parlare di “battesimo cristiano”! Più chiaro di così!?!? Non c’è idea alcuna da “supporre” o da “presumere”; altrimenti si rischia di tramutare la storia in storiella e la Bibbia in una modesta catechesi ingombra di grossolane contraddizioni!!!

ESEMPI NON… ESEMPLARI.
Esaminiamo, comunque, quei casi addotti dal Bartmann dai quali egli “presume” il battesimo dei bambini. Il primo caso che viene citato è quello relativo a Cornelio. Si “suppone” che nella famiglia di Cornelio vi fossero dei bambini, e si “presume” che essi fossero battezzati. Però, allorché Pietro giunse da Cornelio, questi gli disse: “Or dunque siamo TUTTI qui presenti davanti a Dio, per UDIRE tutte le cose che ti sono state comandate dal Signore.” (ATTI 10:33). “E mentre Pietro parlava, lo Spirito Santo cadde su TUTTI coloro che udivano la parola… e cominciarono a parlare in altre lingue e a magnificare Iddio.” (vs. 44-46). E’ davvero strano che questi bambini – che si “suppone” fossero nella casa di Cornelio – abbiano “ASCOLTATO” la predica di Pietro e che abbiano “parlato in altre lingue e magnificato Iddio”! Più tardi Pietro ebbe occasione di rammentare quel battesimo “di Cornelio e della sua casa” con queste parole: “Iddio scelse me, affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo, e credessero. E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi. E non fece alcuna differenza tra noi e loro, purificando i cuori loro MEDIANTE LA FEDE.” (Atti 15:7-9).
Se si “presume” che nella casa di Cornelio vi fossero dei bambini, prima del loro battesimo essi debbono avere avuto la FEDE, debbono avere PARLATO in altre lingue e debbono altresì avere ricevuto il DONO dello Spirito Santo! Una “supposizione” che crolla ineluttabilmente, priva com’è di logica e di buon senso!

UN ALTRO ESEMPIO VACUO.
Il secondo caso – dal quale di Bartmann “presume” il battesimo dei bambini – è quello di Lidia. L’Apostolo Paolo ed i suoi compagni di viaggio, giunti nella città di Filippi, “nel giorno di sabato andarono fuori della porta presso il fiume, dove supponevano fosse un luogo d’orazione: postisi a sedere, parlavano alle donne che erano quivi radunate. E una certa donna, di nome Lidia, negoziante di porpora, della città di Tiatiri, che temeva Iddio, stava ad ascoltarli. E il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. E dopo che fu battezzata con quei di casa, li pregò dicendo: ‘Se mi avete giudicata fedele al Signore, entrate in casa mia e dimoratevi’.” (Atti 16:13-15).Questa donna era sposata? Aveva dei figli? E se li aveva, erano di età infantile? Erano battezzati?
Se diciamo “sì”, perché Paolo non rispettò l’insegnamento di Cristo: “chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato”? Le “ipotesi” sono infinite quanto l’immaginazione umana che spesso non ha limiti!


ALTRI STRANI CASI.
Il terzo caso citato da Bartmann è quello relativo al carceriere di Filippi, il cui testo dice semplicemente: “Fu battezzato lui con tutti i suoi.” Ma, prima di battezzare, Paolo e Sila “annunziarono la parola del Signore a lui e a TUTTI COLORO CHE ERANO IN CASA SUA.” Dopo essere stato battezzato, il carceriere condusse Paolo e Sila in casa sua e “apparecchiò loro la tavola, e GIUBILAVA CON TUTTA LA SUA CASA, perché AVEVA CREDUTO IN DIO.” (Atti 16:32-34) Non ci sembra né “lecito” né “verosimile” SUPPORRE che anche in questa circostanza vi fossero dei bambini battezzati! Del caso riguardante Crispo, è detto soltanto questo: “E Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore con tutta la casa sua; e molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano ed erano battezzati.” (Atti 18:8). Il testo specifica che Crispo “credette con tutta la sua casa” e che insieme ad altri Corinzi “aveva UDITO la predica di Paolo, aveva CREDUTO e tutti erano battezzati”. Ci vuole davvero una fantasiosa immaginazione per poter “presumere” il battesimo dei bambini da questo racconto! Com’è possibile dire “si presume”, si “suppone” e pretendere poi che tali “ipotesi” diventino realtà storiche”?!? L’ultimo caso è quello riguardante Stefana di Corinto. Abbiamo già notato che “i Corinzi udivano Paolo, credevano, ed erano battezzati.” Scrivendo appunto ai Cristiani di Corinto (I° Corinzi 1:16) Paolo menziona loro di aver battezzato anche la famiglia di Stefana. Lo stesso Bartmann cita tale fatto nel suo libro. Ma perché egli non cita anche quanto è descritto nel versetto che segue, laddove Paolo prosegue il proprio discorso dicendo: “perché Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad evangelizzare”?!? Bartmann tace e tace perché lo sa che Cristo ha decretato per essere battezzati bisogna PRIMA essere stati “evangelizzati”!

UNA DIMENTICANZA MOLTO COMODA.
C’è un’altra cosa che il Dr. Bartmann finge di dimenticare. Nel libro degli Atti – dal quale il teologo ha desunto quei casi dai quali si “presume” il battesimo dei bambini – vi sono riferiti molti altri episodi nei quali si parla del battesimo di grandi masse di persone, episodi dai quali si potrebbe ugualmente “supporre” il battesimo dei bambini. Perché Bartmann trascura di citarli? La risposta è ovvia, se questi racconti vengono letti attentamente. Anche se si “presume” che tra queste masse vi fossero dei bambini, il racconto però esclude categoricamente la possibilità che essi fossero battezzati poiché è detto che solo “gli uomini e le donne” ricevettero il battesimo. Ad esempio, in Atti 5:14 si legge che “di più in più si aggiungevano al Signore dei credenti, uomini e donne in gran numero”. Sempre nel libro degli Atti (Atti 6:7) è scritto che “la Parola di Dio si diffondeva, e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente in Gerusalemme; e anche una gran quantità di sacerdoti ubbidiva alla fede.” Dunque, a quei tempi erano aggiunti alla Chiesa i “discepoli”, cioè “coloro che ubbidivano alla fede”. Non si può “presumere” che ci fossero dei bambini “aggiunti” alla Chiesa perché Luca, dopo avere citato “uomini, sacerdoti, donne”, avrebbe dovuto menzionare anche i bambini! Al contrario, questi esempi confermano la prassi voluta da Cristo: prima l’ammaestramento, poi il battesimo! C’è poi il caso citato in Atti 8:12 ove viene detto che Filippo si recò in Samaria e che tutta la città andò ad ascoltarlo. Era presente anche un mago di nome Simone, e “tutti, dal più piccolo al più grande, gli davano ascolto.” Più oltre è detto però che “quando ebbero creduto a Filippo che annunziava loro la buona novella relativa al Regno di Dio e al nome di Gesù Cristo, furono battezzati uomini donne.” Dunque, il testo dice che in Samaria vi erano i “piccoli”, ma precisa altresì che “furono battezzati GLI UOMINI E LE DONNE che avevano creduto a Filippo che aveva annunziato loro la buona novella.” Perché – se le “ipotesi” del Bartmann e dei suoi colleghi sono degne di attendibilità – l’Evangelista LUCA non ha indicato che il battesimo fu conferito ai bambini? Strano, almeno per i Cattolici. Per noi invece non c’è nulla di strano in quanto il racconto accurato e diligente di LUCA conferma che la Chiesa primitiva si attenne fedelmente e scrupolosamente agli insegnamenti di Cristo. Se il Cattolicesimo arranca nel tentativo di poter addurre delle prove a sostegno del proprio dogma, si convinca che non si può parlare di Cristianesimo quando si alterano artificiosamente gli insegnamenti del Maestro!

E’ UNA PURA INVENZIONE UMANA.
Tutta la tesi cattolica riguardante il battesimo dei bambini è basata sulla pura immaginazione; non è altro che un’invenzione umana! E quando la pretesa “prova” viene esaminata alla luce della Scrittura, essa viene spogliata da ogni verosimiglianza. Gli episodi biblici addotti smentiscono la teoria che al tempo degli Apostoli i bambini fossero battezzati, poiché né Cristo né gli Apostoli hanno mai ritenuto od insegnato che i bambini siano colpevoli di questo preteso “peccato ereditario”. Tutta la tesi cattolica è priva di qualsiasi “prova”: è senza alcun fondamento. Le “ipotesi” dimostrano quanto sia vano e futile il loro tentativo di trovare nella Scrittura un solo episodio che suffraghi la teoria del battesimo dei bambini. Come può la fede cristiana sussistere basandosi su quello instabile, volubile e friabile terreno costituito dalla supposizione ed immaginazione umana?!?

CHE DIRE DEI PROTESTANTI.
Anche quei Protestanti che battezzano i bambini si pongono più che mai in una situazione davvero critica. Alcuni di essi negano la malattia (il peccato originale) pur mantenendone al cura (il battesimo dei bambini). Pur sapendo che Cristo non ha mai decretato il battesimo dei bambini e pur negando che quel battesimo costituisca il rimedio per il peccato originale, tuttavia battezzano i loro bambini! E allorché si chiede loro il motivo scritturale del loro comportamento, anch’essi – come i Cattolici – si appellano a quegli stessi episodi descritti nel libro degli ATTI per “presumere”, per “supporre” la validità della loro decisione. Perché battezzano i bambini, dal momento che essi non sono né possono essere dei peccatori? “Per dedicarli a Dio” – dicono – come se questa giustificazione sia conforme alla dottrina di Cristo riguardante il battesimo.

I Protestanti non hanno il coraggio di ammettere che tale pratica l’hanno “prelevata” dal Cattolicesimo, anche se non la giustificano con gli stessi argomenti. Essi non vogliono rinunciare al frutto gradito di una massa di persone impegnate, fin dalla loro nascita, ad una fede estranea alla Bibbia ed a dottrine che rinnegano l’autorità di Cristo! E non è da escludere che questo “ipoteca il futuro” dei bambini sia il motivo principale perché i Cattolici sono così attaccati al loro dogma ed i Protestanti così ugualmente attaccati alle loro usanze.

CHI HA INCOMINCIATO IN PEDOBATTESIMO?
Quando si sa – come lo sanno tutti gli storici cattolici – che “il battesimo è segnalato la prima volta da S. Ireneo (op. cit. pg. 1222) quasi due secoli dopo Cristo, perché si vuole tentare di far risalire questo rito ai tempi apostolici? Anche se è stato “segnalato” da S. Ireneo, ciò non significa che era comunemente praticato né che fosse approvato dalla Chiesa. Se il battesimo dei bambini fosse stato istituito da Cristo, certamente non sarebbe stato Ireneo a “segnalarlo la prima volta”. Il Bartmann ci informa che era il Concilio di Trento che dichiarò per la prima volta la necessità e l’obbligatorietà del battesimo dei bambini.” (op. cit. pg. 1221). Millecinquecento anni sono troppi per poter asserire “la necessità e l’obbligatorietà del battesimo dei bambini” e per pretendere che una tale dottrina possa essere e chiamarsi Cristiana!!!

LA BIBBIA CONDANNA IL BATTESIMO DEI BAMBINI.
I teologi sanno che la loro tesi è priva di qualsiasi collegamento diretto con l’insegnamento di Cristo e degli Apostoli. Ed è proprio per questo che tentano di creare tale collegamento adducendo “ipotesi” e “supposizioni”. Dovendo difendere una pratica estranea alla Bibbia, cercano di inserirla nella Sacra Scrittura con l’intento di poter affermare che tale pratica esisteva tra i primi Cristiani. Ed è ovvio che simili tentativi di sovvertire la realtà dei fatti la stessa Storia, costituiscono altrettanti anacronismi. Certo deve essere poco agevole per i Cattolici il non poter dimostrare che il battesimo dei bambini scaturisce dalla dottrina Cristiana.

Infatti così afferma il Bartmann: “Quantunque tale battesimo non si possa provare apoditticamente con la Scrittura, è così poco opposto alla Bibbia che corrisponde perfettamente al suo spirito, come dice giustamente il Pohle.” (op. cit. pg. 1223). La Bibbia “si oppone” al battesimo dei bambini, ma “così poco” che quasi quasi si potrebbe dire che è proprio quello che la Bibbia vuole!!! Con tali elucubrazioni si potrebbe affermare tutto ciò che la Bibbia nega e negare tutto ciò che essa afferma!!! La verità è che se il Cattolicesimo potesse addurre un solo passo scritturale in cui è detto che i bambini debbono essere battezzati, lo avrebbe fatto scrivere a caratteri cubitali nella navate delle proprie basiliche o cattedrali, così come ha fatto a Roma in S. Pietro con le parole: “Tu es Petrus…”!!!

IL PECCATO ORIGINALE NON E’ NELLA BIBBIA.
Per quanto riguarda il peccato originale e la sua trasmissibilità, la Chiesa Cattolica, tramite il Bartmann, afferma: “Il peccato di Adamo, in quanto peccato del genere umano, si è trasmesso a tutta la sua posteriorità. E’ di fede.” (op. cit. pg. 495). Tuttavia, allorché il teologo si ripromette di dimostrarlo con la Scrittura, è costretto ad ammettere che “l’Antico Testamento contiene al massimo alcune oscure allusioni. S’incontrano abbastanza spesso nell’Antico Testamento espressioni di lamento sulla diffusione generale del peccato. Mai però si fa derivare tale stato di cose ‘ dal peccato di origine ’.” (op. cit. pg. 496). Se il peccato di Adamo è una realtà spirituale, lo è stata fin da Adamo. Ma è strano, quanto mai strano, che tale realtà “non si trova mai né nella Scrittura dell’Antico Testamento, né nella teologia ebraica antica”. Inoltre – come afferma il Bartmann – “bisogna notare che l’odierno pensiero teologico giudaico non conosce l’idea di un peccato originale.” (loc. cit.).

Sembra che siano proprio i libri non canonici, gli apocrifi, a speculare maggiormente su questo argomento. Sono essi a fare affiorare di più le “ipotesi”. Infatti Bartmann afferma che “mentre i libri canonici dell’Antica Legge parlano così poco e solo per oscure allusioni del peccato originale, gli ‘ apocrifi ‘ vi si diffondono frequentemente. Del resto si trovano in codesti libri (apocrifi) ampie e varie speculazioni sul peccato di Adamo ed Eva, senza però che emerga mai la nozione cristiana del peccato originale.” (loc. cit.). Dunque, tale “ipotesi” non è mai stata insegnata né ai tempi dell’Antico Testamento, né da Cristo, né dagli Apostoli. Perché allora si vuol parlare di una “nozione cristiana del peccato originale”?!?

Ci sono alcuni i quali – bramosi di reperire nell’Ebraismo qualche sostegno alle proprie tesi – hanno ingenuamente creduto di averlo trovato nella ‘ circoncisione ‘, sostenendo che senza dubbio questo rito era stato istituito per togliere il peccato originale, poiché gli Ebrei venivano circoncisi nell’ottavo giorno dopo la nascita. Per provarlo adducono un passo dell’Apostolo Paolo nel quale viene presentato appunto un paragone tra il battesimo e la circoncisione (Colossesi 2:11-13) in quanto il battesimo è chiamato “la circoncisione di Cristo che consiste nello spogliamento del corpo della carne, essendo stato con Lui sepolti nel battesimo, nel quale siete stati anche risuscitati con Lui mediante la fede nella potenza di Dio…”.
E con questo credono di aver trovato una miniera di polvere a sostegno sia del peccato originale, sia del battesimo dei bambini. Come i bambini ebraici erano circoncisi all’età di otto giorni – essi dicono! – così i bambini Cristiani debbono essere battezzati a quella stessa età. Ma basteranno alcune considerazioni per guastare la loro <<festa>> e demolire questo loro friabile <<castello>>:

Primo. La circoncisione riguardava solo i maschi. E le femmine? Non <<ereditavano>> anch’esse il peccato originale?!?.

Secondo. La circoncisione non esisteva prima di Abramo e riguardava soltanto la sua progenie. E tutti gli altri non avevano modo di salvarsi?!?.

Terzo. La circoncisione NON fu data per togliere qualche peccato, tanto meno quello di Adamo! MAI fu congiunta all’idea del peccato; anzi era stata istituita proprio per motivi opposti!

Quarto. La circoncisione non fu data per conferire qualche grazia spirituale; era solo un segno carnale dell’appartenenza nazionale alla stirpe scelta da Dio. Abramo ricevette <<il segno della circoncisione, qual suggello della giustizia ottenuta per la fede che avea quand’era circonciso. >> (Romani 4:11). Sarebbe più logico se i bambini fossero battezzati come segno di perdono già ottenuto <<tramite la fede>> prima del loro battesimo!

Quinto. La circoncisione era un rito materiale in virtù del quale si entrava a far parte della nazione ebraica, e consisteva nello <<spogliamento >> di una parte <<del corpo della carne>>. Solo con questo significato il battesimo viene paragonato ad un atto spirituale, nel quale viene <<spogliato>> dall’anima ogni atto <<carnale>> che l’uomo ha commesso!

Sesto. Nella Chiesa primitiva furono battezzati anche coloro che erano già circoncisi, per divenire “come bambini pur ora nati”. Poiché, in fin dei conti, “la circoncisione è nulla e l’incirconcisione è nulla; ma l’osservanza dei comandamenti è tutto.” (I° Corinzi 7:19). E di nuovo: “Poiché tanto la circoncisione che l’incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l’essere una nuova creatura.” (Galati 6:15). – Anche Cristo fu circonciso!!!

GESU’ NON CONOBBE IL PECCATO ORIGINALE!
Allorché Bartmann si ripromette di reperire la idea del peccato originale negli insegnamenti di Cristo, il suo imbarazzo diventa quanto mai notevole. Infatti il teologo è costretto ad ammettere che “Gesù insegna a tutti a chiedere perdono per i propri peccati” (Matteo 6:12 – Luca 11:4). Gesù suppone lo stato di colpevolezza generale, senza però riallacciarlo ad Adamo. Donde viene questa colpevolezza generale? Gesù indica spesso la tentazione causata da Satana… dalla propria sensualità… ma la radice vera è “il cuore”, sono le cattive disposizioni personali. Ma tutte le volte che parla del peccato e delle sue origini, Gesù si limita praticamente ai peccati personali senza risalire al peccato di Adamo. Non è proprio dell’insegnamento di Cristo sviluppare a lungo le dottrine; al contrario, S. Paolo ne ha spiccata tendenza.” (op. cit. pg. 497).

Anche noi abbiamo tratte le stesse conclusioni allorché abbiamo esaminato il pensiero di Cristo riguardo ai bambini. Ma che significa “non è proprio dell’insegnamento di Cristo sviluppare a lungo le dottrine”? Se il Signore ha parlato così tanto dei bambini, stabilendone e difendendone i diritti e ammonendo contro ogni abuso o cattivo giudizio verso di loro; se ha descritto il loro rapporto con Se Stesso, con Dio, con gli Angeli di Dio, con il Suo Regno; se ha parlato così tanto del male che è nel mondo e dei peccati di tutti (bambini esclusi!) – perché si vuol affermare che Cristo non ha parlato a lungo dei bambini? E che significa “sviluppare a lungo le dottrine? E’ proprio così? Chi può affermare che Cristo non abbia sviluppato la propria dottrina intorno all’Eucaristia, la missione degli Apostoli, la morale Cristiana, il giudizio? Se fosse vera la tesi della “colpa ereditata”, non avrebbe elaborato anche questa dottrina così come ha fatto per tutte le altre? La verità è che quando non conviene ai Cattolici, Cristo “non sviluppa la dottrina”; ma quando conviene loro, allora “lo sviluppo” è più che esauriente!!! Non è salutare – anzi è deleterio – sostenere dei dogmi estranei alla Bibbia e poi, incapaci di poter produrre qualche prova, scusarsi accusando Cristo di non “aver sviluppato a lungo le dottrine”! A nostro avviso, Cristo ha parlato in termini chiari e sufficienti; e noi siamo ben felici di attenerci al Suo pensiero. E’ mai possibile che nella presuntuosa mente di questi teologi non sia mai entrata la convinzione che se Cristo non ha mai parlato del peccato ereditario di Adamo, il motivo consiste appunto nel fatto che tale peccato non esiste? Può dirsi ‘ teologo ‘ colui il quale scarta aprioristicamente una tale eventualità? E se Cristo non ha mai decretato il battesimo dei bambini, perché non credere – e non è necessario essere teologi per capirlo! – che non ne avessero bisogno?

L’ORIGINE DELL’IDEA.
Dove ha tratto i propri natali una simile dottrina? Forse dalla Scrittura? Come abbiamo già visto, la Bibbia non solo esclude ma combatte una simile concezione. Piuttosto, come abbiamo già rilevato, questo dogma è scaturito dalla confusione che si è fatta tra le conseguenze e la colpa del peccato. Bartmann sembra voler coinvolgere in tale confusione lo stesso Paolo asserendo che è stato proprio l’Apostolo ad insegnare per primo tale dottrina. A dimostrazione di ciò Bartmann – e di fatto tutti i sacerdoti Cattolici – ricorre al passo di Romani 5:12 e ss.. Esaminando questo testo – all’inizio del presente opuscolo – abbiamo già rilevato che non sussiste alcun pretesto per accusare Paolo di aver suscitato della confusione con il proprio linguaggio. Bartmann, comunque, deve ammettere che questo passo può avere un significato ben diverso da quello che conviene alla propria tesi: “Le sue celebri parole (di Paolo) possono avere una duplice interpretazione, senza però che per questo il pensiero centrale venga essenzialmente alterato. Quando Paolo spiega che “gli uomini hanno peccato” non è perché è stata loro trasmessa la colpa di Adamo, ma appunto “perché tutti hanno peccato”. Ed è su questo punto che Bartmann confessa che “ciò può essere inteso innanzitutto, od anche unicamente, nel senso che tutti hanno peccato personalmente e che quindi il peccato di Adamo si riduce semplicemente ad un cattivo esempio” (pg. 498). Per quanto riguarda la colpa, siamo più d’accordo con quanto dice Paolo, e cioè che deve essere inteso UNICAMENTE perché tutti hanno peccato PERSONALMENTE!

COME SPIEGARLO?
Non è facile per i teologi presentare una spiegazione plausibile circa la propagazione del peccato originale. Il grande “MAESTRO” della fede Cattolica – cioè il “MAGISTERO DELLA CHIESA” che crede di saper sempre tutto di tutti – questa volta, come dice il Bartmann, “non si è pronunciato a motivo del suo mistero impenetrabile. Quando San Agostino ed altri iniziarono per la prima volta a sostenere l’idea della trasmissibilità del peccato di Adamo, i Pelagiani chiedevano: ‘ Come è possibile che noi siamo stati in Adamo, se le nostre anime che sono il soggetto del peccato, vengono create da Dio che non può produrre nulla di impuro? ‘. Mentre la maggior parte dei Padri, nella dottrina dell’anima, optava per il creazionismo, S. Agostino fu appunto spinto da questa obbiezione a non condividere la loro concezione. Il generazionismo permetteva di rispondere assai più facilmente a questa obbiezione; ma presentava delle conseguenze inaccettabili.” (pg. 506-507). Nonostante il fatto che a maggior parte dei Padri fossero contrari, il grande Agostino dovette ricorrere alle idee con ‘ conseguenze inaccettabili ’ per affermare la propria tesi! E la Chiesa Cattolica – che non è disposta ad ‘ accettare tali conseguenze ‘ – è però ben disposta ad accettare una dottrina costruita sulla ‘ inaccettabilità ’ ! Che squallore!

UNO SBAGLIO DOPO L’ALTRO
Poiché altri sostenevano che l’anima dell’uomo << è creata da Dio >> (come dice la Bibbia), S. Agostino insegnò e propagò l’assurda tesi che l’anima fosse << generata >> da Adamo ed Eva: diversamente non avrebbe potuto spiegare le propria falsa dottrina. Ma la Chiesa Cattolica sa fin troppo bene che S. Agostino ha preso lucciole per lanterne poiché la sua tesi va scartata senza esitazione. Resta, comunque, il problema della trasmissibilità del peccato, almeno per chi vi crede. Come spiegarlo?
Il Bartmann dice semplicemente che la sua Chiesa non lo sa: << Come noi abbiamo peccato in lui (Adamo) rimane un mistero impenetrabile. Né la generazione (come aveva detto S. Agostino) né l’unione dell’anima col corpo (la nascita stessa), né Dio, com’è evidente, e d’altronde neppure le nostre volontà sono la causa di questo fatto. La nostra volontà può certo renderci peccatori personali, ma non renderci colpevoli del peccato originale: essa non poteva peccare in Adamo perché la sua esistenza è incominciata con noi. La colpa del peccato originale è stata unicamente contratta da Adamo… Il peccato originale non può essere conosciuto adeguatamente se non mediante la fede.>> (pg. 508).
Ma questo, illustre teologo, non è un problema che riguarda la fede; è credulità! Come potremmo avere fede in ciò che la Bibbia ignora completamente? Se il peccato non può essere trasmesso, è logico credere che non può essere stato trasmesso! Oh! Umana fantasia: quanto sei labile!!!

LO VORREMMO SAPERE ANCHE NOI
Il Dr. Bartmann si pone una domanda la cui risposta ci interessa enormemente: << E perché Adamo non è il solo responsabile, ma bensì lo siamo anche noi? Ricordiamo che Iddio ha insegnato che solo << l’anima che pecca >> è unicamente responsabile per il suo peccato >>. Ma il teologo risponde alla sua stessa domanda con il solito girovagare , tipico di tutti coloro che si immergono con le proprie mani in difficoltà e bisticci dottrinali: << Non possiamo rispondere, in ultima analisi, che ricorrendo al mistero (2° Tessalonicesi 2:1). >> (pg. 508).
E’ mai possibile credere attendibile una teologia che deve frequentemente ricorrere al << mistero>> per risolvere tutti i problemi che essa stessa crea al fine di evitare sia le contraddizioni che le inesattezze e che inoltre deve basarsi sulle << inaccettabili conseguenze >> per formulare le proprie dottrine sulle << ipotesi >> o << supposizioni >>? Una teologia simile non è certo degna del nome che porta!

Bartmann presenta inoltre – come conferma del dogma cattolico – il <<mistero>> cui allude Paolo, quasi che questo passo si riferisca al << mistero del peccato originale >>! Ma doveva scegliere proprio questo << mistero >>? Nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, Paolo non sta parlando del peccato originale, né sta trattandone la trasmissibilità e né Adamo né i bambini costituiscono l’oggetto del suo argomento! Egli sta parlando dell’APOSTASIA, cioè dell’abbandono dalla purezza dagli insegnamenti del Vangelo. Questo brano piuttosto afferma proprio quello che è accaduto nella Chiesa Cattolica che non è rimasta fedele a quell’insegnamento della << fede che è stata una volta per sempre tramandata ai santi. >> (Giuda 3).
L’Apostasia cui Paolo allude doveva portare alla luce << l’uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto, fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che egli è Dio. Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete quel che lo ritiene onde egli sia manifestato a suo tempo. Poiché il mistero dell’empietà è già all’opra. >> (2° Tessalonicesi 2: 3-7).

Apostata è quella Chiesa che ha abbandonato la fede giusta, che ha innalzato abusivamente un uomo << sopra il tempio di Dio >> conferendogli poteri che spettano solo alla Divinità; ecco il <<mistero>> di cui parla Paolo!!!
L’apostolo dice inoltre che quella oscura << empietà >> - la quale produce il più completo allontanamento dalla fede genuina – era << già all’opera >> in quei tempi poiché l’apostasia incominciò proprio nel periodo apostolico.
Ma, per noi, il vero << mistero >> consiste nel non comprendere come i Cattolici possano credere davvero a così tanti e strani << misteri >>!!!

DOVE VANNO I BAMBINI NON BATTEZZATI?
Un’altra importante questione da risolvere è quella riguardante il destino di tutti i bambini ebraici, pagani e non Cattolici, che sono morti e che muoiono tuttora senza essere battezzati. Se il <<peccato ereditario>> sussiste, che cosa farà il Padre Eterno quando deve giudicare un bimbo macchiato di tale colpa? Se è una colpa nascere, che cosa dirà Iddio allorquando riscontrerà tale colpa nel bimbo? Poiché le Scritture tacciono su questo argomento, dovremo tornare alle <<ipotesi>> e alle << supposizioni >> degli uomini Non Ispirati per avere un’altra << presunta >> spiegazione?!?!?
E’ utile notare e ricordare che la Bibbia non accenna minimamente la << ereditarietà del peccato >>: e questo resta un << mistero impenetrabile >>! Così come non accenna la sorte dei bambini che muoiono con la << colpa ereditata >>! Ma il << magistero della chiesa >> sa tutto! La realtà è che non sa proprio nulla. Nulla di nulla!!!
Dice infatti il Bartmann: << Il problema dei bambini morti senza battesimo è oggi nuovamente discusso negli ambienti teologici. >> (pg. 511). Dunque, << è nuovamente discusso >>; e la ragione ovvia è che non sono soddisfatti di quanto avevano precedentemente stabilito in merito, appunto perché questa << soluzione >> comporta alcune << conseguenze inaccettabili >>!!! Il teologo ci informa che << la Chiesa ha definito al Concilio di Firenze (1438) che gli uomini che muoiono con il solo peccato originale vanno all’inferno, ma sono puniti diversamente da quelli che muoiono in peccato attuale grave. (Denz. 693 – cfr. 712). Questa condanna dell’uomo macchiato dal peccato originale è una conseguenza immediata della natura del peccato d’origine che il Concilio di Trento chiama << morte dell’anima >>. Alla morte quaggiù corrisponde la morte nell’al di là. >> (pg. 510).

IL << LIMBO >> NON È UN DOGMA!
Bartmann rivela che S. Agostino non credeva nel << limbo >>. Il suo pensiero lo costringe a <<negare>>, contro i Pelagiani, il luogo intermedio cui essi sostenevano si potesse giungere senza il battesimo. Egli disse semplicemente: << colui che non è con Cristo, è col demonio. >> (De peccat. merit. 1,21; Serm. 294,2).
Bartmann ci informa che << nelle linee essenziali, la Chiesa si attiene ancor oggi a questo punto di vista, come lo dimostra la summenzionata definizione del Concilio di Firenze. Già S. Agostino stesso, che stabilisce per i bambini morti col peccato originale il castigo completo dell’inferno, addolcisce però questo castigo considerandolo come il più piccolo di tutti. >> (pg. 510).
Benché il << limbo >> non sia un dogma cattolico, benché questa idea << si sia introdotta >> - come afferma il Bartmann – benché il Concilio di Firenze ed Agostino ne neghino l’esistenza, benché il Concilio di Trento stabilisca che tale peccato è uguale alla << morte dell’anima >> e benché l’idea dell’esistenza di un tale luogo sia combattuta anche nel Concilio di Rilevi (pg. 511), nonostante tutto ai Cattolici piace credere che il << limbo >> esiste! Ma non esiste!!! Non perché non è un dogma cattolico e nemmeno perché è stato combattuto in vari Concilii, ma perché la Bibbia non ne fa menzione alcuna – e la Bibbia, ricordiamolo sempre, è l’unica fonte di rivelazione divina! – così come non menziona né la << trasmissibilità del peccato di Adamo >> e neppure la <<colpa ereditata>>!!!

Inoltre, se questi venerandi Concilii hanno già stabilito che i bambini vanno all’inferno, perché se ne << discute nuovamente oggi >>? E perché il Bartmann afferma che “la sorte dei bambini morti senza battesimo è stata giudicata nella Chiesa con sempre maggiore mitezza”?!? La sorte dei bambini dovrà dipendere dalla mutevole dottrina del Cattolicesimo? La loro sorte dipende dalla Chiesa? E’ la Chiesa che li castiga e li condanna, che allevia o appesantisce il castigo secondo il momento storico e secondo il pensiero del teologo più qualificato del momento?!? Ma come: Iddio invierebbe all’inferno delle creature innocenti – per un peccato che non hanno commesso e per non avere ottemperato al comandamento del battesimo – e tutte queste ingiustizie le vorremo attribuire a Dio?!? Ma in quale specie di Dio credono questi teologi? E’ mai possibile che la buona o la cattiva sorte dei bambini dipenda dalla fedeltà o dall’infedeltà altrui?

L’ESPERIENZA UMANA PORTATA IN CAUSA.
Non sta a noi giudicare se il Bartmann sia serio o meno quando afferma: “Benché il peccato originale sia un mistero impenetrabile, tuttavia questo dogma corrisponde alla nostra esperienza personale e all’esperienza umana generale.” (pg. 515). Seguendo un simile ragionamento, dovremmo dire che se un padre ha rubato, il suo figliuolo deve essere messo in prigione. I genitori hanno compiuto cose illecite e “l’umana esperienza generale” dice di colpire i figli!!! Da ultimo, citiamo un’ulteriore affermazione del Bartmann, dopo di che abbandoneremo questi vani, umani e futili ragionamenti che non hanno alcuna base di verità biblica, storica, logica: “Gli ultimi enigmi del peccato originale, come del peccato in genere, saranno risolti soltanto dal giusto giudizio di Dio” (pg. 516). Ed allora, perché si è tentato di risolverli a priori?!?!?

CRISTO HA TRADITO LA SUA MISSIONE?
Il Messia avrebbe dovuto avvertirci che se non battezziamo i nostri figliuoli, essi andranno inevitabilmente all’inferno. Avrebbe dovuto dircelo! Ma non l’ha fatto, né lo farà mai! E noi dobbiamo trarre una duplice conclusione: o il peccato originale non esiste – e Cristo lo sapeva – oppure esiste e Cristo non l’ha saputo. Però è strano che l’abbia saputo S. Agostino! Ed è altrettanto strano che l’abbiano saputo la Chiesa Cattolica ed il Concilio di Firenze. Perché – è ovvio – se Cristo l’ha saputo, Egli ha tradito la Sua missione, cioè quella di rivelare Dio all’uomo. Ma chi è disposto ad accettare una simile idiozia? Caro lettore: se hai avuto la bontà di seguirci fin qui, avrai certamente notato lo stridente contrasto che intercorre tra il pensiero della Bibbia e quello Cattolico. La logica ci insegna che la Bibbia ha sempre ragione. Gli uomini possono sbagliare – “errare humanum est” – la Bibbia non sbaglia mai! La Bibbia dice che “ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.” (2° Timoteo 3:16). “La Scrittura non può essere annullata”, diceva il Cristo. (Giovanni 10:35). La Bibbia non ha mai sbagliato ed è per questo che essa è atta a correggere tutte queste false tesi riguardanti i bambini, l’ereditarietà del peccato e cose consimili!

UN ESEMPIO CHIARIFICATORE!
Prima di concludere questo studio, desideriamo presentare un esempio che può aiutare ogni ricercatore della Verità e discernere il vero dal falso. Un giorno nacque un bambino da genitori di umile stato. Visitato da un medico di fama, questi diagnosticò una grave malattia: “Questo bambino ha un cancro; bisogna operarlo subito”. Dopo l’intervento, il bambino fu ricondotto nella propria casa dove i genitori erano in festa per lo scampato pericolo e perché il bambino aveva avuta salva la propria vita. Ma il fatto era che quel bimbo NON AVEVA AFFATTO IL CANCRO! Il medico aveva sbagliato, evidentemente perché era un incompetente. Il bimbo era sano, come il più sano tra i bambini esistenti al mondo. I genitori si erano completamente fidati di quanto aveva detto loro il medico. Quella operazione non fece alcun male al bimbo, ma nemmeno gli recò alcun bene: IL MALE VERRA’ DOPO, LO CONTAMINERA’ PIU’ TARDI! Infatti, passato del tempo, il bimbo venne in contatto con altri infermi ed allora si prese davvero il malaccio. Andrebbe subito operato poiché la sua vita ora è in pericolo. Ma lo stesso “pseudodottore” sconsigliò l’intervento dicendo che il bambino aveva già subito l’operazione e che questa non era più necessaria. Gli somministrò qualche pillola e lo rimandò a casa CON LA SUA MALATTIA facendogli credere che bastava qualche pillola a guarirlo. Purtroppo il malaccio rimane e rimarrà o fino alla operazione o fino alla morte del bimbo. Amico, lo sai chi è quel bambino? Se i proprio tu! Ma non è una semplice malattia fisica che ti affligge e nemmeno una semplice morte fisica che ti minaccia. Questa malattia è spirituale e la morte è quella dell’anima. Tu non hai preso questo male dai tuoi genitori, nonni, bisnonni, avi o da Adamo! L’hai contratta tu stesso quando hai violato la Legge divina, trasgredendola. Non devi dimenticare però che Iddio ha mandato il Suo Figliuolo come “medico”. Un “medico” competente, che non sbaglia mai! Egli ha detto: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori.” (Marco 2:17). Egli ti potrà guarire perché “Egli stesso ha preso le nostre infermità ed ha portato le nostre malattie” (Matteo 8:17). “Cristo stesso ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia e mediante le cui lividure siamo stati sanati. Poiché eravamo erranti come pecore; ma ora siamo tornati al Pastore e Vescovo delle anime nostre.” (I° Pietro 2:24-25). Cristo è il nostro “medico, vescovo, pastore”. Ma, più che questo, Egli è la nostra “medicina”: “Egli stesso ha preso le nostre infermità e mediante le sue lividure” possiamo guarire. Se sofisticheremo la Sua ricetta con qualche alchimia umana, ne ricaveremo maggior danno poiché tali ”presunte” medicine aggraveranno la malattia. Chi si serve di una ricetta manomessa può anche ritenersi guarito; ma la sua è e sarà sempre una mera illusione!

L’AUTOGIUSTIFICAZIONE E’ PERICOLOSA.
Alcuni, allorquando vengono a sapere che il loro battesimo non è valido, restano indifferenti. Si giustificano credendo di essere ugualmente a posto davanti a Dio, convinti che Egli dovrà pure accettare come valido il fasullo battesimo imposto dai genitori, sollecitati da una teoria umana, errata e confusa. Si giudicano guariti, anche se non sono stati “operati” come e quando Cristo esige. Resta però il fatto che costoro non sono né il Giudice, né il Legislatore, poiché è scritto che “uno soltanto è il Legislatore e il Giudice, Colui che può salvare e perdere” (Giacomo 4:12). E così “quelli che confidano in se stessi di essere giusti”, credono che il battesimo sia valido anche se non scaturito dai decreti del Signore; in altre parole, credono che il loro sia ugualmente un battesimo Cristiano, fatto per motivi Cristiani, praticato nella forma Cristiana! Esiste però un principio additato da Cristo stesso allorché ebbe a trovarsi davanti a persone che credevano di essere giuste dinanzi a Dio. Cristo aveva indicato la via della salvezza; ma poiché questa via era diversa dalla consueta via da loro percorsa, essi la respinsero credendo e illudendosi che l’altra via li salvasse ugualmente. Anche ai tempi di Gesù c’erano dalle persone alle quali Cristo non poteva insegnare nulla perché esse “sapevano tutto”! Ed ancor oggi c’è che pretende di saperne più dello stesso Cristo! Ma Paolo dà questo avvertimento: “Io dico a ciascuno fra voi, che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio.” (Romani 12:3). Ed altrove: “Se alcuno si pensa di conoscere qualche cosa, egli non conosce ancora come si deve conoscere.” (I° Corinzi 8:2). Proprio a queste “dotte” persone, proprio a questi “maestri” Cristo dice: “Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi.” Quando Cristo pronunciò questo mirabile verdetto, fra gli astanti c’erano alcuni che “credevano di vedere” (cioè si credevano giusti dinanzi a Dio) e, udendo le parole di Gesù, Gli chiesero: “Siamo ciechi anche noi?” Il Maestro rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato: ma siccome dite ‘ noi vediamo ’, il vostro peccato rimane.” (Giovanni 9:39-41). E noi non soltanto diciamo il nostro “amen”, ma ripetiamo con Cristo: “Chi ha orecchi da udire, oda”!

CONCLUSIONE.
Paolo scrisse che “v’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti.” (Efesini 4:5-6). Qualsiasi altro battesimo non potrà mai togliere i peccati, così come qualsiasi altra fede non giustificherà o così come qualsiasi altro Signore non salverà! Sta’ scritto: “Beati quelli le cui iniquità sono perdonate, e i cui peccati sono coperti. Beato l’uomo al quale il Signore non imputa il peccato!” (Romani 4:7-8). Soltanto per mezzo di questo battesimo i nostri peccati possono essere “coperti” da Cristo: “perché siete tutti figliuoli di Dio per la fede in Cristo Gesù. Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.” (Galati 3:26-27). Ecco l’unico modo per “coprire” i nostri peccati: “rivestirci di Cristo”!!! E tutto ciò è possibile “per la fede in Lui”!
Se tu, amico lettore, desideri essere battezzato come si conviene a chi sottomette interamente alla Legge del Signore e se ci dovesse chiedere: “Ecco dell’acqua: che impedisce che io sia stato battezzato?”, noi dovremmo risponderti con le stesse parole dell’evangelista Filippo: “ Se tu credi con tutto il cuore, è possibile.” (Atti 8:36-37). Non solo è necessaria la fede, ma occorre che essa si manifesti “con tutto il cuore” perché sei tu stesso che devi chiedere: “Ecco dell’acqua: che impedisce che io sia battezzato?”. L’Apostolo Pietro che “il battesimo ora salva anche voi”, ma a condizione che sia accompagnato da una personale “richiesta di buona coscienza fatta a Dio” (I° Pietro 3:21). Se nella tua coscienza sai di essere “cieco”, l’unico modo decretato dal Cielo è quello di presentare la tua personale “richiesta a Dio” per essere perdonato “mediante il battesimo”! Ed ora, nel lasciarti, ti proponiamo la stessa domanda che un tempo fu rivolta a colui che più tardi divenne l’Apostolo delle genti, cioè Paolo: “Ed ora che indugi? Lèvati, e sii battezzato, e lavato dei tuoi peccati, invocando il Suo nome.” (Atti 22:16).
Caro amico: perché indugi?
Mi battezzo solo in Cristo, e avrò degli amici veramente cristiani; credo che tutte le religioni non hanno la verità. Cerco la verità, la conoscenza, ho la fede e farò le opere, per ricevere le benedizioni che Gesù mi ha promesso, questa mia speranza non morirà mai.

11 Settembre 2001

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E-mail: novarini1@interfree.it
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Distinti Saluti
Oreste Novarini

I PRIMI VERI CRISTIANI.
Quando Gesù rivelò ai suoi discepoli quale sarebbe stata la sorte di Gerusalemme, parlò loro anche delle scene relative al suo secondo avvento, e predisse l’esperienza del suo popolo dal momento in cui Egli sarebbe stato accolto in cielo a quello del suo ritorno con potenza e gloria per la loro liberazione. Dall’alto del monte degli Ulivi, il Salvatore vide l’uragano che stava per abbattersi sulla chiesa apostolica: e, addentrandosi ancor più nel futuro, i suoi occhi scorsero le furiose e devastatrici tempeste che avrebbero colpito i suoi seguaci nel corso dei secoli di tenebre e di persecuzione. Con pochi e brevi cenni di tremenda portata, Egli predisse quello che i capi di questo mondo avrebbero escogitato contro la chiesa di Dio (Matteo 24:9,21,22). I seguaci di Cristo avrebbero dovuto percorrere lo stesso sentiero di umiliazioni, di scherni e di sofferenze calcato dal Maestro. L’inimicizia che si era manifestata contro il Redentore del mondo si sarebbe manifestata anche contro tutti coloro che avrebbero creduto nel suo nome. La storia della chiesa primitiva testimonia del pieno adempimento delle parole del Salvatore. Le potenze terrene e quelle infernali si allearono contro Cristo nella persona dei suoi seguaci. Il paganesimo, prevedendo che, se il Vangelo avesse trionfato, i suoi templi e i suoi altari sarebbero stati spazzati via, riunì le sue forze per annientare il Cristianesimo e accese i fuochi della persecuzione. I cristiani furono privati di quanto possedevano, strappati alle loro case e sottoposti a tremende afflizioni (Ebrei 10:32). Essi subirono: “scherni e flagelli; ed anche legami e prigione” Ebrei 11:36 (D). Innumerevoli furono coloro che suggellarono col sangue la loro testimonianza.

Nobili e schiavi, ricchi e poveri, colti e incolti, tutti furono trucidati senza pietà. Queste persecuzioni, cominciate con Nerone pressappoco al tempo del martirio dell’apostolo Paolo, proseguirono – con maggiore o minore violenza – attraverso i secoli. I cristiani venivano falsamente accusati dei più abietti crimini e considerati la causa di ogni calamità: carestie, pestilenze, terremoti. Diventati, così, oggetto dell’odio e del sospetto popolare, erano ingiustamente accusati da informatori assetati di guadagno. Venivano condannati come ribelli all’impero, nemici della religione e “peste” sociale. Numerosissimi furono quelli che vennero gettati in pasto alle belve o arsi vivi negli anfiteatri. Alcuni furono crocifissi; altri, coperti con pelli di animali selvatici, vennero gettati nell’arena per essere dilaniati dai cani. Il loro martirio, spesso, costituiva la parte centrale delle feste pubbliche. Grandi moltitudini di persone si riunivano per godersi quello spettacolo, e salutavano l’agonia di chi moriva con risa e applausi. Ovunque cercassero rifugio, i cristiani erano braccati come animali da preda, ed erano perciò costretti a nascondersi in luoghi solitari e desolati: “bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era degno), vaganti per deserti e monti e spelonche e per le grotte della terra” Ebrei 11:37,38. (Questi erano i veri Cristiani e non i falsi cristiani cattolici di oggi). Le catacombe offrirono un riparo a migliaia di essi. Sotto le colline di circostanti Roma, lunghe gallerie erano state scavate nella terra e nella roccia; questa buia e intricata rete di corridoi si estendeva per chilometri oltre le mura della città. In tali rifugi sotterranei, i seguaci di Cristo seppellivano i loro morti. Quando, poi, erano sospettati e proscritti, vi trovavano una casa. Allorché il Datore della vita sveglierà tutti coloro che hanno contribuito il buon combattimento, molti martiri di Cristo usciranno da queste sinistre caverne. Sotto la più violenta persecuzione, questi testimoni di Gesù serbarono incontaminata la loro fede. Sebbene privi di ogni comodità, separati dalla luce del sole, perché costretti ad abitare nel buio ma amico rifugio sotterraneo, non si lamentavano. Con parole di fede, di pazienza e di speranza si incoraggiavano a vicenda a sopportare le privazioni e la distretta. La perdita di ogni vantaggio terreno non poteva costringerli a rinunciare alla loro fede in Cristo. Prove e persecuzioni erano solo altrettanti passi che li avvicinavano al loro riposo e alla loro rimunerazione. Come i servitori di Dio dell’antichità, molti furono “martirizzati non avendo accettata la loro liberazione affin di ottenere una risurrezione migliore” Ebrei 11:35. Essi ricordavano le parole del Maestro: perseguitati per amore di Cristo, dovevano stimarsi felici perché grande sarebbe stata la loro ricompensa in cielo, in quanto prima di loro anche i profeti erano stati ugualmente perseguitati.

Essi si rallegravano di essere stati considerati degni di soffrire per la verità, e canti di trionfo salivano di mezzo alle fiamme crepitanti. Guardando in alto con fede, vedevano Gesù e gli angeli chinarsi oltre i bastioni celesti e osservarli con profondo interesse, approvando la loro fermezza. Una voce, procedente dal trono di Dio, annunciava: “Sii fedele fino alla morte, e io ti darò la corona della vita” Apocalisse 2:10.
Vani furono gli sforzi di Satana per distruggere la chiesa di Cristo con la violenza. Il grande conflitto nel quale i discepoli di Cristo perdettero la vita non finì quando questi fedeli vessilliferi caddero al loro posto di combattimento. Sconfitti, furono vincitori. Gli operai di Dio furono trucidati, è vero, però l’opera andò avanti speditamente; il Vangelo continuò a essere predicato, e il numero dei suoi aderenti aumentò sempre di più. Esso penetrò anche nelle regioni che fino ad allora erano state inaccessibili perfino alle aquile romane. Un cristiano, nel corso di una discussione con governanti pagani che propugnavano la continuazione delle persecuzioni, affermò: “Voi potete ucciderci , torturarci, condannarci… La vostra ingiustizia è la dimostrazione della nostra innocenza… A nulla serve la nostra crudeltà”. Essa, infatti, non era altro che un efficace invito a spingere altri alla persuasione cristiana. “Più noi siamo da voi falciati, più il nostro numero aumenta: il sangue dei martiri è una semenza!” Tertulliano, Apologia, par. 50.

Migliaia furono imprigionati e uccisi; ma altri vennero a colmare i vuoti da essi lasciati. Quelli che venivano martirizzati per la loro fede erano assicurati a Cristo e da lui considerati vincitori. Essi avevano combattuto il buon combattimento e avrebbero ricevuto la corona della gloria all’avvento di Cristo. Le sofferenze sopportate valsero a spingere i cristiani ancora più vicini gli uni agli altri e al loro Redentore. L’esempio dato con la loro vita e la loro testimonianza in punto di morte era una costante conferma della verità. Accadde- cosa del tutto inattesa - che dei sudditi di Satana si sottrassero al giogo del peccato e si schierarono sotto la bandiera di Cristo. Satana, allora, cercò di elaborare dei piani che gli consentissero di lottare con maggior successo contro il governo di Dio, piantando la sua bandiera addirittura nella chiesa cristiana. Se i seguaci di Cristo potevano essere ingannati e sedotti, e così indotti a dispiacere a Dio, la loro forza e la loro compattezza sarebbero venute meno, ed essi sarebbero diventati una facile preda. Il grande avversario fece in modo di vincere con l’astuzia là dove non era riuscito con la forza. La persecuzione finì, e al suo posto subentrò la pericolosa attrattiva della prosperità temporale e dell’onore del mondo. Gli idolatri furono indotti ad accettare una parte della fede cristiana pur rigettando altre verità essenziali. Essi dicevano di accettare Cristo come Figliuolo di Dio e di credere nella sua morte e nella sua risurrezione; però non avevano la convinzione del proprio peccato e perciò non sentivano alcun bisogno di pentimento e di cambiamento del cuore. Con alcune concessioni da parte loro, proposero che i cristiani, a loro volta, ne facessero altre per modo che tutti potessero unirsi sulla comune base della credenza in Cristo. La chiesa venne a trovarsi in un serio pericolo. La prigione, la tortura, il fuoco, la spada erano delle benedizioni in confronto con la nuova situazione che si era andata determinando. Alcuni rimasero fedeli, dichiarando di non poter addivenire a compromessi di sorta. Altri, però, furono del parere che si poteva fare qualche concessione e modificare alcuni elementi della loro fede per unirsi a coloro che avevano accettato una parte del Cristianesimo, insistendo sul fatto che ciò poteva significare il mezzo più idoneo per la conversione dei pagani. Fu quello un tempo di profonda angoscia per i fedeli seguaci di Cristo perché, sotto il manto di un preteso Cristianesimo, Satana si insinuò nella chiesa per corrompere l’integrità della fede dei credenti e distogliere la loro mente dalla verità.

Alla fine, la maggior parte dei cristiani acconsentirono a fare delle concessioni e si addivenne, così, all’unione del Cristianesimo col paganesimo. Quantunque gli adoratori degli idoli asserissero di essersi convertiti e di essersi uniti alla chiesa, in realtà erano tuttora attaccati all’idolatria:si erano unicamente limitati a cambiare gli oggetti del loro culto ricorrendo alle immagini di Gesù, di Maria e dei santi. Il lievito dell’idolatria fu messo nella chiesa e continuò la sua opera nefasta. Dottrine false, riti superstiziosi, cerimonie idolatriche furono incorporati nella dottrina e nel culto. Essendosi i seguaci di Cristo congiunti con gli idolatri, la religione cristiana si corruppe e la chiesa finì col perdere la sua purezza e il suo vigore. Non mancarono, è vero, quelli che non si lasciarono fuorviare da questi inganni, che rimasero fedeli all’Autore della verità e che adorarono solo Iddio. Fra quanti si professano seguaci di Gesù, ci sono sempre state due classi: mentre una studia la vita del Salvatore e cerca sinceramente di correggere i propri difetti e di conformarsi al Modello divino, l’altra sembra evitare di proposito le chiare e precise verità che mettono a nudo l’errore. Anche quando la chiesa si trovava nelle sue migliori condizioni, non è mai stata composta unicamente di elementi fedeli, puri e sinceri. Il nostro Salvatore insegnò che quanti volontariamente indulgono nel peccato, non debbono essere accolti nella chiesa; nondimeno Egli accolse degli uomini dal carattere difettoso e accordò loro il beneficio del suo insegnamento e del suo esempio perché avessero l’opportunità di riconoscere i propri sbagli e di correggersi. Fra i dodici apostoli c’era un traditore. Giuda fu accettato non per i suoi difetti di carattere, ma nonostante i difetti stessi.

Egli fu aggiunto agli altri discepoli perché, tramite l’insegnamento di Cristo e il esempio, egli potesse sapere in che cosa consiste un carattere cristiano ed essere indotto a riconoscere i suoi sbagli e a pentirsi, e con l’aiuto di Dio giungere alla purezza dell’anima, mediante l’ubbidienza alla verità. Ma Giuda non camminò nella luce che risplendeva su di lui, e cedendo al peccato lasciò il campo libero alle tentazioni di Satana. I lati negativi del suo carattere ebbero il sopravvento, ed egli abbandonò la propria mente al controllo delle forze delle tenebre. Ogni volta che i suoi errori venivano rimproverati, egli si adirava e così, a poco a poco, di caduta in caduta, giunse al crimine supremo: il tradimento di Gesù. Altrettanto accade a chi accarezza il male, pur indossando il mantello della devozione. Tali persone odiano chi turba la loro pace, condannando il peccato che stanno commettendo. Quando poi, come fu il caso di Giuda, si presenta l’opportunità favorevole, finiscono col tradire chi li aveva richiamati al dovere unicamente per il loro bene. Gli apostoli, nella chiesa, ebbero a che fare con gente che si diceva pia, ma che segretamente coltivava il peccato.

Anania e Saffira, ad esempio, recitarono la parte degli ingannatori, asserendo di fare un grande sacrificio per il Signore, mentre in realtà avevano fraudolentemente trattenuto una parte del denaro per se stessi. Lo Spirito di verità rivelò agli apostoli qual era il vero carattere di questi impostori, e il castigo si abbatté immediato e severo, liberando la chiesa da una macchia che ne avrebbe offuscato la purezza. Questa azione evidente dello Spirito di Cristo in seno alla comunità cristiana terrorizzò gli ipocriti e coloro che agivano male. Essi non potevano rimanere uniti con quanti, per abitudini e disposizioni, erano fedeli testimoni di Cristo. Quando sopraggiunsero le prove e le persecuzioni, desiderarono diventare discepoli di Cristo unicamente coloro che erano disposti ad abbandonare tutto per amore della verità. Così, finché ci furono persecuzioni, la chiesa si mantenne relativamente pura; però quando le persecuzioni cessarono, si aggiunsero alla comunità cristiana delle persone parzialmente sincere e devote, e fu così che Satana riuscì a mettere il piede nella chiesa. Non c’è unione fra il Principe della luce e il principe delle tenebre, come non può esservene fra i loro seguaci. Quando i cristiani acconsentirono a unirsi con chi, provenendo dal paganesimo, era solo a metà convertito, cominciarono a calcare un sentiero che li avrebbe condotti sempre più lungi dalla verità. Satana esultava nel vedere la riuscita dei suoi piani nel sedurre un così gran numero di seguaci di Cristo, e si adoperò per indurli a perseguitare coloro che rimanevano fedeli a Dio.

Nessuno sapeva meglio combattere la verità di coloro che un tempo ne erano stati i difensori. Questi cristiani apostati, unendosi ai compagni tuttora a metà pagani, si accanirono contro gli aspetti fondamentali della dottrina di Cristo. Questo richiese una lotta asperrima da parte di coloro che intendevano rimanere fedeli, nonostante gli inganni e le abominazioni che sotto i parametri sacerdotali venivano introdotti nella chiesa. La Bibbia non era più considerata come regola di fede. La dottrina della libertà religiosa era definita eresia, e i suoi sostenitori erano odiati e proscritti. Dopo una lotta dura e prolungata, i pochi rimasti fedeli decisero di separarsi dalla chiesa apostata se questa avesse continuato ad aderire alla falsità e all’idolatria. Essi videro che tale separazione si imponeva se volevano ubbidire alla Parola di Dio: non ardivano tollerare oltre gli errori fatali alle loro anime e dare un esempio che avrebbe messo in pericolo la fede dei loro figli e dei loro discendenti. Per garantire la pace e l’unità essi erano disposti, sì, a fare delle concessioni, purché esse fossero coerenti con la fedeltà a Dio. Non potevano, però, assolutamente addivenire a compromessi che significassero il sacrificio delle proprie convinzioni religiose. Se l’unità poteva essere raggiunta solo compromettendo la verità e la giustizia, allora erano pronti a tutto, anche a lottare. Sarebbe bene per la chiesa e per il mondo che i principi che sostennero queste anime generose, rivivessero nel cuore di quanti si dicono figliuoli di Dio.

C’è un’allarmante indifferenza per quel che riguarda le dottrine fondamentali della fede cristiana, e si va rafforzando l’idea che dopo tutto esse non sono di importanza vitale. Questa degenerazione fortifica le mani degli agenti di Satana, sì che tali false teorie e inganni fatali, che i cristiani dai tempi andati affrontarono con grave rischio della propria vita, sono oggi considerati favorevolmente da migliaia di persone che si dicono seguaci di Cristo. I primi cristiani formavano davvero un popolo particolare. Il loro comportamento irreprensibile e la loro fede incrollabile, costituivano un costante rimprovero per i peccati ostinati. Quantunque essi fossero numericamente pochi, privi di ricchezze, di posizioni, di titoli onorifici, erano un motivo di terrore per chi agiva male, e ovunque il loro carattere e la loro dottrina erano conosciuti. Perciò erano odiati dagli empi, come Abele era odiato dal malvagio Caino. Per la stessa ragione che spinse Caino a uccidere il fratello, coloro che cercavano di sottrarsi ai richiami dello Spirito Santo misero a morte il popolo di Dio. In fondo, era la stessa ragione che aveva indotto i giudei a rigettare il Salvatore e a crocifiggerlo: la purezza e la santità del suo carattere erano un costante rimprovero al loro egoismo e alla loro corruzione. Dai giorni di Cristo in poi, i suoi discepoli fedeli hanno provocato l’odio e l’opposizione di chi ama e segue le vie del peccato. Ci si potrebbe chiedere, allora, in che modo il Vangelo può essere definito un messaggio di pace. Quando il profeta Isaia predisse la nascita del Messia, gli attribuì il titolo di “Principe della pace”. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita di Cristo, cantarono nelle pianure di Betlemme: “Gloria a Dio ne’ luoghi altissimi, pace in terra fra gli uomini ch’Egli gradisce!” Luca 2:14.

C’è un’apparente contraddizione fra queste affermazioni e quella di Gesù: “Non son venuto a metter pace, ma spada” Matteo 10:34. Se giustamente comprese, queste parole si armonizzano fra loro. Il Vangelo è un messaggio di pace; il Cristianesimo è un sistema che, se accettato e messo in pratica, dà pace, armonia e felicità a tutta la terra. La religione di Cristo unisce con vincoli di fratellanza tutti coloro che ne accettano gli insegnamenti. La missione di Gesù, quale fu se non quella di riconciliare gli uomini con Dio e gli uni con gli altri? Purtroppo, però, il mondo si trova sotto il dominio di Satana che è il più acerrimo nemico di Cristo. Il Vangelo presenta principi di vita che sono in netto contrasto con le abitudini e i desideri del mondo. Ne deriva, perciò, la ribellione di quanti odiano la purezza che mette a nudo e condanna i loro peccati. Essa porta alla persecuzione e alla distruzione di quanti esortano ad attenersi alla giustizia e alla sanità del messaggio di Cristo.

E’ in questo senso che il Vangelo è definito una spada: l’esaltazione della verità provoca, per reazione, l’odio e la contesa. Il Vangelo, così, è chiamato una spada. La misteriosa provvidenza che permette che il giusto soffra la persecuzione per mano degli empi, è stata motivo di grande perplessità per molti che erano deboli nella fede. Alcuni finiscono addirittura col perdere la loro fiducia in Dio perché Egli lascia che i malvagi prosperino, mentre i buoni e i puri sono spesso afflitti e tormentati dal crudele potere dei primi. Come è possibile – si chiedono- che un Dio giusto e misericordioso, infinito in potenza, possa tollerare tanta ingiustizia e tanta oppressione? Questa è una domanda con la quale noi non abbiamo nulla a che fare. Poiché Dio ci ha dato prove sufficienti del suo amore, noi non dobbiamo affatto dubitare della sua bontà, anche se non sempre riusciamo a comprendere le vie della sua provvidenza. Il Salvatore, prevedendo i dubbi che si sarebbero insinuati nella mente dei suoi discepoli nell’ora della prova e delle tenebre, disse loro: “Ricordatevi della parola che v’ho detta: Il servitore non è da più del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Giovanni 15:20. Gesù ha sofferto per noi più di quanto possa mai avere sofferto uno qualsiasi dei suoi seguaci. Quanti sono chiamati a soffrire torture e martirio non fanno che calcare le orme del diletto Figliuolo di Dio.

“Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa” 2 Pietro 3:9. Egli non dimentica e non trascura i suoi figli: permette solo che gli empi rivelino il loro vero carattere affinché chiunque voglia fare la sua volontà non sia tratto in inganno da loro. Inoltre, i giusti sono posti nella fornace dell’afflizione per essere purificati e perché il loro esempio possa convincere altri sulla realtà della fede e della pietà, e infine perché il loro comportamento coerente suoni condanna per gli empi e per gli increduli.
Dio permette all’empio di prosperare e di rivelare la sua inimicizia contro il cielo, affinché quando egli avrà colmato la misura della sua iniquità, tutti possano riconoscere la giustizia divina e la divina misericordia nella totale distruzione dei malvagi. Il giorno della sua vendetta si avvicina; in esso tutti coloro che avranno trasgredito la sua legge e oppresso il suo popolo riceveranno la giusta retribuzione per le loro opere. Allora ogni atto di crudeltà e di ingiustizia verso i figliuoli di Dio sarà punito come se fosse stato fatto a Cristo stesso. C’è, però, un’altra domanda, ancora più importante, che dovrebbe richiamare l’attenzione delle chiese di oggi. Paolo dichiara: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” 2 Timoteo 3:12. Perché, allora, la persecuzione sembra sonnecchiare? La sola ragione è che la chiesa si è conformata al mondo e così non provoca opposizioni. La religione corrente dei nostri giorni non riveste il carattere di purezza e di sanità che contraddistinse la fede cristiana ai tempi di Cristo e degli apostoli. E’ solo perché esiste uno spirito di compromesso col peccato; perché le grandi verità della Parola di Dio sono considerate con indifferenza; perché vi è nella chiesa tanta poca pietà vitale, che il Cristianesimo è popolare nel mondo. Lasciate che ci sia un risveglio della fede e della potenza della chiesa primitiva, e allora lo spirito di persecuzione rivivrà e saranno di nuovo accesi i fuochi della persecuzione.

UN’ÈRA DI TENEBRE SPIRITUALI
L’apostolo Paolo, nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, predisse la grande apostasia che sarebbe derivata dall’instaurarsi del potere papale . Egli affermò che il giorno del Signore “non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio”. L’apostolo, inoltre, avvertì i fratelli: “Il mistero dell’empietà è già all’opera” 2° Tessalonicesi 2:3,4,7. Egli vedeva, fin d’allora, insinuarsi nella chiesa degli errori che avrebbero preparato la via allo sviluppo del papato. A poco a poco, prima in modo furtivo e silenzioso, poi sempre più apertamente a mano a mano che acquistava vigore, “il mistero dell’empietà” finì col dominare le menti degli uomini, con la sua opera empia e blasfema. In maniera quasi impercettibile, le usanze pagane penetrarono nella chiesa cristiana. Lo spirito di compromesso e di conformismo era stato tenuto a freno quando la chiesa subiva le più violente persecuzioni a opera del paganesimo. Però, quando queste cessarono e il Cristianesimo penetrò nelle corti e nei palazzi reali, si abbandonò gradatamente l’umile semplicità di Cristo e degli apostoli, per accettare la pompa e l’orgoglio dei sacerdoti e dei governatori pagani. Alle richieste di Dio si sostituirono le teorie e le predizioni umane.

La conversione nominale di Costantino, all’inizio del quarto secolo, provocò un grande giubilo, e il mondo, sotto l’apparenza della giustizia, entrò nella chiesa. Fu così che l’opera della corruzione andò progredendo rapidamente. Il paganesimo, che sembrava sconfitto., divenne conquistatore. Il suo spirito dominava ormai la chiesa. Le sue dottrine, le sue cerimonie e le sue superstizioni vennero incorporate nella fede e nel culto di coloro che si dicevano seguaci di Cristo. Questo compresso fra paganesimo e Cristianesimo favorì lo sviluppo dell’uomo del peccato, predetto dalla profezia come oppositore e soppiantatore di Dio. Questo gigantesco sistema di falsa religione è il capolavoro della potenza di Satana: monumento degli sforzi da lui compiuti per salire sul trono e dominare la terra secondo la sua volontà. Una volta Satana cercò di giungere a un compromesso con Gesù. Si avvicinò al Figliuolo di Dio e mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro gloria, glieli offrì in cambio del riconoscimento, da parte di Gesù, della supremazia del principe delle tenebre. Cristo respinse il tentatore presuntuoso e lo costrinse a ritirarsi. Satana, però, riesce a conseguire migliori risultati quando rivolge le stesse tentazioni agli uomini. Per assicurarsi vantaggi e onori terreni, la chiesa fu indotta a ricercare il favore e il sostegno dei grandi uomini della terra; e avendo così rigettato Cristo, scelse di tributare omaggio al rappresentatore di Satana, il vescovo di Roma. Una delle dottrine base del Romanesimo consiste nel riconoscere nel papa il capo visibile della chiesa universale di Cristo, investito di una suprema autorità sui vescovi e sui pastori di ogni parte del mondo. Inoltre, sono attribuiti al papa i titoli della Deità Egli è stato definito “Signore Dio il papa” ed è stato dichiarato infallibile. Egli esige l’omaggio di tutti gli uomini, e così la pretesa di Satana nei confronti di Cristo è portata avanti per mezzo della chiesa di Roma, sì che molti sono quelli che gli rendono omaggio. Coloro, però, che temono Dio e lo riveriscono affronteranno questa audace sollecitazione, come Gesù affrontò l’invito del subdolo nemico: “Adora il Signore Iddio tuo, e servi a lui solo” Luca 4:8 (D).

Dio non ha mai minimamente accennato nella sua Parola al fatto che Egli abbia designato un uomo come capo della chiesa. La dottrina della supremazia papale è in diretta opposizione con l’insegnamento delle Sacre Scritture. Il papa non può avere nessun potere sulla chiesa di Cristo, se non mediante l’usurpazione. I sostenitori della chiesa di Roma persistono nell’accusare i protestanti e di volontaria separazione dalla vera chiesa. In realtà, questa accusa si applica proprio a loro, perché sono essi che hanno ammainato la bandiera di Cristo e si sono allontanati dalla “fede, che è stata una volta per sempre tramandate ai santi” Giuda 3. Satana sa benissimo che le Sacre Scritture aiutano gli uomini a smascherare le sue insidie e a resistere al suo potere. Lo stesso Salvatore del mondo, infatti, resistette ai suoi attacchi mediante la parola. Ogni volta Egli oppose lo scudo della verità eterna: << Sta scritto >>. A ogni insinuazione dell’avversario, Egli presentò la sapienza e la potenza della parola. Satana, per riuscire a dominare gli uomini e a stabilire l’autorità dell’usurpatore papale, deve mantenerli nell’ignoranza delle Scritture, in questo esse esaltano Dio e lasciano l’uomo nella posizione che gli compete. Perciò egli vorrebbe che le Sacre Scritture rimanessero nascoste e fossero addirittura soppresse.

Questa logica fu adottata dalla chiesa di Roma. Per secoli la diffusione della Bibbia fu vietata; era proibito leggerla o averla in casa. Questo, nell’intento di permettere che sacerdoti e prelati, privi di scrupoli, ne interpretassero gli insegnamenti in modo da poter sostenere le loro pretese. Fu così che il papa venne quasi universalmente riconosciuto come vice gerente di Dio sulla terra, dotato di autorità sia sulla chiesa che sullo stato. Eliminate le Sacre Scritture che potevano smascherare l’errore, Satana poté agire a proprio arbitrio. La profezia aveva annunciato che il papato avrebbe pensato di << mutare i tempi e la legge >> Daniele 7:25, e la cosa non tardò a compiersi. Per offrire ai pagani convertiti un sostituto all’adorazione degli idoli e così promuovere la loro accettazione nominale del Cristianesimo, pian piano penetrò nel culto cristiano l’adorazione delle immagini e delle reliquie. Il decreto di un concilio generale venne poi a sanzionare questo sistema idolatrico. Per completare la sua opera sacrilega, Roma ebbe l’ardire di togliere dalla legge di Dio il secondo comandamento, che vieta il culto delle immagini, e di dividere il decimo in due, per conservare invariato il numero dei comandamenti.

Lo spirito di concessione al paganesimo schiuse la porta a un crescente dispregio dell’autorità celeste. Satana, operando attraverso i dirigenti inconvertiti della chiesa, calpestò anche il quarto comandamento e si sforzò di eliminare l’antico sabato, giorno benedetto e santificato da Dio (Genesi 2:2,3), per esaltare al suo posto la festività celebrata dai pagani come << venerabile giorno del sole >>. Il cambiamento, all’inizio, non avvenne apertamente. Nei primi secoli il sabato era stato osservato da tutti i cristiani; essi erano gelosi dell’onore di Dio, stimavano immutabile la sua legge e custodivano con zelo la santità dei suoi precetti. Satana, però, operando con la massima sottigliezza tramite i suoi agenti, riuscì ad attuare il suo proponimento. Affinché l’attenzione della gente fosse richiamata sulla domenica, essa fu dichiarata giorno festivo in onore della risurrezione di Gesù. Quel giorno si celebravano delle funzioni religiose, però si trattava di un giorno di svago, mentre il sabato conservava il suo carattere di santità.

Per preparare la via all’opera che intendeva compiere, Satana aveva spinto i giudei, prima della venuta di Cristo, ad appesantire il sabato con le più rigorose esigenze, tanto da renderne l’osservanza un peso. Ora, traendo profitto dalla falsa luce che lo circondava, egli riuscì a farlo considerare come una istituzione prettamente giudaica. Mentre i cristiani in generale continuavano a osservare la domenica come un gaio giorno verso il Giudaesimo – a fare del sabato un giorno di digiuno, pieno di malinconia e di tristezza.
All’inizio del quarto secolo, l’imperatore Costantino emanò un decreto che dichiarava la domenica giorno di festa per tutto l’impero romano. Il << giorno del sole >> era rispettato da tutti i sudditi pagani e onorato anche dai cristiani. La politica imperiale, perciò, mirò a unire gli interessi contrastanti del paganesimo e del Cristianesimo. L’imperatore fu sollecitato a questo dai vescovi della chiesa che, spinti dall’ambizione e dalla sete di potere, si rendevano conto che se uno stesso giorno veniva osservato tanto dai cristiani che dai pagani, ne sarebbe derivata l’accettazione nominale del Cristianesimo da parte di questi ultimi, e così la chiesa ne avrebbe tratto potenza e gloria.

Molti cristiani timorati di Dio furono gradualmente indotti a considerare la domenica come dotata di un certo grado di santità, pur continuando a osservare il sabato come giorno del Signore, in ottemperanza al quarto comandamento. Il grande seduttore, però, non aveva completato la sua opera: era deciso a riunire tutto il mondo cristiano sotto la sua bandiera e ad esercitare la sua autorità attraverso il suo vice gerente, l’orgoglioso pontefice, il quale pretendeva di essere il rappresentante di Cristo. Per mezzo di pagani solo a metà convertiti, di prelati ambiziosi e di membri di chiesa amanti del mondo, egli riuscì ad attuare il suo proponimento. Di quando in quanto venivano convocati grandi concili nei quali convenivano i dignitari delle chiese del mondo intero. Quasi in ogni concilio il sabato stabilito da Dio veniva spinto sempre più giù, mentre, allo stesso tempo, la domenica era costantemente innalzata. Fu così che tale festività pagana finì con l’essere onorata come un’istituzione divina, mentre il sabato biblico venne definito “reminiscenza del Giudaesimo”, e la sua osservanza dichiarata decaduta.

Il grande apostata era riuscito a esaltare se stesso “sopra chiunque è chiamato dio, o divinità” 2° Tessalonicesi 2:4 (D), aveva osato cambiare l’unico precetto della legge divina che addita in modo inconfondibile all’umanità l’Iddio vivente e vero. Nel quarto comandamento Dio è rivelato come Creatore dei cieli e della terra, e quindi è distinto da tutti i falsi dèi. Quale memoriale della creazione, il settimo giorno fu santificato come giorno di riposo per l’uomo. Esso era destinato a conservare sempre vivo dinanzi alle menti umane il fatto che Dio è sorgente di tutto e oggetto del culto e dell’adorazione. Satana, che cerca sempre di distogliere gli uomini dalla loro fedeltà all’Eterno dall’ubbidienza alla sua legge, concentra tutte le sue energie specialmente contro il comandamento che indica in Dio il Creatore. Oggi i protestanti sostengono che la risurrezione di Cristo, avvenuta di domenica, ha fatto di quel giorno il sabato cristiano. Manca loro, però, l’appoggio delle Sacre Scritture, perché è evidente che tale onore non fu conferito a quel giorno né da Gesù, né dagli apostoli.

L’osservanza della domenica come istituzione cristiana ebbe origine dal “mistero dell’empietà” 2° Tessalonicesi 2:7, che era già all’opera al tempo di Paolo. Del resto, dove e quando il Signore avrebbe adottato questa figlia del papato? Quale valida ragione potrebbe essere fornita per un cambiamento che le Scritture non sanzionano? Nel sesto secolo il papato si era saldamente stabilito fissando la sua sede nella città imperiale. Il vescovo di Roma fu dichiarato capo di tutta la chiesa: il paganesimo aveva ceduto il passo al papato e il dragone aveva dato alla bestia “la propria potenza e il proprio trono e grande potestà” Apocalisse 13:2. Ebbero allora inizio i milleduecentosessanta anni di oppressione papale predetti nelle profezie di Daniele e dell’Apocalisse (Daniele 7:25; Apocalisse 13:5-7).

I cristiani furono costretti a scegliere: o rinunciare alla propria integrità e accettare le cerimonie e il culto papali, oppure affrontare il carcere, il rogo, il patibolo, la mannaia del carnefice. Si adempirono le parole di Gesù: “Voi sarete traditi perfino da genitori, da fratelli, da parenti e da amici; faranno morire parecchi di voi; e sarete odiati da tutti a cagione del mio nome” Luca 21:16,17. La persecuzione si abbatté sui fedeli con inaudita veemenza, e il mondo diventò un immane campo di battaglia. Per centinaia di anni la chiesa di Cristo trovò rifugio nei luoghi deserti e nell’oscurità. “E la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni” Apocalisse 12:6.

L’ascesa al potere della chiesa romana segnò l’inizio del Medioevo. A mano a mano che la sua potenza cresceva, le tenebre si facevano più fitte. La fede, che una volta si accentrava su Cristo, il vero fondamento, si trasferì sul papa di Roma. La gente, anziché confidare nel Figliuolo di Dio per la remissione dei peccati e per la salvezza eterna, guardava al papa, ai sacerdoti e ai prelati, ai quali il pontefice delegava la propria autorità. Si insegnava che il papa era il mediatore terreno e che nessuno poteva avvicinarsi a Dio se non per mezzo di lui. Si insegnava che per gli uomini egli occupava il posto di Dio, e che perciò doveva essere ubbidito. Una deviazione dalle direttive da lui impartite era motivo sufficiente perché i più severi castighi si abbattessero sui corpi e sulle anime dei colpevoli. Così la mente degli uomini fu distolta da Dio e rivolta su esseri fallibili, soggetti all’errore, crudeli; anzi, si può addirittura affermare che essa si rivolse sullo stesso principe delle tenebre, il quale esercitava la propria autorità per mezzo di loro.

Il peccato si celava dietro un manto di santità. Quando le Scritture vengono soppresse e l’uomo si considera un essere superiore, non ci si può aspettare che frode, inganno, iniquità. Con l’esaltazione di leggi e tradizioni umane, si manifestò in pieno la corruzione che sempre deriva all’abbandono della legge di Dio. Per la chiesa di Cristo furono giorni pericolosi. Pochi erano coloro che tenevano alta la bandiera della verità. Sebbene la verità non fosse rimasta priva di testimoni, talvolta pareva che l’errore e la superstizione dovessero trionfare e che la vera religione dovesse essere bandita dalla terra. Il Vangelo, cioè, le Sacre Scritture erano state perdute di vista, mentre si moltiplicavano le forme della religione e la gente veniva oppressa da rigorose imposizioni.

Gli uomini erano non solo esortati a guardare al papa come loro mediatore terreno, ma a confidare nelle proprie opere per la remissione dei peccati. Lunghi pellegrinaggi, atti di penitenza, adorazione delle reliquie, erezione di chiese, cappelle e altari, versamento di forti somme di denaro alla chiesa: queste e altre cose simili erano imposte per placare l’ira di Dio e assicurarsi il suo favore, quasi che Egli fosse come gli uomini e che, irritandosi per delle futilità, potesse essere placato con doni o atti di penitenza. Nonostante il vizio dilagasse anche fra i dirigenti della chiesa romana, l’influsso di questa cresceva continuamente. Verso la fine dell’ottavo secolo i sostenitori del papato affermarono che fin dai primi secoli i vescovi di Roma avevano avuto lo stesso potere che ora avevano assunto. Per dimostrarlo occorrevano delle prove che stabilissero l’esattezza di questa affermazione: tali prove furono suggerite dal padre della menzogna. I monaci produssero degli scritti “antichi”; decreti inediti di concili i quali stabilivano la supremazia universale del papa fin dai tempi più remoti. Ne seguì che una chiesa che aveva respinto la verità accettò avidamente questi inganni.

I pochi rimasti fedeli e che ancora edificavano sul vero fondamento (1° Corinzi 3:10,11) erano perplessi, perché ostacolati dalle scorie delle false dottrine che impedivano la loro opera. Come gli antichi costruttori delle mura di Gerusalemme al tempo di Nehemia, alcuni ripetevano: “Le forze dei portatori di pesi vengono meno, e le macerie sono molte; noi non potremo costruir le mura!” Nehemia 4:10. Stanchi per la costante lotta contro la persecuzione, l’inganno, l’iniquità e ogni altro impedimento che Satana escogitava per ostacolare la loro opera, alcuni, che pure erano stati fedeli edificatori, si persero di animo. Per amore del quieto vivere e per salvaguardare sia quello che possedevano, sia la propria vita, abbandonarono il vero fondamento. Altri, invece, per nulla intimiditi dall’opposizione dei nemici, dichiararono impavidi: “Non li temete! Ricordatevi del Signore, grande e temendo; e combattete” Nehemia 4:14, e proseguirono la loro attività con al fianco la spada (Efesini 6:17).

In ogni epoca lo stesso spirito di odio e di opposizione alla verità ha ispirato i nemici di Dio. La stessa vigilanza e la stessa fedeltà sono state sempre richieste dai suoi servitori. Le parole pronunciate da Cristo ai primi discepoli sono rivolte anche ai suoi seguaci della fine dei tempi: “Ora, quel che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate” Marco 13:37. Le tenebre si fecero sempre più fitte. Il culto delle immagini si andò generalizzando; si accendevano ceri dinanzi ad esse, ed erano loro offerte le preghiere. Si manifestò, allora, la più assurda e superstiziosa forma di culto. Le menti degli uomini erano dominate dalla superstiziosa forma di culto. Le menti degli uomini erano dominate dalla superstizione a tal segno che la ragione parve del tutto capitolare. Sacerdoti e vescovi erano amanti del piacere, sensuali e corrotti; e il popolo, che guardava ad essi per essere guidato, precipitava sempre più nell’ignoranza e nel vizio.

Un altro passo in avanti nell’ambito delle pretese papali fu compiuto nell’undicesimo secolo. Papa Gregorio VII° proclamò la perfezione della chiesa romana e affermò, tra l’altro, che secondo le Scritture essa non aveva mai sbagliato, né mai avrebbe potuto sbagliare. Le Scritture, però, non convalidavano questa sua dichiarazione. L’orgoglioso pontefice, inoltre, pretendeva di avere l’autorità di deporre gli imperatori, e affermò che nulla di quanto egli andava asserendo poteva essere revocato, in quanto egli solo aveva il poteva di annullare qualsiasi altrui decisione. Un’impressionante illustrazione del carattere tirrenico di questo sostenitore dell’infallibilità è fornita dal trattamento che egli riservò all’imperatore di Germania Enrico IV°, il, poiché ardì negare l’autorità papale, venne scomunicato e detronizzato. Terrificato dall’abbandono da parte dei principi e dalle loro minacce, in quanto essi si sentivano incoraggiati alla ribellione dal decreto papale, Enrico IV° volle rappacificarsi con Roma. Accompagnato dalla moglie e da un fido servitore, egli attraversò le Alpi in pieno inverno per andare a umiliarsi dinanzi al pontefice. Giunto al castello (di Canossa N. d. T.) dove Gregorio si era ritirato, fu introdotto, privo della sua guardia, in un cortile interno dove, in quel gelido inverno, a capo scoperto, a piedi nudi e vestito di sacco, attese che il papa lo ammettesse alla sua presenza. Fu solo dopo tre giorni di digiuno, seguito dalla confessione, che Enrico ottenne il perdono papale. Fu perdonato, ma a condizione che aspettasse il beneplacito del papa prima di poter ricevere nuovamente le insegne del suo potere, ossia esercitare l’autorità regale.

Gregorio, lieto del suo trionfo, si vantò che era suo dovere fiaccare l’orgoglio dei re. Quale stridente contrasto fra lo smisurato orgoglio di questo altezzoso pontefice e l’umiltà, la mansuetudine di Cristo, il quale raffigura se stesso nell’atto di bussare alla porta del cuore per esservi ammesso e recarvi il perdono e la pace! Quale contrasto con Colui che insegnò ai discepoli: “Chiunque fra voi vorrà essere primo, sarà vostro servitore” Matteo 20:27. Il trascorrere dei secoli mise in luce il costante aumento degli errori dottrinali di Roma. Già prima dello stabilirsi del papato, l’insegnamento dei filosofi pagani aveva goduto dell’attenzione della chiesa ed esercitato su di essa un non indifferente influsso. Molti, pur dicendosi convertiti, continuavano ad attenersi alle direttive della filosofia pagana, e non solo ne proseguivano lo studio, ma cercavano di imporlo anche agli altri. In tal modo, gravi errori si insinuarono nella fede cristiana. Uno dei più evidenti fu la credenza nell’immortalità naturale dell’anima e nello stato cosciente dei morti. Questa dottrina costituì la base dell’insegnamento di Roma relativo all’invocazione dei santi e all’adorazione della Vergine Maria. Da essa nacque pure l’eresia delle pene eterne che finì con l’essere incorporata nella fede papale.

Si preparò così la via a un’altra invenzione del paganesimo, che Roma chiamò purgatorio e che le servì per intimorire le folle credule e superstiziose. Con questa eresia si affermava l’esistenza di un luogo di tormento, dove le anime di coloro che non meritavano la dannazione eterna avrebbero subìto il castigo dei peccati commessi per poi passare in cielo, una volta che fossero stati liberati dalla loro impurità.
Un’altra invenzione era necessaria a Roma per aiutarla ad approfittare del timore e dei vizi dei suoi aderenti: la dottrina delle indulgenze. La totale remissione dei peccati passati, presenti e futuri e la liberazione da ogni pena nella quale si era incorsi fu promessa a quanti si fossero arruolati nelle guerre del pontefice, intese a estendere i suoi possedimenti, a punire i nemici e a sterminare chi avesse osato negare la sua supremazia spirituale. Si insegnava al popolo che il versamento di denaro alla chiesa permetteva di liberarsi dal peccato e di liberare le anime di amici defunti gettate nelle fiamme del tormento. Con simili mezzi, Roma riempì i propri forzieri e conservò la magnificenza, il lusso e il vizio dei pretesi rappresentanti di Colui che non aveva neppure dove posare il capo.

L’ordinanza evangelica della cena del Signore fu sostituita dal sacrificio idolatrico della messa. I sacerdoti pretendevano di convertire il pane e il vino << nel corpo, nel sangue, nell’anima e nella divinità di Cristo >> Cardinale Wiseman, The Real Presence of the Body and Blood of Our Lord Jesus Christ in the Blessed Eucharist, Proved from Scripture, confer. 8, sez. 3, par. 26. Con blasfema presunzione, pretendevano di avere il potere di creare Dio, il Creatore di tutte le cose. I cristiani erano invitati, pena la morte, a confessare la loro fede in questa empia eresia. Intere moltitudini che ricusarono di credervi furono gettate nelle fiamme.

Nel tredicesimo secolo fu istituita la più terribile di tutte le macchinazioni del papato: l’Inquisizione. Il principe delle tenebre operò con i capi della gerarchia papale. Nei loro segreti consigli, Satana e i suoi angeli controllavano le menti degli uomini empi, mentre un angelo di Dio, presente seppure invisibile, prendeva nota dei loro iniqui decreti e scriveva la storia di cose troppo orrende da poter essere esposte agli occhi umani. << Babilonia la grande >> era << ebra del sangue dei santi >>. Milioni di corpi straziati sembravano invocare Iddio perché li vendicasse contro questa potenza apostata.

Il papato era diventato il despota del mondo: re e imperatori si piegavano ai decreti del pontefice romano. Il destino degli uomini, per il tempo e per l’eternità , sembrava sotto il suo controllo. Per centinaia di anni le dottrine di Roma erano state implicitamente e totalmente accettate, le sue cerimonie celebrate e le sue feste generalmente osservate. Il suo clero veniva onorato e generosamente finanziato. Mai la chiesa era pervenuta a tanta dignità, a tanta magnificenza, a tale potere.
Ma << il mezzogiorno del papato fu la mezzanotte del mondo >> J. A. Wylie, The History of Protestantism, vol. 1, cap. 4. Le Sacre Scritture erano quasi sconosciute non soltanto al popolo, ma anche ai sacerdoti. Simili agli antichi farisei, i dirigenti romani odiavano la luce che avrebbe messo a nudo i loro peccati. Rimossa la legge di Dio, regola di giustizia, essi esercitavano un’autorità illimitata e praticavano il vizio senza ritegno. Predominavano la frode, l’avarizia e la corruzione. Gli uomini non esitavano dinanzi a nessun crimine che avesse potuto assicurare loro la ricchezza e la posizione. I palazzi dei papi e degli alti prelati erano teatro della più abietta deboscia. Alcuni pontefici si resero colpevoli di delitti così ripugnanti, che dei sovrani, giudicandoli mostri tanto abietti da non poter essere tollerati, ne chiesero la deposizione. Per secoli l’Europa non aveva fatto progressi nel campo del sapere, delle arti o della civiltà. Pareva che una paralisi morale e intellettuale fosse piombata sulla cristianità.

Le condizioni del mondo sotto il dominio di Roma fornivano un letterale e pauroso adempimento delle parole del profeta Osea: <<Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza. Poiché tu hai sdegnata la conoscenza, anch’io per sacerdote; giacché tu hai dimenticata la legge del tuo Dio, anch’io dimenticherò i tuoi figliuoli>>. <<Non v’è né verità, né misericordia, né conoscenza di Dio nel paese. I spergiura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio; si rompe ogni limite, sangue tocca sangue>> Osea 4:6,1,2. Ecco quali furono i risultati dell’abbandono della Parola di Dio.

FEDELI PORTATORI DI FIACCOLE.
In mezzo all’oscurità che sembrava essersi abbattuta sulla terra durante il lungo periodo della supremazia papale, la luce della verità non poteva estinguersi del tutto. In ogni tempo, infatti, ci sono stati dei testimoni di Dio, uomini che credevano in Cristo come unico mediatore fra Dio e l’uomo che consideravano la Bibbia l’unica regola di vita e santificavano il vero sabato. Mai il mondo potrà sapere quanto sia debitore a questi uomini. Essi erano considerati eretici; i motivi che li animavano erano criticati; il loro carattere era diffamato e i loro scritti venivano o soppressi o fraintesi o mutilati. Nondimeno, essi rimasero saldi; e di secolo in secolo conservarono pura la fede, quale sacra eredità per le generazioni future. La storia del popolo di Dio durante il periodo dell’oscurità che seguì lo stabilirsi della supremazia di Roma è scritta in cielo, mentre pochi accenni ad essa si trovano nei documenti umani. Poche tracce della loro esistenza possono essere rinvenute al di fuori delle accuse mosse loro dai persecutori. La politica di Roma consisteva nel cancellare ogni traccia di dissenso con le sue dottrine e con i suoi decreti. Tutto ciò che avesse sapore di eresia, si trattasse di persone o di scritti, Roma cercava di eliminarlo. Espressioni di dubbio od obiezioni circa l’autorità più o meno legittima dei dogmi papali, erano motivo sufficiente per mettere in pericolo la vita di ricchi e poveri, di gente altolocata o di umile condizione. Roma cercava anche di distruggere qualsiasi notizia relativa alla sua crudeltà nei confronti dei dissidenti. I concili papali decretarono che libri e scritti contenenti tali ricordi fossero dati alle fiamme. Poiché prima dell’invenzione della stampa i libri scarseggiavano ed era difficile conservarli, divenne facile per le autorità di Roma attuare il loro proponimento. Nessuna chiesa esistente nella sfera della giurisdizione romana fu lasciata a lungo indisturbata, nel godimento della sua libertà di coscienza. Non appena il papato ebbe pieni poteri, si affrettò a stendere il suo braccio per opprimere chiunque avesse rifiutato di riconoscere la sua autorità. Così, una dopo l’altra, le chiese si sottomisero alla sua dominazione. In Gran Bretagna il Cristianesimo primitivo aveva messo salde radici molto presto, e l’Evangelo, accettato dai bretoni nei primi secoli, serbava tuttora intatta la sua purezza.

L’unico dono che le chiese britanniche ebbero da Roma furono le persecuzioni da parte degli imperatori pagani, persecuzioni che si estesero fino a quelle remote sponde. Molti cristiani lasciarono l’Inghilterra e ripararono in Scozia per poi passare in Irlanda. La verità da essi proclamata fu ovunque accolta con gioia. Quando i sassoni invasero la Britannia, il paganesimo si impose. I conquistatori disdegnavano di essere istruiti dai loro schiavi, e così i cristiani furono costretti a rifugiarsi sui monti e nelle paludi selvagge. Nondimeno la luce, nascosta per un po’ di tempo, continuava a brillare. In Scozia, un secolo più tardi, essa rifulse con tale chiarore da estendersi fino nelle terre più lontane. Dall’Irlanda giunse il pio Colombano che, con i suoi collaboratori, raccolse intorno a sé i credenti dispersi e stabilì nell’isola di Iona il centro della sua opera missionaria. Fra questi evangelisti vi era un osservatore del sabato, e così questa verità penetrò in seno alle popolazioni. A Iona venne organizzata una scuola dalla quale uscirono dei missionari non solo per la Scozia e per l’Inghilterra, ma anche per la Germania, per la Svizzera e per l’Italia. Roma, però, aveva puntato il suo sguardo sulla Britannia e decise di imporle la propria autorità.

Nel sesto secolo i suoi missionari intrapresero la conversione dei sassoni pagani. Accolti favorevolmente dai fieri barbari, i missionari riuscirono a indurne migliaia a professare la fede di Roma. A mano a mano che l’opera si estendeva, i dirigenti romani e i loro convertiti venivano in contatto con i primitivi cristiani. Ne risultò un contrasto stridente. Questi erano semplici, umili, aderenti per carattere, dottrina e costumi, all’insegnamento della Sacra Scrittura, mentre i primi rivelavano la superstizione, la pompa e l’arroganza di Roma. Gli emissari papali invitarono queste chiese cristiane a riconoscere la supremazia del sommo pontefice; ma i bretoni con mansuetudine risposero che desideravano amare tutti gli uomini e che il papa non aveva nessun diritto di arrogarsi la supremazia sulla chiesa. Essi, quindi, potevano solo manifestargli la sottomissione dovuta a ogni seguace di Cristo. Reiterati tentativi furono fatti per indurli alla sottomissione totale e incondizionata; ma a questi umili cristiani, stupiti dall’orgoglio di cui davano prova i rappresentanti di Roma, risposero con fermezza che non riconoscevano altro maestro se non Cristo. Allora si manifestò in pieno lo spirito del papato. Il rappresentatore di Roma disse: “Se voi non accogliete i fratelli che vi recano la pace, riceverete i nemici che vi porteranno la guerra. Se non vi unite a noi per additare ai sassoni la via della vita, riceverete da loro il colpo mortale >> J. H. Merle D’Aubigné, History of the Reformation of the Sixteenth Century, vol. 17, cap.2. Non si trattava di vane minacce: la guerra, l’intrigo, l’inganno furono attuati contro i testimoni della fede biblica, a tal punto che le chiese della Britannia o furono distrutte o costrette a sottomettersi all’autorità papale.

Nelle terre situate fuori della giurisdizione di Roma, esistettero per secoli gruppi di cristiani che rimasero quasi del tutto liberi dalla corruzione papale. Erano circondati dal paganesimo, e con l’andare del tempo finirono col subire l’influsso dei suoi errori; però continuarono a considerare la Bibbia come unica regola di fede e a praticare molte delle sue verità. Questi cristiani credevano nella perpetuità della legge di Dio e osservarono il sabato del quarto comandamento. Chiese che si attenevano a questa fede e a queste pratiche esistevano anche nell’Africa centrale e fra gli armeni dell’ Asia.
Fra quanti resistettero al potere papale vanno soprattutto ricordati i valdesi. Il papato incontrò la più tenace resistenza alle sue falsità e alla sua corruzione proprio nel paese dove aveva fissato la propria sede. Per secoli, le chiese del Piemonte conservarono la loro indipendenza; però giunse il tempo in cui Roma impose loro di sottomettersi. Dopo vane battaglie contro la tirannia romana, i capi di queste chiese finirono sia pure con riluttanza, col riconoscere la supremazia del potere al quale tutto il mondo sembrava rendere omaggio. Però ve ne furono alcuni che non vollero cedere all’autorità del papa e dei suoi prelati: erano decisi a rimanere fedeli al patto stipulato con Dio e a conservare intatte la purezza e la semplicità della loro fede. Ci fu una separazione. Coloro che aderivano all’antica fede si ritirarono: alcuni, abbandonando le natie Alpi, piantarono il vessillo della verità in terre straniere; altri si rifugiarono nelle caverne o fra le rocce dei loro monti, dove conservarono la loro libertà di servire e adorare Iddio.

La fede che per secoli era stata coltivata e insegnata dai cristiani valdesi, era in netto contrasto con le false dottrine di Roma. La loro credenza religiosa era fondata sulla Parola scritta di Dio, che è il vero sistema del Cristianesimo. Questi umili montanari, nei loro oscuri rifugi, separati dal mondo, quotidianamente occupati nella cura delle loro greggi e dei loro vigneti, non erano giunti da soli alla conoscenza di quella verità che contrastava con i dogmi e con le eresie della chiesa apostata. La loro non era una fede di fresco conio: era un’eredità che veniva dai padri e che si ricollegava idealmente con quella della chiesa apostolica: << Fede, che è stata una volta per sempre tramandata ai santi >> Giuda 3. << La chiesa del deserto >> e non l’orgogliosa gerarchia che sedeva sul trono della capitale del mondo era la vera chiesa di Cristo, depositaria dei tesori della verità che Dio ha affidato al suo popolo perché sia data al mondo.
Fra le cause determinanti di questa separazione della vera chiesa da Roma, va ricordato l’odio di questa ultima per il sabato biblico. Come era stato predetto dalla profezia, il potere papale calpestò la verità. La legge di Dio fu gettata nella polvere, mentre le tradizioni e i sistemi umani venivano esaltati. Le chiese che si trovavano sotto il dominio papale furono ben presto costrette a onorare la domenica come giorno sacro. In mezzo ai crescenti errori e alle superstizioni, molti, perfino in seno al popolo di Dio, rimasero talmente confusi che, pur continuando a osservare il sabato, la domenica si astenevano dal lavoro. Questo, però, non soddisfaceva i dirigenti di Roma: essi volevano non solo che la domenica fosse santificata, ma che il sabato venisse profanato. Denunciavano con forte linguaggio coloro che ardivano onorarlo. Era solo sottraendosi al potere di Roma che si poteva ubbidire alla legge di Dio.

I valdesi furono tra i primi popoli europei ad avere una traduzione delle Sacre Scritture. Centinaia di anni prima della Riforma, essi possedevano la Bibbia in manoscritto, nella loro lingua natia. Avevano la verità non adulterata, e ciò li rendeva particolarmente oggetto dell’odio e della persecuzione. Essi affermarono che la chiesa romana era la Babilonia apostata dell’Apocalisse e che, anche a costo della loro vita, dovevano resistere alla sua corruzione. Mentre sotto la pressione di prolungate e incessanti persecuzioni alcuni vennero a un compromesso con la propria fede, abbandonando a poco a poco i loro principi distintivi, altri rimasero saldamente ancorati alla verità. Nel corso dei secoli di tenebre e di apostasia ci furono dei valdesi che non vollero riconoscere la supremazia romana, respinsero il culto delle immagini stimolandolo idolatrico e osservarono il vero sabato. In mezzo alle più violente tempeste di opposizione, essi serbarono la fede. Seppure trafitti dalle lance delle truppe savoiarde, arsi dal fuoco dei roghi romani, essi rimasero incrollabili dalla parte della Parola e dell’onore di Dio.
Dietro il baluardo di quelle maestose montagne – che in ogni tempo erano state un rifugio per i perseguitati e per gli oppressi – i valdesi trovarono un asilo. Qui la luce della verità continuò a brillare in mezzo alle tenebre del Medioevo, e per mille anni i suoi testimoni serbarono intatta la fede degli avi.

Dio aveva provveduto per il suo popolo un santuario la cui grandezza ben si addiceva alle sublimi verità che Israele aveva ricevuto in deposito. Per quegli esuli fedeli, le montagne erano un emblema dell’immutabile giustizia di Dio. Essi additavano ai figli le cime torreggianti che si stagliavano maestose contro il cielo e parlavano loro di Colui presso il quale non c’è né variazione né ombra di mutamento, e le cui parole durano quanto le colline eterne. Dio aveva stabilito le montagne – dicevano – dotandole di una potenza tale che nessun braccio all’infuori di quello dell’Onnipotente avrebbe potuto smuoverle dal loro posto. Allo stesso modo Egli aveva stabilito la sua legge, che è la base del suo governo in cielo e sulla terra. Il braccio dell’uomo, è vero, poteva raggiungere i propri simili a distruggere la loro vita; però, mutare fosse pure un solo precetto della legge divina o annullare una delle celesti promesse sarebbe stato per lui come tentare di sradicare i monti e farli precipitare nel mare. Nella loro fedeltà alla sua legge, i servitori di Dio debbono essere incollabili come le colline immutabili.
I monti che cingevano le loro vallate erano una costante testimonianza della potenza creativa di Dio, oltre che dell’infallibile certezza della sua cura protettrice. Quei pellegrini impararono ad amare i simboli silenziosi della presenza di Dio. Non si lamentavano dell’asprezza della loro sorte; mai si sentivano abbandonati, neppure in mezzo alle grandi solitudini montane. Ringraziavano Iddio che aveva loro provveduto un riparo contro l’ira e la crudeltà degli uomini, e si rallegravano della possibilità loro offerta di adorare nel suo cospetto. Spesso, quando erano perseguitati dai nemici, trovarono sui monti un sicuro ricetto. Dalle alte cime essi cantavano le lodi dell’Eterno, e le schiere mandate da Roma erano impotenti a far tacere quegli inni di ringraziamento.

La pietà di questi seguaci di Cristo era pura, semplice e fervente. Essi stimavano i princìpi della verità di gran lunga superiori a case, terreni, amici, parenti, e perfino alla stessa vita. Fin dalla loro più tenera infanzia, i fanciulli venivano istruiti nelle Sacre Scritture e abituati a considerare con un sacro rispetto le esigenze della legge di Dio. Allora le copie della Bibbia erano rare, e perciò le sue preziose parole venivano imparate a mente. Molti di loro sapevano ripetere lunghi brani del Vecchio e del Nuovo Testamento. Il pensiero di Dio era collegato col sublime scenario della natura e con le benedizioni della vita di tutti i giorni. I bambini imparavano a guardare con gratitudine a Dio, come il datore di ogni bene e di ogni conforto.
Da genitori teneri e affettuosi quali essi erano, amavano i figli con troppa saggezza per abituarli ad appagare ogni loro desiderio egoistico. Dinanzi a loro si apriva la via della prova e delle privazioni, forse anche del martirio e della morte. Così, fin dall’infanzia, questi fanciulli erano educati in modo da poter sopportare le privazioni, esercitare l’autocontrollo, pensare e agire di propria iniziativa. Si insegnava loro molto presto a portare delle responsabilità, a essere cauti nel parlare e a capire il valore del silenzio. Una parola indiscreta raccolta da un orecchio nemico poteva significare un pericolo di morte non solo per chi l’aveva detta, ma anche per centinaia di fratelli, perché – simili a lupi in cerca di preda – i nemici della verità non davano tregua a quanti osavano pretendere la libertà religiosa.

I valdesi avevano sacrificato la propria prosperità terrena per amore della verità, e con lodevole perseveranza lavoravano per il loro pane quotidiano. Ogni palmo di terreno coltivabile dei monti veniva accuratamente sfruttato: le valli, i fianchi dei monti, anche se poco fertili, erano coltivati con la massima cura. L’economia e la severa rinuncia costituivano una parte dell’educazione che i bambini ricevevano come unica eredità. Veniva loro insegnato che Dio vuole che la vita sia disciplinata e che è possibile sopperire alle proprie necessità solo mediante il lavoro personale, l’assiduo impegno, la previdenza e la fede. Il procedimento, è vero, appariva duro e faticoso, però era sano e corrispondeva a ciò di cui l’uomo ha bisogno a motivo del suo stato di decadenza, ed era la scuola istituita da Dio per la loro formazione e il loro sviluppo. I giovane venivano addestrati al lavoro e alle privazioni, però non si trascurava la cura del loro intelletto. Essi imparavano che tutte le loro facoltà appartenevano a Dio e che dovevano essere sviluppate e adoperate al suo servizio.

La chiesa valdese quanto a semplicità e purezza somigliava alla chiesa dei tempi apostolici. Rigettando la supremazia del papa e dei prelati romani, considerava la Bibbia come unica, suprema e infallibile autorità in materia di fede. I suoi pastori, a differenza dei signorili sacerdoti di Roma, seguivano l’esempio del Maestro, che venne sulla terra << non per essere servito, ma per servire >>. Essi pascevano la greggia di Dio guidandola verso i verdeggianti pascoli e le fonti vive della sua Parola. Lungi dall’esteriorità della pompa e dell’orgoglio degli uomini, la gente si riuniva non in magnifiche chiese o in grandiose cattedrali, ma all’ombra delle montagne, nelle vallate alpine o, in tempo di pericolo, in rifugi scavati nella roccia, per udire la parola di verità annunciata dai servitori di Cristo. I pastori non solo predicavano l’Evangelo, ma visitavano gli ammalati, istruivano i fanciulli, ammonivano gli sviati e si adoperavano per comporre le divergenze, stabilire l’armonia e l’amore fraterno. In tempo di pace erano sostentati dalle offerte spontanee dei fedeli; ma, come l’apostolo Paolo che fabbricava le tende, ognuno di loro imparava un mestiere o una professione per poter provvedere, all’occorrenza, al proprio sostentamento.

I giovani erano istruiti dai pastori. Pur dando la dovuta attenzione alla cultura generale, la Bibbia rimaneva lo studio fondamentale. I vangeli di Matteo e di Giovanni venivano imparati a mente, e altrettanto si faceva con molte epistole. I giovani erano occupati anche nella copia delle Sacre Scritture. Alcuni manoscritti contenevano l’intera Bibbia, mentre altri presentavano solo porzioni di essa. Il tutto era accompagnato da alcune semplici spiegazioni del testo a uso di quanti erano incapaci di esporre le Scritture. Si diffondevano, così, i tesori della verità rimasta per tanto tempo nascosta per volere di coloro che cercavano di esaltare se stessi al di sopra di Dio.

Con un lavoro paziente e perseverante, talvolta svolto nelle profonde e oscure caverne della terra, alla luce delle torce, le Scritture venivano ricopiate versetto per versetto, capitolo per capitolo. In questa maniera, l’opera fu portata a termine e la volontà rivelata di Dio risplendette come oro purissimo. Solo quanti erano impegnati in questa opera sapevano a quale prezzo e in mezzo a quali dure prove essa era riuscita a brillare ancor più chiara e potente. Gli angeli del cielo circondavano questi fedeli servitori. Satana aveva sollecitato i sacerdoti e gli alti prelati romani a seppellire la Parola della verità sotto il ciarpame dell’errore, dell’eresia e della superstizione. Essa, però, era rimasta meravigliosamente incorrotta attraverso tutti i secoli di oscurità, in quanto recava non il marchio dell’uomo, ma l’impronta di Dio. Gli uomini sono stati instancabili nei loro tentativi intesi a offuscare il senso evidente delle Scritture, e si sono adoperati in mille modi per far pensare a inesistenti contraddizioni; ma simile all’arca che galleggiava sui flutti agitati, la Parola di Dio è riuscita a sfidare e a vincere le tempeste che ne minacciavano la distruzione. Come le miniere celano nelle loro viscere ricche vene di oro e di argento, per cui è necessario scavare a fondo per mettere in luce questi tesori, così la Sacra Scrittura racchiude tesori di verità che vengono rivelati solo a chi li cerca con ardore, con umiltà e con preghiera. Dio vuole che la Bibbia sia il libro di testo dell’intera umanità: nell’infanzia, nella gioventù e nella virilità, e che venga studiata in ogni tempo. Egli ha dato la sua Parola agli uomini quale rivelazione di se stesso, e ogni nuova verità riscontrata è una nuova espressione del carattere del suo Autore. Lo studio della Scrittura è il mezzo ordinata da Dio per mettere gli uomini in più intima comunione col loro Creatore, e per dar loro una più chiara conoscenza della sua volontà. Essa è il mezzo di comunicazione fra Dio e l’uomo.

I valdesi, pur considerando il timore dell’Eterno come il principio della saggezza, non erano ciechi quanto all’importanza del contatto col mondo, alla conoscenza in generale e alla vita attiva: tutte cose intese ad allargare la mente e a sviluppare le facoltà dell’essere.
Dalle loro scuole di montagna, i giovani venivano mandati in istituti culturali della Francia e dell’Italia, dove si schiudeva dinanzi a loro un campo di studi e di pensiero ben più vasto di quello offerto nelle loro Alpi natie. I giovani, è vero, si trovavano esposti alla tentazione, scorgevano tutta la bruttura del vizio e si imbattevano negli agenti di Satana, i quali li attaccavano con le più sottili eresie e le più pericolose seduzioni. Però, l’educazione ricevuta fin da piccoli era di tale natura da renderli idonei ad affrontare tutto ciò.
Nelle scuole dove si recavano non potevano confidarsi con nessuno. I loro abiti erano confezionati in modo da permettere di celarvi il loro più prezioso tesoro: i manoscritti della Bibbia. Essi portavano così su di sé il frutto di mesi, se non addirittura di anni, di arduo lavoro: e ogni volta che potevano farlo senza suscitare sospetti, cautamente lo offrivano a coloro che sembravano avere il cuore aperto all’accettazione della verità. I giovani valdesi erano stati preparati a questo compito fin dal seno materno, comprendevano quale fosse il loro dovere e lo assolvevano fedelmente.

Nei centri culturali dove si recavano, si verificavano delle conversioni; e non di rado il seme della verità finiva col germogliare e portare il suo frutto nell’intera scuola. I dirigenti romani, nonostante le più severe indagini, non riuscivano a scoprire la causa di quella che essi definivano eresia. Lo spirito di Cristo è uno spirito missionario. Il primo impulso di un cuore rigenerato è quello di condurre altri al Salvatore. Questo era lo spirito dei cristiani valdesi. Essi sentivano che Dio esigeva da loro molto di più che la semplice conservazione della verità in tutta la sua purezza nell’ambito della chiesa. Sentivano che su loro gravava la solenne responsabilità di far brillare la loro luce su quanti ancora giacevano nelle tenebre. Essi sapevano che per la potenza della Parola di Dio dovevano cercare di infrangere il giogo imposto di Roma.

I ministri valdesi erano preparati per essere missionari; e chiunque intendeva entrare nel ministero doveva acquisire, anzitutto, un’esperienza come evangelista. Ogni candidato doveva servire per tre anni in un campo missionario, prima di poter ricevere l’incarico di una chiesa locale. Questo servizio esigeva un grande spirito di rinuncia e di sacrificio, e rappresentava un’adeguata introduzione alla vita pastorale in quel tempo che metteva alla prova le anime degli uomini. I giovani che venivano consacrati al sacro ministero vedevano dinanzi a sé non già la prospettiva di vantaggi o di gloria terreni, ma una vita di disagi e di pericoli che poteva concludersi anche col martirio. I missionari andavano a due a due, come Gesù aveva mandato i suoi discepoli. In generale, un giovane era accoppiato con un uomo di età matura, dotato di esperienza, che egli era di guida e di consiglio e che, allo stesso tempo, era responsabile della sua preparazione. Il giovane doveva attenersi alle direttive impartite dall’anziano.

Questi collaboratori non stavano sempre insieme, però si incontravano spesso per pregare, consigliarsi e fortificarsi a vicenda nella fede. Rivelare lo scopo della loro missione poteva significare disfatta sicura. Per questo motivo essi celavano con cura il loro vero essere. Ogni ministro conosceva un mestiere o esercitava una professione. Così i missionari potevano proseguire la loro opera sotto il manto di un’attività di carattere secolare. Generalmente essi sceglievano quella di mercante o di merciaio ambulante. <<Portavano con sé seta, bigiotteria e altri articoli non facilmente procurabili a quell’epoca, se non mediante lunghi viaggi. Come mercanti, essi erano bene accolti là dove, come missionari, sarebbero stati rudemente respinti>> Wylie, vol. 1, cap. 7. I loro cuori si levavano a Dio per chiedergli saggezza nel presentare un tesoro più prezioso dell’oro e delle gemme. Essi portavano segretamente su di sé delle copie della Bibbia, completa o in porzioni, e ogni volta che se ne presentava loro l’opportunità, richiamavano l’attenzione dei clienti su quei manoscritti. Spesso nasceva un vivo interesse di leggere la Parola di Dio, e in tal caso essi lasciavano porzioni della Bibbia a quanti desideravano possederla. L’opera di questi missionari ebbe inizio a quanti desideravano possederla.

L’opera di questi missionari ebbe inizio nelle pianure e nelle valli ai piedi delle loro stesse montagne. Poi si estese ben oltre questi limiti. A piedi nudi, vestiti di abiti rozzi segnati dal viaggio come lo erano quelli del loro Maestro, essi attraversavano le grandi città e penetravano in regioni lontane. Ovunque spargevano il prezioso seme, e sul loro passaggio sorgevano delle chiese, mentre non di rado il sangue dei martiri rendeva testimonianza della verità. Il gran giorno di Dio metterà in luce una ricca messe di anime che sono state raccolte grazie all’opera di questi uomini fedeli. Velata e silenziosa, la Parola di Dio compieva la sua opera attraverso la cristianità ed era accolta con gioia nelle case e nei cuori degli uomini. Per i valdesi, le Sacre Scritture non erano semplicemente una storia dei rapporti di Dio con gli uomini nei tempi passati, o una rivelazione delle responsabilità e dei doveri del tempo presente, ma anche un’esposizione dei pericoli e delle glorie future. Essi credevano che la fine di ogni cosa non fosse lontana e, studiando la Bibbia con preghiera e con lacrime, rimanevano sempre più colpiti e impressionati dalle sue affermazioni, oltre che al dovere che sentivano di far conoscere agli altri le verità apportatrici della salvezza; e attingevano conforto, speranza e pace dalla loro fede in Cristo. A mano a mano che la luce rischiarava il loro intelletto e rallegrava i loro cuori, essi desideravano ardentemente farla risplendere anche su quanti si trovavano ancora nelle tenebre dell’errore papale.

Essi si rendevano conto che sotto la guida del papa e dei sacerdoti, intere moltitudini invano di ricevere il perdono mediante la mortificazione del corpo per espiare i peccati dell’anima. Abituati a confidare nelle proprie buone opere in vista della salvezza, gli uomini guardavano sempre a se stessi, e la loro mente si chinava sopra il proprio stato di colpevolezza. Si vedevano esposti all’ira di Dio e inutilmente, per trovare sollievo, affliggevano l’anima e il corpo. In tal modo, molte anime coscienziose rimanevano legate alle dottrine di Roma. Migliaia di persone abbandonavano amici, parenti e si chiudevano nelle celle dei conventi per tutta la vita. Con ripetuti digiuni, dure afflizioni, prolungate veglie notturne, estenuanti prostrazioni per ore e ore sulle fredde e umide pietre del suolo, lunghi pellegrinaggi, umilianti penitenze e spaventose torture, cercavano – ma inutilmente – la pace dell’anima. Oppressi dal senso del peccato, ossessionati dal timore dell’ira vendicativa di Dio, molti soffrivano a lungo, fino a che l’organismo non veniva meno e, senza un raggio di speranza, scendevano nella tomba. I valdesi desideravano porgere a queste anime affamate il pane della vita, offrire loro i messaggi di pace racchiusi nelle promesse di Dio e additare ad esse Cristo, come unica speranza di salvezza. Sapevano che la dottrina delle buone opere, quale mezzo per cancellare la trasgressione della legge di Dio, era falsa. Credere nel valore dei meriti umani significa offuscare la visione dell’infinito amore di Cristo. Gesù morì per l’uomo, perché l’umanità caduta non può fare nulla che la raccomandi a Dio. I meriti di un Salvatore crocifisso e risorto costituiscono la base della fede cristiana.

La dipendenza dell’anima da Cristo è altrettanto reale e intima quanto quella di un membro dal corpo e del tralcio dalla vite. Gli insegnamenti del papa e dei sacerdoti avevano indotto gli uomini a considerare il carattere di Dio e di Cristo rigido, inflessibile, inesorabile. Il Salvatore veniva descritto privo di simpatia verso l’uomo caduto e, per conseguenza, si stimava necessario invocare la mediazione dei sacerdoti e dei santi. Coloro la cui mente era stata illuminata dalla Parola di Dio, bramavano additare Cristo a queste anime smarrite, perché esse trovassero in lui un Salvatore pieno di compassione e di amore che, a braccia tese, invitava tutti ad andare a lui col loro fardello di peccato, con i loro crucci, con la loro stanchezza. Essi desideravano ardentemente rimuovere quelle ostruzioni che Satana aveva accumulato per impedire agli uomini di vedere le promesse di Dio e di andare direttamente a lui, confessare i peccati e ottenere il perdono e la pace.

Il missionario valdese, con slancio schiudeva davanti alle menti anelanti di conoscenza le preziose verità del Vangelo. Cautamente, presentava le porzioni della Sacra Scrittura ricopiate con la massima cura, e pieno di intensa gioia si adoperava per infondere la speranza nelle anime consapevoli del proprio stato di peccato e che vedevano solo un Dio di vendetta, sempre pronto a punire. Con le labbra tremanti e con le lacrime agli occhi, egli spiegava ai fratelli le sublimi promesse che indicano al peccatore l’unica sua speranza. Così la luce delle verità penetrava in molte menti ottenebrate, rimuovendo da esse la precedente nube di oscurità e permettendo ai raggi del Sole di giustizia di risplendere nel cuore, apportandovi la guarigione. Accadeva, talvolta, che certi brani della Scrittura fossero letti e riletti perché l’ascoltare voleva essere certo di avere capito bene. In modo particolare si amava la ripetizione di parole come: <<Il sangue di Gesù, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato>> 1° Giovanni 1:7. <<E come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figliuolo dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna>> Giovanni 3:14,15. Molti giunsero a capire gli errori di Roma e si accorsero di quanto fosse vana l’intercessione degli uomini e degli angeli a favore del peccatore. Via via che la luce penetrava nelle loro menti, essi esclamavano con giubilo: <<Cristo è il mio sacerdote; il suo sangue è il mio sacrificio; il suo altare è il mio confessionale>>. Abbandonandosi fidenti ai meriti di Gesù, ripetevano.

<<Or senza fede è impossibile piacergli>> Ebrei 11:6. <<Non v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi abbiamo ad essere salvati>> Atti 4:12. La certezza dell’amore del Salvatore pareva troppo bella ad alcune di queste anime squassate dalla tempesta. Il sollievo che essa recava era così grande, e il fascio di luce che risplendeva su di esse così potente, che pareva loro di essere trasportate in cielo. Le loro mani afferravano fiduciose la mano di Cristo, i loro piedi poggiavano sicuri sulla Roccia dei secoli. Ogni timore di morte era fugato, e ora esse potevano affrontare impavide anche la prigione e il rogo se in tal modo potevano onorare il nome del Redentore. La Parola di Dio era recata di luogo in luogo e letta ora a una sola anima, ora a un gruppo di persone desiderose di luce e di verità. Spesso l’intera notte era trascorsa in tale lettura. La meraviglia e l’ammirazione degli uditori erano talmente grandi, che non di rado il messaggero si vedeva costretto a interrompere la lettura per dar modo agli ascoltatori di afferrare bene la buona novella della salvezza. Spesso si sentiva esclamare: Dio accetterà davvero la mia offerta? Mi sorriderà Egli? Mi perdonerà?”. La risposta veniva letta in Matteo 11:28: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo”.

La fede accettava le promesse, e si udivano affermazioni piene di giubilo: “Non più lunghi pellegrinaggi; non più estenuanti viaggi verso luoghi santi dove si conservano le reliquie. Io posso andare a Gesù così come sono, pieno di peccato: Egli non disprezza la preghiera del cuore pentito. ”I tuoi peccati ti sono rimessi”. I miei, anche i miei peccati possono essere perdonati!”. Un’onda di sacra gioia riempiva il cuore, mentre il nome di Gesù veniva magnificato dalla lode e dal ringraziamento. Queste anime felici ritornavano a casa per diffondere la luce e ripetere ad altri, meglio che potevano, la loro nuova esperienza. Avevano trovato la Via vivente e vera; c’era una strana e grande potenza nelle parole della Scrittura che parlavano direttamente al cuore di coloro che bramavano la verità. Era la voce di Dio, che recava la convinzione in quanti ascoltavano. Il messaggero della verità proseguiva il suo cammino; però la sua umiltà; la sua sincerità, la sua serietà e il suo zelo erano oggetto di frequenti riflessioni. In molti casi i suoi uditori non gli chiedevano né donde venisse né dove andasse. Erano rimasti talmente sopraffatti prima dalla sorpresa, poi dalla gratitudine e dalla gioia, che non avevano pensato a fargli domande.

Quanto lo avevano pregato di accompagnarli a casa, egli aveva risposto che doveva visitare le pecore perdute del gregge. Essi si chiedevano se per caso egli non fosse un angelo mandato dal cielo. In molti casi il messaggero della verità non si vedeva più. Forse si era recato in altri paesi, forse era stato rinchiuso in qualche oscuro carcere, oppure le sue ossa giacevano là dove aveva testimoniato della verità. Però le parole da lui lasciate dietro di sé non potevano andare distrutte e compievano la loro opera nel cuore degli uomini. I benefici risultati di esse saranno resi noti nel gran giorno del giudizio.

I missionari valdesi invadevano il regno di Satana, e le podestà delle tenebre vigilavano con la massima cura. Ogni sforzo compiuto per la propagazione della verità era sorvegliato dal principe del male, ed egli suscitava timore nei suoi accoliti. I capi del papato vedevano nell’opera di questi umili itineranti un serio pericolo per la loro causa. La a spazzare via le pesanti nubi di errore che avviluppavano la gente, e avrebbe rivolto la mente degli uomini verso Dio; forse essa sarebbe perfino riuscita a distruggere la supremazia di Roma. L’esistenza di questo popolo che si atteneva alla fede dell’antica chiesa, era una costante testimonianza contro l’apostasia di Roma, e per conseguenza provocava l’odio e la persecuzione. Il rifiuto di abbandonare le Sacre Scritture suonava offesa per Roma, che non poteva tollerarlo.

Essa, allora, decise di eliminare questi “oppositori”. Ebbero inizio, così, le più terribili crociate contro il popolo di Dio nei suoi rifugi montani. Degli inquisitori furono lanciati sulle tracce, e la scena dell’innocente Abele che cade sotto i colpi di Caino si rinnovò frequentemente. Le fertili terre vennero devastate, e furono rase al suolo case e cappelle. Là dove un tempo si vedevano i campi ubertosi e le abitazioni di un popolo innocente e attivo, non rimase che un deserto. Simile all’animale da preda reso ancora più furente dall’odore del sangue, l’ira dei persecutori fu portata al parossismo dalle sofferenze delle loro vittime.

Molti di questi testimoni della vera fede furono inseguiti su per i monti, lungo le vallate, e costretti a rifugiarsi in mezzo ai boschi o sulle cime delle montagne. Nessuna accusa poteva essere mossa contro il carattere morale di queste persone. Perfino i loro nemici dichiaravano che si trattava di gente pacifica, quieta e pia. La loro grande colpa consisteva nel non volere adorare Iddio secondo la volontà del papa. Per questo “crimine”, si abbattevano su di loro tutte le umiliazioni, gli insulti e le torture che uomini e demoni potevano inventare. Roma, decisa a farla finita con “l’odiata setta”, lanciò contro di essa una bolla che la dichiarava eretica e la consegnava nelle mani del carnefice. I valdesi non erano accusati di ozi, di disonestà o di vita disordinata; di loro era detto che avevano una tale apparenza di pietà e di santità da sedurre “le pecore della vera greggia”. Per questo motivo il papa decretò che questa “setta maligna e abominevole”, se ricusava di abiurare, “venisse schiacciata come serpi velenose” Wylie, vol. 16. cap. 1. Questo orgoglioso personaggio pensava che un giorno avrebbe ritrovato le sue parole? Sapeva che esse venivano registrate nei libri del cielo e che al giudizio le avrebbe di nuovo incontrate? “In verità vi dico”, affermò Gesù, “che in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” Matteo 25:40.

Questa bolla invitava i membri della chiesa romana a unirsi nella crociata contro gli eretici. Come incentivo a impegnarsi in questa opera crudele, essa “assolveva da ogni pena ecclesiastica, generale e particolare; scioglieva da qualsiasi giuramento fatto chiunque si fosse unito a questa crociata;legittimava il diritto a qualunque cosa fosse stata illegalmente presa; prometteva la remissione di tutti i peccati a chi avesse ucciso gli eretici; annullava ogni contratto stipulato con i valdesi e dava ordine ai domestici di abbandonarli; proibiva a ogni persona di dar loro qualsiasi aiuto, e autorizzava a impossessarsi delle loro proprietà Wylie, vol. 16, cap. 1. Questo documento rivela chiaramente quale fosse lo spirito che agiva dietro le quinte. Non si trattava delle voce di Cristo ma del ruggito del dragone. I dirigenti della chiesa di Roma non conformavano il loro carattere al grande ideale stabilito dalla legge di Dio, al posto della quale si ergeva un ideale che si potesse adattare loro, fermamente decisi come erano a costringere tutti ad attenervisi, perché così voleva Roma. Si ebbero, per conseguenza, le più spaventose tragedie. Sacerdoti e papi corrotti e blasfemi compievano l’opera che Satana additava loro. Nella loro natura non vi era posto per la misericordia. Lo stesso spirito che portò alla crocifissione di Cristo e all’uccisione degli apostoli; lo stesso spirito che animava il sanguinario Nerone contro i fedeli del suo tempo, era all’opera per liberare la terra dalla presenza dei diletti figliuoli di Dio.

La persecuzione imperversò per molti secoli contro il popolo di Dio, il quale la sopportò con una pazienza e una costanza che onoravano il suo Redentore. Nonostante le crociate e l’inumana strage cui erano esposti, i valdesi continuarono a mandare i loro missionari per diffondere la verità. Minacciati di morte, uccisi, il loro sangue fecondava il seme sparso e ne determinava il frutto. Così i valdesi testimoniarono per Dio secoli prima della nascita di Lutero. Dispersi dappertutto, diffusero il seme della Riforma che ebbe inizio al tempo di Wycliff, crebbe e si estese al tempo di Lutero, e proseguirà sino alla fine dei tempi per mezzo di coloro che sono disposti a soffrire ogni cosa << a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù >> Apocalisse 1:9.

LA LUCE IRROMPE IN INGHILTERRA
Prima della Riforma vi furono momenti in cui il numero delle copie della Bibbia era molto limitato; Dio, però, non permise la scomparsa della sua Parola. Le sue verità non dovevano rimanere nascoste per sempre. Egli avrebbe potuto sciogliere le catene che legavano la Parola con la stessa facilità con cui avrebbe potuto schiudere le porte delle prigione e i cancelli di ferro per mandarne liberi i suoi servitori. In vari paesi d’Europa, molti uomini, animati dallo Spirito di Dio, andavano alla ricerca della verità quasi si trattasse di tesori nascosti. Provvidenzialmente guidati verso le Sacre Scritture, essi studiavano le sacre pagine con vivo interesse, decisi ad accettare la luce a ogni costo. Pur non scorgendo chiaramente tutto quello che le Scritture insegnavano, riuscirono a distinguere molte verità tenute a lungo nascoste. In qualità di messaggeri del cielo, essi andavano attorno infrangendo le catene dell’errore e della superstizione, e invitando quanti erano stati a lungo schiavi a levarsi e ad affermare la propria libertà.

Salvo che fra i valdesi, la Parola di Dio era rimasta chiusa per secoli, in linguaggi noti solo agli studiosi. Era giunto però il momento che la Scrittura venisse tradotta e data agli uomini di vari paesi nella loro lingua natia. Il mondo aveva superato la mezzanotte, e si dileguavano le ore dell’oscurità. In molti luoghi già si notavano i chiari segni dell’imminente aurora.
Nel quattordicesimo secolo, sorse in Inghilterra la << stella del mattino >> della Riforma. John Wycliff fu l’araldo della Riforma non solo per la Gran Bretagna, ma per l’intero mondo cristiano. La grande protesta contro Roma da lui formulata non doveva più tacere. Essa diede inizio alla lotta che ebbe per risultato l’emancipazione degli individui, delle chiese e delle nazioni.
Wycliff aveva ricevuto un’ottima istruzione. Per lui il timore dell’Eterno era il principio della saggezza. In collegio era noto per la sua fervente pietà come anche per i suoi notevoli talenti e la sua profonda cultura.

Assetato di sapere, cercò di addentrarsi in ogni ramo di studio. Si applicò alla filosofia scolastica, ai canoni della chiesa, alla legge civile, specialmente a quella del suo paese. Nella sua ulteriore attività si notò il valore di questa sua preparazione. Una piena conoscenza della filosofia speculativa del suo tempo gli permise di metterne in risalto gli errori. Grazie ai suoi studi della legge nazionale ed ecclesiastica, era preparato alla grande battaglia per la libertà civile e religiosa. Oltre a saper ben maneggiare le armi della Parola di Dio, egli possedeva una disciplina intellettuale che lo qualificava per ben capire le tattiche dei dotti. La forza del suo genio, unita alla vastità e alla completezza del suo sapere, imponeva il rispetto sia degli amici che degli oppositori. I suoi sostenitori videro con soddisfazione che il loro campione si ergeva da dominatore in mezzo alle menti più eccelse della nazione; i suoi nemici non potevano biasimare la riforma non potendo accusare di ignoranza e di debolezza i suoi sostenitori.

Mentre Wycliff era ancora in collegio, si diede allo studio della Sacra Scrittura. In quei tempi in cui la Bibbia esisteva solo nelle lingue antiche, soltanto gli studiosi potevano accedere alla fonte della verità, che invece risultava preclusa alla gente priva di cultura. Si preparava, così la via alla futura opera di Wycliff come riformatore. Uomini di talento avevano studiato la Parola di Dio e vi avevano trovato la grande verità della sua grazia gratuita. Nel loro insegnamento avevano diffuso la conoscenza di questa verità e indotto altri a rivolgersi verso gli oracoli divini.
Quando la sua attenzione fu attratta verso la Sacra Scrittura, Wycliff si diede a esaminarla con lo stesso impegno che gli aveva permesso di acquisire una solida preparazione scolastica. Fino ad allora. Vide chiaramente rivelato il piano della salvezza, e capì che Cristo è l’unico avvocato del uomo. Si consacrò al servizio del Signore, deciso a proclamare le verità scoperte.

Come i riformatori che gli succedettero, Wycliff all’inizio della sua opera non si rese conto dove questa lo avrebbe condotto. Egli non si mise deliberatamente contro Roma; però era chiaro che la sua devozione per la verità lo avrebbe messo in conflitto con la falsità. Più chiaramente egli discerneva gli errori del papato, più ardentemente presentava l’insegnamento biblico. Egli vedeva che Roma aveva abbondato la Parola di Dio per attenersi alle tradizioni umane. Impavido, accusò il clero di aver messo da un lato le Sacre Scritture; chiese che la Bibbia fosse restituita al popolo e che la sua autorità venisse nuovamente stabilita nella chiesa. Egli era un maestro abile e sincero, oltre che un eloquente predicatore. La sua vita quotidiana era una dimostrazione della verità che egli andava predicando. La sua conoscenza delle Scritture, la potenza del suo ragionamento, la purezza della sua vita, il suo indomito coraggio e la sua integrità, gli conquistarono la stima e la fiducia generali. Molti erano insoddisfatti della fede fin lì professata, perché notavano nella chiesa romana il prevalere dell’iniquità; per conseguenza salutarono con indicibile gioia le verità messe in luce da Wycliff.

I papisti, per contro, divennero furibondi nel vedere come questo riformatore andasse acquistando un ascendente maggiore del loro.
Wycliff era un acuto rivelatore degli errori e, senza timore alcuno, si batté contro gli abusi che erano stati sanzionati dall’autorità romana. Quando era cappellano del re, si oppose al pagamento del tributo chiesto dal papa al monarca britannico, e dimostrò come le pretese di autorità papale sui governanti secolari fossero contrarie alla ragione e alla rivelazione. Le richieste avanzate dal papa avevano suscitato una viva indignazione, e quindi gli insegnamenti di Wycliff ebbero un’efficace portata sugli esponenti della nazione inglese. Re e nobili, compatti, negarono l’ingerenza pontificia nel campo delle cose temporali e rifiutarono di pagare il tributo. In tal modo la supremazia papale in Inghilterra subì un fiero colpo. Un altro male che il riformatore, dopo lunga meditazione, combatté decisamente, fu l’istituzione dell’ordine dei frati mendicanti.

Questi frati dilagavano in Inghilterra recando un serio danno alla grandezza e alla prosperità della nazione. Industria, cultura, morale, tutto, in una parola, risentiva del loro pernicioso influsso. La vita di ozio e di mendicità dei monaci non rappresentava solo un peso per le risorse economiche del popolo, ma contribuiva a mettere in discussione l’utilità del lavoro. I giovani finivano con l’essere demoralizzati e corrotti. A causa dell’esempio dei frati, molti sceglievano la vita monastica, e ciò non soltanto senza il consenso dei genitori, ma addirittura in opposizione ai loro ordini. Uno dei primi padri della chiesa di Roma, sottolineando la preminenza dei voti monastici sugli obblighi del dovere e dell’amore filiale, dichiarò: << Se tuo padre giacesse davanti alla tua porta, piangendo e gemendo; se tua madre ti mostrasse il corpo che ti portò e il seno che ti nutrì, passa sui loro corpi e vai avanti, a Cristo >>. Con questa << mostruosa mancanza di umanità >>, come più tardi fu definita da Lutero, che sapeva più del lupo e del tiranno che dell’uomo e del cristiano, i cuori dei figli si irrigidirono contro i genitori (Barnas Sears, The life of Luther, pp. 69, 70). In tal modo i capi romani, simili agli antichi farisei, con la loro tradizione annullavano il comandamento di Dio. I focolari rimanevano deserti, e i genitori venivano privati della compagnia dei figli e delle figlie.

Perfino gli studenti delle università si lasciavano sedurre dalle false affermazioni dei monaci e convincere a entrare nei loro ordini. Molti, in un secondo tempo, se ne pentivano, rendendosi conto di avere danneggiato la propria vita e di avere dato un dispiacere alla famiglia. Purtroppo, però, una volta che si erano messi nei lacci si accorgevano che era quasi impossibile riconquistare la libertà. Numerose famiglie, temendo l’influsso esercitato dai frati, si astenevano dal mandare i propri figli all’università. Questo determinò la diminuzione del numero dei goliardi nei grandi centri di istruzione, e le scuole cominciarono a languire, mentre l’ignoranza prendeva gradatamente il sopravvento.

Il papa aveva accordato a questi monaci la facoltà di ascoltare le confessioni e di impartire l’assoluzione. La cosa provocò con pochi mali perché i frati, desiderosi di accrescere i propri cespiti, erano propensi a concedere la remissione dei peccati perfino a criminali di ogni genere. Ne derivò, come logica conseguenza, il dilagare dei peggiori vizi. I malati e i poveri erano trascurati, mentre i doni che sarebbero potuti servire per alleviare tante necessità passavano ai monaci che, con minacce, esigevano l’elemosina del popolo e non esitavano ad accusare di empietà quanti osavano astenersi dal recare i loro oboli. Nonostante la loro professione di povertà, essi si arricchivano sempre più, e i loro magnifici edifici, le loro sontuose tavole imbandite mettevano in evidenza la crescente povertà della nazione. Mentre essi trascorrevano il tempo nel lusso e nel piacere, mandavano in giro - come loro rappresentanti – uomini privi di cultura i quali sapevano solo narrare favole fantasiose, leggende curiose e divertire la gente rendendola, così, più facilmente succube dei monaci. In questo modo i frati continuavano a esercitare la loro presa sulle moltitudini superstiziose, e le inducevano a credere che in fondo tutto il dovere religioso consisteva nel riconoscere la supremazia del pontefice, nell’adorare i santi, nell’offrire doni ai monaci, e che tutto ciò era sufficiente per assicurarsi un posto in paradiso.

Uomini dotti e pii si adoperano con tutte le forze per provocare una riforma in questi ordini monastici. Fu Wycliff a colpire il male alla sua radice. Lo fece, dimostrando che il sistema stesso era falso e che doveva essere abolito. Nacquero, allora, la discussione e l’indagine. La gente, vedendo i frati andare in giro a offrire in vendita il perdono del papa, cominciò a dubitare circa la possibilità di procurarsi il perdono a pagamento e a chiedersi se invece non fosse il caso di chiederlo a Dio anziché al pontefice romano. Il popolo era allarmato a motivo della rapacità dei frati, la cui ingordigia sembrava insaziabile. << Monaci e preti di Roma >>, diceva, << ci divoravano come un cancro. Se Dio non ce ne libera finiremo col morire tutti >> D’Aubigné, vol. 17, cap.7. Per mascherare la loro avarizia, questi monaci mendicanti pretendevano di calcare le orme del Salvatore e di imitarne l’esempio. Affermavano che Gesù e i suoi discepoli erano sostentati dalla carità del popolo. Questa pretesa però si ritorse a loro danno, perché indusse molta gente a cercare direttamente la verità nella Bibbia. La cosa, naturalmente, non piaceva a Roma. La mente degli uomini ricorreva alla Sorgente della verità, che Roma invece intendeva tener nascosta.

Wycliff cominciò a scrivere e a pubblicare dei trattati contro i frati, non tanto per polemizzare quanto per richiamare l’attenzione degli uomini sulla Bibbia e sul suo Autore. Dichiarò che il papa ha facoltà di perdono e di scomunica nella stessa misura in cui l’hanno i comuni sacerdoti, e che nessun uomo può essere scomunicato a meno che non abbia prima richiamato su di sé la condanna di Dio. Wycliff non poteva agire con maggiore efficacia per demolire la gigantesca struttura del potere temporale e spirituale eretta dal papa, che imprigionava le anime e i corpi di milioni di persone.

In seguito, Wycliff fu invitato a difendere i diritti della corona britannica contro le ingerenze romane. Nominato ambasciatore del re, trascorse due anni in Olanda, in conferenze con i legati pontifici. Questo gli consentì di venire in contatto con ecclesiastici di Francia, d’Italia e di Spagna, e di sapere molte cose che se fosse rimasto in Inghilterra non avrebbe mai conosciuto. Apprese, infatti, cose che gli furono della massima utilità nel corso dei suoi lavori successivi. Nei rappresentanti della curia romana, Wycliff lesse il vero carattere e gli scopi della gerarchia romana. Ritornato in Gran Bretagna, rinnovò ancora più apertamente e con nuovo zelo i suoi precedenti insegnamenti, affermando che la concupiscenza, l’orgoglio e l’inganno erano gli dèi di Roma.
In uno dei suoi trattati, parlando del papa e dei suoi collaboratori, scrisse: << Essi attingono dal nostro paese il fabbisogno dei poveri, e dal tesoro reale migliaia di monete d’oro. Tutto ciò col pretesto di sacramenti e di cose spirituali; il che altro non è se non deprecabile eresia simoniaca e tacita adesione – da parte del mondo cristiano – all’eresia stessa. Certo, anche se il nostro impero disponesse di un’immensa massa di oro e nessuno – a parte il collettore ecclesiastico – vi attingesse, col passare del tempo questo mucchio d’oro si esaurirebbe in quanto il collettore porta via dalla nostra terra tutto il denaro e in cambio vi lascia la maledizione divina a causa della sua simonia >> John Lewis, History of the Life and Sufferings of J. Wycliff, p.37, ediz. 1820. Poco dopo il suo ritorno in Inghilterra, per decreto reale, Wycliff fu nominato rettore di Lutterworth. Questo dimostrava che il sovrano non era stato affatto disturbato dal suo inequivocabile linguaggio. Pertanto, l’influsso di Wycliff si faceva sentire sia nel determinare l’azione della corte, che nell’orientare la fede della nazione.

I fulmini papali, però, non tardarono a scatenarsi. Tre bolle furono mandate in Inghilterra: una all’università, una al re e una ai prelati. Esse ingiungevano che misure immediate e decise fossero prese nei confronti di colui che insegnava l’eresia, per ridurlo al silenzio. August Neander, General History of the Cristian Religion and Church, per. 6, sez. 2, parte I, par. 8. Prima ancora che le bolle arrivassero, I vescovi nel loro zelo avevano invitato Wycliff andò, accompagnato da due dei più potenti principi del regno. La folla, a sua volta, circondò l’edificio del tribunale e vi penetrò all’interno, intimidendo i giudici a tal segno che questi, per tema di complicazioni, sospesero l’udienza e la rinviarono. Wycliff poté andarsene in pace. Poco dopo, Edoardo III°, ormai in età avanzata, continuamente assillato dalle sollecitazioni dei prelati che lo invitavano ad agire contro il riformatore, morì. In seguito a questo decesso, il protettore di Wycliff venne nominato reggente del regno. L’arrivo in Inghilterra delle bolle papali, esigeva dalla nazione l’arresto e la carcerazione dell’eretico.

Tali misure, ovviamente, erano il preludio del patibolo. Appariva evidente che Wycliff sarebbe presto finito preda della vendetta. Però Colui che aveva detto: “Non temere,…io sono il tuo scudo” Genesi 15:1, stese di nuovo il suo braccio potente a protezione del suo servitore. La morte, infatti, non si abbatté sul riformatore, ma sul pontefice Gregorio XI°. Gli ecclesiastici, che si erano riuniti per giudicare Wycliff, si dispersero. La provvidenza divina diresse il corso degli eventi in modo da dare alla Riforma l’opportunità di svilupparsi. La morte di Gregorio fu seguita dalla nomina di due papi rivali; due poteri contrastanti, ognuno dei quali si dichiarava infallibile, esigevano l’ubbidienza. Ognuno di essi invitava i fedeli ad assisterlo, combattendo contro l’altro; e aggiungeva all’invito terribili anatemi contro gli avversari e promesse di celeste rimunerazione a quanti, invece, si sarebbero schierati dalla sua parte. Tale situazione indebolì sensibilmente il potere papale. Le due fazioni rivali si adoperarono al massimo l’una contro l’altra, e così Wycliff fu lasciato tranquillo.

Anatemi e recriminazioni passavano da un papa all’altro, mentre fiumi di sangue scorrevano per il sostegno delle opposte pretese. Delitti e scandali erano all’ordine del giorno, e così il riformatore, nel quieto riparo della sua parrocchia di Lutterworth poté lavorare diligentemente additando agli uomini Gesù, il principe della pace. Lo scisma, con la lotta e la corruzione che provocò, preparò la via della Riforma in quanto permise alla gente di rendersi conto di quello che il papato fosse realmente. In un opuscolo da lui pubblicato: On the schism of the Popes (“Sullo scisma dei papi”) Wycliff invitava i suoi lettori a considerare se i due papi non dicessero il vero quando si accusavano reciprocamente di essere l’anticristo. “Dio”, scriveva, “non poteva permettere che il nemico regnasse tramite uno di questi sacerdoti… e ha permesso questa divisione affinché gli uomini, nel nome di Cristo, possano più facilmente vincerli entrambi” R. Vaughan, Life and Opinions of John de Wycliff, vol. 2, p. 6, ed. 1831. Wycliff, come il suo Maestro, predicava l’Evangelo ai poveri. Non contento di diffondere la luce della verità nelle umili case della sua parrocchia di Lutterworth, volle che essa raggiungesse ogni parte dell’Inghilterra. Per attuare questo programma, Wycliff organizzò un gruppo di predicatori, uomini semplici e devoti, che amavano la verità e che altro non chiedevano se non di diffonderla.

Questi uomini andavano dappertutto, insegnando sulle piazze dei mercati, nelle vie delle grandi città, lungo i sentieri di campagna. Visitavano i vecchi, gli ammalati, i poveri, e annunciavano loro la lieta novella della grazia di Dio. Nella sua qualità di professore di teologia a Oxford, Wycliff predicava la Parola di Dio nelle aule universitarie. Esponeva la verità ai suoi studenti con tanta fedeltà da meritare l’attributo di “dottore evangelico”. Nondimeno, l’opera somma della sua vita fu la traduzione della Sacra Scrittura in lingua inglese. In un’opera intitolata: On the Truth and Meaning of Scripture (“Della verità e del significato delle Sacre Scritture”), egli manifestò la sua intenzione di tradurre la Bibbia affinché chiunque, in Inghilterra, potesse leggere nella propria lingua le meravigliose opere di Dio. Improvvisamente, però, la sua attività venne interrotta. Sebbene avesse ancora sessanta anni, l’incessante lavoro, lo studio, gli attacchi da parte degli avversari, avevano influito non poco sul suo organismo, tanto che invecchiò prima del tempo e si ammalò gravemente.

La notizia rallegrò i frati i quali pensarono che Wycliff si sarebbe amaramente pentito del male fatto alla chiesa romana. Si precipitarono a casa sua per raccogliere la sua confessione. Rappresentanti dei quattro ordini religiosi, accompagnati da quattro ufficiali civili, si raccolsero intorno al capezzale dell’uomo ritenuto moribondo. “Hai la morte sulle labbra”, gli dissero. “Pentiti dei tuoi errori e ritratta, in nostra presenza, tutto quello che hai detto contro di noi”. Il riformatore ascoltò in silenzio, quindi chiese a chi lo assisteva di aiutarlo a mettersi a sedere sul letto; infine, fissando quanti lo circondavano, in attesa di una sua abiura, disse con la sua voce ferma e forte che tanto spesso li aveva fatti tremare: “Io non morrò: vivrò e dichiarerò ancora le male opere dei frati!” D’Aubigné, vol. 17, cap. 7. Stupiti e confusi, i monaci si affrettarono ad abbandonare la stanza.

Le parole di Wycliff si avverarono. Egli sopravvisse e poté mettere nelle mani dei suoi connazionali il più potente strumento contro Roma: la Bibbia, l’agente celeste che libera, illumina ed evangelizza la gente. Nel compimento di questa opera dovettero essere superati non pochi e grandi ostacoli ma egli, incoraggiato dalle promesse della Parola di Dio, proseguì impavido nonostante fosse afflitto dalla malattia, sapesse che gli rimanevano solo pochi anni di vita e si rendesse conto della forte opposizione da affrontare. Tuttora dotato del pieno vigore delle sue facoltà intellettuali, ricco di esperienza, Wycliff era stato protetto e preparato dalla provvidenza di Dio per quello che sarebbe stato il suo lavoro supremo. Mentre il mondo cristiano era in pieno tumulto, il riformatore, nella quiete della sua parrocchia di Lutterworth, incurante della tempesta che imperversava intorno, si applicò al compito da lui prescelto. Ultimata l’opera, si ebbe la prima traduzione della Bibbia in lingua inglese. In tal modo la Parola di Dio fu dischiusa all’Inghilterra.

Ora Wycliff non temeva più né il carcere né il patibolo, perché aveva messo nelle mani del popolo britannico una luce che non si sarebbe più spenta. Nel dare la Bibbia ai propri connazionali, egli aveva fatto più che infrangere i ceppi dell’ignoranza e del vizio, più che liberare e innalzare il paese. La sua opera doveva risultare più importante delle brillanti vittorie riportate sui campi di battaglia. L’arte della stampa era ancora ignota e le copie della Bibbia potevano essere prodotte solo mediante un lavoro lento e faticoso.
L’interesse per quel libro, però, era così grande che molti si misero volenterosamente all’opera per copiarlo. Con tutto ciò, era solo a prezzo di grandi difficoltà che i copisti riuscivano a soddisfare le varie richieste. Alcuni degli acquirenti più faticosi desideravano l’intera Bibbia; altri, invece, ne comperavano solo delle porzioni. Non era infrequente il caso che varie famiglie si unissero per procurarsene una copia. Fu così che la Bibbia di Wycliff riuscì a trovare la via dei focolari.

L’appello alla ragione umana risvegliò le coscienze, strappandole alla loro passiva sottomissione ai dogmi papali. Wycliff insegnava le tipiche dottrine del Protestantesimo: la salvezza per grazia mediante la fede in Cristo e l’infallibilità della sola Scrittura. I predicatori da lui mandati facevano circolare la Bibbia, insieme con gli scritti del riformatore. Tutto ciò ebbe un successo tale che la nuova fede fu accettata da circa la metà del popolo inglese.
L’apparizione della Sacra Scrittura mise in orgasmo le autorità ecclesiastiche. Esse, ora, dovevano affrontare un agente ben più temibile di Wycliff: un agente contro il quale le loro armi si sarebbero spuntate. A quella epoca, in Inghilterra, non c’era nessuna legge che proibisse la Bibbia, poiché prima di allora la Sacra Scrittura non era mai stata pubblicata nella lingua del popolo. Tali leggi furono proclamate in un secondo tempo e imposte con rigore. Al tempo di Wycliff, perciò, nonostante tutto quello che fece il clero, la Bibbia aveva libera circolazione.
I capi della gerarchia ecclesiastica cospirarono nuovamente per far tacere la voce del riformatore, e lo convocarono successivamente dinanzi a tre tribunali. Dapprima fu un sinodo di vescovi che dichiarò eretici i suoi scritti e che, accaparrandosi il favore del giovane monarca Riccardo II, ottenne da questi un decreto che condannava al carcere chiunque avesse seguito le dottrine riprovate. Wycliff si appellò al Parlamento e qui egli attaccò la gerarchia romana, invitandola a presentarsi davanti al consiglio della nazione e chiedendo una riforma degli enormi abusi sanzionati dalla chiesa. La sua eloquenza nel dipingere le usurpazioni e la corruzione della sede papale confuse i suoi nemici.

Gli amici e i sostenitori di Wycliff, i quali erano stati costretti a cedere dinanzi all’autorità, ecclesiastica, pensavano che il riformatore, ormai vecchio, solo e senza amici, si sarebbe piegato dinanzi all’autorità congiunta della corona e della mitria. Essi furono testimoni della completa sconfitta dei suoi avversari. Il Parlamento, scosso dagli appelli di Wycliff, respinse il decreto di persecuzione, e il riformatore fu nuovamente libero. Una terza volta egli fu citato dinanzi al supremo tribunale ecclesiastico del regno. Qui l’eresia non avrebbe trionfato e l’opera del riformatore sarebbe stata arrestata. Questa era almeno l’idea del clero. Se tale progetto si fosse attuato, Wycliff sarebbe stato costretto all’abiura, oppure avrebbe lasciato quella corte giudiziaria per salire sul patibolo.
Wycliff, però, non si ritrattò. Ripeté con fermezza i suoi insegnamenti e respinse le accuse dei suoi persecutori. Dimenticando la propria persona e la propria posizione, chiamò i suoi uditori in giudizio dinanzi al tribunale divino, e pesò i loro sofismi e i loro inganni sulla bilancia della verità eterna. In quella aula di giustizia si sentì la potenza dello Spirito Santo. I presenti, quasi paralizzati dalla potenza di Dio, sembravano inchiodato ai loro posti. Simili a dardi scoccati dall’Onnipotente, le parole del riformatore colpirono i loro cuori. L’accusa di eresia, formulata contro di lui, si ritorse contro gli stessi accusatori. Perché – egli chiedeva – osavano diffondere i loro errori? Per amore del guadagno, per fare commercio della grazia di Dio?
<< Contro chi pensate di lottare? >>, concluse. << Contro un vecchio ormai sull’orlo della fossa? No! Voi lottate contro la verità! Verità che è più forte di voi e che trionferà su voi >> Wylie, vol. 2, cap. 13.

Così dicendo, lasciò l’assemblea senza che nessuno dei suoi avversari cercasse di impedirglielo. L’opera di Wycliff era ormai quasi compiuta, ed egli stava per deporre il vessillo della verità così a lungo portato; nondimeno egli doveva ancora una volta rendere testimonianza all’Evangelo. La verità doveva essere proclamata dalla stessa roccaforte del regno dell’errore. Wycliff fu invitato a presentarsi davanti al tribunale di Roma, che tanto spesso aveva sparso il sangue dei santi. Egli non si faceva illusioni circa i pericoli che lo minacciavano, ma era deciso a rispondere all’invito. Ne fu però impedito da un attacco di paralisi che rese impossibile il viaggio.
Però, se non poteva far udire la sua voce a Roma, poteva esprimersi per lettera; e cosi fece. Dal suo rettorato di Lutterwuorth inviò al papa una lettera, rispettosa e cristiana quanto al suo spirito, ma nella quale egli condannava la pompa e l’orgoglio della curia romana.

<< In verità io mi rallegro >>, diceva, << di poter esporre e dichiarare a ogni uomo la fede che professo, e specialmente di farlo al vescovo di Roma. Poiché io la ritengo sana e giusta, stimo che egli sarà lieto di sanzionarla o, qualora essa risultasse errata, di correggerla.

<< Io credo che l’Evangelo di Cristo è l’intero corpo della rivelazione di Dio… Credo che il vescovo di Roma, in quanto il vicario di Cristo sulla terra, sia costretto più di qualunque altro uomo a sottomettersi alla legge del Vangelo, tanto più che fra i discepoli di Gesù la grandezza non consiste nella dignità e negli onori del mondo, bensì nella fedele imitazione della vita e dei modi di Cristo… Egli, durante il suo pellegrinaggio terreno, fu il più povero fra gli uomini, e respinse ogni onore e ogni dominio mondani…

<< Nessun uomo fedele dovrebbe seguire il papa o uno dei santi uomini, se non in quanto essi, a loro volta, calcano le orme del Signore Gesù Cristo. Pietro e i figli di Zebedeo, desiderosi degli onori di questa terra, si dimostrano in ciò ben lungi dallo spirito del Maestro, e per conseguenza non possono né debbono essere imitati in questi errori…

<< Il papa dovrebbe lasciare alle potenze secolari ogni autorità di carattere temporale, e in tal senso esortare e dirigere il clero. Così fece Gesù e così fecero i suoi apostoli. Nondimeno, se io ho sbagliato in uno di questi punti, molto umilmente mi sottometterò alla correzione, e se occorre anche alla morte. Se potessi agire secondo la mia volontà e seguire il mio desiderio, vorrei presentarmi personalmente davanti al vescovo di Roma; ma purtroppo il Signore ha disposto altrimenti e mi ha insegnato che conviene ubbidire a lui anziché agli uomini >>. Concludendo, disse: << Preghiamo Iddio che agisca col nostro pontefice Urbano VI, come ha già cominciato a fare, affinché egli col suo clero possa seguire il Signore Gesù Cristo, sia nella vita che nell’insegnamento, per modo che il popolo venga santamente ammaestrato e che tutti possano camminare fedelmente sulle orme del divino Maestro >> John Foxe, Acts and Monuments, vol. 3, pp. 49, 50.

In tal modo Wycliff presentò al papa e ai suoi cardinali la mansuetudine e l’umiltà di Cristo, mostrando non solo a loro, ma a tutto il mondo cristiano, il contrasto esistente fra essi e il Maestro, del quale si dicevano i rappresentanti.
Wycliff era convinto che la sua vita sarebbe stata il premio della sua fedeltà. Il re, il papa e i vescovi, invece, erano unanimi nell’idea di condannarlo: secondo le previsioni, solo pochi mesi lo separavano dal rogo. Ma il suo coraggio era incrollabile. << Perché parlate di cercare lontano la corona del martirio? >>, diceva. << Predicate l’Evangelo di Cristo agli alti prelati e il martirio non vi mancherà. Che cosa? Dovrei vivere e tacere?... Mai! Che la spada colpisca: io aspetto! >> D’Aubigné, vol 17, cap. 8.

La provvidenza divina, però, proteggeva ancora il riformatore. L’uomo che per tutta la vita era stato uno strenuo difensore della verità; che era stato esposto quotidianamente al pericolo di morte, non doveva rimanere vittima dell’odio dei suoi nemici. Wycliff non aveva mai cercato di proteggersi; ma il Signore era sempre stato il suo scudo. Ma mentre i suoi avversari si ritenevano certi di potersi impadronire di lui, la mano di Dio lo sottrasse alle loro insidie. Nella sua chiesa di Lutterworth, mentre stava per celebrare la comunione, Wycliff cadde, colpito da un attacco di paralisi, e di lì a poco morì.

Dio aveva assegnato a Wycliff un incarico particolare: aveva messo la Parola della verità sulla sua bocca e innalzato una barriera di protezione intorno a lui, affinché la parola ispirata giungesse al popolo. La vita del riformatore fu salvaguardata e la sua attività prolungata per dargli modo di gettare i fondamenti della grande opera della Riforma. Wycliff usciva dalle tenebre del Medioevo. Non vi era stato, prima di lui, nessuno per indicargli i sistemi della Riforma. Suscitato come Giovanni Battista, per una speciale missione, egli fu l’araldo di una nuova èra. Nei sistemi di verità da lui proclamata, si notavano una unità e una compiutezza che non furono superate neppure cento anni più tardi. Il fondamento gettato era così vasto e profondo, la struttura talmente salda e verace, che i successori non ebbero bisogno di ricominciare.

Il grande movimento inaugurato da Wycliff e che consisteva nel liberare la coscienza e l’intelletto, come anche nello sciogliere le nazioni così a lungo legate al carro trionfale di Roma, ebbe origine dalla Bibbia. Essa fu la sorgente di quel fiume di benedizioni che, simile ad acqua della vita, fluì attraverso i tempi a partire dal quattordicesimo secolo. Wycliff accettò le Sacre Scritture con fede e di condotta. Egli era stato abituato a considerare la chiesa di Roma come autorità divina e infallibile, e ad accettarne con assoluto rispetto gli insegnamenti e le usanze stabiliti da migliaia di anni. Eppure ebbe la forza di distaccarsene per ascoltare e seguire la santa Parola di Dio, che costituiva l’autorità che egli raccomandò di riconoscere. Egli dichiarò che l’unica e vera autorità non è quella della chiesa che parla mediante il papa, ma la voce di Dio che si fa sentire per mezzo della sua Parola. Egli insegnava non solo che la Bibbia è una perfetta rivelazione della volontà dell’Eterno, ma che lo Spirito Santo ne è l’unico interprete. Inoltre affermava che ogni uomo deve conoscere quale sia il proprio dovere, con un attento e personale studio della Sacra Scrittura. Così distolse le menti degli uomini dal papa e dalla chiesa di Roma per rivolgerle alla Parola di Dio.

Wycliff fu uno dei più grandi riformatori. Per vastità di intelletto, per chiarezza di pensiero, per fermezza nel sostenere la verità, per franchezza nel difenderla, ben pochi furono pari a lui. Purezza di vita, inalterata applicazione allo studio e al lavoro, incorribile integrità, bontà cristiana, fedeltà nel ministero: queste furono le caratteristiche del primo riformatore. Tutto ciò, nonostante le tenebre intellettuali e la corruzione morale del suo tempo. Il carattere di Wycliff è una testimonianza resa alla potenza educatrice e trasformatrice delle Sacre Scritture. Fu la Bibbia a fare di lui quello che egli fu. Lo sforzo compiuto per comprendere le grandi verità della rivelazione infonde una vigorosa freschezza alle facoltà umane; contribuisce ad allargare la mente, ad affinare le percezioni psichiche e far maturare il discernimento. Lo studio della Bibbia nobilita il pensiero, i sentimenti e le aspirazioni come nessun altro campo di studi può fare. Esso infonde saldezza di propositi, pazienza e coraggio; affina il carattere e santifica l’anima. Un sincero, riverente studio delle Scritture, mettendo la mente dello studioso in contatto con la mente infinita, darebbe al mondo uomini dotati di un intelletto più vivo e acuto, e di principi più nobili, più di quanto non possa derivare dalla migliore educazione impartita dalla filosofia umana. << La dichiarazione delle tue parola illumina; dà intelletto ai semplici >> Salmo 119:130.

Le dottrine insegnate da Wycliff continuarono a propagarsi per un certo tempo. I suoi seguaci, conosciuti come wicliffiani e lollardi, non solo attraversarono l’Inghilterra, ma raggiunsero anche altre terre, diffondendo ovunque la conoscenza del Vangelo. Ora che il loro capo era scomparso, i predicatori si adoperavano con più zelo di prima, e vaste moltitudini si radunavano per ascoltare il loro insegnamento. Fra i convertiti si notavano persone della nobiltà e perfino la moglie del re. In molti luoghi ci fu una profonda riforma nei costumi del popolo, e vennero rimossi dalle chiese i simboli idolatrici del Romanesimo. Ben presto, però, la spietata tempesta della persecuzione si abbatté su chi aveva ardito accettare la Bibbia come guida. I monarchi britannici, bramosi di rafforzare il loro potere assicurandosi l’appoggio di Roma, non esitarono a sacrificare i riformatori.

Per la prima volta nella storia dell’Inghilterra venne decretato il rogo contro i discepoli del Vangelo. Martirio si succedette a martirio. I difensori della verità, proscritti e torturati, potevano solo innalzare il loro grido verso il Signore degli eserciti. Braccati come nemici della chiesa e traditori del regno, continuarono a predicare nei luoghi segreti, trovando asilo nelle umili dimore dei poveri, e spesso nascondendosi nelle caverne e nelle spelonche. Nonostante l’infuriare della persecuzione, continuò a farsi sentire nei secoli una protesta calma, pia, sincera e paziente contro la dilagante corruzione della fede religiosa. I cristiani di quel tempo lontano avevano solo una conoscenza parziale della verità, però avevano imparato ad amare Iddio e a ubbidire alla sua Parola. Per amore di essa soffrivano pazientemente. Come i discepoli dei tempi apostolici, molti di loro sacrificarono i propri beni terreni per la causa di Cristo. Quanti ancora potevano vivere nelle loro case, erano lieti di ospitare i fratelli perseguitati.

Quando, poi, venivano costretti a loro volta a fuggire, accettavano volentieri il retaggio dei fuorilegge. Purtroppo, migliaia di essi, terrorizzati dall’imperversare delle persecuzioni, comperavano la propria libertà rinunciando alla loro fede, e lasciavano il carcere indossando l’abito del penitente, perché così fosse resa pubblica la loro abiura. Ma molti furono coloro che seppero testimoniare impavidi della verità, in oscure celle, nelle << Torri dei lollardi >>, in mezzo alle torture e alle fiamme, lieti di essere stimati degni di partecipare alle sofferenze di Cristo. Fra loro c’erano uomini di nobili natali, come anche di umili origini. I papisti non erano riusciti ad attuare la propria volontà durante la vita di Wycliff, e il loro odio non poteva essere placato il corpo del riformatore giaceva quieto nella tomba. Perciò, con decreto del concilio di Costanza, oltre quarant’anni dopo la sua morte, le ossa di Wycliff furono esumate e date pubblicamente alle fiamme. Le ceneri vennero gettate nel vicino ruscello. “Quel ruscello”, dice un antico scrittore, “trasportò le ceneri nell’Avon; l’Avon, a sua volta, le depose nel Severn; il Severn le portò al mare, e il male le consegnò all’oceano sconfinato. Così le ceneri di Wycliff sono l’emblema della sua dottrina ora sparsa in tutto il mondo” T. Fuller, Church History of Britain, vol. 4, sez. 2, par. 54.

I suoi nemici non si resero conto del significato del loro malvagio gesto. Grazie agli scritti di Wycliff, Giovanni Huss di Boemia fu condotto a rinunciare ai molti errori del Romanesimo e a schierarsi dalla parte della Riforma. Così in questi due paesi, tanto distanti fra loro fu sparso il seme della verità. Dalla Boemia l’opera si estese ad altri paesi. Le menti umane venivano dirette verso la Parola di Dio, tanto a lungo negletta. Una mano divina stava preparando la via alla grande Riforma.

DUE EROI DI FRONTE ALLA MORTE.
Il seme del Vangelo era stato gettato in Boemia nel nono secolo. La Bibbia era stata tradotta e il culto veniva celebrato nella lingua del popolo. Però, via via che l’autorità papale cresceva, la Parola di Dio era offuscata. Gregorio VII°, che si era proposto di umiliare l’orgoglio dei re e di rendere schiavo il popolo, promulgò una bolla che vietava il culto pubblico in lingua boema. Affermava che “era piaciuto all’Onnipotente decretare che il culto gli fosse reso in lingua sconosciuta, perché non pochi mali e non poche eresie erano derivati dall’avere negletto tale regola” Wylie, vol. 3, cap. 1. Roma, così, decretò che la luce della Parola di Dio fosse spenta e che il popolo rimanesse immerso nelle tenebre. Il cielo, comunque, aveva provveduto alla salvaguardia della chiesa. Molti valdesi e albigesi, strappati dalla persecuzione dalle loro case della Francia e dell’Italia, ripararono in Boemia. Sebbene non ardissero insegnare apertamente, operavano in segreto, con molto zelo. Fu così che la vera fede venne tramandata di secolo in secolo.

Prima di Huss, vi erano stati in Boemia uomini che avevano apertamente condannato la corruzione della chiesa e del popolo. La loro attività aveva suscitato un vasto e profondo interesse. Il clero, allarmato scatenò una persecuzione contro quanti si professavano discepoli del Vangelo. Costretti a riunirsi nelle foreste e sui monti, braccati dai soldati, molti furono messi a morte. Fu poi, decretato che chiunque si fosse distaccato dal culto romano fosse condannato al rogo. I cristiani, morendo, guardavano fiduciosi al trionfo ultimo della loro causa. Uno di coloro che insegnavano la salvezza solo mediante la fede nel Salvatore crocifisso, ebbe a dire in punto di morte: “L’ira dei nemici della verità ora ha il sopravvento; ma non sarà sempre così. Sorgerà fra il popolo uno, senza spada e senza autorità, contro il quale tutte le armi si spunteranno” Ibidem. Ormai non era lontano il tempo di Lutero. Stava per apparire qualcuno la cui testimonianza contro Roma avrebbe scosso le nazioni.

Giovani Huss era di umili natali, e rimase orfano di padre molto presto. Sua madre, donna pia che considerava l’educazione e il timore di Dio più importanti dei beni terreni, si sforzò di inculcare tali principi nel figlio. Huss studiò prima nella scuola provinciale, quindi fu ammesso per pura carità all’università di Praga. La madre lo accompagnò fino alla sua nuova residenza. Giunta vicino alla grande città, non potendo dare altra eredità al figlio, si inginocchiò davanti a lui e invocò sull’orfanello la benedizione del Padre celeste. Ella era ben lungi dall’immaginare in che modo la sua preghiera sarebbe stata esaudita. All’università, Huss si distinse per la sua instancabile applicazione e per i suoi rapidi progressi; e tutto questo, accoppiato alla sua vita integra e alla sua gentilezza, gli valse la stima generale. Egli era un fedele discepolo della chiesa romana e un sincero ricercatore delle benedizioni spirituali che essa elargiva. Durante un giubileo, Huss andò a confessarsi, e dopo aver regalato gli ultimi spiccioli delle sue magre risorse, si unì alla processione per ottenere l’assoluzione promessa. Ultimati gli studi, entrò nel sacerdozio e non tardò ad affermarsi, tanto che fu ammesso alla corte del re. Diventato professore, fu successivamente nominato rettore di quella stessa università in cui si era laureato. Il povero studente di un tempo finì col diventare il vanto della nazione, mentre il suo nome correva per tutta l’Europa.

Huss cominciò l’opera della Riforma in un altro campo. Alcuni anni dopo aver ricevuto gli ordini religiosi, fu designato predicatore della cappella di Betlemme. Il suo fondatore sosteneva – considerandola della massima importanza – la necessità di predicare la Sacra Scrittura nella lingua del popolo. Nonostante l’opposizione di Roma, tale consuetudine non era stata del tutto abbandonata in Boemia. Va detto però che, purtroppo, vi era una grande ignoranza della Bibbia, e che fra la gente di ogni ceto imperavano i peggiori vizi. Huss denunciò senza esitazione questi mali e fece appello alla Parola di Dio per inculcare i principi della verità e della purezza da lui propugnati.

Un cittadino di Praga, Gerolamo, che più tardi diventò intimo collaboratore di Huss, reduce dall’Inghilterra, convertitasi agli insegnamenti del riformatore britannico, era una principessa boema. Fu anche grazie al suo appoggio che le opere di Wycliff trovarono vasta diffusione nella sua terra natia. Huss esaminò quelle opere con vivo interesse, e si convinse che il suo autore era un cristiano sincero. Finì col considerare favorevolmente la riforma che Wycliff sosteneva. Senza rendersene conto, Huss già stava calcando un sentiero che lo avrebbe condotto molto lontano da Roma.

Intorno a quella epoca giunsero a Praga, provenienti dall’Inghilterra, due stranieri. Uomini colti, avevano ricevuto la luce della verità ed erano venuti a diffonderla in quella terra lontana. Cominciarono con un aperto attacco alla supremazia papale, ma le autorità li costrinsero a tacere. Siccome, però, non erano disposti a recedere dal loro proposito, ricorsero a un altro espediente. Oltre che predicatori erano pittori, perciò sfruttarono questa loro capacità artistica. In un luogo aperto al pubblico, dipinsero due quadri. Uno rappresentava l’entrata di Gesù in Gerusalemme: << mansueto, e montato sopra un asino >> Matteo 21: 5 (D), seguito dai discepoli scalzi, in abiti dimessi. L’altro, invece, raffigurava una processione pontificia: il papa indossava ricche vesti, cingeva il triregno e cavalcava un cavallo magnificamente bardato. Lo precedevano dei trombettieri ed era seguito da alti prelati in abiti sontuosi.

Era, quello, un sermone che attirava l’attenzione di tutti. La folla si accalcava per contemplare quei quadri, e nessuno poteva fare a meno di capire l’insegnamento che ne scaturiva. Non pochi rimasero colpiti dal contrasto fra la mansuetudine e l’umiltà di Cristo, il maestro, e l’orgoglio, l’arroganza del papa che si diceva suo servo. Ci fu a Praga una profonda emozione, e i due stranieri, dopo poco tempo, ritennero opportuno andarsene per salvaguardare la loro vita. Nondimeno, la lezione che avevano impartita non fu dimenticata. I quadri provocarono una profonda impressione nella mente di Huss e lo spinsero a uno studio più approfondito della Bibbia e degli scritti di Wycliff. Sebbene egli non fosse ancora preparato ad accettare tutte le riforme sostenute da Wycliff, si rendeva sempre più chiaramente conto del carattere del papato e, con grande zelo, cominciò a denunciare l’orgoglio, l’ambizione e la corruzione della gerarchia romana.

Dalla Boemia la luce si estese alla Germania in seguito a contrasti sorti nell’università di Praga, che indussero alcune centinaia di studenti tedeschi ad andarsene. Molti di loro avevano ricevuto da Huss la conoscenza della Bibbia e così, rientrati in patria, vi diffusero l’Evangelo. Roma venne a conoscenza di quello che stava accadendo, e Huss fu invitato a presentarsi al papa. Ubbidire significa esporsi a sicura morte. Il re e la regina di Boemia, l’università, i membri della nobiltà, le personalità del governo si unirono per mandare al pontefice una petizione con la quale chiedevano che Huss fosse autorizzato a rimanere a Praga e a farsi rappresentare a Roma da un delegato. Il papa, lungi dall’aderire alla richiesta, procedette al giudizio e alla condanna di Huss, quindi lanciò l’interdetto sulla città di Praga.

In quei tempi, simile sentenza creava ovunque un vivo allarme. Le cerimonie che l’accompagnavano erano di natura tale da terrorizzare la gente, che considerava il pontefice come il rappresentante di Dio, possessore delle chiavi del cielo e dell’inferno, dotato della facoltà di invocare castighi temporali e spirituali. Si pensava che le porte del cielo sarebbe rimaste chiuse per le zone colpite dall’interdetto e che, finché non fosse piaciuto al papa revocarlo, i morti sarebbero stati esclusi dalla dimora dei beati. Per dimostrare quanto grave fosse siffatta calamità, tutte le funzioni religiose erano sospese, le chiese chiuse, i matrimoni celebrati nel cortile antistante la chiesa, i morti – essendo vietato seppellirli in terra consacrata – venivano sepolti, senza alcun rito funebre, nei campi e nei fossati.

Così, ricorrendo a misure che colpivano l’immaginazione popolare, Roma si sforzava di esercitare il proprio dominio sulle coscienze degli uomini.
Praga era sconvolta. Una parte della popolazione accusava Huss di essere la causa di tutte quelle disgrazie, e chiedeva che fosse consegnato a Roma. Per placare la tempesta, il riformatore si ritirò per un po’ di tempo nel suo villaggio natio. Scrivendo agli amici rimasti nella capitale, diceva:
<< Se mi sono ritirato da voi, è stato per attenermi al precetto e all’esempio di Gesù Cristo per non dare motivo ai malvagi di attirare su di sé l’eterna condanna e per non essere, nei confronti delle persone pie, fonte di afflizione e di persecuzione. Mi sono ritirato anche per tema che dei sacerdoti empi continuassero a lungo a impedire in mezzo a voi la predicazione della Parola di Dio. Non vi ho lasciati per rinnegare la divina verità, per la quale io sono pronto, con l’aiuto di Dio, a dare la vita” Bonnechose, The Reformers Before the Reformation, vol. 1, p. 87. Huss non interruppe la sua attività, anzi percorse il paese circostante, continuando a predicare a masse assettate di conoscenza.

Accade così che le misure cui era ricorso il papa per sopprimere l’Evangelo, finirono con contribuire a una più vasta diffusione di esso. “Perché noi non possiamo nulla contro la verità; quel che possiamo è per la verità” 2° Corinzi 13:8. “La mente di Huss, in quel periodo della sua vita, era in preda a un doloroso conflitto. Quantunque la chiesa cercasse di sopraffarlo con i suoi fulmini, egli non ne aveva rigettata l’autorità. Per lui, la chiesa di Roma continuava a essere la chiesa di Cristo e il papa il rappresentante e il vicario di Dio. Huss lottava contro l’abuso di autorità e non contro il principio stesso. Fu questo a determinare una tremenda lotta fra le convinzioni del suo intelletto e i richiami della sua coscienza. Se l’autorità era giusta e infallibile, come egli riteneva, come mai si sentiva spinto a disubbidirle? D’altro canto, si rendeva conto che ubbidire significava peccare. Perché, si chiedeva, l’ubbidienza a una chiesa infallibile doveva condurre a tale conclusione? Era questo il dilemma che Huss non riusciva a sciogliere; era questo il dubbio che lo torturava continuamente.

La soluzione più approssimativa cui egli poteva giungere era – come del resto era già accaduto ai tempi del Salvatore – che i sacerdoti della chiesa erano diventati empi e si servivano della propria autorità legale per fini illegali. Ciò lo indusse ad adottare come guida, e a predicarla agli altri, la massima secondo la quale i precetti della Scrittura, convogliati attraverso l’intelletto sono regola di coscienza. In altri termini, Dio che parla nella Bibbia, e non la chiesa che parla per mezzo del sacerdote, è l’unica guida infallibile” Wylie, vol. 3, cap. 2. Quando, dopo un po’ di tempo, a Praga la calma si fu ristabilita, Huss ritornò alla sua cappella di Betlemme per riprendere con maggior zelo e coraggio la predicazione della Parola di Dio.

I suoi nemici erano potenti e attivi, ma la regina e molti nobili erano suoi amici, e buona parte della popolazione era con lui. Confrontando i suoi insegnamenti puri ed elevati e la sua vita santa coi dogmi degradanti predicati dai discepoli di Roma, come anche con la loro avarizia e depravazione, molta gente finì con lo stimare un vero onore schierarsi dalla sua parte. Fino ad allora Huss era stato solo nei suoi lavori, ma ora Gerolamo – che mentre era in Inghilterra aveva accettato gli insegnamenti di Wycliff – si unì a lui nell’opera della Riforma. I due, uniti nella vita, non furono separati nella morte. Genio brillante, eloquenza, cultura – doti queste che attiravano il favore popolare – erano le qualità che Gerolamo possedeva in misura eminente; mentre per quel che riguardava la forza del carattere, Huss gli era superiore. Il suo sobrio discernimento era di freno allo spirito impulsivo di Gerolamo che però, con sincera umiltà, si rendeva conto del valore di Huss e ben volentieri si sottometteva ai suoi consigli. Per l’attività congiunta di questi due uomini, la Riforma si estese rapidamente.

Dio fece brillare una grande luce nella mente di questi uomini eletti, rivelando loro non pochi errori di Roma. Essi, però, non ricevettero tutta la luce che doveva essere data al mondo. Dio si serviva di loro per strappare le anime alle tenebre di Roma. Molti erano gli ostacoli che essi dovevano affrontare; e il Signore li guidò passo passo, nella misura in cui procedevano, poiché non potevano ricevere, così all’improvviso, tutta la luce. Pari allo splendore del sole in pieno mezzodì per chi è rimasto a lungo immerso nel buio, se essa fosse stata loro presentata in tutta la sua pienezza, li avrebbe fatti indietreggiare. Per questo Dio la rivelò a poco a poco, per modo che essa potesse essere assimilata dalle anime. Di secolo in secolo, poi altri fedeli operai si sarebbero susseguiti per guidare gli uomini sempre più avanti lungo il cammino della Riforma. Perdurava intanto lo scisma nella chiesa: tre papi si contendevano il primato, e la lotta provocava tumulto e sangue. Non contenti di scagliarsi reciprocamente degli anatemi, ricorsero alle armi.

Ognuno di essi riteneva fosse proprio dovere procurarsi armamenti e soldati. Naturalmente, tutto ciò comportava spese non indifferenti, per cui nell’intento di raccogliere il denaro occorrente, furono posti in vendita incarichi, benefici e benedizioni da parte delle chiese. Anche i sacerdoti – imitando i superiori – si diedero alla simonia per umiliare i rivali e per rafforzare il proprio potere. Con un ardire che andava aumentando di giorno in giorno, Huss tuonò contro le abominazioni che venivano commesse apertamente i capi della chiesa, come causa delle miserie che opprimevano il mondo cristiano. Praga si vide di nuovo minacciata da un sanguinoso conflitto. Come negli antichi tempi d’Israele, il servitore di Dio fu accusato: “Sei tu colui che mette sossopra Israele” 1° Re 18:17. La città fu interdetta, e Huss dovette ancora una volta ritirarsi nel suo villaggio natio. La testimonianza da lui fedelmente data nella cappella di Betlemme era finita; ma prima di deporre la propria vita quale testimone della verità, egli sarebbe stato chiamato a predicare al mondo intero da un pulpito più elevato.

Per risanare i mali che travagliano l’Europa, l’imperatore Sigismondo chiese a uno dei tre papi rivali, Giovanni XXIII°, di convocare un concilio generale a Costanza. Questo papa non vedeva di buon occhio la convocazione del concilio, poiché la sua vita intima e la sua politica non erano tali da poter reggere a un’inchiesta, anche se condotta da prelati la cui moralità – come spesso era il caso a quei tempi – lasciava parecchio a desiderare. Comunque, egli non ardiva opporsi alla volontà di Sigismondo. I principali obiettivi che il concilio si prefiggeva erano: risanare lo scisma nella chiesa ed estirpare l’eresia. I due antipapi furono invitati a presentarsi davanti al concilio, e analogo invito fu rivolto a Giovanni Huss nella sua qualità di principale propagatore delle nuove opinioni. I primi, per salvaguardare la propria incolumità, non intervennero e si fecero rappresentare dai loro delegati.

Papa Giovanni, pur risultando apparentemente come convocatore del concilio, vi intervenne con molta apprensione, timoroso che l’imperatore accarezzasse il segreto proposito di deporlo e di chiedergli conto dei vizi che avevano disonorato la tiara, e dei crimini che gliel’avevano assicurata. Ad ogni modo, egli fece il suo ingresso a Costanza con gran pompa, seguito da una schiera di cortigiani e accompagnato da ecclesiastici di alto rango. Tutto il clero e tutti i dignitari della città, seguiti da una folla immensa, gli andarono incontro a porgerli il benvenuto. Sul suo capo c’era un baldacchino dorato, portato da quattro fra i principali magistrati. Lo precedeva l’ostia. I sontuosi abiti dei cardinali e dei nobili aggiungevano particolare lustro al corteo. Frattanto un altro viaggiatore si avvicinava a Costanza. Huss consapevole dei pericoli che lo minacciavano, si congedò dagli amici come se non dovesse più rivederli.

Si mise in cammino, presago di andare al rogo. Nonostante avesse ottenuto il salvacondotto dal re di Boemia e ne avesse ricevuto un secondo, durante il viaggio, dall’imperatore Sigismondo, egli prese le necessarie disposizioni in vista di una sua probabile morte. In una lettera indirizzata ai suoi amici di Praga, diceva: “Fratelli miei… io parto con un salvacondotto del re per affrontare i miei numerosi e mortali nemici… Pure confido nell’Iddio onnipotente e nel mio Salvatore, fiducioso che Egli ascolterà le vostre fervide preghiere e metterà nella mia bocca la sua prudenza e la sua saggezza per modo che io possa resistere loro. Egli mi accorderà il suo Spirito Santo per fortificarmi nella sua verità affinché io sappia affrontare coraggiosamente le tentazioni, il carcere e, se necessario, una morte crudele. Gesù Cristo soffrì per i suoi diletti; perciò, perché dovremmo stupirci che Egli ci abbia lasciato il suo esempio per sopportare con pazienza ogni cosa per la nostra salvezza?

Egli è Dio e noi siamo le sue creature; Egli è il Signore e noi siamo i suoi servitori; Egli è il Sovrano del mondo e noi siamo poveri mortali. Eppure, Egli ha sofferto. Per conseguenza perché non dovremmo soffrire anche noi, soprattutto quando la sofferenza è per noi una purificazione? Diletti, se la mia morte deve contribuire alla sua gloria, pregate che essa venga presto e che Dio mi aiuti a sopportare con pazienza le mie calamità. Se invece è meglio che io ritorni fra voi, preghiamo Dio che io riparta da questo concilio senza macchia, cioè che io non sopprima neppure un iota della verità del Vangelo e dia in tal modo, un buon esempio. Però, se è volontà dell’Onnipotente che io sia restituito a voi, sappiamo andare avanti con cuore ancora più intrepido nella conoscenza e nell’amore della sua legge” Bonnechose, vol. 1, pp. 147,148.

In un’altra lettera indirizzata a un ex sacerdote cattolico, diventato discepolo dell’Evangelo, Huss parlava con profonda umiltà dei propri errori e si scusava di avere “trovato diletto nell’indossare ricchi paludamenti e nell’aver sporcato ore preziose in occupazioni frivole”. Quindi aggiungeva: “Che la tua mente sia occupata dalla gloria di Dio e non dal desiderio di prebende e di possedimenti. Guardati dall’adornare la tua casa più dell’anima tua, e abbi la massima cura dell’edificio spirituale. Sii pio e umile col povero; non sprecare le tue sostanze in festini. Se tu non correggi la tua vita e non ti astieni dalle cose superflue, io temo che sarai severamente punito come lo sono io… Tu conosci la mia dottrina, perché hai ricevuto i miei ammaestramenti fin dalla tua fanciullezza; perciò è inutile che io te ne scriva di nuovo. Ad ogni modo io ti scongiuro, per la grazia del nostro Signore, di non imitarmi in nessuna delle vanità in cui tu puoi avermi visto cadere”. Sull’involucro che racchiudeva la lettera, egli aggiunse: “Amico mio, ti scongiuro di non infrangere questo sigillo fino a che tu non abbia la certezza della mia morte” Idem, vol. 1, pp. 148,149. Durante il viaggio, Huss vide ovunque i segni della diffusione delle sue dottrine e del favore di cui godeva la sua casa. La gente si accalcava per vederlo, e in alcune città i magistrati lo scortarono lungo la via.

Giunto a Costanza, Huss godette di una piena libertà perché al salvacondotto dell’imperatore si era aggiunta una personale garanzia di protezione da parte del papa. Però, in un secondo tempo, in aperta violazione di queste solenni e reiterate dichiarazioni, il riformatore fu arrestato per ordine del papa e dei cardinali e messo in un disgustoso carcere. In seguito, fu poi trasferito in una fortezza sul Reno e ivi tenuto prigioniero. Il papa, però, non godette a lungo della propria perfidia perché finì egli stesso nel medesimo carcere (Idem, vol. 1, p. 247). Giudicato dal concilio, Giovanni XXIII° fu dichiarato colpevole del più abietti crimini quali: omicidio, simonia, adulterio e “peccati innominabili”.

In ultimo fu privato della tiara e imprigionato. Deposti anche gli antipapi, fu eletto un nuovo pontefice. Sebbene lo stesso papa si fosse macchiato di crimini maggiori di quelli che Huss aveva rinfacciato ai sacerdoti, a motivo dei quali aveva chiesto di una riformi, il concilio che destituì il pontefice inferì contro il riformatore. La carcerazione di Hus suscitò viva indignazione in tutta la Boemia, potenti nobili rivolsero al concilio una vibrata protesta contro simile oltraggio. L’imperatore, al quale ripugnava la violazione di un salvacondotto, cercò di impedire che si procedesse contro il riformatore; però i nemici di Huss erano influenti e decisi. Essi fecero appello ai pregiudizi dell’imperatore, ai suoi timori e al per la chiesa. Ricorsero, inoltre, a elaborate argomentazioni per dimostrare che “non si è tenuti a mantenere le promesse fatte agli eretici o a persone sospette di eresia, anche se munite di salvacondotto dell’imperatore e dei re” Jacques Lenfant, History of the Concil of Constance, vol. 1, p. 516.

In tal modo essi raggiunsero il loro intento. Indebolito dalla malattia e dal – l’umidità della cella e l’aria metifica di essa gli provocarono una febbre che poco mancò non lo condusse alla tomba – Huss venne finalmente condotto alla presenza del concilio. Carico di catene, egli si trovò di fronte all’imperatore il cui onore e la cui buona fede si erano impegnati di proteggerlo. Nel corso del lungo processo, Huss difese la verità con fermezza; e al cospetto dei dignitari della chiesa e dello stato pronunciò una solenne e vibrata protesta contro la corruzione della curia romana. Invitato a scegliere fra l’abiura e la morte, non esitò a scegliere il martirio. La grazia di Dio la sostenne, e durante le lunghe settimane che trascorsero prima del verdetto finale, la pace del cielo inondò la sua anima. “Io scrivo questa lettera”, diceva a un amico, “nel mio carcere, con le mani serrate nei ceppi, in attesa della sentenza di morte che sarà pronunciata domani…

Quando, con l’aiuto di Cristo Gesù, noi ci incontreremo di nuovo nella pace beata della vita futura, saprai quanta misericordia Dio ha avuto per me e quanto Egli mi ha efficacemente aiutato e sostenuto in mezzo alle tentazioni e alle prove” Bonnechose vol. 2, p. 67. Nell’oscurità del suo carcere, egli previde il trionfo della vera fede. In un sogno gli apparve la cappella di Praga, dove aveva predicato l’Evangelo, e vide il papa ei vescovi cancellare le immagini di Cristo che egli aveva dipinto sulle pareti. “Tale visione lo turbò. L’indomani vide, sempre in sogno, dei pittori restaurare quelle immagini a accrescerne il numero. Dopo aver fatto ciò, i pittori rivolti alla folla che li circondava, esclamarono: “Ora i papi e i vescovi vengano pure: essi non riusciranno più a cancellare queste immagini”. Nel raccontare il sogno, il riformatore disse: “Sono certo che l’immagine di Cristo non sarà mai cancellata. Essi volevano distruggerla; ma per opera di predicatori migliori di me, essa sarà nuovamente riprodotta nei cuori” D’Aubigné, vol. 1, cap, 6.
Per l’ultima volta Huss fu condotto dinanzi al concilio. Era un’assemblea numerosa e brillante: l’imperatore, i principi dell’impero, i deputati reali, i cardinali, i vescovi, i sacerdoti, e una immensa folla che si era radunata per essere spettatrice degli eventi di quel giorno. Da ogni parte del mondo cristiano erano convenuti i testimoni di questo primo grande sacrificio della lunga lotta, mediante la quale sarebbe stata assicurata la libertà di coscienza.

Invitato a comunicare la sua decisione finale, Huss dichiarò che rifiutava di abiurare. Indi, fissando i suoi sguardi penetranti sul monarca vergognosamente infedele alla sua parola d’onore, disse: << Ho deciso di mia spontanea volontà di presentarmi dinanzi a questo concilio, sotto la pubblica protezione e la parola dell’imperatore qui presente >> Bonnechose, vol. 2, p. 84. Un vivo rossore si diffuse sul volto di Sigismondo, mentre gli occhi di tutti si volgevano verso di lui.
Pronunciata la sentenza, ebbe inizio il rito della degradazione. I vescovi fecero indossare al prigioniero gli abiti sacerdotali. Egli, nel toccarli, disse: << Nostro Signore Gesù Cristo fu coperto di una veste bianca in segno di scherno, quando Erode lo fece condurre davanti a Pilato >> Idem, vol. 2, p. 86. Esortato ancora una volta a ritrattare, egli si rivolse verso il popolo e dichiarò: << Come potrei levare la fronte verso il cielo? Come potrei guardare questa folla di persone alle quali ho predicato il puro Vangelo? No. Io stimo la loro salvezza più importante di questo misero corpo condannato a morte >> Ibidem.

I paramenti furono rimosso l’uno dopo l’altro e ogni vescovo, nel compiere la propria parte del rito, pronunciava una maledizione. Alla fine << gli posero in testa una specie di mitria di carta in forma di piramide, sulla quale erano dipinte orribili figure di demoni >>. Sulla parte anteriore di essa si leggeva: <<Eresiarca >>. Huss disse: << Molto lietamente porterò questa corona infamante per amor tuo, Gesù, che congesti per me una corona di spine >> Ibidem. Dopo che Huss fu così acconciato, << i prelati dissero: ’’Ora noi consegniamo la tua anima al diavolo’’. Giovanni Huss, levando gli occhi al cielo, replicò: ’’E io rimetto il mio spirito nelle tue mani, Signor Gesù, perché tu mi hai redento’’ >> Wylie, vol. 3, cap.7.

Consegnato alle autorità secolari, vene condotto sul luogo del supplizio. Una immensa processione lo seguiva: centinaia di uomini armati, sacerdoti, vescovi in ricche vesti e gli abitanti di Costanza. Dopo che egli fu legato al palo e che tutto fu pronto per l’accensione del rogo, il martire fu invitato ancora una volta a salvarsi, rinunciando ai propri errori. << Quali errori >>, egli chiese, << dovrei abbandonare? Io non mi riconosco colpevole di nessuno. Chiamo Dio a testimone che tutto quello che ho scritto e predicato è stato per strappare le anime al peccato e alla perdizione. Perciò molto lietamente confermerò col mio sangue la verità che ho scritta e predicata >> Ibidem. Quando le fiamme sprizzarono crepitando intorno a lui, egli cominciò a cantare: << Gesù, figliuol di Davide abbi pietà di me! >>, e continuò il suo canto fino a che la sua voce non fu soffocata per sempre.

Gli stessi nemici furono colpiti dal suo eroico comportamento. Un papista zelante, descrivendo il martirio di Huss e di Gerolamo, che morì poco dopo, dichiarò: << Entrambi si comportarono con fermezza, quando si avvicinò la loro ultima ora. Essi si prepararono per il fuoco come se fossero dovuti andare a un banchetto di nozze. Non emisero un lamento. Quando le fiamme salirono, essi si misero a cantare degli inni, e la veemenza del fuoco a stento riuscì a sopraffare quel canto e a farlo tacere >> Ibidem.
Dopo che il corpo di Huss fu totalmente consumato, le sue ceneri, con la terra sulla quale posavano, furono raccolte e gettate nel Reno che, a sua volta, le trasportò nel mare. I persecutori si illudevano di avere, così, sradicato la verità da lui predicata, mentre non sapevano che quelle ceneri sarebbero state un seme che si sarebbe propagato nel mondo, e che in regioni fino ad allora sconosciute avrebbe portato frutti copiosi in testimonianza della verità. La voce che aveva parlato al concilio di Costanza aveva risvegliato echi che si sarebbero fatti udire anche nei secoli avvenire. Huss non era più; però le verità per le quali egli aveva dato la vita non potevano più perire.

Il suo esempio di fede e la costanza di cui aveva dato prova sarebbero stati di incoraggiamento a moltitudini di persone per aiutarle a rimanere salde anche dinanzi alla tortura e alla morte, La sua esecuzione aveva mostrato al mondo intero la perfida crudeltà di Roma. I nemici della verità, anche se non se ne rendevano conto, avevano rafforzato la causa che desideravano distruggere.
Intanto un altro rogo stava per accendersi a Costanza. Il sangue di un altro testimone doveva esaltare la verità. Gerolamo, nel salutare Huss allorché questi partiva per recarsi al concilio, lo aveva esortato a essere forte e coraggioso, dichiarando che qualora gli fosse capitato qualche contrattempo, egli non avrebbe esitato a correre in suo aiuto. Udendo della carcerazione dell’amico, il fedele discepolo si preparò immediatamente a mantenere la promessa fatta. Senza salvacondotto, partì alla volta di Costanza, accompagnato da un solo amico.

Giunto sul posto, si rese conto di essersi esposto a un serio pericolo, senza alcuna possibilità di poter liberare Huss. Egli, allora, lasciò la città, ma venne arrestato lungo la via del ritorno e ricondotto a Costanza incatenato, sotto la sorveglianza di un drappello di soldati. Quando egli apparve dinanzi al concilio, i suoi tentativi di rispondere alle accuse che gli venivano mosse furono soffocati dal grido: << Alle fiamme con lui! Alle fiamme! >> Bonnechose, vol. 1, p. 234. Chiuso in carcere, fu incatenato in una posizione che gli causava acute sofferenze, e venne nutrito con pane e acqua. Dopo alcuni mesi, la durezza di questo trattamento gli provocò una grave malattia. I suoi nemici, allora, per tema che gli potesse sfuggir loro, lo trattarono con meno rigore, pur tenendolo ancora in carcere per un anno.

La morte di Huss non aveva sortito gli effetti desiderati dai papisti. La violazione del salvacondotto aveva provocato un’ondata di indignazione e il concilio, per ovviare alle difficoltà sorte, anziché dare Gerolamo alle fiamme, decise di costringerlo, se possibile, all’abiura. Egli fu condotto alle orribili sofferenze che avrebbe dovuto affrontare; ora, invece, indebolito dalla malattia, dalla durezza del carcere e dalla tortura morale dovuta alla forte tensione nervosa, separato dagli amici, addolorato per la morte di Huss, egli venne meno e accondiscese a sottomettersi alla volontà del concilio. Gerolamo affermò di accettare la fede cattolica e di ripudiare le dottrine di Wycliff e di Huss, eccetto le << sante verità >> da essi insegnate. (Idem, vol. 2, p. 141).
Con questo espediente, Gerolamo cercava di far tacere la voce della propria coscienza e di sottrarsi alla sorte che lo minacciava. Però, nella solitudine del carcere, egli si rese chiaramente conto di quello che aveva fatto.

Pensò al coraggio e alla fedeltà di Huss e, per contrasto, vide tutta la bassezza della propria abiura. Pensò al divin Maestro che egli aveva giurato di servire, e che per amor suo aveva sofferto la morte della croce. Prima dell’abiura, egli aveva trovato in mezzo alle sofferenze conforto nella certezza del favore divino; ora, invece, il rimorso gli torturava l’anima. Sapeva che gli sarebbero state chieste altre ritrattazioni prima di poter essere in pace con Roma, e capiva che il sentiero nel quale si era incamminato poteva condurre solo all’apostasia totale. Allora decise: non avrebbe rinnegato il Signore per sottrarsi a un breve periodo di sofferenza.

Non passò molto tempo che Gerolamo fu nuovamente chiamato dinanzi al concilio. La tua sottomissione non aveva soddisfatto i giudici. La loro sete di sangue, alimentata dalla morte di Huss, chiedeva nuove vittime. Egli avrebbe potuto salvare la propria vita a prezzo di un totale rinnegamento della verità, ma aveva deciso di confessare la sua fede e di seguire nelle fiamme il suo fratello martire.
Gerolamo ritirò la sua precedente abiura e, come un morente, chiese di potersi difendere. Temendo gli effetti delle sue parole, i prelati volevano che egli si limitasse ad affermare o a rinnegare la verità delle accuse che gli erano state mosse. Gerolamo protestò contro tali crudeltà e ingiustizie. << Mi avete tenuto chiuso in un orribile carcere per trecentoquaranta giorni >>, disse, << in mezzo alla sporcizia, all’umidità, al fetore, privo di tutto; poi mi avete chiamato dinanzi a voi; e mentre prestate ascolto alle accuse dei miei mortali nemici, rifiutate di ascoltarmi… Se voi siete realmente uomini saggi e luci del mondo, guardatevi dal peccare contro la giustizia. Quanto a me, io sono solo un debole mortale; la mia vita ha ben poca importanza, e se vi esorto a non pronunciare un’ingiustizia sentenza, parlo meno per me che per voi >> Idem, vol. 2, pp. 146,147.

Alla fine la richiesta venne accolta e, in presenza dei suoi giudici, Gerolamo si inginocchiò e pregò perché lo Spirito divino dirigesse i suoi pensieri e le sue parole, aiutandolo a non dire nulla contro la verità, nulla che non fosse degno del Maestro. Quel giorno si adempié per lui la promessa di Gesù ai primi discepoli: << Sarete menati davanti a governatori e re per cagion mia… Ma, quando vi metteranno nelle loro mani, non siate in ansietà del come parlerete o di quel che avrete a dire; perché in quella ora stessa vi sarà dato ciò che avrete a dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi >> Matteo 10: 18-20.

Le parole di Gerolamo suscitarono stupore e ammirazione nei suoi stessi nemici. Per un anno intero egli era rimasto chiuso in carcere, impossibilitato a leggere e a vedere, in preda a grandi sofferenze fisiche e ad ansietà mentali. Eppure i suoi argomenti erano da lui esposti con tale chiarezza e con tanta potenza che si sarebbe detto avesse avuto modo di studiare indisturbato. Egli additò agli uditori la lunga schiera di santi uomini che erano stati condannati da giudici ingiusti. Quasi in ogni generazione vi erano stati uomini che pur sforzandosi di elevare i loro contemporanei, erano stati rimproverati e scacciati. Più tardi, però, si era riconosciuto che essi erano meritevoli di rispetto e di onori. Cristo stesso fu condannato come malfattore da un ingiusto tribunale.

Precedentemente, all’atto dell’abiura, Gerolamo aveva riconosciuto la giustizia della sentenza di condanna di Huss. Ora, invece, si dichiarava pentito e testimoniava dell’innocenza e della santità del martire. << Lo conoscevo fin dalla sua fanciullezza >>, disse. << Era un uomo eccellente, giusto e santo. Fu condannato, nonostante la sua innocenza. Anch’io sono pronto a morire e non mi ritrarrò davanti ai tormenti che i miei nemici e i falsi testimoni preparano per me. Essi un giorno saranno chiamati a rendere conto delle loro imposture davanti al grande Iddio, che nessuno può ingannare>> Bonnechose, vol. 2, p. 151.

Rimproverandosi di avere rinnegato la verità, Gerolamo proseguì: << Di tutti i peccati commessi fin dalla fanciullezza, nessuno è più deprimente per il mio spirito e mi procura un così acuto rimorso di quello commesso in questo luogo, quando approvai l’iniqua sentenza contro Wycliff e contro il santo martire Giovanni Huss, mio maestro e amico. Si! Lo confesso con tutto il cuore e lo dichiaro con profondo orrore: ho sbagliato, ho grandemente sbagliato quando, per paura della morte, condannai le loro dottrine. Perciò io ti supplico… onnipotente Iddio, di perdonare i miei peccati e particolarmente questo, che è il più odioso di tutti! >>. Rivolgendosi poi ai giudici, egli disse con fermezza: << Voi condannaste Wycliff e Giovanni Huss, non perché avevano scosso la dottrina della chiesa, ma semplicemente perché ardivano protestare contro gli scandali del clero, contro la pompa, l’orgoglio e i vizi dei sacerdoti e dei prelati. Quello che essi affermarono e che è irrefutabile, lo penso anch’io e lo confermo! >>.

Le sue parole furono interrotte. I prelati frementi d’ira gridarono: Che bisogno c’è di altre prove? Noi vediamo coi nostri occhi il più ostinato degli eretici!”. Intrepido, nonostante la tempesta, Gerolamo prosegui: “Che cosa?! Pensate forse che io abbia paura di morire? Mi avete tenuto per un anno in un orribile carcere, più orribile della morte stessa. Mi avete trattato più crudelmente di un turco, di un ebreo o di un pagano, e la mia carne si è letteralmente imputridita sulle mie ossa. Eppure io non mi lamento, perché i lamenti fanno ammalare lo spirito e il cuore. Però io non posso fare a meno di esprimere il mio stupore dinanzi a tanta barbarie nei confronti di un cristiano” Idem, vol. 2, pp. 151-153. La tempesta d’ira esplose di nuovo, e Gerolamo fu ricondotto in carcere. Vi erano, però, nell’assemblea, degli uomini sui quali le parole da lui dette avevano prodotto una profonda impressione e che desideravano salvargli la vita. In prigione, Gerolamo ebbe la visita di dignitari della chiesa, che lo esortarono a sottomettersi al concilio e che gli fecero considerare i vantaggi e le brillanti prospettive che si sarebbero schiusi dinanzi a lui come ricompensa della sua rinuncia a opporsi a Roma. Egli, però, come il Maestro quando gli venne offerta la gloria del mondo, rimase saldo.

“Provatemi con le Sacre Scritture”, egli disse, che io sono nell’errore, e io abiurerò”. “Le Sacre Scritture!”, esclamò uno dei tentatori. “Ma come è possibile giudicare ogni cosa per mezzo di esse? Chi può capirle, finché la chiesa non le ha interpretate?”. “Le tradizioni degli uomini”, replicò Gerolamo, “sono più degne di fede del Vangelo del nostro Salvatore? Paolo non esortava coloro ai quali scriveva a prestare ascolto alle tradizioni degli uomini, ma diceva invece di investigare le Scritture”. “Eretico!”, fu la risposta. “Io mi pento di avere così a lungo discusso con te e mi rendo conto che sei guidato dal diavolo” Wylie, vol. 3, cap. 10. Dopo che la sentenza di condanna fu pronunciata, Gerolamo venne condotto sul luogo stesso dove Huss era stato giustiziato. Vi si recò cantando e col volto illuminato di pace e gioia. Il suo sguardo era fisso su Gesù e per lui la morte perdeva ogni orrore.

Quando il carnefice per accendere il rogo, scivolò sulle sue spalle, il martire gli disse: “Accendi pure davanti a me. Se io avessi avuto paura di morire non sarei qui!”. Le sue ultime parole, pronunciate mentre le fiamme divampavano, furono una preghiera: “Signore, Padre Onnipotente”, gridò, abbi pietà di me e perdona i miei peccati, perché tu sai che io sempre amato la tua verità” Bonnechose, vol. 2, p. 168. La sua voce venne meno, ma le sue labbra continuarono a muoversi in preghiera. Quando il fuoco ebbe compiuta la sua opera, le ceneri del martire, con la terra sulla quale giacevano, furono raccolte e, come quelle di Huss, gettate nel Reno. Così morirono i fedeli testimoni di Dio; ma la luce della verità da essi proclamata, unita a quella del loro fulgido esempio di eroismo, non poteva spegnersi. Come agli uomini non è dato a impedire al sole di seguire il proprio corso e di risplendere sul mondo, così essi non sarebbero riusciti a impedire il sorgere di un nuovo giorno che stava per levarsi.

L’esecuzione di Huss aveva acceso in Boemia una fiamma di indignazione e di orrore. Tutta la nazione sentiva che egli era rimasto vittima dell’astuzia dei sacerdoti e del tradimento dell’imperatore. Huss fu riconosciuto un fedele predicatore della verità: il concilio che aveva decretato la sua morte venne accusato di assassinio, e le dottrine del riformatore finirono col richiamare un’attenzione senza precedenti. Gli scritti di Wicliff, per decreto papale, erano stati condannati alle fiamme: però una parte di essi poté essere sottratta alla distruzione. Tratti dai nascondigli dove erano stati messi, divennero oggetto di studio, insieme con la Bibbia o porzioni di essa. Così molta gente aderì alla fede riformata.

Gli uccisori di Huss non se ne stettero a contemplare il trionfo della sua causa: il papa e l’imperatore si unirono per schiacciare il movimento, e gli eserciti di Sigismondo invasero la Boemia. Ma sorse un liberatore. Ziska, condottiero dei boemi, che poco l’inizio delle ostilità diventò totalmente cieco, fu uno dei più abili generali della storia. Fidando nell’aiuto di Dio e nella giustizia della sua causa, quel popolo resistette ai più agguerriti eserciti che lo fronteggiavano. Reiteratamente l’imperatore reclutò nuove leve e invase la Boemia: ogni volta, però, egli fu ignominiosamente respinto. Gli hussiti non temevano la morte, e così nessuno poteva resistere loro. Alcuni anni dopo, il bravo Ziska morì, ma il suo posto fu preso da Procopio, un generale altrettanto valoroso e abile e, sotto ceri aspetti, migliore condottiero del predecessore. I nemici dei boemi, sapendo che il guerriero cieco era morto, ritennero propizia l’occasione per riconquistare quello che avevano perduto.

Il papa proclamò una crociata contro gli hussiti, e un poderoso esercito invase la Boemia, ma solo per andare incontro a una terribile disfatta. Fu bandita un’altra crociata, e in tutti i paesi d’Europa furono raccolti uomini, denaro e munizioni per la guerra. Innumerevoli schiere di soldati si arruolarono sotto la bandiera del papa, nella certezza che alla fine gli eretici hussiti sarebbero stati sterminati. Fiducioso nella vittoria, l’esercito penetrò in Boemia. Il popolo si riunì per respingerlo. I due eserciti opposti si avvicinarono l’uno all’altro fino a che solo un fiume li separò. “I crociati erano numericamente superiori, ma anziché attraversare il corso d’acqua e impegnare battaglia contro le forze ussite, rimasero fermi a osservare quei guerrieri” Wylie, vol. 3, cap. 17. D’improvviso un misterioso terrore si impossessò di loro e, senza colpo ferire, quella poderosa schiera di armati si disperse e si dissolse come polverizzata da un potere invisibile. L’esercito hussita, lanciatosi all’inseguimento del nemico in fuga, raccolse un immenso bottino di guerra.

Così quella crociata, anziché impoverire la Boemia, l’arricchì. Alcuni anni dopo, sotto un nuovo papa, si organizzò un’altra crociata. Come prima, uomini e mezzi furono raccolti in tutta Europa. Grandi erano gli allettamenti posti dinanzi a chi fosse unito a questa impresa. A ogni crociato venne garantito il perdono assoluto dei più odiosi crimini commessi. Tutti coloro che sarebbero morti in battaglia avrebbero ricevuto una ricca rimunerazione celeste. Quelli che, invece, sarebbero sopravissuti, avrebbero mietuto onori e ricchezze sul campo di battaglia. Fu messo insieme un poderoso esercito che attraversò la frontiera e invase la Boemia. Le forze hussite ripiegarono attirando gli invasori sempre più lontano dalle loro basi di partenza, e sempre più nel cuore del paese. Questa ritirata strategica degli hussiti fece credere ai crociati di avere ormai partita vinta.

Ma non era così: gli eserciti di Procopio si fermarono e affrontarono gli invasori. I crociati, accortisi troppo tardi dello sbaglio commesso, ne commisero un altro: rimasero nei loro accampamenti in attesa degli sviluppi della situazione. Quando udirono il rumore delle forze nemiche che si avvicinavano, ancor prima che gli hussiti fossero in vista, furono colti da uno strano panico. Principi, generali, semplici soldati gettarono le armi e fuggirono in ogni terrorizzate e disorganizzate: egli steso fu trascinato via dall’onda dei fuggitivi. La rotta fu totale, e di nuovo un immenso bottino cade nelle mani dei vincitori. Anche questa volta un potente esercito nemico, mandato dalle più forti nazioni europee e formato da uomini agguerriti, valorosi, bene addestrati e bene equipaggiati, era fuggito, senza difendersi, dinanzi ai difensori di una piccola e debole nazione.

Gli invasori erano stati colpiti da un terrore soprannaturale: Colui che aveva rovesciato le schiere di Faraone al Mar Rosso, che aveva messo in fuga gli eserciti di Madian dinanzi a Gedeone e ai suoi trecento uomini, che in una sola notte aveva schiantato le forze dell’orgogliosa Assiria, aveva ancora una volta steso la sua mano per annichilire gli eserciti dell’oppressore. “Ecco là, sono presi da grande spavento, ove prima non c’era spavento; poiché Dio ha disperse le ossa di quelli che ti assediavano; tu li hai coperti di confusione, perché Iddio li disdegna” Salmo 53:5. I capi della chiesa romana, disperando di poter vincere con la forza, ricorsero alla diplomazia. Si addivenne a un compromesso che, mentre ufficialmente accordava ai boemi la libertà di coscienza, in realtà li metteva in potere di Roma. I boemi avevano precisato quattro condizioni per il trattato di pace con Roma: libera predicazione della Bibbia; diritto dell’intera chiesa a partecipare, nella comunione al pane e al vino, e uso della lingua materna per il culto; esclusione del clero da ogni ufficio o posizione di carattere secolare; in caso di crimini, sia per i laici che per gli ecclesiastici, valeva la giurisdizione dei tribunali civili.

Le autorità della chiesa romana accettarono “i quattro articoli degli hussiti, riservandosi però il diritto che essi venissero spiegati, cioè che ne fosse determinata la portata dal concilio. In altri termini, tale facoltà era concessa al papa e all’imperatore” Wylie, vol. 3, cap. 18. Su questa base l’accordo fu raggiunto; e Roma, con la dissimulazione e con la frode, riuscì a ottenere quello che non era riuscita a conseguire con la guerra. Infatti, mettendo la propria interpretazione sugli articoli proposti dagli hussiti, come anche sulla Bibbia, essa poteva pervertire il loro significato, si da farli servire ai suoi scopi. In Boemia molti non acconsentirono al trattato, visto che esso tradiva la loro libertà. Ne seguirono dissensi, divisioni e spargimento di sangue. In questa lotta perse la vita il prode Procopio, e con lui praticamente ebbe fine la libertà boema. Sigismondo, il traditore di Huss e di Gerolamo, divenne re di Boemia e, dimentico del giuramento fatto di sostenere i diritti dei boemi, aprì le porte al papato. Però egli trasse ben poco profitto dal suo servilismo per Roma. Infatti, per circa venti anni la sua esistenza era stata piena di fatiche e di pericoli, i suoi eserciti erano stati sistematicamente sconfitti e le finanze ridotte a zero dalla lunga e infruttuosa guerra. Dopo un anno di regno egli morì, lasciando la sua nazione in una situazione vicina alla guerra civile e tramandando ai posteri un nome macchiato dall’infamia. Tumulti, risse e sangue continuarono. Il paese venne nuovamente invaso dagli eserciti stranieri, mentre i dissidi interni straziavano la nazione. Quanti rimasero fedeli al Vangelo furono oggetto di sanguinose persecuzioni. Gli aderenti all’antica fede fondarono una chiesa che prese il nome di “Fratelli uniti”.

Questo fatto attirò su loro maledizioni da ogni parte; ma la fermezza dei credenti non venne meno. Sebbene costretti a rifugiarsi nei boschi e nelle caverne, essi continuarono a riunirsi per leggere la Parola di Dio e per celebrare il loro culto.
Mediante dei messaggeri segretamente inviati in vari paesi, essi appresero che qua e là vi erano “altri confessori della verità, alcuni in una città, altri in un’altra e, come loro, oggetto di persecuzioni. In mezzo alle montagne delle Alpi esisteva un’antica chiesa rimasta fedele ai principi della Sacra Scrittura e che protestava contro l’idolatrica corruzione di Roma” Wylie, libro 3, cap. 19. Questa notizia fu accolta con immensa gioia e diede origine a una corrispondenza con i cristiani valdesi. Attaccati all’Evangelo, i Boemi aspettarono, nella buia notte della persecuzione, nell’ora più oscura, volgendo lo sguardo verso l’orizzonte, il sorgere del mattino.<<“Erano giorni tristi, ma… essi ricordavano le parole di Huss e di Gerolamo secondo cui sarebbe passato un secolo prima che spuntasse il giorno fatidico.

Per i taboriti (hussiti) esse furono come le parole di Giuseppe alle tribù d’Israele: “Io muoio, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà uscire”>>Ibidem. <<Il periodo finale del quindicesimo secolo vide il lento ma sicuro progresso delle chiese dei fratelli, che anche se non esenti da molestie, godettero di un relativo riposo. All’inizio del sedicesimo secolo, in Boemia e in Moravia se ne cantavano duecento>> Ezra Hall Gillett, Life and Times of John Huss, vol. 2, p. 570. <<Così risultò abbastanza numeroso il residuo che, sfuggendo alla furia devastatrice del fuoco e dalla spada, salutò l’alba del giorno preannunciando da Huss” Wylie, vol. 3, cap. 19.

LUTERO: UN UOMO PER IL SUO TEMPO.
Martin Lutero può essere considerato un personaggio di primo piano fra coloro che furono chiamati per trarre la chiesa fuori dalle tenebre papali e guidarla alla luce di una fede più pura. Zelante, pieno di fervore, devoto, privo di ogni timore che non fosse il timore di Dio, riconoscendo le Sacre Scritture come unico fondamento religioso, egli era l’uomo adatto per quel tempo. Per mezzo di lui, Dio compì la grande opera della riforma della chiesa, opera che illuminò il mondo. Come i primi araldi dell’Evangelo, Lutero ebbe anch’egli umili natali. Trascorse i primi anni della sua vita in una modesta casetta tedesca di campagna. Suo padre, un minatore, lo aiutò con le sue magre risorse a formarsi una cultura. Voleva farne un avvocato, ma il Signore aveva in vista un altro progetto: fare di lui l’edificatore di quel grandioso tempio che andava a poco sorgendo col passare dei secoli. Vita dura, privazioni, disciplina severa: ecco la scuola alla quale l’infinita Saggezza preparò Lutero per l’importante missione della sua vita. Il padre di Lutero era un uomo dalla mente equilibrata e attiva. Dotato di un carattere forte, era onesto, energico e retto. Il suo principio era di fare, in cosa, il proprio dovere, indipendentemente dalle conseguenze che sarebbero potute derivare.

Un innato buon senso lo induceva a considerare con disapprovazione la vocazione monastica. Ben comprensibile, perciò, fa la sua delusione quando il figlio, senza il suo consenso, entrò in un convento. Trascorsero ben due anni prima che egli, pur non avendo cambiato opinione, acconsentisse a riconciliarsi con lui. I genitori di Lutero si adoperarono molto per l’educazione dei propri figli. Cercavano di inculcare in loro la conoscenza di Dio e la pratica delle virtù cristiane. Spesso il padre pregava ad alta voce affinché il figlio udisse e potesse ricordare il nome del Signore per poi, un giorno collaborare all’avanzamento della sua verità.

Essi cercavano di profittare di ogni opportunità di sviluppo morale e intellettuale che la loro vita fatta di incessante lavoro poteva offrire. Con lodevole perseveranza si sforzavano di preparare i figli a una vita devota e utile. Data la fermezza del loro carattere, non di rado accadeva che si lasciassero andare a una severità eccessiva. Però lo stesso riformatore, pur riconoscendo che talvolta eccedevano, trovava nella loro disciplina da approvare che da condannare. A scuola, dove si recò prestissimo, Lutero fu trattato con durezza e perfino con violenza. La povertà della sua famiglia era tale che egli, per recarsi dalla casa alla scuola situata in una città vicina, era costretto a guadagnarsi il pane cantando di porta in porta. Non di rado conobbe la fame. Il suo cuore era oppresso dalle idee religiose di quell’epoca, idee ricche di superstizione.

Talvolta si coricava pieno di tristezza, pensando con preoccupazione all’avvenire oscuro e minaccioso, e si sentiva preda del terrore all’idea di un Dio che, anziché pietoso Padre celeste, egli stimava rigido, inflessibile e tiranno. Eppure, nonostante tutti questi scoraggiamenti, Lutero proseguiva verso un ideale elevato di eccellenza morale e intellettuale che attirava l’anima sua. La sete di conoscenza e il carattere pratico e aperto dalla sua mente lo inducevano a desiderare tutto ciò che è concreto e utile, anziché quello che è vano e superficiale. Quando, all’età di diciotto anni, egli entrò all’università di Erfurt, la sua situazione era diventata più favorevole, e le sue prospettive apparivano più luminose di quanto non lo fossero state prima. I suoi genitori, grazie alla loro attività e alla frugalità della loro vita, potevano ora assicurargli un’assistenza migliore. D’altra parte, la compagnia di amici giudiziosi valse ad alleggerire gli effetti deprimenti dell’educazione da lui precedentemente ricevuta.

Lutero si applicò allo studio dei migliori autori, facendo tesoro dei loro importanti insegnamenti e assimilando il frutto della loro saggezza. Anche prima, sotto la dura disciplina dei suoi precedenti insegnanti, egli aveva dato prova di capacità non comune. Ora, per le migliorate condizioni ambientali, la sua mente poteva svilupparsi rapidamente. La sua memoria recettiva, la sua vivida immaginazione, le sue solide capacità di ragionamento e le sua incessante applicazione gli permisero di distinguersi fra i suoi condiscepoli. La disciplina intellettuale maturò il suo discernimento e risvegliò in lui un’intelligenza e un’acutezza di percezione che dovevano renderlo idoneo alle future lotte della vita.

Il timore di Dio, che riempiva il suo cuore, lo rendeva saldo nei suoi propositi e umile dinanzi all’Altissimo. Egli aveva un vivo senso della propria dipendenza dell’aiuto divino, e non trascurava di cominciare ogni giornata con la preghiera. Il suo cuore cercava incessantemente guida e sostegno. “Pregare bene”, diceva spesso, “vale metà dello studio” D’Aubigné, History of the Reformationof the XVI° century, vol. 2, cap. 2. Un giorno, esaminando i libri della biblioteca universitaria, Lutero scoprì la Bibbia latina. Mai prima di allora egli l’aveva; ne ignorava addirittura l’esistenza. Aveva letto, sì, delle porzioni dei Vangeli e delle Epistole che venivano esposte al popolo nel culto pubblico, e pensava che esse fossero tutta la Sacra Scrittura. Ora, per la prima volta, egli aveva dinanzi a sé l’intera Parola di Dio.

Con un misto di timore e di stupore, egli sfogliò quelle sacre pagine e febbrilmente, col cuore palpitante, lesse le parole di vita soffermandosi qua e là per esclamare: “Oh, se Dio mi desse di possedere questo libro!” Ibidem. Gli angeli del cielo erano al suo fianco, e raggi di luce procedenti dal trono di Dio rivelavano al suo intelletto i tesori della verità. Egli aveva sempre temuto di offendere Iddio, ma ora la profonda convinzione del proprio stato di peccato si faceva ancora più viva in lui. Un grande desiderio di essere liberato dal peccato e di trovare la pace con Dio lo indusse a consacrarsi alla vita monastica. Entrò in un convento, e qui gli furono assegnati i lavori più umili oltre al compito di mendicare di casa in casa. Egli aveva raggiunto l’età in cui maggiormente si desiderano il rispetto e l’apprezzamento, e quei compiti così bassi mortificavano non poco i suoi sentimenti naturali. Però egli sopportava pazientemente, credendo che ciò fosse reso necessario dal suo stato di colpa. Ogni momento che egli poteva sottrarre ai suoi incarichi quotidiani era di lui dedicato allo studio. Per questo si privava del riposo e rimpiangeva perfino il tempo necessario alla consumazione di pasti frugali.

Sopra ogni altra cosa, gli procurava sommo diletto lo studio della Parola di Dio. Egli aveva trovato una Bibbia incatenata al muro del convento, e ad essa spesso ricorreva. A mano a mano che cresceva in lui la convinzione del proprio peccato. Lutero si sforzava di ottenere il perdono e la pace mediante le proprie opere. Conduceva una vita molto austera, sforzandosi con digiuni, veglie e maltrattamenti inflitti al proprio corpo, di soggiogare la debolezza della sua natura. Egli non rifuggiva dinanzi a nessun sacrificio che potesse permettergli di ricevere l’approvazione di Dio. “Io fui un monaco pio” disse più tardi, “e mi attenni alle regole del mio ordine nel modo più stretto.

Se mai un monaco poteva raggiungere il cielo per le sue opere monastiche, certo io ne avrei avuto tutti i diritti… Se avessi continuato, credo che avrei spinto le mie mortificazioni fino alla morte” Idem, vol. 2. cap. 3. Come conseguenza di questa dura disciplina, egli si indebolì e fu soggetto a deliqui accompagnati da spasmi. Gli effetti di questo suo stato fisico lo accompagnarono per tutta la vita. Eppure, nonostante tutti gli sforzi fatti, la sua anima oppressa non riusciva a trovare sollievo. Finì col raggiungere sull’orlo della disperazione. Quando a Lutero pareva che ormai tutto forse perduto, Dio gli fece incontrare un amico che egli fu di grande aiuto.

Il pio Staupitz dischiuse alla mente di Lutero la Parola di Dio e lo indusse a guardare non a se stesso, non alle immense punizioni derivanti dalla violazione della legge di Dio, ma a Gesù, il Salvatore che perdona. “Invece di torturarti a motivo dei tuoi peccati”, gli diceva, gettati nelle braccia del Redentore. Abbi fiducia in lui, abbi fiducia nella giustizia della sua vita, nell’espiazione assicurata dalla sua morte…Ascolta il Figliuolo di Dio. Egli si fece uomo per darti la certezza del favore divino. Ama chi per primo ti amò” Idem, vol. 2, cap. 4. Così parlò questo messaggero di misericordia, e le sue parole produssero una profonda impressione sulla mente di Lutero che, dopo tante lotte, poté finalmente conoscere la verità e avere la pace dell’anima. Lutero fu consacrato prete e chiamato all’insegnamento nell’università di Wittenberg. Qui egli si applicò allo studio delle Sacre Scritture nelle loro lingue originali; cominciò a tenere conferenze sulla Bibbia, e da quel momento il libro dei Salmi, gli Evangeli e le Epistole furono spiegati a folle di ascoltatori entusiastici.

Staupitz, suo amico e superiore, lo spinse a salire sul pulpito e a predicare la Parola di Dio. Lutero esitava, non ritenendosi degno di parlare alla gente nel nome di Cristo,, e fu solo dopo una lunga lotta che cedette alle sollecitazioni dei suoi amici. Egli era già potente nelle Scritture, e la grazia di Dio riposava su di lui. La sua eloquenza conquistava gli uditori, e la chiarezza e la potenza con le quali egli presentava la verità convincevano le menti, mentre il suo fervore toccava i cuori. Lutero era ancora un sincero figlio della chiesa papale, e mai avrebbe immaginato di poter essere altrimenti. Nella provvidenza di Dio, fu chiamato a visitare Roma. Fece il viaggio a piedi, soffermandosi nei monasteri che trovava lungo la via. In un convento italiano rimase stupito della ricchezza, della magnificenza e del lusso che vi regnavano.

Godendo di rendite principesche, i frati vivevano in splendidi alloggi, indossavano abiti costosi e sedevano dinanzi a una mensa sontuosa. Con vivo dolore, Lutero stabilì il contrasto fra quella rappresentata dalla rinuncia e dall’austerità della propria vita. Cominciava a essere perplesso. Finalmente egli scorse in distanza la città dei sette colli. Con profonda emozione si prostrò per terra ed esclamò: “Santa Roma, ti saluto!” Idem, vol. 2, cap. 6. Entrò nella città, visitò le chiese, ascoltò i favolosi racconti ripetuti da preti e da monaci ed eseguì tutti i riti prescritti. Ovunque, egli contemplava scene che lo riempivano di sorprese e di orrore. Vide che l’iniquità si annidava in ogni classe del clero; udì barzellette indecenti da parte di prelati, e fu dolorosamente scosso quando si accorse che perfino nella messa non veniva risparmiata la profanazione.

Nei suoi contatti i monaci e con la gente del comune popolo, notò che la dissolutezza e la deboscia imperavano dappertutto. Da ogni parte egli incontrava la profanazione, anche là dove avrebbe dovuto regnare la santità. “Nessuno può immaginare”, egli scrisse, “quali peccati e quali azioni infamanti si commettono a Roma. Bisogna vedere e udire per credere. Si suol dire: se c’è un inferno, Roma vi è edificata sopra. Roma è un abisso dal quale scaturiscono ogni sorta di peccati” Ibidem.
Con recente decreto, il pontefice aveva promesso un’indulgenza a tutti coloro che avrebbero salito in ginocchio la “scala di Pilato”, scala dalla quale si diceva fosse disceso Gesù quando uscì dalla sala del giudizio del procuratore romano, e che era stata miracolosamente trasportata da Gerusalemme a Roma. Un giorno, Lutero saliva devotamente dei gradini quando d’improvviso gli parve di udire una voce che, simile a tuono, diceva: “Il giusto vivrà per fede!” Romani 1:17. Egli balzò in piedi e se ne andò, pieno di vergogna e di orrore.

Quel testo biblico lasciò una traccia indelebile nella sua anima. Da allora egli scorse ancora più chiaramente di prima tutta la fallacità delle opere umane intese a ottenere la salvezza, e capì l’assoluta necessità di una costante fede nei meriti di Cristo. I suoi occhi erano stati aperti e non si sarebbero più chiusi dinanzi agli inganni del papato. Quando distolse il suo volto da Roma, lo distolse anche nell’intimo del proprio cuore; e da quel giorno la separazione andò sempre aumentando per poi sfociare nella piena rottura di ogni rapporto con la chiesa romana. Dopo il ritorno da Roma, Lutero conseguì, all’università di Wittenberg, la laurea in teologia. Ora egli poteva consacrarsi in pieno alle Sacre Scritture che tanto amava.

Aveva fatto voto di studiare accuratamente e di predicare fedelmente la Parola di Dio, anziché i detti e le dottrine di Roma, tutti i giorni della sua vita. Egli ora non era più semplicemente un monaco o un professore, ma l’araldo autorizzato della Bibbia: si sentiva chiamato a essere pastore della greggia di Dio e a pascerla. Quella greggia aveva fame e sete di verità. Lutero dichiarò con fermezza che i cristiani non dovevano accettare altra dottrina se non quella che si basa sull’autorità delle Sacre Scritture. Tale affermazione minava alla base la pretesa supremazia papale e conteneva il principio vitale della Riforma. Lutero scorgeva il pericolo che si annidava nell’abitudine di esaltare le teorie umane al di sopra della Parola di Dio e, impavido, attaccò l’incredulità speculativa degli ecclesiastici e lottò sia contro la filosofia, sia contro la teologia, colpevoli entrambe di avere esercitato tanto a lungo la loro presa sul popolo. Egli denunciò tali studi non solo perché inutili, ma perché nocivi; e cercò di distogliere la mente dei suoi ascoltatori dai sofismi dei filosofi per rivolgerla alle verità eterne esposte dai profeti e dagli apostoli. Il messaggio da lui rivolto alle moltitudini che pendevano ansiose dalle sue labbra, fu prezioso.

Mai prima di allora simili insegnamenti erano giunti alle loro orecchie. La lieta notizia dell’amore del Cristo Salvatore, la certezza del perdono e dalla pace mediante il sangue sparso per la remissione dei peccati, rallegravano i cuori e infondevano in loro una speranza immortale. A Wittenberg si accese una luce i cui raggi si sarebbero estesi fino agli estremi limiti della terra, luce che col passare del tempo si sarebbe fatta sempre più risplendente. Però, luce e tenebre non possono coesistere: fra verità ed errore esiste un irriducibile conflitto. Sostenere e difendere la prima significa attaccare e abbattere il secondo. Il nostro Salvatore stesso lo ha dichiarato: “Io non sono venuto a metter pace, ma spada” Matteo 10:34.

Alcuni anni dopo l’inizio della Riforma, Lutero disse: “Dio non mi guida: mi spinge avanti, anzi mi trascina addirittura! Io non sono padrone di me stesso. Vorrei vivere tranquillo e invece mi sento gettato in mezzo ai tumulti e alle rivoluzioni” D’Aubignè, vol. 5, cap. 2. Ora egli stava per essere gettato proprio nel vivo della lotta.
La chiesa romana aveva fatto mercato delle grazie di Dio. Le tavole dei cambiavalute (Matteo 21:12) erano state installate accanto agli altari, e l’aria risuonava dalle grida dei venditori e dei compratori. Col pretesto di raccogliere il denaro occorrente all’erezione della basilica di San Pietro a Roma, vennero messe pubblicamente in vendita le indulgenze per il peccato, con l’autorizzazione del pontefice.

Col prezzo del delitto si voleva erigere un tempio per l’adorazione di Dio, tempio la cui pietra angolare avrebbe avuto come sostegno un salario di iniquità. Però i mezzi escogitati per l’accrescimento di Roma provocarono un colpo mortale che si abbatté sulla sua potenza e sulla sua grandezza. Fu così che sorse il più deciso e vittorioso oppositore del papato, e che ebbe origine la lotta che avrebbe scosso il trono pontificio. e messo in pericolo il triregno che cingeva la fronte del papa.
Tetzel – l’ufficiale incaricato della vendita delle indulgenze in Germania – si era macchiato di volgari offese contro la società e contro la legge. Riuscito a sottrarsi al castigo che i suoi crimini meritavano, era stato invitato a propagandare i progetti mercenari e privi di scrupoli di Roma. Con grande sfrontatezza, Tetzel ripeteva le più audaci falsità e narrava favole meravigliose per ingannare la gente ignorante, credula e narrava favole meravigliose per ingannare la gente ignorante, credula e superstiziosa. Se questa avesse posseduto la Parola di Dio, non si sarebbe lasciata ingannare.

Purtroppo, però, la Bibbia era stata tolta al popolo per tenerlo sotto il dominio papale e accrescere, allo stesso tempo, la potenza e la ricchezza degli ambiziosi dignitari ecclesiastici (Vedi John C. L. Gieseler, A Compendium of Ecclesiastical History, per. 4, sez. 1, par. 5). Quando Tetzel entrava in una città, era preceduto da un messaggero che annunciava: “La grazia di Dio e del “Santo Padre” è alle vostre porte” D’Aubignè, vol. 3, cap. 1. La gente accoglieva il blasfemo presuntuoso come se fosse stato Dio stesso sceso dal cielo in terra. L’odioso traffico si installò nella chiesa e Tetzel, salito sul pulpito, presentò le indulgenze come il più prezioso dono di Dio. Egli dichiarava che in virtù dei certificati di perdono, tutti i peccati che l’acquirente avrebbe avuto l’intenzione di commettere gli sarebbero stati perdonati e che “non era necessario alcun pentimento” Ibidem.

Oltre a ciò egli assicurava gli uditori che le indulgenze avevano il potere di salvare non solo i vivi, ma anche i morti. Aggiungeva che non appena la moneta toccava il fondo della cassa, l’anima, per la quale l’indulgenza era stata comperata, lasciava il purgatorio per salire in paradiso (Vedi K.R. Hagenbach, History of the Reformation, vol. 1, p. 96). Quando Simon Mago volle acquistare il potere di fare dei miracoli, Pietro gli rispose: “Vada il tuo danaro teco in perdizione, poiché hai stimato che il dono di Dio si acquisti con danaro” Atti 8:20. Ma l’offerta di Tetzel venne accolta con entusiasmo da migliaia di persone, e così oro e argento affluirono nelle casse. Una salvezza che si poteva comperare con denaro era per molti preferibile a quella che esigeva pentimento, fede e diligente sforzo per resistere al peccato e vincerlo. Nella chiesa romana, la dottrina delle indulgenze era stata combattuta da uomini dotti e pii, e non pochi erano coloro che non credevano a una pretesa così contraria alla ragione e alla rivelazione.

Nessun prelato ardiva levare la propria voce contro questo empio traffico; però le menti degli uomini erano turbate e si sentivano e disagio. Molti si chiedevano, ansiosi, se Dio non si sarebbe servito di qualche strumento per purificare la sua chiesa. Lutero, pur essendo ancora uno stretto papista, provava orrore dinanzi alla sfrontatezza blasfema dei mercanti di indulgenze. Molti della sua congregazione, che avevano comperato il certificato di perdono, andarono da lui confessando vari falli e chiedendo l’assoluzione sulla base dell’indulgenza. Lutero ricusò di assolverli e li avvertì che se non si fossero pentiti e non avessero riformato la loro vita sarebbero periti nei loro peccati. Perplessi, ritornano da Tetzel lamentandosi che il loro confessore aveva respinto il certificato di indulgenza, e alcuni, addirittura, chiesero il rimborso del denaro pagato. Il frate, furibondo, si lasciò andare alle più terribili maledizioni, dichiarando di avere ricevuto dal papa “l’ordine di bruciare tutti gli eretici che avessero osato opporsi alle sue santissime indulgenze” D’Aubignè, vol. 3, cap. 4. Lutero allora entrò in lizza come campione della verità.

La sua voce dinanzi al popolo il carattere odioso del peccato e affermò che era impossibile all’uomo riuscire, con le sue opere, a sminuire la propria colpa o a sottrarsi al castigo. Solo il pentimento e la fede in Cristo possono salvare il peccatore. Egli suggeriva ai fedeli di astenersi dall’acquisto delle indulgenze e li esortava a guardare con fede al Salvatore crocifisso. Narrò la usa dolorosa esperienza personale e la sua vana ricerca della salvezza mediante l’umiliazione e la penitenza, e assicurò gli uditori di avere trovato la pace e la gioia solo rivolgendosi a Gesù e confidando in lui. Poiché Tetzel continuava il suo traffico e insisteva nelle sue empie pretese, Lutero decise di ricorrere a una protesta più efficace contro simili abusi. Di lì a poco gli si presentò un’occasione opportuna. La chiesa del castello di Wittenberg possedeva molte reliquie, che in determinati giorni di festa venivano esposte al pubblico. A tutti coloro che visitavano la chiesa e si confessavano, era accordata la piena remissione dei peccati. In quelle ricorrenze la gente affluiva numerosa.

Il giorno precedente la festa di Ognissanti (31 ottobre 1517. N. d. T.), Lutero affisse sulla porta della chiesa un foglio contenente novantacinque tesi contro la dottrina delle indulgenze, e si dichiarò pronto a difenderle l’indomani, all’università, contro chiunque avesse voluto attaccarle. Le tesi attrassero l’attenzione di tutti. Furono lettere e rilette, ripetute in ogni direzione. In città e all’università venne a crearsi un’atmosfera di grande eccitazione. Con le tesi si dimostrava che la facoltà di accordare il perdono dei peccati e la remissione della pena non era stata mai data né al papa, né a qualsiasi altro uomo. L’intero sistema delle indulgenze non era che una farsa, un artificio inteso a estorcere denaro facendo leva sulla superstizione della gente; un’astuzia di Satana per distruggere le anime di coloro che confidavano in quelle bugiarde pretese.

Era anche chiaramente dimostrato che l’evangelo di Cristo è il più ricco tesoro della chiesa e che la grazia di Dio, in esso rivelata, viene gratuitamente accordata a chiunque la cerchi col pentimento e con la fede. Le tesi di Lutero invitavano alla discussione, ma nessuno raccolse la sfida. Le domande che egli proponeva furono conosciute, nel giro di pochi giorni, in tutta la Germania, e in poche settimane si diffusero per tutto il mondo cristiano. Molti devoti cattolici che avevano visto l’iniquità dominare nella chiesa e se ne erano lagnati, pur non sapendo che cosa fare per frenarne il progresso, lessero le tesi con viva gioia, riconoscendo in esse la voce di Dio.

Si rendevano conto che il Signore aveva steso la sua mano per arrestare l’ondata di corruzione che minacciava di travolgere la chiesa. Principi e magistrati si rallegravano segretamente che fosse stato posto un argine all’arrogante potere che negava il diritto di appello alle sue decisioni. Nondimeno, moltissimi erano quelli che, amando il peccato ed essendo vittime della superstizione, rimasero sgomenti quando furono spazzati via i sofismi che avevano placato i loro timori. Astuti ecclesiastici, ostacolati nella loro opera intesa a sanzionare il crimine, vedendo che i loro guadagni erano in pericolo, si irritarono e si sforzarono di difendere le loro pretese. Così il riformatore dovette affrontare accaniti oppositori. Alcuni lo accusavano di presunzione, affermando che egli non era guidato da Dio, ma dall’orgoglio e dalla sete di supremazia. “Chi non sa”, egli replicava, “che un uomo raramente si fa propugnatore di una nuova idea, senza che ciò gli attiri l’accusa di orgoglio e di voler suscitare delle polemiche?... Perché Cristo e i martiri furono messi a morte? Perché ritenuti presuntuosi, osteggiatori della saggezza del loro tempo e perché sostenevano idee nuove, senza prendere consiglio dagli oracoli delle antiche opinioni” Idem, vol. 3, cap. 6. Aggiungeva: “Qualunque cosa io faccio, la farò non secondo la prudenza degli uomini, ma secondo il consiglio di Dio.

Se l’opera è da Dio, chi potrà impedirla? Se non lo è, chi potrà farla progredire? Non la mia, non la loro, non la nostra; ma la tua volontà, Padre santo che sei nei cieli” Ibidem. Sebbene Lutero fosse stato mosso dallo Spirito di Dio a cominciare la sua opera, non doveva proseguirla senza affrontare dure lotte. L’opposizione dei nemici, le loro calunnie sul suo operato e sui motivi che lo spingevano, si abbatterono su di lui come un travolgente diluvio, e non mancarono di far sentire i loro effetti. Lutero pensava che i capi del popolo, nella chiesa e nella chiesa e nelle scuole, si sarebbero uniti a lui nei suoi tentativi di riforma. Parole di incoraggiamento, da parte di quanti occupavano posizioni importanti, gli avevano dato gioia e speranza. Egli aveva previsto per la chiesa l’alba di un giorno più luminoso. Purtroppo, l’incoraggiamento si mutò in rimprovero e in condanna.

Molti dignitari della chiesa e dello stato erano convinti della giustezza delle sue tesi, però non tardarono a rendersi conto che accettarle significava virtualmente la diminuzione dell’autorità di Roma e di conoscenza l’inaridimento di quei rivoli che alimentavano il suo tesoro. Ne sarebbe così derivata una sensibile diminuzione dei benefici che rendevano possibili la stravaganza e il lusso dei capi della chiesa. Inoltre, insegnare alla gente a pensare e ad agire come esseri responsabili, guardando solo a Cristo per la salvezza, voleva dire rovesciare il trono papale e forse distruggere anche la propria autorità. Per questi motivi, essi respinsero la conoscenza che veniva loro offerta da Dio e si schierarono contro Cristo e contro la verità, opponendosi all’uomo che Egli aveva mandato per illuminarli.

Lutero, nel pensare a se stesso tremava: un uomo che si opponeva alle maggiori potenze della terra! Talvolta lo assaliva il dubbio: era stato davvero guidato da Dio nella sua opposizione all’autorità della chiesa? “Chi ero io” scriveva, per oppormi alla maestà del papa, dinanzi al quale… i re della terra e il mondo intero tremavano?... Nessuno può sapere quanto il mio cuore soffrì durante quei primi due anni e in quale desolazione – quasi oserei dire disperazione – ero piombato” Ibidem. Lutero, pertanto, non si perdette di animo perché, quando gli venne meno l’appoggio umano, guardò a Dio e seppe di potersi appoggiare fiducioso sul suo braccio onnipotente. A un amico della Riforma, Lutero scrisse: “Noi non possiamo pervenire alla comprensione della Scrittura col semplice studio o con la sola intelligenza. Tuo primo dovere è di cominciare con la preghiera.

Chiedi a Dio di accordarti, nella sua grande misericordia, la facoltà di capire la sua Parola. Non c’è altro interprete di essa all’infuori del suo Autore. Egli stesso lo ha dichiarato: “Essi saranno tutti ammaestrati da Dio”. Non aspettarti nulla dai tuoi sforzi, dal tuo raziocinio, ma fida in pieno e unicamente in Dio e nell’azione del suo Spirito. Credi questo sulla parola di un uomo che ne ha fatta l’esperienza “ Idem, vol. 3, cap. 7. C’è qui una lezione di vitale importanza per chi si sente chiamato a presentare agli altri le solenni verità dell’ora presente. Queste verità provocheranno l’inimicizia di Satana e degli uomini che preferiscono le favole da lui architettate. Nella lotta contro le potenze del male, è necessario qualcosa di più che il vigore dell’intelletto e della sapienza umana. Quando i nemici facevano appello alle usanze, alla tradizione, oppure alle affermazioni e all’autorità del papa, Lutero li affrontava con la Bibbia.

In essa vi erano argomenti ai quali essi non potevano replicare. Per conseguenza, gli schiavi del formalismo e delle superstizioni chiedevano il suo sangue, come i giudei avevano chiesto il sangue di Cristo. “E’ un eretico!”, gridavano gli zelati romani”. E’ un alto tradimento verso la chiesa lasciare che simile eretico viva un’ora di più. Che innalzi subito il patibolo per lui!” Idem, vol. 3, cap. 9. Lutero, però, non fu preda della loro ira: Dio aveva in programma un’opera per lui, e gli angeli del cielo furono mandati a proteggerlo. Molti, però che avevano ricevuto da lui la preziosa luce, furono oggetto dell’ira di Satana, e per amore della verità affrontarono impavidi la tortura e la morte.

Gli insegnamenti di Lutero richiamarono in tutta la Germania l’attenzione delle menti riflessive. Dai suoi sermoni e dai suoi scritti scaturivano fasci di luce che svegliavano e illuminavano migliaia di persone. Una fede vivente prendeva il posto del morto formalismo nel quale la chiesa era stata così a lungo tenuta. La gente andava perdono giorno per giorno la fiducia nelle superstizioni del Romanesimo e crollavano, a una a una, le barriere del pregiudizio. La Parola di Dio, con la quale Lutero affrontava ogni dottrina e ogni pretesa della chiesa, era simile a una spada a due tagli che penetrava nel cuore del popolo. Ovunque si notava il risveglio e il desiderio di progresso spirituale. Ovunque c’era fame e sete di giustizia, quali da secoli non si erano verificate. Gli occhi della gente, a lungo rivolti sui riti umani e sui mediatori terreni, si volgevano ora con fede e pentimento a Cristo. Questo interesse dilagante contribuì ad accrescere i timori delle autorità papali. Lutero fu invitato a presentarsi a Roma per rispondere all’accusa di eresia.

L’ordine riempì di sgomento i suoi amici, i quali sapevano molto bene quale pericolo lo avrebbe minacciato in quella città, già ebbra del sangue dei martiri di Gesù. Per conseguenza, essi protestarono contro tale ordine e chiesero che Lutero venisse giudicato in Germania. L’accordo fu raggiunto, e il papa nominò un suo legato perché si occupasse del caso. Nelle direttive impartite dal pontefice, il legato fu avvertito che Lutero era già stato dichiarato eretico, e fu invitato a “procedere e a costringere senza ritardo”. Qualora Lutero fosse rimasto sulle sue posizioni, il legato, se non fosse riuscito a impadronirsi della sua persona, aveva ampia facoltà di “dichiararlo proscritto in ogni parte della Germania e di bandire, maledicendo e scomunicando, chiunque si fosse unito a lui,” Idem, vol. 4, cap. 2. Oltre a ciò il papa suggerì al legato, nell’intento di estirpare la pestilenziale eresia, di scomunicare tutti coloro che, indipendentemente dalla dignità rivestita – eccezione fatta per l’imperatore – si fossero rifiutati di arrestare Lutero e i suoi seguaci, per consegnarli alla vendetta di Roma. In quanto si manifesta il vero spirito del papato. Nessuna traccia di principi cristiani o di comune giustizia si può trovare in tutto il documento.

Lutero abitava molto lontano da Roma e non aveva nessuna possibilità di spiegare o di difendere la sua posizione; eppure, ancor prima che il suo caso fosse preso in esame, egli era stato dichiarato eretico e nello stesso giorno esortato, accusato, giudicato e condannato. Tutto questo per opera del “santo padre”, dell’unica autorità suprema e infallibile nella chiesa e nello stato! Fu allora, quando cioè Lutero sentiva un vivo bisogno di simpatia e di consiglio che Dio nella sua provvidenza mandò a Wittenberg Zelantone, Giovane, modesto, circospetto, dotato di sano discernimento, in possesso di una vasta cultura, ricco di una eloquenza trascinante tutto congiunto con la purezza e la rettitudine del carattere, Zelantone seppe conquistarsi la stima e l’ammirazione generali. La dovizia dei suoi talenti era non meno notevole della bontà del animo. Egli divenne ben presto fervente discepolo del Vangelo e fedele amico di Lutero, oltre che suo valido sostenitore. La sua compitezza, la sua prudenza e il suo tatto, erano il degno completamento del coraggio e dell’energia di Lutero. La loro unione aggiunse vigore alla Riforma e fu per Lutero una fonte di grande incoraggiamento.

Augusta era stata designata come sede dell’incontro. Il riformatore ci mise in cammino, a piedi, per raggiungere detta località. Seri timori si in cammino, a piedi, per raggiungere detta località. Seri timori esistevano per la sua incolumità. Infatti, era stato preso e ucciso durante il viaggio. I suoi amici lo scongiurarono di non affrontare un’avventura così rischiosa, e giunsero perfino a suggerirli di abbandonare Wittenberg per un po’ di tempo e di rifugiarsi presso chi, con gioia, gli avrebbe offerto un asilo sicuro. Egli, però, non intendeva abbandonare il posto assegnatogli da Dio: sentiva di dover serbare fedelmente la verità, nonostante la tempeste che minacciavano di abbattersi su di lui. Diceva: “Io sono come Geremia: uomo di lotta e di contesa; però più aumentano le minacce, più aumenta la mia gioia… Essi hanno distrutto il mio onore e la mia reputazione. Rimane solo questo mio povero corpo. Se lo prendano! Abbrevieranno la mia vita di poche ore. Però, quanto all’anima, essi non possono prenderla.

Chi vuole proclamare al mondo la verità di Cristo, deve aspettarsi la morte a ogni istante” Idem, vol. 4, cap. 4. La notizia dell’arrivo di Lutero ad Augusta riempì di soddisfazione il legato pontificio. Il “turbolento eretico”, che andava suscitando sempre più l’attenzione del mondo, sembrava ora in potere di Roma. Il legato decise di non lasciarselo sfuggire. Il riformatore aveva omesso di munirsi di un salvacondotto, e i suoi amici lo avevano esortato a non presentarsi dinanzi al legato senza tale documento; si erano anzi adoperati per procurargliene uno rilasciato dall’imperatore.

Il legato intendeva costringere Lutero a ritrattare e, qualora non vi fosse riuscito, mandarlo a Roma dove avrebbe condiviso la sorte di Huss e di Gerolamo. Per questo, tramite i suoi agenti, cercava di indurre Lutero a presentarsi a lui senza salvacondotto, affidandosi alla sua misericordia. Il riformatore rifiutò energicamente di aderire a tale richiesta e si presentò all’ambasciatore papale solo dopo aver ricevuto il documento che gli garantiva la protezione dell’imperatore. Con abile mossa politica, i partigiani del papa avevano deciso di conquistare Lutero con un’apparenza di bontà. Il legato, nel colloquio che ebbe con lui, si dimostrò amichevole, però invitò Lutero a sottomettersi implicitamente all’autorità della chiesa e a rinunciare, senza discutere, alle proprie idee. Egli non aveva giustamente valutato il carattere dell’uomo che gli stava dinanzi. Lutero, rispondendo, espresse il proprio rispetto per la chiesa, il proprio desiderio di verità, la propria prontezza a rispondere a tutte le obiezioni relative al proprio insegnamento, e si dichiarò pronto a sotto porre le proprie dottrine alla decisione delle università che andavano per la maggiore.

Però, allo stesso tempo, protestò contro l’invito del cardinale che gli chiedeva di ritrattare, senza dimostrargli in che cosa consistesse il suo orrore. La risposta fu: “Ritratta! Ritratta!”. Il riformatore dimostrò come la sua posizione fosse sostenuta dalle Scritture, e dichiarò con fermezza che non avrebbe mai rinunciato alla verità. Il legato, incapace di ribattere gli argomenti di Lutero, lo investì con un’ondata di rimproveri, di sarcasmi e di lusinghe, inserendo qua e là citazioni tratte dalle tradizioni dei padri e non dando al riformatore alcuna possibilità di parlare. Lutero, visto che la conversione era del tutto inutile, chiese e ottenne, sia pure con riluttanza, di poter rispondere per iscritto. “Così facendo”, egli scrisse a un amico, chi è oppresso ha un duplice vantaggio: primo, quello che è scritto può essere sottoposto al giudizio altrui; secondo, si ha una migliore opportunità di agire sui timori, se non sulla coscienza, di un despota arrogante e verboso che, caso diverso, finirebbe con l’avere il sopravvento col suo linguaggio imperioso” Martyn, The Life and Times of Luther, pp. 271, 272.

Al colloquio successivo, Lutero presentò un’esposizione chiara, concisa e convincente delle proprie idee, accompagnata da numerose e adeguate citazioni bibliche. Dopo averla letta ad alta voce, la consegnò al cardinale che, con un gesto di disprezzo, la mise da una parte che si trattava solo di una massa di parole oziose e di citazioni senza costrutto. A questo punto, Lutero affrontò l’altezzoso prelato sul suo stesso terreno – tradizioni e insegnamenti della chiesa – confutando tutte le sue affermazioni. Quando il legato si rese conto che il ragionamento di Lutero non poteva essere reputato, perdette ogni controllo e furibondo gridò: “Ritratta o ti manderò a Roma per comparire davanti ai giudici incaricati di esaminare il tuo caso! Io scomunicherò te, i tuoi sostenitori e tutti coloro che vorranno spalleggiarti, e li caccerò dalla chiesa!”. Poi, con tono altezzoso e collerico aggiunse: “Ritratta o non tornare mai più” D’Aubigné, vol. 4, cap. 8.
Il riformatore si ritirò, accompagnato dai suoi amici, facendo chiaramente comprendere che da lui non ci si doveva aspettare alcuna ritrattazione. Questo però, non era quello che si era ripromesso il cardinale legato. Egli si era lusingato di riuscire, con la violenza, a indurre Lutero a sottomettersi. Rimasto solo con i suoi collaboratori, li guardò uno per uno, deluso e contrariato dall’inattesa conclusione. Gli sforzi fatti da Lutero in quella occasione non rimasero senza risultato.

I numerosi presenti avevano avuto modo di confrontare i due uomini e di giudicare personalmente lo spirito da essi manifestato, come anche di valutare la forza e la veracità delle rispettive posizioni. Quale contrasto! Il riformatore, semplice, umile, impavido, si presentava sostenuto dalla potenza di Dio, con la verità dalla sua parte. Il rappresentate del papa, pieno di sé, altezzoso, irragionevole, privo di qualsiasi argomento scritturale, gridava: “Ritratta! O sarai mandato a Roma per esservi punito!”. Nonostante Lutero fosse munito di un regolare salvacondotto, i partigiani del papa complottavano di prenderlo e di chiuderlo in carcere. Gli amici del riformatore insistevano che era inutile prolungare il soggiorno, e che era meglio per lui rientrare a Wittenberg senza indugio, dopo aver preso le necessarie precauzioni per tener celati i propri movimenti. Egli, allora, lasciò Augusta prima dell’alba a cavallo, accompagnato solo da una guida fornitagli dal magistrato. Con molti tristi presentimenti, egli percorse in silenzio, per non richiamare l’attenzione dei nemici che vigilanti e crudeli complottavano per la sua eliminazione, le oscure e strette vie della città.

Sarebbe riuscito a sottrarsi alle insidie che lo minacciavano? Furono, quelli, momenti di ansia e di fervida preghiera. Finalmente, egli giunse a una porticina nel muro della città. Gli fu aperta, e una volta fuori i due si affrettarono ad allontanarsi, prima che il legato fosse messo al corrente dell’accaduto. Quando questi seppe della fuga, Lutero e la sua guida erano ormai fuori tiro. Satana e i suoi complici erano stati sconfitti: l’uomo che volevano far prigioniero era partito, sottraendosi, come un uccello, al laccio dell’uccellatore. All’annuncio della scomparsa di Lutero, il legato rimase sorpreso e si abbandonò a un parossismo di collera. Egli sperava di ricevere grani elogi per la saggezza e la fermezza dimostrate nel trattare col disturbatore della chiesa. Purtroppo, invece, e le sue speranze erano state frustate. In una lettera a Federico, elettore di Sassonia, egli manifestò la propria contrarietà, denunciando con acredine Lutero e invitando Federico a mandare il riformatore a Roma, oppure a bandirlo dalla Sassonia.

A sua difesa, Lutero chiese che il legato, oppure il papa, dimostrasse con la Bibbia in che cosa consistevano i suoi errori, e si impegnò solennemente a rinunciare alle proprie dottrine qualora esse fossero risultate in contrasto con la Parola di Dio. Inoltre, egli espresse la propria gratitudine al Signore che lo aveva ritenuto degno di soffrire per una causa così santa. L’elettore possedeva solo una parziale conoscenza delle dottrine del riformatore, ma era rimasto profondamente impressionato dal candore, riformatore, ma era rimasto profondamente impressionato dal candore, dalla forza e dalla chiarezza delle parole di Lutero. Fino a che il riformatore non fosse stato convinto di errore, Federico era deciso a ergersi a suo protettore.

In risposta alla richiesta del legato scrisse: “Poiché il dottor Martino si è presentato ad Augusta, lei dovrebbe esserne soddisfatto. Noi non ci aspettavamo che lei si sarebbe sforzato di indurlo a ritrattare, senza prima averlo convinto dei suoi errori. Nessuno dei dotti del nostro principato mi ha informato che la dottrina di Martino è empia, anticristiana o eretica”. Così, il principe ricusò di mandare Lutero a Roma o di espellerlo dai suoi stati” D’Aubigné, vol. 4, cap. 10. L’elettore aveva notato la generale rilassatezza esistente nel campo della moralità sociale e si era reso conto della necessità di un’opera di riforma. I complicati e dispendiosi provvedimenti presi per reprimere e per punire le azioni illegali sarebbero risultati vani se gli uomini si fossero decisi a riconoscere e a rispettare le esigenze divine e i dettami di una coscienza illuminata. Egli vide che Lutero si adoperava all’attuazione di tale scopo, e segretamente si rallegrava che nella chiesa fosse penetrata e operasse una ventata di miglioramento. Si convinse, inoltre, che Lutero come professore universitario sapeva il fatto suo.

Era trascorso solo un anno da quando il riformatore aveva affisso le tesi sulla porta della chiesa del castello, e già si notava una forte diminuzione del numero di pellegrini che per la festa di Ognissanti visitavano quella chiesa. Roma veniva privata di adoratori e di offerte, il cui posto preso da un’altra categoria di persone: giungevano a Wittenberg non pellegrini che adoravano le reliquie, ma studenti i quali affollavano le aule universitarie. Gli scritti di Lutero avevano acceso dappertutto un nuovo interesse per le Sacre Scritture; e così non solo dalla Germania, ma da altre nazioni gli studenti affluivano a quella università. Dei giovani, arrivando per la prima volta in vista di Wittenberg, “levavano le braccia al cielo e lodavano Iddio che aveva fatto risplendere da quella città, come anticamente da Sion, la luce della verità, luce che doveva estendersi alle più remote regioni” Ibidem.

Intanto Lutero si era solo parzialmente convertito degli errori del Romanesimo. Comunque, confrontando i sacri oracoli con i decreti e le costituzioni papali, rimaneva stupito. “Io leggo” scriveva, “i decreti dei pontefici e… non so se il papa è l’anticristo stesso o il suo apostolo, tanto in essi Cristo viene travisato e crocifisso” Idem, vol. 5, cap. 1. Lutero era tuttora un sostenitore della chiesa romana, e neppure lontanamente immaginava di doversene separare. Gli scritti del riformatore e le sue dottrine si diffondevano in ogni nazione del mondo cristiano. L’opera si propagava in Olanda e in Svizzera. Copie dei suoi scritti finirono in Francia e in Spagna. In Inghilterra, i suoi insegnamenti furono accolti come parole di vita. Anche nel Belgio e in Italia la luce si affermò. A migliaia le persone si scuotevano dal loro sopore mortale e aprivano gli occhi alla gioia e alla speranza di una vita di fede. Roma si preoccupava sempre più degli attacchi di Lutero; e alcuni fanatici avversari del riformatore, come anche dei dottori di università cattoliche, affermarono che chi avesse ucciso il monaco ribelle non avrebbe commesso peccato. Un giorno uno sconosciuto, con una pistola nascosta sotto il mantello, si avvicinò a Lutero e gli chiese perché andasse in giro da solo.

“Io sono nelle mani di Dio”, fu la risposta. “Egli è la mia forza e il mio scudo. Che cosa può farmi l’uomo?” Idem, vol. 6, cap. 2. A queste parole l’uomo impallidì e fuggì come se si fosse trovato in presenza degli angeli del cielo. Roma pensava all’eliminazione di Lutero, ma Dio lo difendeva. Le sue dottrine echeggiavano dappertutto. “nelle case di campagna, nei conventi… nei castelli dei nobili, nelle università e perfino nei palazzi dei re. Da ogni parte, nobiluomini si ergevano a suoi paladini per sostenerlo nei suoi sforzi” Ibidem. Fu intorno a quella epoca che Lutero, leggendo le opere di Huss, seppe che la grande verità della giustificazione per fede, che egli si sforzava di sostenere e di predicare, era già nota al riformatore boemo e da lui proclamata. “Noi siamo tutti: Paolo, Agostino e io stesso, degli ussiti senza saperlo… Certo Dio ricorderà al mondo che tale verità gli è stata predicata un secolo fa ed è stata bruciata” Wylie, vol. 6, cap. 1. In un appello rivolto all’imperatore e alla nobiltà tedesca in favore delle Riforma del cristianesimo, Lutero scrisse, nei confronti del papa: “E’ triste vedere l’uomo che si dice vicario di Cristo fare sfoggio di una pompa che nessun imperatore può uguagliare. E’ egli simile al povero Gesù e all’umile Pietro? Dicono che egli sia il signore del mondo! Ma Cristo, del quale egli si vanta di essere il vicario, ha detto: “Il mio regno non è di questo mondo!”. Possono i domini di un vicario oltrepassare quelli del suo superiore? D’Aubigné vol. 6, cap. 3.

A proposito delle università, egli scrisse: “Io temo molto che se le università non si adoperano diligentemente a spiegare le Sacre Scritture e a imprimerle nel cuore dei giovani, finiranno col diventare le porte dell’inferno. Sconsiglio di metterer i figli dove la Scrittura non ha il primo posto. Ogni istituzione dove non si consulta sempre la Parola di Dio, si corrompe” Ibidem. Questo appello si diffuse rapidamente in tutta la Germania e fece colpo sull’opinione pubblica. L’intera nazione fu scossa, e moltitudini di persone si schierarono sotto il vessillo della Riforma. Gli oppositori di Lutero, assetati di vendetta, insistettero presso il papa perché prendesse misure energiche nei suoi confronti. Fu decretato, allora, che le dottrine luterane venissero immediatamente condannate. Al riformatore e ai suoi seguaci furono concessi sessanta giorni di tempo per ritrattare.

Trascorso tale termine, essi, qualora avessero rifiutato di abiurare, sarebbero stati scomunicati. Per la Riforma si trattava di un periodo particolarmente critico. Per secoli, la scomunica da parte di Roma aveva suscitato il terrore dei monarchi e riempito di sgomento e di desolazione imperi potenti. Coloro sui quali si abbatteva la condanna venivano universalmente guardati con paura e orrore; abbandonati da tutti, erano considerati dei fuorilegge, votati allo sterminio. Lutero non era inconsapevole della tempesta che stava per esplodere su di sé, però rimase saldo, confidando in Cristo, suo sostegno e suo aiuto. “Io non so quello che accadrà, né mi preoccupo di saperlo… Il fulmine si abbatta dove vuole: io non ho paura. Siccome si dice che non cade foglia che Dio non voglia, è certo che Egli avrà cura di noi.

Morire per la Parola è una bella cosa, perché la Parola che si è fatta carne subì anch’essa la morte. Se noi muoiamo con lui, con lui altresì vivremo. Passando là dove Egli è passato prima di noi, ci troveremo là dove Egli è, e vivremo per sempre con lui”, vol. 6, cap. 9, 3° ediz. di Londra, 1840. Quando Lutero ricevette la bolla papale, esclamò: “Io la disprezzo e la combatto perché empia e falsa… Cristo stesso vi è condannato. Io mi rallegro di dover sopportare questi mali per la migliore delle cause. Sento già nel mio cuore una maggiore libertà, perché finalmente so che il papa è l’anticristo e che il suo trono è il trono di Satana” Ibidem. Il documento papale non rimase senza effetto. Il carcere, la tortura e la spada erano armi potenti, capaci di ridurre all’ubbidienza. I deboli e i superstiziosi tremavano dinanzi al decreto papale e molti, pur avendo simpatia per Lutero, stimavano troppo cara la propria vita per esporla a motivo della Riforma. Tutto pareva indicare che l’opera del riformatore stesse per finire. Lutero rimase impavido al suo posto. Roma aveva scagliato contro di lui i suoi anatemi, e il mondo stava a guardare, nella certezza che egli o si sarebbe piegato o sarebbe perito. Invece, contrariamente a ogni previsione, Lutero riuscì a fare in modo che la sentenza di condanna si ritorcesse contro chi l’aveva emessa, e affermò pubblicamente la propria decisione di abbandonare per sempre Roma.

In presenza di una folla di studenti, di dottori e di cittadini di ogni ceto, egli bruciò la bolla papale, le leggi canoniche, le decretali e altri scritti che affermavano l’autorità del papa. “I miei nemici, bruciando i miei libri”, disse, “sono riusciti a offendere la causa della verità e, turbando le menti, a distruggere le anime. Per questo motivo io a mia volta distruggo i loro libri. Ora comincia una grande lotta; finora ho solo scherzato col papa. Ho cominciato questa opera nel nome di Dio ed essa proseguirà anche senza di me, con la sua potenza” Idem, vol. 6, cap. 10. Alle cause dei nemici che sottolineavano la debolezza della sua causa, Lutero rispose: “Chissà se Dio non ha scelto e chiamato proprio me, e se essi, disprezzandomi, non disprezzano Dio stesso? Mosè era solo quando lasciò l’Egitto; solo era Elia al tempo di re Achab; Isaia era solo a Gerusalemme ed Ezechiele solo in Babilonia… Dio non ha mai scelto come profeta il sommo sacerdote o qualche altro grande personaggio. Generalmente Egli ha scelto uomini umili e disprezzati; ha perfino scelto Amos, un mandriano. In ogni tempo i santi hanno dovuto rimproverare i grandi: re, principi, sacerdoti, a rischio della propria vita… Io non dico di essere un profeta, però affermò che essi debbono temere proprio perché mentre io sono solo, essi sono tanti. Di una cosa sono certo: la Parola di Dio è con me e non con loro” Ibidem. Nondimeno, fu solo dopo una tremenda lotta con se stesso che Lutero si decise a separarsi della chiesa. Intorno a quella epoca egli scrisse: “Sento ogni giorno di più quanto sia difficile rinunciare a quegli scrupoli che ci sono stati inculcati nell’infanzia.

Quanto dolore mi ha causato – nonostante avessi le Scritture dalla mia parte – il fatto di dover prendere posizione contro il papa e denunciando come l’anticristo! Quali non sono state le tribolazioni del mio cuore! Quante volte mi sono chiesto, con amarezza, quello che così spesso ritorna sulle labbra dei papisti: “Solo tu sei savio? E’ mai possibile che tutti gli altri si siano sbagliati? Che ne sarebbe di te se dopo tutto risultasse che sei nell’errore e che in questo tuo errore trascini tante anime che, in tal modo, saranno eternamente dannate?”. E’ così che io ho combattuto con me stesso e con Satana fino a che Cristo, con la sua infallibile Parola, non ha fortificato il mio cuore contro questi dubbi” Martyn, Life and Times of Luther, pp. 372,373. Il papa aveva minacciato Lutero di scomunica qualora egli non avesse ritrattato. La minaccia si concretizzò: apparve una bolla che annunciava la definitiva separazione di Lutero dalla chiesa romana e che lo denunciava come maledetto dal cielo. Nella stessa condanna erano inclusi quanti avessero accettato le sue dottrine.

Era cominciata la grande battaglia. L’opposizione è il retaggio di tutti coloro di cui Dio si serve per presentare le verità adatte in modo speciale al loro tempo. Ai giorni di Lutero vi era una verità presente che rivestiva una importanza particolare. Oggi c’è per la chiesa una verità attuale. Colui che fa ogni cosa secondo il beneplacito della sua volontà, si è compiaciuto mettere gli uomini sotto svariate circostanze e affidare loro compiti speciali per il tempo nel quale vivono e per le condizioni in cui si trovano. Se apprezzeranno la luce che è stata loro data, essi vedranno aprirsi dinanzi agli occhi loro più ampie visioni di verità. Purtroppo, però, in generale la verità non è oggi apprezzata più di quanto lo fosse dai partigiani del papa che si opponevano a Lutero. Attualmente, come nel passato, esiste la stesa tendenza ad accettare le teorie e le tradizioni umane al posto della Parola di Dio.

Quanti espongono la verità per il nostro tempo non dovrebbero aspettarsi di essere accolti con maggior favore dei primi riformatori. Il grande conflitto fra la verità e l’errore, fra Cristo e Satana andrà aumentando di intensità via via che si avvicina la conclusione della storia di questo mondo. Gesù disse ai suoi discepoli: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe quel ch’è suo; ma perché non siete del mondo, ma io v’ho scelti di mezzo al mondo, perciò vi odia il mondo. Ricordatevi della parola che v’ho detta: Il servitore non è da più del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra” Giovanni 15:19,20. In un’altra occasione il Maestro disse molto semplicemente: “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro hanno fatto lo stesso coi falsi profeti” Luca 6:26. Lo spirito del mondo non è oggi in armonia con lo Spirito di Cristo più di quanto lo fosse allora. Coloro che predicano la Parola di Dio nella sua purezza, non saranno più favorevolmente accolti ora di quanto lo furono allora. Le forme dell’opposizione alla verità possono cambiare e l’inimicizia può apparire meno aperta, perché più sottile; però lo stesso antagonismo esiste tuttora e si manifesterà sino alla fine dei tempi.

UN CAMPIONE DELLA VERITA’.
Sul trono della Germania era salito un nuovo imperatore, Carlo V. Roma si affrettò a fargli le sue congratulazioni e a chiedere al monarca di agire contro la Riforma. L’elettore di Sassonia, invece, al quale Carlo era molto debitore della corona, esortava l’imperatore a non procedere contro Lutero, fino a che non gli avesse concesso un’udienza. Carlo V si trovò così in grande perplessità e in serio imbarazzo. Mentre i seguaci del papa chiedevano un editto che condannasse a morte Lutero, l’elettore affermava con fermezza che “né la maestà imperiale, né alcuna altra persona aveva dimostrato che gli scritti di Lutero fossero stati reputati”. Perciò egli chiedeva che “il dottor Lutero fosse munito di un salvacondotto che egli permettesse di presentarsi dinanzi a un tribunale di giudici dotti, pii e imparziali” D’Aubigné, vol. 6, cap. 11. L’attenzione di tutti, ora, si volgeva verso il raduno degli stati tedeschi che avrebbe avuto luogo a Worms poco dopo l’ascesa al trono di Carlo V. In quel consiglio nazionale sarebbero stati esaminati importanti problemi di carattere politico.

Per la prima volta i principi tedeschi si sarebbero incontrati col loro giovane monarca in un’assemblea legislativa. Da tutte le parti della Germania convenivano a Worms i dignitari della chiesa e dello stato. Nobili signori potenti, gelosi dei loro diritti ereditari; ecclesiastici di alto lignaggio che facevano sfoggio della loro autorità; cavalieri di corte accompagnati da scorte armate; ambasciatori provenienti da lontane terre straniere: tutti si recavano a Worms. Eppure, in quel grande consesso, l’argomento che suscitava il più profondo interesse era la causa del riformatore sassone. In precedenza, Carlo V aveva suggerito all’elettore di venire alla dieta accompagnato da Lutero, al quale assicurava la sua protezione e una libera discussione con uomini competenti delle questioni, oggetto della disputa. Lutero, a sua volta, era ansioso di comparire davanti all’imperatore.

In quel tempo la sua salute era precaria, nondimeno egli scrisse all’elettore: “Se io non potrò andare a Worms in buone condizioni fisiche, mi ci farò trasportare malato come sono. L’imperatore mi chiama, e io non dubito che tale invito venga da Dio stesso. Se essi intendono usarmi violenza, il che è probabile (in quanto l’ordine di comparizione non mi è stato rimesso perché i miei avversari desiderino accettare i miei insegnamenti), io rimetto ogni cosa nelle mani del Signore. Tuttora vive e tuttora regna Colui che protesse i tre giovani nella fornace ardente. Se Egli non mi dovesse salvare, ebbene: in fondo la mia vita ha ben scarsa importanza. Impediamo che l’Evangelo sia esposto allo scherno degli empi. Spargiamo il sangue, purché essi non trionfino. Non sta’ a me decidere se la mia vita o la mia morte contribuirà alla salvezza di tutti…. Da me potete aspettarvi qualunque cosa salvo la fuga o l’abiura.

Io non posso sottrarmi, né tanto meno ritrattare” Idem, vol. 7, cap. 1. Non appena a Worms si seppe che Lutero sarebbe comparso dinanzi alla dieta, nacque un vivo fermento. Aleandro, il legato papale cui era stato affidato il compito di occuparsi della vertenza, era allarmato e furibondo. Si rendeva conto che l’esito del dibattito sarebbe stato disastroso per la causa papale. Prendere in esame un caso per il quale il papa aveva già emesso una sentenza di condanna, significava mettere in discussione l’autorità del sommo pontefice. Inoltre, egli temeva che gli eloquenti e vigorosi argomenti di Lutero riuscissero a sottrarre non pochi principi al partito del papa. Perciò si afferrò a fare le sue rimostranze a Carlo V, insistendo perché non si facesse venire il riformatore a Worms. Fu intorno a quella epoca che apparve la bolla di scomunica contro Lutero.

Questo fatto, unito alle argomentazioni del legato, indusse l’imperatore a cedere. Egli scrisse all’elettore che Lutero, se non intendeva ritrattarsi, poteva rimanersene a Wittenberg. Non contento di questa vittoria, Aleandro si adoperò con tutte le forze e con tutta l’astuzia di cui era capace, per ottenere la condanna di Lutero. Con una tenacia degna di migliore causa, egli sottopose la cosa all’attenzione dei principi, dei prelati e degli altri esponenti dell’assemblea, accusando il riformatore di “sedizione, ribellione, empietà e bestemmia”. Però la veemenza e la passione di cui dava prova manifestavano in maniera troppo evidente lo spirito che lo animava. “Egli è mosso più dall’odio e dalla sete di vendetta”, fu l’osservazione generale, “che dallo zelo e della pietà” Ibidem. La maggioranza dei componenti la dieta si sentirono più che mai portati a considerare la causa di Lutero con favore. Con raddoppiato zelo, Aleandro ricordò all’imperatore il dovere che questi aveva di eseguire gli editti papali. Però date le vigenti leggi della Germania, ciò non poteva essere fatto senza il consenso dei principi. Carlo, alla fine, cedendo alle insistenze del legato romano, autorizzò Aleandro a sottoporre il caso alla dieta.

“Per il nunzio quello fu un gran giorno. Grande era l’assemblea, e ancora più grande era la causa in esame. Aleandro rappresentava Roma… madre e signora di tutte le chiese”. Egli doveva rivendicare la supremazia di Pietro dinanzi ai maggiori esponenti del mondo cristiano. Aleandro aveva il dono dell’eloquenza, e ancora una volta si dimostrò all’altezza della situazione. La provvidenza volle che Roma, prima di essere condannata, fosse rappresentata e difesa dal suo più abile oratore, alla presenza del tribunale più augusto” Wylie, vol. 6, cap. 4. Con giustificato timore, quanti erano favorevoli al riformatore prevedevano gli effetti del discorso di Aleandro. L’elettore di Sassonia non era presente, ma aveva incaricato alcuni suoi consiglieri di parteciparvi e di prendere appunti su quanto il nunzio avrebbe detto. Con tutta la forza del sapere e dell’eloquenza, Aleandro si dispose ad abbattere la verità. Accusa su accusa fu da lui scagliata contro Lutero, considerato nemico della chiesa e dello stato, dei vivi e dei morti, del clero e dei laici, dei concili e dei singoli cristiani. “Negli errori di Lutero”, egli disse, “ce n’è abbastanza per far bruciare centomila eretici!”.

Concludendo, egli si sforzò di gettare il discredito sugli aderenti alla fede riformata. “Che cosa sono tutti questi luterani? Un gruppo di insolenti pedagoghi, di preti corrotti, di monaci dissoluti, di avvocati ignoranti, di nobili degradati, uniti col popolo comune che essi sono riusciti a sviare e a pervertire. Com’è loro superiore il partito cattolico, sia per numero che per capacità e potenza! Un decreto unanime, da parte di questa illustre assemblea, varrà a illuminare i semplici ad avvertire gli imprudenti, a far decidere tentennati e a fortificare i deboli,” D’Aubigné, vol. 7, cap. 3. In tutti i tempi i difensori della verità sono stati attaccati con le stesse armi. Gli stessi argomenti sono tuttora adoperati contro chi ardisce presentare, in contrasto con gli errori invalsi, i chiari e diretti insegnamenti della Parola di Dio. “Chi sono questi predicatori di nuove dottrine?”, esclamano coloro che desiderano una religione popolare. “Sono privi di cultura, sono numericamente pochi e appartengono alla classe più povera della società. Eppure, pretendono di avere la verità e di essere il popolo eletto di Dio! Essi sono solo degli ignoranti e degli illusi. Come è superiore, per numero e per prestigio, la nostra chiesa! Quanti uomini grandi e dotti ci sono in mezzo a noi! Quanto maggiore è la potenza che sta dalla parte nostra!” Questi sono gli argomenti che fanno presa sul mondo; però essi anche oggi non sono più conclusivi di quanto non lo fossero ai tempi del riformatore.

La Riforma non finì con Lutero, come forse alcuni pensano. Essa deve proseguire sino alla fine della storia del mondo. Lutero aveva una grande opera da compiere: far risplendere sugli altri la luce che Dio aveva fatto brillare su di lui. Egli, però, non ricevette tutta la luce che doveva essere data al mondo. Da allora, e fino ai nostri giorni, nuova luce ha continuato a scaturire dalle Scritture, e nuove verità sono state a mano a mano conosciute. Il discorso del prelato produsse una profonda impressione sulla dieta. Lutero non era presente per affrontare il campione papale con le chiare e convincenti verità tratte dalla Parola di Dio. Nessun tentativo fu fatto per difendere il riformatore, ed era evidente la generale disposizione non solo a condannare Lutero e le sue dottrine, ma anche, se possibile, a sradicare l’eresia. Roma aveva goduto della più favorevole opportunità di difendere la propria causa.

Tutto quello che essa poteva dire a sua difesa era stato detto. Però quella apparente vittoria fu il segnale della sconfitta. Da quel momento crebbe e si andò facendo sempre più netto il contrasto fra verità ed errore. Da quel giorno Roma non sarebbe più stata sicura come lo era stata fino ad allora. Mentre la maggior parte dei membri della dieta non avrebbero esitato a consegnare Lutero alla vendetta di Roma, molti di essi si rendevano conto – e la deploravano – della depravazione esistente nella chiesa, e desideravano la soppressione di quegli abusi che opprimevano il popolo tedesco a causa della corruzione e dell’ingordigia ecclesiastiche. Il legato aveva presentato il governo papale sotto la luce più favorevole. Il Signore, però, si servì, di un membro influente della dieta perché fosse reso noto il vero volto della tirannia papale.

Con nobile fermezza, il duca Giorgio di Sassonia si alzò in quella assemblea di principi, e con una tremenda precisione non esitò a elencare gli inganni e le abominazioni del papato, con i risultati deprimenti che ne derivano. Concludendo disse: “Questi sono alcuni degli abusi che gridano contro Roma. Ogni ritegno è stato abbandonato e il loro unico obiettivo è… denaro, denaro, denaro…, sì che i predicatori che dovrebbero insegnare la verità, altro non predicano che falsità; e non solo sono tollerati, ma vengono addirittura ricompensati, perché maggiori sono le loro menzogne, maggiore è il loro guadagno. È da questa triste sorgente che sgorgano tali acque inquinante.

La corruzione tende la mano all’avarizia… Ahimè, è lo scandalo dato dal clero che spinge tante anime all’eterna dannazione. È necessaria una riforma generale!” Idem, vol. 7, cap. 4.
Lo stesso Lutero non avrebbe potuto fare una più abile ed energica denuncia degli abusi papali. Il fatto, poi, che l’oratore fosse nemico dichiarato di Lutero, dava alle sue parole una forza ancora più grande. Se gli occhi dei presenti fossero stati aperti, avrebbero visto in mezzo a loro gli angeli di Dio gettare raggi di luce per dissipare le tenebre dell’errore e schiudere menti e cuori all’accettazione della verità. La potenza dell’Iddio di verità e di sapienza dominava gli stessi avversari della Riforma, e preparava la via alla grande opera che doveva essere fatta.
Martin Lutero non era presente, però in quel congresso si era fatta udire la voce di Uno più grande di lui. La dieta nominò una commissione incaricata di redigere un elenco delle oppressioni papali che tanto fortemente gravavano sul popolo tedesco. La lista, che conteneva ben cento e una specificazioni, fu presentata all’imperatore, accompagnata dalla richiesta di prendere immediatamente le misure necessarie per la repressione di tali abusi.

“Quanta perdita di anime”, dicevano i compilatori della lista, “quante depredazioni, quante estorsioni in seguito agli scandali che circondano il capo spirituale della cristianità! È nostro dovere impedire sia la rovina che il disonore del nostro popolo. Molto umilmente ma con insistenza imploriamo che si ordini una riforma generale e si vegli sulla sua attuazione “” Ibidem. Il concilio, allora, chiese che il riformatore fosse convocato dinanzi all’assemblea.
Nonostante l’opposizione, le proteste e le minacce di Aleandro, l’imperatore finì con l’accondiscendere alla richiesta, e Lutero venne invitato a presentarsi alla dieta. L’invito era accompagnato da un salvacondotto che gli garantiva il ritorno in piena sicurezza.

Invito e salvacondotto furono recati a Wittenberg da un araldo incaricato di accompagnare Lutero a Worms. Gli amici di Lutero erano terrificati e sgomenti. Consapevoli dei pregiudizi e dell’inimicizia di cui il riformatore era l’oggetto, temevano la violazione del salvacondotto ed esortavano Lutero a non mettere a repentaglio la sua vita. Egli rispose: “I papisti desiderano non tanto la mia andata a Worms quanto la mia condanna e la mia morte. Questo, però, non ha molta importanza. Perciò, pregate non per me, ma per la Parola di Dio… Che Cristo mi dia il suo Spirito per vincere i ministri dell’errore. Io li ho disprezzati in vita e ne trionferò con la mia morte. Essi, a Worms, si adoperano per indurmi all’abiura; ebbene, questa sarà la mia ritrattazione: prima dicevo che il papa era il vicario di Cristo; ora affermo che egli è l’avversario del nostro Signore e l’apostolo del diavolo! “” Idem, vol. 7, cap. 6.

Lutero non fece quel pericoloso viaggio da solo. Oltre al messaggero imperiale, vi erano con lui tre amici fedeli. Anche -Melantone- avrebbe voluto unirsi a loro, perché il suo cuore era legato a quello di Lutero e intendeva seguire l’amico, condividendone, se necessario, il carcere e la morte. Però la sua proposta fu respinta. Se Lutero fosse morto, le speranze della riforma avrebbero dovuto accentrarsi sul giovane collaboratore. Prima di partire per Worms, Lutero disse a Melantone: “Se io non dovessi ritornare, continua a insegnare e rimani saldo nella fede.
Lavora al mio posto… Se tu sopravvivi, la mia morte avrà poca conseguenza” Idem, vol. 7, cap. 7. Studenti e cittadini, riunitisi per assistere alla partenza di Lutero, erano profondamente commossi. La moltitudine di quanti erano stati toccati dal Vangelo, che è la Parola di Dio, lo salutò con lagrime. Fu così che il riformatore e i suoi compagni lasciarono Wittenberg.
Lungo il viaggio essi ebbero modo di notare come la gente fosse pervasa da tristi presentimenti.

In certe località non furono oggetto di alcune attenzione. Fermatisi in una cittadina per trascorrervi la notte, un prete amico espresse i propri timori mettendo sotto gli occhi di Lutero il ritratto di un riformatore italiano che aveva subìto il martirio. L’indomani seppero che a Worms erano stati condannati gli scritti di Lutero. Messaggeri imperiali andavano attorno proclamando il decreto dell’imperatore che invitava la gente a consegnare ai magistrati le opere incriminate. L’araldo, temendo per la sicurezza di Lutero e pensando che la sua risolutezza fosse scossa, gli chiese se intendeva ancora proseguire il viaggio. La risposta fu: “Sebbene io sia interdetto in ogni città, andrò ugualmente avanti” Ibidem.

A Erfurt, Lutero venne accolto con onori. Circondato da una folla ammirata, percorse le vie che anni prima aveva calcato col suo sacco di frate mendicante. Visitò la sua cella nel convento e rievocò le lotte attraverso le quali la luce che aveva illuminato la sua anima si era propagata per tutta la Germania. Fu invitato a predicare. La cosa gli era stata vietata, ma l’araldo glielo permise, ed egli poté cosi salire sul pulpito. Dinanzi a un folto pubblico, il riformatore parlò sulle parole di Gesù: “Pace a voi!”. “Filosofi, dottori e scrittori”, disse, “si sono affaticati per indicare agli uomini la via eterna: ma non vi sono riusciti. Io, ora, vi dirò… Dio ha risuscitato dai morti un uomo, il Signore Gesù Cristo, affinché Egli distruggesse la morte, estirpasse il peccato e chiudesse le porte dell’inferno. Questa è l’opera della salvezza… Cristo ha vinto: ecco il lieto annuncio. Voi siete salvati, non per le vostre opere, ma per la sua opera… Il nostro Signore ha detto: “Pace a voi. Guardate le mie mani!”. Ciò significa: “Uomo, guarda: sono io, io solo che ho tolto via il tuo peccato e ti ho riscattato. Ora tu hai la pace”. Questo dice il Signore”.

Proseguì dimostrando che la vera fede è manifestata da una vita santa. “Poiché Dio ci ha salvati, facciamo in modo che le nostre opere gli siano accettate. Sei ricco? Che il tuo servizio sia accetto al ricco. Se il tuo lavoro è utile solo a te, il servizio che pretendi offrire a Dio è pura menzogna” Ibidem. La gente ascoltava a bocca aperta. Il pane della vita era spezzato a quelle anime affamate, dinanzi alle quali Cristo veniva innalzato al di sopra dei papi, dei legati, degli imperatori e dei re. Lutero non fece parola della sua pericolosa situazione, né cercò di richiamare su di sé il pensiero e la simpatia degli altri. Nella contemplazione di Cristo, egli aveva perduto di vista il proprio io. Nascondendosi dietro l’Uomo del Calvario, si sforzava di presentare Gesù, il Redentore dei peccatori. Via via che Lutero proseguiva il suo viaggio, notava il crescente interesse delle popolazioni.

Le moltitudini lo circondavano, e voci amiche lo avvertivano circa gli scopi dei papisti. “Essi ti bruceranno”; dicevano alcuni, “e ridurranno il tuo corpo in cenere, come fecero con Giovanni Huss”. Lutero rispondeva: “Se anche accendessero un fuoco da Worms a Wittenberg, fuoco le cui fiamme giungessero fino al cielo, io lo attraverserei nel nome del Signore, per presentarmi dinanzi a loro, entrare nella fauci di questo behemot (animale mostruoso. N. d. T.); spezzargli i denti, confessando il Signore Gesù Cristo” Ibidem. La notizia del suo approssimarsi a Worms provocò un vivo fermento. Gli amici temevano per la sua incolumità, mentre i nemici temevano per la riuscita della loro causa.

Furono fatti strenui sforzi per dissuaderlo di entrare nella città. Su istigazione dei papisti, gli fu consigliato di rifugiarsi nel castello di un cavaliere amico dove, gli si diceva, tutte le difficoltà sarebbero state amichevolmente appianate. Gli amici cercavano di alimentare i suoi timori, descrivendo i pericoli, che lo minacciavano. Ogni sforzo, però, fu vano: Lutero fu incrollabile, e dichiarò: “Se a Worms ci fossero tanti diavoli sono i tegoli su tetti delle case, io vi entrerei” Ibidem. Al suo arrivo a Worms, una gran folla si accalcò alle porte della città per dargli il benvenuto. Simile concorso di popolo non si era visto neppure in occasione dell’omaggio tributato allo stesso imperatore. Intensa era l’agitazione.

Di mezzo alla folla saliva una voce lamentosa che cantava un inno funebre, quasi volesse avvertire Lutero della sorte che lo aspettava. “Dio sarà la mia difesa”, egli disse mentre scendeva dalla carrozza che lo aveva trasportato fin là. I papisti non credevano che Lutero si sarebbe avventurato a presentarsi a Worms, e perciò il suo arrivo li riempì di costernazione. L’imperatore chiese ai propri consiglieri quale linea di condotta gli convenisse seguire. Uno dei vescovi – un rigido seguace del papa – dichiarò: << Ci siamo a lungo consultati su questo argomento: che sia maestà imperiale si sbarazzi subito di questo uomo. Sigismondo non fece bruciare Giovanni Huss?

Noi non siamo tenuti a dire o a rispettare il salvacondotto di un eretico >>. << No! >> rispose l’imperatore; << noi dobbiamo mantenere la parola data >> Idem, vol. 7, cap. 8. Fu così deciso che il riformatore fosse ascoltato. Tutta la città era ansiosa di vedere quello uomo notevole, e ben presto una vera processione di visitatori si avviò verso il luogo dove egli alloggiava.
Lutero si era appena ristabilito dalla precedente malattia, era stanco di un viaggio faticoso durato due settimane, e doveva prepararsi per affrontare, l’indomani, gli eventi decisivi della sua vita. Aveva perciò bisogno di quiete e di riposo. Però così grande era il desiderio della folla di vederlo che egli, dopo poche ore di riposo, si vide costretto ad accogliere quanti venivano a lui:
nobili, cavalieri, sacerdoti, cittadini. Fra questi vi erano molti membri della nobiltà i quali avevano chiesto all’imperatore una riforma degli abusi ecclesiastici e che, come dice Lutero “erano stati liberati dal mio Evangelo” Martyn, Life and Times of Luther, p. 393. Nemici e amici venivano a vedere l’indomabile monaco, ed egli accoglieva tutti e a tutti rispondeva con dignità e saggezza. Il suo comportamento emanava fermezza e coraggio.

Il suo volto lido, magro, segnato dalla fatica e dalla malattia, aveva sempre un’espressione lieta e gentile. La solennità e la sincerità delle sue parole gli davano una forza che gli stessi nemici erano incapaci di sostenere. Amici e avversari erano stupiti. Alcuni si convincevano che egli era sostenuto da una forza divina, mentre altri – come farisei con Gesù – dicevano: “Egli ha il demonio!”. L’indomani, Lutero fu invitato a presentarsi dinanzi alla dieta. Un ufficiale imperiale ebbe l’incarico di scortarlo fino alla sala di udienza. Non fu un compito facile raggiungerla, perché ogni strada era gremita di persone che volevano vedere il monaco che aveva osato resistere all’autorità del papa. Al momento di comparire dinanzi ai giudici, un vecchio generale, eroe di molte battaglie, gli disse con bontà: “Povero monaco, povero tu stai per occupare una posizione molto più nobile di quella che io o qualsiasi altro comandante abbia mai occupato nelle più sanguinose battaglie. Se la tua casa è giusta e tu ne sei convinto, vai avanti nel nome di Dio e non aver paura di nulla. Dio non ti abbandonerà” D’Aubigné, vol. 7, cap. 8.

Finalmente Lutero si trovò alla presenza del concilio. L’imperatore era seduto sul trono, circondato dai più illustri personaggi dell’impero. Mai un uomo si era trovato al cospetto di un’assemblea più imponente di quella dinanzi alla quale Lutero era chiamato a rispondere della fede. “Questa sua comparizione era, di per se stessa, una vittoria segnalata sul papato. Il papa aveva condannato quello uomo: ed ecco che egli si trovava ora di fronte a un tribunale che, per questo stesso atto, si metteva al di sopra del papa. Il papa l’aveva scomunicato e bandito dalla società, ma le autorità si rivolgevano a lui con un linguaggio rispettoso e lo ricevevano davanti alla più augusta assemblea del mondo. Il papa l’aveva condannato a perpetuo silenzio: ed ecco che invece Lutero stava per parlare al cospetto di migliaia di attenti ascoltatori convenuti dalle più remote parti del mondo cristiano. Per mezzo di quel riformatore si stava verificando un’immensa rivoluzione. Roma già cominciava a scendere dal suo trono, e questa sua umiliazione era stata provocata dalla voce di un monaco” Ibidem.

Dinanzi a quella potente assemblea, il riformatore, di umili origini, sembrava imbarazzato e sgomento. Vari principi, notando la sua emozione, gli si accostarono, e uno di essi gli sussurrò: “Non temere coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccider l’anima!”. Un altro disse: “E sarete menati davanti a governatori e re per cagione mia nel mio nome, lo Spirito del Padre vostro vi suggerirà quello che dovete dire”. Così le parole di Cristo erano ricordate dai più grandi uomini del mondo, per fortificare il suo servo nell’ora della prova. Lutero fu accompagnato al posto assegnatoli, proprio di fronte al trono dell’imperatore. Un profondo silenzio si fece in quella augusta assemblea. Un ufficiale imperiale si alzò e, additando una raccolta di scritti del riformatore, chiese che questi rispondesse a due domande: se egli, cioè, li riconoscesse per suoi e se fosse disposto a ritrattare le opinioni espresse in essi.

Essendo stati letti i titoli, Lutero rispose che li riconosceva per suoi. “Quando alla seconda domanda”, egli disse, “dato che si tratta di cosa che riguarda la fede e la salvezza delle anime e coinvolge il tesoro più prezioso del cielo e della terra, cioè la Parola di Dio, io non vorrei agire con imprudenza, il che avverrebbe se io rispondessi senza riflettere. Potrei affermare meno di quello che le circostanze esigono o più di quello che la verità richiede. In tal modo io peccherei contro le parole di Cristo: “Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” Matteo 10:33. Per questa ragione, io chiedo in tutta umiltà alla Maestà vostra che mi sia dato il tempo per rispondere senza recare offesa alla Parola di Dio” D’Aubigné, vol. 7, cap. 8. Formulando questa richiesta, Lutero agiva con molta saggezza.

Questo suo comportamento, infatti, convinse i presenti che egli non agiva spinto dall’impulso o dalla passione. Tanta calma e tanta padronanza di sé, inattesi in chi si era dimostrato ardito oltre che deciso a non addivenire a compromessi di sorta, accresceva la sua forza e lo metteva in condizione di rispondere con una prudenza, una decisione, una saggezza e una dignità tali da sorprendere o contrariare gli avversari i quali si vedevano puniti della loro insolenza e del loro orgoglio. Il giorno seguente egli doveva presentarsi per dare la risposta. Per un momento sentì il suo cuore venir meno, passando alle forze coalizzate contro la verità. La sua fede ebbe un attimo di titubanza: timore e tremore lo invasero, e si sentì come sopraffatto dall’orrore.

I pericoli andavano moltiplicandosi intorno a lui; pareva che i nemici stessero per trionfare, e sembrava che le potenze delle tenebre dovessero avere il sopravvento. Le nubi si addensavano sul suo capo, separandosi da Dio, ed egli bramava avere la certezza che il Signore degli eserciti sarebbe stato con lui. Con angoscia di spirito si gettò con la faccia per terra e si abbandonò a quei gridi strazianti e desolati che solo Dio può comprendere pienamente. << Onnipotente ed eterno Iddio >>, imploro, << come è terribile questo mondo! Ecco, esso apre la sua bocca per inghiottirmi e io ho così poca fiducia in te … Se io ripongo la mia fiducia nella forza terrena, tutto è finito… La mia ultima ora è giunta; la mia condanna è stata pronunciata… Dio mio, aiutami contro la sapienza umana!

Fallo… Tu solo… Perché questa non è opera mia: è l’opera tua. Io non posso fare nulla per controbattere i grandi del mondo… Ma la causa è tua… ed è una causa giusta ed eterna. Signore, aiutami! Fedele e immutabile Dio, io non ripongo la mia fiducia in nessun uomo… Tutto ciò che è umano è incerto: tutto quello che procede dall’uomo viene meno… Tu mi hai scelto per questa opera… sii al mio fianco, per amore del tuo diletto figliuolo Gesù Cristo, che è la mia difesa, il mio scudo e il mio alto rifugio. Amen! >> Ibidem. Una lungimirante provvidenza di Dio aveva permesso che Lutero si rendesse conto del rischio e non confidasse nelle proprie forze, correndo, così, presuntuosamente incontro al pericolo.

Nondimeno, non era il timore delle sofferenze personali, della tortura e della morte che lo riempiva di terrore: era giunta della crisi, ed egli sentiva la propria incapacità di affrontarla. A motivo della sua debolezza, la causa della verità poteva subire un rovescio. Perciò egli lottava con Dio, non per la propria salvezza, bensì per il trionfo del Vangelo. L’angoscia e il tormento della sua anima erano paragonabili a quelli provati da Giacobbe, Lutero prevalse. Conscio della propria impotenza, egli si aggrappò a Cristo, suo potente liberatore, e si sentì fortificato dalla certezza che non sarebbe stato solo dinanzi al concilio. La pace scese nella sua anima ed egli si rallegrò di avere il privilegio di tenere alta la Parola di Dio dinanzi ai capi della nazione. Con la mente ancorata in Dio, Lutero si accinse ad affrontare l’imminente cimento. Elaborò la sua risposta, esaminò alcuni passi dei suoi scritti, e attinse dalle Sacre Scritture valide prove a sostegno delle sue posizioni. Poi, posando la mano sinistra sul sacro Libro aperto dinanzi a sé, levò la destra verso il cielo e fece voto <<di rimanere fedele alle Sacre Scritture e di confessare apertamente la propria fede, anche se con questo avesse dovuto suggellare la sua testimonianza col sangue >> Ibidem. Quando egli fu nuovamente introdotto alla presenza della dieta, il suo volto non recava traccia di timore o di imbarazzo. Calmo e tranquillo, con portamento nobile e dignitoso, egli si levò

come testimone di Dio in mezzo ai grandi della terra. L’ufficiale imperiale gli chiese quale fosse la sua decisione, e cioè se intendeva ritrattare le sue dottrine. Lutero rispose in tono umile e semplice, del tutto scevro da violenza o da passione. Il suo contegno era rispettoso e deferente e ispirava tale fiducia e tale gioia che tutti ne furono sorpresi. “Serenissimo imperatore, augusti principi, graziosi signori”, esordì. “Mi ripresento oggi dinanzi a voi in conformità all’ordine datomi ieri e, per la misericordia di Dio, scongiuro la Maestà vostra e le vostre auguste grandezze di voler ascoltare con la dovuta benevolenza la difesa di una causa che, ne sono certo, è giusta e vera. Se per ignoranza io dovessi venir meno agli usi e alle esigenze delle corti, vi prego di volermi perdonare perché io non sono stato allevato nei palazzi dei re, ma nella oscurità di un convento” Ibidem.

Venendo alla domanda rivoltagli, egli affermò che le opere da lui pubblicate non erano tutte dello stesso carattere. In alcune di esse egli aveva trattato della fede e delle buone opere, e perfino i suoi avversari non le ritenevano nocive, anzi utili. Ritrattarle significava condannare quelle verità che tutti confessavano. Il secondo gruppo consisteva in scritti che esponevano la corruzione e gli abusi del papato. Revocarli voleva dire rafforzare la tirannia di Roma e spalancare le porte a molte empietà. Nel terzo gruppo dei suoi libri, egli aveva attaccato individui colpevoli i avere difeso dei mali evidenti. Circa queste opere, egli francamente confessò di essere stato più violento del dovuto. Non pretendeva di essere senza colpe, però anche quei libri non potevano essere ripudiati perché, se lo avesse fatto, i nemici della verità si sarebbero imbaldanziti e avrebbero avuto così l’occasione di opprimere con maggiore crudeltà il popolo di Dio. “Ad ogni modo, io non sono Dio: sono un semplice uomo”, proseguì, perciò mi difenderò come fece il Cristo: “Se ho mal parlato, testimoniate del male”…

Per la misericordia di Dio io vi scongiuro, serenissimo imperatore e illustrissimi principi, uomini di ogni ceto, di provarmi con gli scritti dei profeti e degli apostoli in che cosa ho sbagliato. Non appena sarò convinto di questo, ritratterò ogni errore e sarò il primo a prendere i miei libri e a gettarli nel fuoco”. “Quello che ho detto mostra chiaramente, spero, che ho valutato e considerato accuratamente i pericoli ai quali mi espongo; però, lungi dall’essere allarmato, mi rallegro nel costare che l’Evangelo é tuttora, come sempre lo è stato nei secoli, causa di turbamento e di dissenso. D’altra parte, è questo il destino della Parola di Dio. Gesù lo ha detto: “Io non sono venuto a mettere la pace, ma la spada”.

Dio è sublime e tremendo nei suoi consigli; perciò guardatevi che, nell’intento di eliminare le discussioni, non finiate col perseguitare la Parola di Dio e con l’attirare su voi un diluvio di insormontabili pericoli, di disastri presenti e di desolazioni eterne… Potrei citare numerosi esempi tratti dagli oracoli di Dio, parlare dei faraoni d’Egitto, dei re di Babilonia e d’Israele, le cui opere contribuirono largamente alla loro distruzione quando, ricorrendo a consigli in apparenza saggi, cercarono di rafforzare il proprio dominio. “Dio rimuove le montagne, ed essi-non lo sanno” Ibidem. Lutero aveva parlato in tedesco; invitato a ripetere le stesse parole in latino. Sebbene egli fosse esausto per lo sforzo sostenuto, pure accondiscese alla richiesta e ripeté il discorso con la stessa chiarezza e la stessa energia di prima.

Anche in questo si manifestò la provvidenza di Dio. Le menti di molti principi erano talmente accecate dall’errore e dalla superstizione, che durante il primo discorso non erano riuscite ad afferrare tutta la forza dell’argomentazione di Lutero. Ma durante la ripetizione del discorso in latino, essi riconobbero la chiarezza dei punti presentati. Quanti ostinatamente avevano chiuso gli occhi alla luce ed erano decisi a non lasciarsi convincere dalla verità, erano furibondi a motivo della potente parola di Lutero. Quando egli ebbe finito, il portavoce della dieta disse con voce irata: “Tu non hai risposto alla domanda che ti è stata fatta… Sei invitato, perciò, a dare una risposta chiara e precisa… Ritratti, sì o no?”. Lutero rispose: “Siccome sua Maestà serenissima e le auguste autorità richiedono da me una risposta chiara, semplice e precisa, io la darò ed è questa: io non posso sottomettere la mia fede né al papa, né ai concili, perché è chiaro come la luce che essi si sono spesso sbagliati e contraddetti. Perciò, a meno che io non venga convinto mediante la testimonianza della Scrittura o dal più chiaro ragionamento, e che non sia persuaso mediante i passi da me citati, si che la mia coscienza venga in tal modo legata dalla Parola di Dio, io non posso, né voglio ritrattare, perché per un cristiano è cosa pericolosa parlare contro la propria coscienza.

Questa è la mia posizione. Non posso altrimenti. Che Dio mi aiuti. Amen” Ibidem. Quell’uomo giusto si appoggiava sul sicuro fondamento della Parola di Dio. Il suo volto era illuminato da una luce celeste, e la grandezza e la purezza del suo carattere, la pace e la gioia del suo cuore erano manifeste a tutti, mentre egli parlava contro la potenza dell’errore e testimoniava di quella fede che vince il mondo. Per alcuni istanti l’intera assemblea rimase muta di meraviglia. La prima volta che si era presentato alla dieta, Lutero aveva parlato con voce bassa, con atteggiamento rispettoso, quasi sottomesso. I papisti avevano interpretato la cosa come un’indicazione che il suo coraggio veniva meno, e ritenevano che la sua richiesta di una dilazione fosse il preludio dell’abiura. Carlo V stesso, notando quasi con sprezzo l’aspetto sofferente del frate, il suo abbigliamento modesto, la semplicità del suo linguaggio, aveva detto: “Questo monaco non farà mai di me un eretico!”. Il coraggio e la fermezza di cui ora Lutero dava prova, uniti alla forza e alla chiarezza del suo ragionamento, sorpresero tutti.

L’imperatore, ammirato, esclamò: Questo monaco parla con cuore intrepido e con coraggio incrollabile”. Molti principi tedeschi osservavano con gioia mista a orgoglio questo rappresentante della loro nazione. I sostenitori di Roma erano sconfitti in quanto la loro causa appariva sotto una luce sfavorevole. Essi cercarono di conservare il loro potere non già ricorrendo alle Scritture, ma servendosi delle minacce, che sono l’immancabile argomento di Roma. Il portavoce della dieta disse: se non ritratti, l’imperatore e i principi si consulteranno circa la condotta da tenere nei confronti di un eretico incorreggibile”. Gli amici di Lutero, che avevano ascoltato con gioia la sua nobile difesa, tremarono a queste parole; ma il riformatore stesso replicò con calma: “Che Dio mi aiuti, perché io non posso ritrattare nulla” Ibidem. Egli fu invitato a ritirarsi, mentre i principi si consultavano. Ognuno si rendeva conto di essere arrivato a un punto critico. Il persistente rifiuto di Lutero a sottomettersi poteva influire per secoli sulla storia della chiesa. Fu deciso di dargli un’altra opportunità per ritrattarle.

Per l’ultima volta Lutero fu chiamato dinanzi all’assemblea, e di nuovo gli fu domandato se intendeva rinunciare alle sue dottrine. La sua risposta fu: “Io non ho altra risposta se non quella che ho già data”. Era le promesse, né con le minacce. Gli esponenti di Roma erano oltremodo contrariati nel vedere la loro autorità che aveva fatto tremare i re e i nobili, schernita da un umile Lutero, resosi conto del pericolo che lo minacciava, aveva parlato con dignità e calma cristiane. Le sue parole erano state scevre da orgoglio, da passione e da infingimenti. Perdendo di vista se stesso e i grandi che lo circondavano, egli si era sentito alla presenza di Colui che è infinitamente superiore a papi, a prelati, a re a imperatori.

Attraverso la sua testimonianza aveva parlato Cristo, con una potenza e un’elevatezza tali che, almeno sul momento, avevano sorpreso e sgomentato amici e nemici. Lo Spirito di Dio era stato presente a quel concilio, provocando una profonda impressione nei cuori dei capi dell’impero. Vari principi riconobbero la giustizia della causa di Lutero: molti furono convinti della verità; ma per alcuni, invece, l’impressione riportata fu di breve durata. Ci fu anche un altro gruppo di persone che non espressero subito le proprie convinzioni ma che, in un secondo tempo, dopo un attento esame delle Scritture, divennero intrepidi sostenitori della Riforma. L’elettore Federico, che aveva atteso con ansia l’apparizione di Lutero dinanzi alla dieta, aveva ascoltato con viva emozione il discorso di questi e, con gioia mista a orgoglio, era stato spettatore del coraggio, della franchezza e della padronanza di sé dimostrati dal giovane dottore, per cui decisi di schierarsi dalla sua parte. Egli contrastò i partiti contrari, consapevole che la sapienza dei papi, dei re e dei prelati era stata sconfitta dalla potenza della verità. Il papato aveva subìto una disfatta che si sarebbe fatta sentire in tutte le nazioni e in tutti i secoli futuri.

Quando il legato si rese conto dell’effetto prodotto dal discorso di Lutero, temette come mai prima per la sicurezza del potere romano, e decise di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per abbattere il riformatore. Con l’eloquenza e l’abilità diplomatica che lo distinguevano, egli spiegò al giovane imperatore la follia e il pericolo di sacrificare, per la causa di un frate insignificante, l’amicizia e il sostegno della potente sede romana. Le sue parole sortirono l’effetto desiderato. L’indomani del discorso di Lutero, Carlo V fece leggere in piena diéta un messaggio nel quale egli annunciava ufficialmente la sua determinazione di seguire la politica dei suoi predecessori, mantenendo e proteggendo la religione cattolica romana. Avendo Lutero rifiutato di ripudiare i propri errori, le misure più drastiche dovevano essere prese contro di lui e contro la sue eresie. << Un frate, sviato dalla propria follia, si è levato contro la fede della cristianità. Per estirpare questa eresia io sono pronto a sacrificare i miei regni, i miei tesori, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue, la mia anima, la mia vita. Nel rimandare l’agostiniano Lutero, gli proibisco di provocare nelle masse il benché minimo disordine. Procederò contro di lui e contro i suoi aderenti, considerandoli eretici contumaci, avvalendomi della scomunica, dell’interdetto e di ogni altro mezzo che serva a distruggerli.

Invito i membri degli stati a comportarsi da fedeli cristiani >>
Idem, vol. 7, cap. 9. L’imperatore, comunque, dichiarò che il salvacondotto di Lutero sarebbe stato rispettato, e che prima di procedere contro di lui, si doveva dare a questi la possibilità di rientrare sano e salvo nella sua residenza. A questo punto i membri della dieta espressero due pareri discordi: i rappresentanti del papa chiedevano che il salvacondotto del riformatore non fosse rispettato. “Il Reno”, dicevano, “deve accogliere le sue ceneri, come un secolo fa accolse quelle di Huss” Ibidem. I principi della Germania, invece, sebbene fossero in favore del pontefice e nemici dichiarati di Lutero, protestarono contro tale idea, ritenendola una macchia per l’onore della nazione. Ricordando le calamità che erano seguite alla morte di Huss, e dissero che non osavano richiamare sulla Germania e sul capo del loro giovane imperatore la ripetizione di quei terribili mali. Lo stesso Carlo ebbe a dire: “Anche se l’onore e la fede fossero banditi da tutto il mondo, dovrebbero trovare sempre un ricetto nel cuore dei principi” Ibidem. I più accaniti avversari di Lutero insistettero ancora perché Carlo si comportasse, verso di lui, come si era comportato Sigismondo con Giovanni Huss: abbandonarlo alla mercé della chiesa.

L’imperatore, allora, rievocando la scena nella quale Huss dinanzi alla pubblica assemblea aveva additato le catene che lo imprigionavano e ricordato al monarca la promessa da lui fatta e violata, affermò: “Io non voglio arrossire come Sigismondo!” Lenfant, History of the Council of Constance, vol. 1, p. 422. Carlo V aveva deliberatamente respinto la verità esposta da Lutero. “Io sono fermamente deciso a imitare l’esempio dei miei antenati”, scrisse il monarca. D’Aubigné, vol. 7, cap. 9. Egli non intendeva abbandonare il sentiero della consuetudine, neppure per calcare la via della verità e della giustizia. Come i suoi padri, egli intendeva sostenere il papato con tutta la sua crudeltà e corruzione. Avendo preso questa decisione, egli rifiutò di accettare la luce che i suoi padri non avevano ricevuta o di sottomettersi a dei doveri che essi non avevano compiuto.

Anche ai nostri giorni sono molti coloro che come lui rimangono ancorati alle abitudini e alle tradizioni dei padri. Quando il Signore manda loro nuova luce, essa la respingono perché i loro padri, non avendola conosciuta, ovviamente non l’hanno accettata. Dato però che noi non viviamo più ai tempi dei nostri padri, è chiaro che i nostri doveri e le nostre responsabilità non sono gli stessi dei loro. Noi non potremo ricevere l’approvazione di Dio se ci atteniamo all’esempio dei nostri padri per decidere circa il nostro dovere, anziché studiare personalmente la Parola di verità. La nostra responsabilità è maggiore di quella che avevano i nostri giorni antenati. La nostra è una duplice responsabilità: verso la luce che essi ci hanno trasmesso e verso la luce ulteriore che mediante la Parola di Dio è giunta fino a noi. Gesù disse dei giudei increduli: “Se io non fossi venuto, e non avessi loro parlato, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa alcuna del loro peccato” Giovanni 15:22 (D). Questa stessa parola divina aveva parlato per mezzo di Lutero all’imperatore e ai principi della Germania. Mentre la luce si sprigionava dalla Parola di Dio, lo Spirito Santo, forse per l’ultima volta, rivolgeva un diretto appello a molti presenti in quella assemblea.

Come Pilato, che molti secoli prima aveva permesso all’orgoglio e all’ambizione di chiudergli il cuore parole del Redentore del mondo; come Felice che tremando aveva detto al messaggero di verità: “Al presente vattene; ma un’altra volta… io ti manderò a chiamare” Atti 24:25; come Agrippa, che aveva detto: “Per poco non mi persuadi a diventar cristiano” Atti 26:28, e si era distolto dal messaggio del cielo, così Carlo V, cedendo ai suggerimenti della politica e del rispetto umano, aveva deciso di respingere la luce della verità. La notizia che drastiche misure sarebbero state prese nei confronti di Lutero, provocò un vivo fermento in tutta la città. Il riformatore si era fatti molti amici che, ben sapendo di quali crudeltà era capace Roma verso chi ardiva smascherare la sua corruzione, decisero di adoperarsi perché egli non venisse sacrificato.

Centinaia di nobili si impegnarono a proteggerlo, e non pochi furono coloro che denunciarono il messaggio imperiale in quanto esso rivelava una supina sottomissione al potere romano. Sulle porte delle case e nei luoghi pubblici apparvero delle scritte per e contro Lutero. Una riportava le parole del Sapiente: “Guai a te, o paese il cui re è un fanciullo!” Ecclesiaste 10:16. L’entusiasmo popolare in favore di Lutero, propagatosi in tutta la Germania, convinse Carlo, e la dieta che qualsiasi atto di ingiustizia nei confronti del riformatore avrebbe messo in pericolo non solo la pace dell’impero, ma addirittura la stabilità del trono. Federico di Sassonia, intanto, manteneva una studiata riservatezza, celando con massima cura i suoi reali sentimenti verso Lutero; ma seguiva con incessante vigilanza i suoi movimenti e quelli dei suoi nemici.

Non mancavano, però, quelli che senza timore manifestavano la loro simpatia per il monaco di Wittenberg, che riceveva visite di principi, conti, baroni e persone di alto lignaggio, sia laici che ecclesiastici. “La piccola stanza del dottore”, scriveva Spalatino, “è insufficiente ad accogliere tutti quelli che vanno a trovarlo” Martyn, vol. 1, p. 404. La gente lo considerava quasi sovraumano, e perfino quanti avversavano le sue dottrine non potevano fare a meno di ammirare la sua scrupolosa integrità ce lo spingeva e sfidare la morte piuttosto che andare contro i dettami della propria coscienza. Reiterati tentativi furono fatti per indurre Lutero a un compromesso con Roma. Nobili e principi gli fecero capire che se egli persisteva nell’attenersi al proprio giudizio anziché a quello della chiesa e dei concili, sarebbe stato bandito dall’impero e avrebbe finito col trovarsi senza difesa. A questo avvertimento egli rispose: “L’Evangelo di Cristo non può essere predicato senza pericolo…

Perché, allora, il timore delle conseguenze dovrebbe separarmi dal Signore e dalla sua Parola che sola è verità? Preferisco esporre il mio corpo, il mio sangue, la mia vita” D’Aubigné, vol. 7, cap. 10. Nuovamente sollecitato a sottomettersi al giudizio dell’imperatore, perché così non avrebbe avuto nulla da temere, Lutero rispose: “Io acconsento con tutto il cuore che l’imperatore, i principi e perfino il più consento con tutto il cuore che l’imperatore, i principi e perfino il più umile con tutto il cuore che l’imperatore, i principi e perfino il più umile dei cristiani esaminiamo e giudichino le mie opere, ma a condizione che essi prendano come regola di indagine la Parola di Dio.

Gli uomini non debbono fare altro che ubbidire ad essa. Non cercate di forzare la mia coscienza: essa è legata, incatenata alle Sacre Scritture” Ibidem. A un successivo invito, egli rispose: “Accondiscendo a rinunciare al mio salvacondotto, alla mia vita, alla mia persona che rimetto nelle mani dell’imperatore, ma non alla Parola di Dio: mai!” Ibidem. Egli era disposto a sottomettersi alle decisioni di un concilio generale, ma solo se esso si pronunciava secondo la Scrittura. “Per quanto riguarda la Parola di Dio e la fede”, diceva, “ogni cristiano è altrettanto buon giudice del papa, fosse pure questi sostenuto da milioni di concili” Martyn, vol. 1 p. 410. Alla fine, amici e nemici si convinsero che ogni tentativo per una riconciliazione sarebbe stato vano. Se Lutero avesse ceduto su un solo punto, Satana e le sue schiere avrebbero riportato la vittoria.

La sua incrollabile fermezza, perciò, fu strumento di emancipazione per la chiesa, oltre che punto di partenza di una èra nuova e migliore. L’influsso di questo uomo, che ardiva pensare e agire da sé nelle cose della religione, doveva farsi sentire sulla chiesa e sul mondo non solo allora, ma anche nelle future generazioni. La sua fermezza e la sua fedeltà avrebbero fortificato tutti coloro che, alla fine dei tempi, sarebbero dovuti passare per un’esperienza analoga. La potenza e la maestà di Dio prevalsero sul consiglio degli uomini e sul potere di Satana. Lutero ricevette l’ordine, da parte delle autorità imperiali, di rientrare in sede. Egli sapeva che quell’ordine sarebbe stato presto seguito dalla sua condanna.

Nubi minacciose si andavano addensando sul suo capo, però nel lasciare Worms il suo cuore era pieno di pace e di gioia: “Il diavolo stesso”, diceva, “proteggeva la cittadella del papa, ma Cristo vi ha fatto una larga breccia e Satana è stato costretto a riconoscere che il Signore è più forte di lui!” D’Aubigné, vol. 7, cap. 11. Dopo la partenza, Lutero, ancora desideroso che la sua fermezza non fosse scambiata per ribellione, scrisse all’imperatore: “Dio, che investiga i cuori, mi è testimone che io sono sinceramente pronto a ubbidire a sua Maestà, in onore o in disonore, in vita e in morte, per la quale l’uomo ha vita. In tutte le cose di questa vita, la mia fedeltà non verrà mai meno, perché in essa la perdita e il guadagno non hanno conseguenza alcuna sulla salvezza.

Quando, invece, sono in gioco gli interessi eterni, Dio non vuole che l’uomo si sottometta all’uomo, in quanto tale sottomissione nelle cose dallo spirito è un vero culto, culto che deve essere tributato solo al Creatore” Ibidem. Lungo il viaggio di ritorno da Worms, Lutero fu ovunque accolto con una cordialità maggiore di quella manifestatagli nel viaggio di andata. Alti prelati diedero il benvenuto al monaco scomunicato, e governatori civili onorarono l’uomo che era stato denunciato dall’imperatore. Invitato a predicare, egli accettò, nonostante il divieto imperiale, e salì sul pulpito: “Io non mi sono mai impegnato a incatenare la Parola di Dio”, disse, “né lo farò” Martyn, vol. 1, p. 420.

Egli aveva da poco lasciato Worms, quando i papisti riuscirono a strappare all’imperatore un editto contro Lutero. In esso, il riformatore veniva denunciato come “Satana stesso sotto forma di un uomo che indossa il saio di frate” D’Aubigné, vol. 7, cap. 11. Quel decreto ordinava che non appena il salvacondotto fosse scaduto, dovevano essere prese delle misure atte a mettere fine alla sua opera. Tutti erano diffidati di ospitarlo, di dargli cibi o bevande, di aiutarlo o favorirlo, in pubblico e in privato, con atti o con parole. Ovunque egli si fosse trovato, doveva essere preso e consegnato alle autorità. I suoi aderenti dovevano essere incarcerati e le loro proprietà confiscate. I suoi scritti dovevano essere distrutti e, infine, chiunque avesse osato agire contro questo decreto sarebbe stato incluso nella condanna da esso comminata.

L’elettore di Sassonia e i principi amici di Lutero avevano lasciato Worms poco dopo la partenza del monaco, e così il decreto imperiale ebbe la sanzione della dieta. I partigiani di Roma giubilavano certi che ormai le sorti della Riforma fossero decise. In quella ora di pericolo, Dio aveva provveduto una via di scampo per il suo servitore. Un occhio vigile aveva seguito le mosse di Lutero, e un cuore nobile e sincero aveva deciso di soccorrerlo. Era evidente che Roma poteva essere soddisfatta solo con la morte del riformatore, e che l’unico mezzo per sottrarlo alle fauci del leone era di nasconderlo. Dio diede a Federico di Sassonia la saggezza di escogitare un piano efficace che si attuò per merito dei fedeli amici dell’elettore, e per il quale Lutero fu efficacemente nascosto agli amici e ai nemici. Durante il viaggio, egli fu preso separato da quanti lo accompagnavano e trasportato attraverso la foresta nel castello della Wartburg, isolata fortezza montana. Il rapimento e la scomparsa di Lutero furono avvolti da tanto mistero, che per molto tempo stesso Federico ignorò dove l’avessero condotto.

Tale ignoranza, però, non era casuale poiché l’elettore, non conoscendo il suo nascondiglio, non poteva fornire indicazioni di sorta. A lui, del resto, bastava la certezza che Lutero fosse in salvo. Trascorsero la primavera, l’estate, l’autunno e giunse l’inverno. Lutero era sempre nascosto. Aleandro e i suoi partigiani esultavano perché sembrava che la luce del Vangelo stesse per spegnersi. Ma non era così. Il riformatore andava alimentando la sua lampada, attingendo alla riserva della verità. La luce stava per brillare con maggiore intensità di prima. Nell’accogliente sicurezza della Wartburg, Lutero per un po’ di tempo si rallegrò di essere fuori dal calore e dal tumulto della battaglia. Però non si sentiva soddisfatto di quella quiete riposante. Abituato com’era a una vita piena di attività, non riusciva a starsene inoperoso.

In quei giorni di solitudine, le condizioni della chiesa gli apparvero in tutta la loro cruda realtà, e sgomento gridò: “Ahimè, non c’è nessuno in questi ultimi giorni dell’ira di Dio che si erga come un muro dinanzi al Signore e salvi Israele!” Idem, vol. 9, cap. 2. Poi, pensando a se stesso, temete di essere accusato di codardia per essersi sottratto alla lotta. Cominciò, allora, a rimproverarsi della propria indolenza mentre, in realtà, ogni giorno faceva più di quanto fosse possibile a un uomo. La sua penna non era mai inoperosa e i suoi nemici, che si rallegravano del suo silenzio, rimasero prima atterriti e poi confusi dalla prova tangibile della sua attività. In tutta la Germania circolavano numerosi opuscoli scritti da lui. Inoltre, egli compì un’opera mirabile traducendo il Nuovo Testamento in lingua tedesca. Dal suo roccioso Patos, egli continuò per circa un anno a proclamare l’Evangelo e a condannare i peccati e gli errori del suo tempo.

Se Dio aveva ritirato Lutero dalla vita pubblica, non era solo per proteggerlo dall’ira dei nemici, né per dargli un periodo di quiete che gli consentisse di fare i suoi importanti lavori; lo aveva fatto in vista di risultati più preziosi da conseguire. Nella solitudine e nell’oscurità del suo rifugio montano, Lutero si trovò separato dall’appoggio e dall’elogio degli uomini. Fu messo così al riparo dall’orgoglio e dalla presunzione tanto spesso provocati dal successo. La sofferenza e l’umiliazione lo prepararono a calcare di nuovo le alte vette alle quali era subitamente pervenuto. Quando gli uomini si rallegrano della libertà che deriva dalla verità, sono inclini a esaltare i servitori di cui Dio si serve per spezzare le catene dell’errore e della superstizione.

Satana cerca di distogliere da Dio i pensieri e gli affetti degli uomini e di farli convergere sugli strumenti umani. Egli li induce a onorare lo strumento e a ignorare la mano che dirige gli eventi della Provvidenza, e allora troppo spesso i capi religiosi così elogiati e riveriti perdono di vista la loro dipendenza dall’Altissimo e finiscono col confidare in se stessi. Essi cercano di dominare le menti e le coscienze di quanti, anziché alla Parola di Dio, guardano a loro per essere guidati.

L’opera della Riforma è spesso ritardata da questo spirito, del resto incoraggiato dai suoi stessi sostenitori. Dio, però, protesse la Riforma da simile pericolo, poiché voleva che l’opera portasse la sua impronta e non quella dell’uomo. Gli sguardi degli uomini si erano fissati su Lutero; egli disparve perché la gente guardasse non già al predicatore della verità, ma all’Autore di essa.

LA LUCE SI ACCENDE IN SVIZZERA.
Nella scelta degli strumenti per la riforma della chiesa, si nota lo stesso piano divino che provvide a crearla. Il Maestro trascurò i grandi della terra, i nobili, i ricchi perché, abituati a ricevere l’omaggio e la lode popolari, erano troppo orgogliosi, troppo convinti della loro superiorità per lasciarsi modellare in modo da poter simpatizzare con i loro simili e diventare collaboratori dell’Uomo di Nazaret. Per conseguenza, l’invito fu rivolto agli umili pescatori della Galilea: “Venite dietro a me, e vi farò pescatori d’uomini” Matteo 4:19. Essi erano modesti, disposti a farsi istruire; non avevano subito l’influsso del falso insegnamento del loro tempo, e con più successo Cristo poteva educarli e formarli per il suo servizio. Lo stesso avvenne al tempo della grande Riforma. I riformatori più in vista erano uomini di umile origine, scevri da bigottismo e clericalismo. Rientra nel piano di Dio a ricorrere a strumenti umili per compiere grandi cose; in questo modo la gloria non va ascritta agli uomini, ma a Colui che opera per mezzo di essi il volere e l’operare secondo la sua benevolenza.

Alcune settimane dopo la nascita di Lutero in una capanna di minatori della Sassonia, nacque Ulrico Zuinglio in una cassetta di pastori sulle Alpi. L’ambiente in cui Zuinglio trascorse l’infanzia e ricevette la sua prima educazione, contribuì non poco a prepararlo per la sua futura missione. Allevato in mezzo al meraviglioso scenario della natura, la sua mente fu portata a sentire tutta la forza, la grandezza e la maestà di Dio. Il racconto delle eroiche gesta compiute sulle Alpi natie accese di entusiasmo le sue aspirazioni giovanili. Dalle labbra della sua pia nonna imparò alcuni episodi biblici che ella attingeva dalle leggende e dalle tradizioni della chiesa. Con vivo interesse egli ascoltò la storia dei patriarchi, dei profeti, dei pastori che vegliavano sulle loro greggi fra le colline della Palestina, quando gli angeli apparvero e annunciarono loro la nascita del Fanciullino di Betlemme, l’Uomo del Calvario. Come Giovanni Lutero, il padre di Zuinglio desiderava che il figlio acquisisse una vasta istruzione e, per questo, dovette ben presto mandarlo fuori della valle natia. Il ragazzo, infatti, faceva dei progressi così rapidi che diventò un vero problema trovare degli insegnamenti che lo aiutassero a completare la sua preparazione. Per questo, all’età di tredici anni Zuinglio andò a Berna dove esisteva una delle più importanti scuole della Svizzera. Qui, però, c’era un pericolo che minacciava di annullare le aspettative riposte in lui: i frati facevano di tutto per indurlo a entrare in un convento.

Domenicani e francescani erano rivali: cercavano di accaparrarsi il favore popolare e speravano riuscirvi sia per i magnifici ornamenti delle loro cerimonie, come per il richiamo esercitato da celebri reliquie e da miracolose immagini. I domenicani di Berna capirono che se fossero riusciti ad avere la collaborazione di quel giovane di talento, ne avrebbero tratto vantaggio e onore. La sua giovinezza, la sua abilità naturale come oratore e come scrittore, il suo genio per la musica e per la poesia sarebbero stati più efficaci della pompa e dello sfarzo nell’attirare la gente, e avrebbero avuto, così, un maggiore gettito di entrate per il loro ordine.

Con inganni e lusinghe fecero di tutto per convincere Zuinglio ad accettare la vita monastica. Lutero, quando era ancora studente, si era seppellito nella cella di un convento, e sarebbe stato perduto per il mondo se la provvidenza di Dio non fosse intervenuta per liberarlo. A Zuinglio non fu permesso di correre tale pericolo perché suo padre, informato dei progetti, dei frati e affatto desideroso che il suo unico figlio vivesse la vita oziosa e inutile dei monaci, lo fece tornare subito a casa. Si rendeva conto che era in gioco il suo avvenire. Ulrico, però, non poteva adattarsi a rimanere nella valle natia, e dopo un po’ di tempo andò a Basilea per continuarvi gli studi. Fu qui che per la prima volta conobbe l’Evangelo della grazia gratuita di Dio. Wittenbach, un insegnante di lingue morte, studiando il greco e l’ebraico era venuto in contatto con le Sacre Scritture, e per mezzo di lui i raggi del sole della verità penetravano nelle menti dei suoi studenti. Egli dichiarava che c’era una verità più antica e di valore infinitamente maggiore di quella rappresentata dalle teorie insegnate dai filosofi e dagli studiosi. Questa antica verità era che la morte di Cristo è l’unico riscatto del peccatore. Queste parole furono per Zuinglio come il primo raggio di luce che precede l’aurora. Non passò molto che Zuinglio fu invitato a lasciare Basilea per cominciare quella che doveva essere l’opera della sua vita. Il suo primo campo di lavoro fu una parrocchia alpina, non lungi dalla sua valle.

Consacrato sacerdote, egli si diede “con tutta l’anima alla ricerca della verità divina, consapevole”, dice un amico riformatore, “di quanto debba conoscere che ha avuto l’incarico di pascere la greggia di Cristo” Wylie, vol. 8, cap. 5. Più studiava le Sacre Scritture, più gli appariva chiaro il contrasto fra le verità in esse contenute e le eresie di Roma. Egli accettava la Bibbia come la Parola di Dio, come unica e infallibile regola di vita, e si rendeva conto che essa è l’interprete di se stessa. Non ardiva spiegare le Scritture per sostenere una dottrina o una teoria frutto di pregare le Scritture per sostenere una dottrina o una teoria frutto di preconcetti, e stimava fosse suo dovere accettare l’insegnamento logico e naturale di esse. Si sforzò di avvalersi di ogni aiuto per ottenere una piena ed esatta conoscenza del significato della Bibbia. Per questo invocava l’ausilio dello Spirito Santo che – egli diceva – gli avrebbe rivelato tutte quelle cose che andava sinceramente cercando con preghiera. “Le Scritture”, che affermava Zuinglio, “procedono da Dio, non dall’uomo. Quello stesso Dio che ti illumina, ti darà la consapevolezza che quel linguaggio proviene da lui. La Parola di Dio… non può fallire; essa risplende, insegna, conforta, illumina l’anima, reca salvezza e grazia, umilia per spingere ad aggrapparsi a Dio”.

Zuinglio aveva provato personalmente la verità di queste parole. Più tardi, alludendo a quella sua esperienza, scrisse: “Quando… cominciai a darmi completamente alle Sacre Scritture, la filosofia e la teologia (scolastica) avevano sempre costituito per me una di contrasti. Finalmente giunsi alla conclusione di lasciare tutta quella menzogna e imparare il significato da Dio, mediante la sua pura e semplice Parola. Fu così che comincia a chiedere a Dio la luce, e da allora la Scrittura mi apparve molto più facile” Idem, vol. 8, cap. 6. La dottrina insegnata da Zuinglio non veniva da Lutero: era la dottrina di Cristo. “Se Lutero predica Cristo”, diceva il riformatore svizzero “fa quello che faccio io. Quelli che egli ha condotti a Cristo sono più numerosi di quelli che vi ho condotto io.

La cosa, però, non ha importanza. Io non voglio portare altro nome se non quello di Cristo, del quale sono soldato e che stimo essere il mio unico Capo. Io non ho mai scritto una parola a Lutero, né egli l’ha scritta a me. Perché?... Perché fosse dimostrata l’unità dello Spirito in lui e in me. Ciascuno di noi insegna la dottrina di Cristo secondo tale unità” D’Aubignè, vol. 8, cap. 9. Nel 1516 Zuinglio fu nominato predicatore del convento di Einsiedeln. Qui poté avere un’esatta visione della corruzione di Roma e l’opportunità di esercitare un influsso, come riformatore, che si fece sentire ben al di là delle sue Alpi natie. Fra le principali attrattive di Einsiedeln c’era un’immagine della Vergine, che si diceva avesse la virtù di fare miracoli. Sopra la porta d’ingresso del convento si leggeva: << Qui si può ottenere la remissione plenaria dei peccati” Idem, vol. 8, cap. 5.

Il santuario della Vergine era visitato tutto l’anno, ma era soprattutto in occasione della festa annuale della sua consacrazione che moltitudini di persone vi affluivano dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Germania. Zuinglio, rattristato da tali scene, colse l’opportunità che gli veniva offerta di proclamare a quelle anime, schiave della superstizione, la libertà mediante l’Evangelo. “Non pensate”, egli diceva, “che Dio sia in questo tempio più che in ogni altra parte del creato. Qualunque sia il paese in cui vivrete, Dio è presente e vi ascolta… Possono le opere infruttuose, i lunghi pellegrinaggi, le offerte, le immagini, l’invocazione della Vergine e dei santi assicurarvi la grazia di Dio?... Che valore ha la moltitudine delle parole con le quali presentiamo le nostre preghiere? Che efficacia possono avere un cappuccio luccicante, una testa ben rasata, una veste lunga e pieghettata, delle pantofole ricamate d’oro?... Dio guarda al cuore, e i nostri cuori sono lungi da lui”. “Cristo, che fu offerto una volta sulla croce, è il sacrificio, è la vittima che ha espiato i peccati dei credenti per l’eternità” Ibidem.

Molti accolsero tali dichiarazioni con un certo senso di disagio. Per essi era un’amara delusione udire che il lungo e faticoso viaggio fatto era inutile, e non riuscivano a capire che il perdono veniva loro offerto gratuitamente da Cristo. Il cammino verso il cielo tracciato da Roma li soddisfaceva, e non piaceva loro l’idea di dover cercare qualcosa di migliore: era più comodo affidare la cura della propria salvezza ai sacerdoti e al papa che cercare la purezza del cuore. C’era però un’altra categoria di persone che accettarono con gioia l’annuncio della redenzione in Cristo. Le osservanze prescritte da Roma non avevano dato loro la pace all’anima, ad esse, mosse dalla fede, accettarono il sangue del Salvatore che assicura l’espiazione.

Ritornati alle loro case, questi più credenti comunicarono ad altri la luce ricevuta; e così la verità si propagò di villaggio in villaggio, di città in città, sì che a poco a poco il numero dei pellegrinaggi al santuario della Vergine diminuì sensibilmente. Per riflesso, diminuirono anche le offerte e di conseguenza il salario di Zuinglio, che era pagato con esse. La cosa, però, fu per lui motivo di gioia in quanto gli rivelava che era stato infranto il potere del fanatismo e della superstizione. Le autorità ecclesiastiche non erano all’oscuro dell’opera di Zuinglio; però si astennero, per il momento, dall’interferire. Speravano di riuscire a conquistarlo alla loro causa con le lusinghe. Frattanto, la verità si faceva strada nel cuore della gente. L’opera svolta da Zuinglio a Einsiedeln lo preparava a una missione più importante. Dopo tre anni egli fu chiamato ad assumere la carica di predicatore nella cattedrale di Zurigo, la più importante città della confederazione elvetica; e così l’influsso ivi esercitato sarebbe stato più ampiamente sentito.

Gli ecclesiastici che lo avevano invitato a raggiungere Zurigo desideravano impedire ogni innovazione, e precisarono a Zuinglio quali sarebbero stati i suoi doveri. “Lei farà tutto il possibile”, gli dissero, “per raccogliere le entrate del capitolo senza trascurarne alcuna, per minima che sia. Esorterà i fedeli, dal pulpito e dal confessionale, a versare decime e offerte mostrando con ciò il loro amore per la chiesa. Sarà diligente nell’incrementare le entrate che provengono dai malati, dalle messe e da ogni altra ordinanza ecclesiastica. Per quanto poi riguarda la somministrazione dei sacramenti, la predicazione e la cura delle anime”, aggiunsero i suoi istruttori, “sono cose che rientrano nei doveri del cappellano; lei, però, può servirsi di un sostituto, specie per la predicazione. Dovrà amministrare i sacramenti solo a persone di riguardo, e unicamente quando è Idem, vol. 8, cap. 6.

Zuinglio ascoltò in silenzio il mandato che gli veniva conferito e quindi, dopo avere espresso la sua gratitudine per l’onore che gli derivava da una carica così importante, spiegò la linea di condotta che intendeva seguire. “La vita di Cristo è rimasta troppo a lungo nascosta al popolo. Io predicherò soprattutto l’intero Vangelo di S. Matteo… attingendo unicamente alla fonte della Sacra Scrittura, scandagliandone la profondità, paragonando passo con passo, cercando la conoscenza mediante una fervida e costante preghiera. Io consacrerò il mio ministero alla gloria di Dio, alla lode del suo unigenito Figliuolo, alla salvezza delle anime, alla loro edificazione nella vera fede” Ibidem. Sebbene alcuni degli ecclesiastici disapprovassero questo piano e si sforzassero di dissuaderlo dal seguirlo, Zuinglio rimase fermo, dicendo che non intendeva affatto introdurre un metodo nuovo, ma solo attuare quello vecchio, tipico della chiesa dei primi tempi, tempi della sua purezza.

Le verità da lui insegnate suscitarono vivo interesse. La gente affluì in massa alle sue predicazioni. Vi parteciparono perfino molti che da lungo tempo si erano astenuti dall’assistere ai culti. Zuinglio cominciò il suo ministero aprendo i Vangeli, leggendo e spiegarlo ai suoi uditori il racconto ispirato della vita, della dottrina e della morte di Cristo. Qui, come a Einsiedeln, egli presentò la Parola di Dio come unica e infallibile autorità e la morte di Cristo come unico sacrificio completo. Ibidem. Gente di ogni ceto si accalcava intorno al predicatore: uomini di stato, scienziati, artigiani, contadini. Tutti ascoltavano con profondo interesse le sue parole. Egli proclamava non solo l’offerta gratuita della salvezza, ma condannava senza paura i mali e la corruzione del tempo. Molti ritornavano dalla cattedrale glorificando Iddio. << Questo uomo >>, dicevano, << è un predicatore della verità. Egli sarà il nostro Mosé per trarci fuori dalle tenebre dell’Egitto >> Ibidem.

All’entusiasmo dei primi momenti successe un periodo di opposizione. I monaci si misero a ostacolare la sua opera e a condannare gli insegnamenti. Molti lo schernivano e lo beffavano, mentre altri non esitavano a insolentirlo e a minacciarlo. Zuinglio sopportava pazientemente ogni cosa e diceva: “Se vogliamo conquistare gli empi a Cristo, dobbiamo chiudere gli occhi a molte cose” Ibidem. Verso quella epoca un nuovo ausiliario venne ad accelerare l’opera di riforma. Un certo Luciano fu mandato a Zurigo con alcuni scritti di Lutero. Un amico della fede riformata, abitante a Basilea, pensando che la vendita di questi libri potesse essere un mezzo potente per la diffusione della luce, scrisse a Zuinglio: “Assicurati se questo uomo possiede prudenza e capacità sufficienti. In caso affermativo, lascia che egli porti le opere di Lutero – specialmente la sua esposizione della preghiera del Signore scritta per i laici – di città in città, di villaggio in villaggio e di casa in casa. Più esse saranno conosciute, più acquirenti troveranno” Ibidem. Così la luce si fece strada. Quando Dio si accinge ad abbattere le barriere dell’ignoranza e della superstizione, Satana agisce con rinnovata energia per avvolgere gli uomini nelle tenebre e per serrare ancora più i loro ceppi.

Nel momento in cui in vari paesi degli uomini si levavano per offrire al popolo il perdono e la giustificazione mediante il sangue di Cristo, Roma si adoperava con rinnovata energia ad aprire il suo mercato in tutto il mondo cristiano, offrendo il perdono in cambio di denaro. Ogni peccato aveva la sua tariffa, e così veniva data agli uomini la possibilità di peccare, purché il tesoro della chiesa fosse ben alimentato. I due movimenti avanzavano: uno che offriva il perdono del peccato mediante il denaro e uno che offriva il perdono per mezzo di Cristo. Roma permetteva il peccato e ne faceva fonte di guadagno: i riformatori lo condannavano e additavano in Cristo il propiziatore e il liberatore. In Germania la vendita delle indulgenze era stata affidata ai domenicani capeggiati da Tetzel. In Svizzera il traffico fu messo nelle meni dei francescani, sotto la guida di Sansone, monaco italiano.

Sansone aveva reso utili servigi alla chiesa raccogliendo in Germania e in Svizzera ingenti somme per il tesoro pontificio. Ora egli percorreva la Svizzera richiamando immense folle, spogliando i poveri contadini dei loro magri guadagni ed esigendo dai ricchi doni più cospicui. L’influsso della Riforma intanto si faceva sentire arginando senza poterlo impedire, il traffico. Zuinglio era ancora a Einsiedeln quando Sansone giunse in una città vicina. Conosciuto lo scopo della sua missione, il riformatore si affrettò a ostacolarla. I due non s’incontrarono, ma fu tale il successo conseguito da Zuinglio nell’esporre la vanità delle pretese del frate, che questi si vide costretto ad abbandonare il campo e a trasferirsi altrove.

A Zurigo, Zuinglio predicò con tanto zelo contro il perdono a pagamento, che quando Sansone si avvicinò ala città, un messaggero del concilio civico lo invitò a passare oltre. Sansone con uno stratagemma riuscì a entrare in città, ma non poté vendere neppure una indulgenza, e poco dopo abbandonò la Svizzera. La Riforma ricevette un forte impulso dalla peste, conosciuta col nome di “morte nera”, piaga che colpì la Svizzera nel 1519. Gli uomini, messi a faccia a faccia con la morte, in molti casi si sentivano indotti a considerare la vanità e la futilità del perdono così tardivamente acquistato, e bramavano avere una base più sicura per la loro fede.

A Zurigo, Zuinglio fu colpito in maniera così grave dal morbo che si temette per la sua vita; anzi si sparse addirittura la voce che egli era morto. In quella ora così tragica, la sua speranza e il suo coraggio rimasero incrollabili. Egli guardava con fede alla croce del Calvario, fidando in quella sicura propiziazione per il peccato. Quando riuscì a sottrarsi agli artigli della morte, riprese a predicare l’Evangelo con rinnovato e accresciuto fervore. Le sue parole suscitarono un’azione potente. La gente salutò con gioia il suo diletto pastore sfuggito alla morte. Ognuno sentiva, dopo quella esperienza, il grande valore del Vangelo. Zuinglio era pervenuto a una comprensione chiara delle verità evangeliche e ne aveva sperimentato la loro potenza rigeneratrice. La caduta dell’uomo e il piano della redenzione erano i temi sui quali egli si soffermava.

“In Adamo”, diceva, “siamo tutti morti, immersi nella corruzione, condannati” Wylie, vol. 8, cap. 9. “Cristo… ci ha assicurato la redenzione… La sua passione… è un sacrificio di portata eterna, pienamente efficace per salvare; esso soddisfa, per sempre, la giustizia divina a favore di quanti confidano in essa con fede salda e incrollabile”. Nondimeno, egli insegnava che l’uomo non deve pensare che la grazia di Dio lo autorizzi a peccare. “Ovunque c’è fede, c’è Dio, e dove c’è Dio c’è uno zelo che spinge gli uomini alle buone opere” D’Aubigné, vol. 8, cap. 9. L’interesse per la predicazione era tale che la cattedrale era affollatissima di persone che andavano ad ascoltarlo. A poco a poco, nella misura in cui gli uditori potevano assimilarla, egli spiegava loro la verità. Con tatto e delicatezza, Zuinglio evitava di introdurre subito quei punti che potevano provocare dei pregiudizi.

La sua opera consisteva nel conquistare i cuori agli insegnamenti di Cristo., nel renderli sensibili al suo amore, e nel presentare loro il suo esempio. Una volta che essi avessero compreso e accettato i principi del Vangelo, avrebbero abbandonato deliberatamente tanto le credenze quanto le pratiche superstiziose. A poco a poco la Riforma progrediva a Zurigo. I suoi nemici allarmati si sforzarono di opporvisi in modo attivo. Un anno prima, il monaco di Wittenberg aveva pronunciato il suo “No!” al papa e all’imperatore a Worms, e ora tutto sembrava indicare che Zurigo avrebbe assunto un atteggiamento analogo nei confronti delle pretese papali. Reiterati attacchi furono diretti a Zuinglio. Nei cantoni cattolici di quando in quando venivano arsi sul rogo i discepoli del Vangelo. Questo, però, non era sufficiente: bisognava ridurre al silenzio chi insegnava l’eresia.

A questo scopo il vescovo di Costanza inviò tre suoi delegati al concilio di Zurigo per accusare Zuinglio di insegnare alla gente la trasgressione delle leggi della chiesa e di mettere così in pericolo la pace e l’ordine sociali. Mettere da parte l’autorità della chiesa – diceva il vescovo – significava aprire la porta all’anarchia universale. Zuinglio replicò che egli aveva insegnato le Sacre Scritture per quattro anni a Zurigo, e che questa città “era la più quieta e la pacifica dell’intera confederazione elvetica”. “Per conseguenza”, concludeva, “ non vi pare che il Cristianesimo sia la migliore salvaguardia per la sicurezza generale?” Wylie, vol. 8, cap. 11.

I delegati avevano ammonito i membri del concilio esortandoli a non abbandonare la chiesa, fuori della quale – essi dichiaravano – non vi era salvezza. Zuinglio rispose: “Non vi fate commuovere da questa esortazione. Il fondamento della chiesa è questa Roccia, Cristo, che diede a Pietro il suo nome perché egli confessasse fedelmente. In ogni nazione, chiunque crede con tutto il cuore nel Signore Gesù Cristo, è accetto a Dio. E’ questa la chiesa fuori della quale nessuno può essere uno dei delegati del vescovo abbracciò la fede riformata.
Il concilio respinse l’invito a procedere contro Zuinglio. Roma, allora, si accinse a un nuovo attacco. Zuinglio, saputo del complotto che i suoi nemici ordivano, esclamò: “Lasciateli pure venire; io li temo come la roccia teme i marosi che si infrangono schiumati ai suoi piedi” Wylie, vol. 8, cap. 11. Gli sforzi degli ecclesiastici valsero solo a far propagarsi. I riformati, in Germania, depressi per la scomparsa di Lutero, ripresero animo vedendo i progressi del Vangelo in Svizzera.

A mano a mano che la Riforma si andava affermando a Zurigo, i frutti apparivano evidenti: il vizio cedeva il posto all’ordine e alla concordia. “La pace ha fissato la sua dimora nella nostra città, scriveva Zuinglio; “ non più contese, ipocrisie, invidie, contestazioni. Quale può essere l’origine di tutto questo se non il Signore e la nostra dottrina che ci riempie di frutti di pace e di pietà?” Idem, vol. 8, cap. 15. Le vittorie della Riforma spinsero i partigiani di Roma a sforzi più determinati per abbatterla. Vedendo che i risultati conseguiti erano piuttosto scarsi, e che la persecuzione nulla aveva potuto contro l’opera di Lutero in Germania, decisero di combattere la Riforma con le sue stesse armi. Pensarono, cioè, di organizzare una discussione con Zuinglio. Per essere certi della vittoria, si riservarono la scelta del luogo e degli arbitri. Se fossero riusciti ad avere Zuinglio nelle loro mani, avrebbero avuto la massima cura di non lasciarselo sfuggire, perché ritenevano che una volta messo a tacere il capo, il movimento si sarebbe rapidamente spento. Naturalmente, questo loro complotto veniva tenuto accuratamente segreto. La disputa fu fissata a Baden; ma Zuinglio non vi partecipò. Il concilio di Zurigo, sospettando un tranello da parte dei rappresentanti di Roma e consapevole che nei cantoni papali venivano accesi dei roghi per i confessori del Vangelo, proibì al suo pastore di esporsi al pericolo.

A Zurigo egli avrebbe potuto benissimo affrontare gli esponenti di Roma, ma recarsi a Baden dove il sangue dei martiri della verità era stato sparso di recente, significava andare incontro a morte sicura. Ecolampadio e Haller furono scelti come rappresentanti dei riformati, mentre il celebre dottor Eck, portavoce di Roma, era sostenuto da uno studio di dotti e di prelati. Ebbene Zuinglio non fosse presente, pure il suo influsso si fece ugualmente sentire. I segretari erano stati scelti fra i nemici della Riforma e nessuno, a parte loro, poteva prendere appunti, pena la morte. Nonostante ciò, Zuinglio riceveva ogni giorno un esatto resoconto di quanto veniva detto a Baden. Uno studente che assisteva alla disputa stendeva ogni sera una relazione sugli argomenti trattati. Tale relazione, accompagnata da una lettera di Ecolampadio, era consegnata a due altri studenti che provvedevano a recapitare il tutto a Zuinglio, il quale rispondeva dando consigli e suggerimenti. Egli scriveva di notte, e gli studenti consegnavano la sua risposta la mattina seguente a Baden. Per eludere la vigilanza delle guardie che stazionavano alle porte della città quei messaggeri portavano sulla testa dei canestri contenenti del pollame. Questo permetteva loro di passare senza ostacoli. Fu così che Zuinglio poté sostenere la lotta contro gli astuti antagonisti. Siconio disse: “Egli ha lavorato di più con le sue meditazioni, le sue notti insonni e i suoi consigli che mandava a Baden, di quanto non avrebbe fatto discutendo di persona con i suoi nemici” D’Aubigné, vol. 11 cap. 13. I partigiani del papa, già in anticipo sicuri del trionfo, erano andati a Baden ammantati a tavole riccamente imbandite di cibi ricercati e di vini prelibati. Il peso dei loro doveri ecclesiastici era alleviato dalla gaiezza di quei festini. In stridente contrasto con tanto lusso, i riformatori erano considerati poco più che mendicanti, e i loro pasti frugali li trattenevano pochissimo tempo a tavola. L’albergatore di Ecolampadio, che lo spiava dalla sua stanza, lo vedeva sempre intento o allo studio o alla preghiera. Pieno di stupore, dichiarò che quello eretico era, perlomeno, “molto devoto”. Alla conferenza, Eck alì con ostentazione su un pulpito splendidamente decorato, mentre Ecolampadio, vestito modestamente, fu fatto sedere su uno sgabello di legno, di fronte al suo antagonista” Ibidem. La voce risonante di Eck era stimolato del miraggio dell’oro e degli onori, in quanto nella sua qualità di difensore della fede, egli avrebbe ricevuto una forte rimunerazione. Quando i suoi migliori argomenti risultavano vani, egli non esitava a ricorrere agli insulti e alle imprecazioni. Ecolampadio, timido e modesto per natura, aveva esitato a lungo prima di decidersi ad affrontare la discussione.

Quando si decise, fece questa solenne dichiarazione: “Io non riconosco altra norma di giudizio che la Parola di Dio” Ibidem. Quantunque dolce e moderato, egli si rivelò colto e incrollabile. Mentre i rappresentanti di Roma ricorrevano spesso all’autorità della chiesa e alle sue usanze, egli si atteneva saldamente alle Scritture. “L’usanza”, diceva, “non ha valore nella nostra Svizzera a meno che essa non sia in armonia con la distinzione. Ora, in materia, di fede, la nostra costituzione è la Bibbia” Ibidem. Il contrasto fra i due polemisti non mancò di produrre il suo effetto. La calma, la semplicità, la serenità di Ecolampadio, come pure la chiarezza della sua argomentazione, facevano impressione sulla mente dei presenti che, per contro, ascoltavano con mal celato disagio le orgogliose affermazioni del dottor Eck.

La discussione durò diciotto giorni, e alla fine i papisti si attribuirono baldanzosamente la vittoria. Dato che la maggior parte dei delegati erano partigiani di Roma, il concilio dichiarò sconfitti i riformatori e decretò che essi, insieme con Zuinglio, il loro capo, fossero espulsi dalla chiesa. I frutti di questa conferenza, però rivelarono da che parte era la ragione. La disputa, infatti, valse a incrementare ancor più la causa protestante, e non molto tempo dopo città importanti, come Berna e Basilea, si dichiararono per la Riforma.

 

IL PROGRESSO DELLA RIFORMA IN GERMANIA.
La misteriosa scomparsa di Lutero suscitò costernazione in tuta la Germania. Ovunque si chiedeva di lui e circolavano le più strane voci. Molti credevano addirittura che egli fosse stato ucciso. Egli era pianto non solo dagli amici dichiarati, ma anche da migliaia di persone che ancora non si erano schierate apertamente con la Riforma. Non pochi giurarono di vendicarne la morte. I dignitari della chiesa romana videro con terrore fino a che punto l’opinione pubblica fosse loro ostile. Mentre dapprima esultavano per la presunta morte di Lutero, ora desideravano nascondersi per sottrarsi all’ira del popolo. I nemici di Lutero non erano mai stati tanto turbati dai suoi atti quanto lo erano ora che egli era scomparso. Quanti nel loro furore avevano cercato di eliminarlo, erano sbigottiti ora che egli era un prigioniero impotente. “L’unica via di uscita”, disse uno di loro, “sarebbe quella di accendere delle torce e di andare in cerca di Lutero in tutto il mondo, per restituirlo alla nazione che lo invoca” D’Aubigné, vol. 9, cap. 1.

L’editto imperiale sembrava impotente, e i legati pontifici erano indignati nel vedere che esso richiamava meno attenzione di quanto, invece, non ne richiamasse la sorte di Lutero. La notizia che egli era al sicuro, anche se prigioniero, placò i timori del popolo e contribuì ad accrescere l’entusiasmo per lui. I suoi scritti venivano letti con più ardore di prima. Sempre più numerosi diventavano i partigiani della causa dell’uomo eroico che, in drammatiche circostanze, aveva difeso i diritti della Parola di Dio. La Riforma cresceva ovunque in vigore, e il seme sparso da Lutero dava i suoi frutti. La sua assistenza compì un’opera che forse non sarebbe stata compiuta dalla sua presenza. I suoi collaboratori sentirono la propria responsabilità ora che il loro grande capo era scomparso, e si misero in azione con nuovo slancio e con rinnovata fede per fare tutto quello che era in potere loro, affinché l’opera cominciata in modo così nobile non fosse intralciata. Satana, però, non se ne stette inerte e non mancò di fare quello che aveva sempre fatto con ogni altro movimento di riforma: ingannare le anime e distruggerle mediante una contraffazione della verità. Come vi erano stati dei falsi cristi nel secolo apostolico, ci furono dei falsi profeti nel sedicesimo secolo. Alcuni uomini, scossi dall’eccitazione esistente nel mondo religioso, ritenevano di avere ricevuto da Dio l’incarico di adoperarsi per portare a compimento l’opera della Riforma che, essi dicevano, con Lutero aveva avuto solo un debole inizio.

In realtà, essi disfacevano quello che era stato fatto, in quanto rigettavano il grande principio che stava alla base condotta. Al posto di questa infallibile guida, essi cercavano di mettere l’incerto e mutevole criterio rappresentato dai loro sentimenti e dalle loro impressioni. Con siffatto concetto si cercava di scalzare la pietra di paragone capace di smascherare l’errore e la falsità, e si apriva la via perché Satana riuscisse a dominare le menti umane a proprio piacimento. Uno di questi “profeti” pretendeva di essere stato istruito dall’angelo Gabriele. Uno studente che si unì a lui abbandonò gli studi dicendo di essere stato dotato da Dio stesso della dovuta sapienza per esporre la sua Parola. Altri, inclini per natura al fanatismo, si aggiunsero a loro, e così l’attività di questi entusiasti provocò non poca eccitazione. La predicazione di Lutero aveva indotto ovunque la gente a sentire la necessità di una riforma, ed ecco che ora alcune di queste persone davvero oneste venivano sviate dalle pretese di questi “nuovi profeti”.

I capi del movimento si recarono a Wittenberg ed esposero le loro pretese a zelantone e ai suoi colleghi, dicendo: “Noi siamo mandati da Dio ad ammaestrare il popolo. Abbiamo avuto delle conversazioni familiari col Signore e sappiamo quello che dovrà accadere. Siamo degli apostoli e dei profeti e ci appelliamo a Lutero” Idem, vol. 9, cap. 7. I riformatori rimasero perplessi e attoniti. Si trovavano di fronte a un fatto del tutto nuovo e non sapevano quale atteggiamento assumere. Zelantone disse: “In questi uomini ci sono degli spiriti straordinari; ma di quali spiriti si tratta?... Da un lato noi dobbiamo fare attenzione di soffocare lo Spirito di Dio, e dall’altro dobbiamo guardarci dal lasciarvi fuorviare dallo Spirito di Satana” Ibidem. Ben presto, però, i frutti di questo insegnamento furono palesi: la gente trascurava la Bibbia, quando addirittura non l’abbandonava. Le scuole erano in preda alla confusione.

Gli studenti rompendo ogni freno, abbandonavano gli studi e disertavano l’università. Gli uomini che si ritenevano competenti per ravviare l’opera della Riforma e per guidarla, non facevano che spingerla verso l’abisso. I sostenitori di Roma riprendevano animo ed esclamavano esultanti: << Ancora un’unica battaglia e la vittoria sarà nostra! >> Ibidem. Lutero, alla Wartburg, avendo udito quello che stava accadendo, disse preoccupato: << Purtroppo, mi aspettavo che Satana ci avrebbe mandato questa piaga! >> Ibidem. Egli discerneva benissimo il vero volto di quei presunti profeti, ed era consapevole del pericolo che minacciava la causa della verità. L’opposizione del papa e dell’imperatore non gli aveva causato la perplessità e la distretta che provava ora. I peggiori nemici della Riforma erano usciti dai suoi pretesi amici. Quelle stesse verità che erano state fonte di gioia e di consolazione, venivano sfruttate per provocare la lotta e per creare la confusione nella chiesa. Nell’opera della Riforma, Lutero era stato sospinto dallo Spirito di Dio e trasportato ben oltre quanto egli avesse potuto pensare in un primo momento. Mai, infatti, egli si sarebbe immaginato di dover prendere la posizione che aveva assunto e di provocare cambiamenti tanto radicali. Egli era stato solo uno strumento nelle mani della Potenza infinita, eppure speso egli aveva tremato per i risultati della sua opera.

Una volta ebbe a dire: “Se io sapessi che la mia dottrina può fare del male a un uomo, un solo uomo per basso e oscuro che sia – ma non lo può, perché essa è il Vangelo stesso -, preferirei morire dieci volte piuttosto che non ritrattarla” Ibidem. Ora la stessa Wittenberg, centro della Riforma, stava per cadere in preda al fanatismo e all’illegalità. Questa terribile condizione non era stata provocata dall’insegnamento di Lutero; ma in tutta la Germania i suoi nemici l’attribuivano a lui. Con profonda amarezza egli talvolta si domandava: “E’ mai possibile che questa possa essere la fine della grande Riforma?” Ibidem. Ma lottando in preghiera con Dio, egli sentì la pace scendere nel suo cuore: “L’opera non è mia, ma tua”, disse. “Tu non permetterai che essa sia guastata dal fanatismo e dalla superstizione”. Nondimeno, il pensiero di rimanere ancora a lungo fuori della mischia in un momento così critico, gli era insopportabile. Decise, allora, di ritornare a Wittenberg. Senza esitare, si accinse al pericoloso viaggio, nonostante fosse stato messo al bando dall’impero e sapesse che i suoi nemici avevano facoltà di toglierli la vita, mentre agli amici era stato severamente vietato di aiutarlo e di ospitarlo. Il governo imperiale stava adottando le più drastiche misure contro i suoi sostenitori. Egli, però, conscio che l’opera della Parola di Dio, cioè il Vangelo, era in pericolo, decise di entrare in lizza nel nome del Signore per combattere a favore della verità.

In una lettera all’elettore, dopo aver comunicato il suo proposito di lasciare la Wartburg, Lutero scrisse: “Sia noto a sua Altezza che io vado a Wittenberg sotto una protezione superiore a quella che potrebbe venirmi dai principi e dagli elettori. Io non penso di sollecitare l’appoggio di sua Altezza e, lungi dal desiderare la sua protezione, preferirei essere io a proteggere lei. Se io sapessi che sua Altezza volesse e potesse proteggermi, non andrei a Wittenberg, perché non c’è spada che possa aiutare in questa causa: solo Dio deve fare tutto, senza l’aiuto e il concorso dell’uomo. Chi possiede la fede più grande è il più atto a proteggere” Idem, vol. 9, cap. 8. In una seconda lettera, scritta durante il viaggio verso Wittenberg, Lutero aggiunse: “Io sono pronto a incorrere nello sfavore di sua Altezza e nell’ira del mondo intero. Non sono forse i wittenberghesi la mia greggia? Non li ha Iddio affidati a me? Per conseguenza non debbo io, se necessario, espormi per amor loro? Inoltre, io temo di vedere scoppiare in Germania una sommossa per la quale Dio punirebbe la nostra nazione” Idem, vol. 9, cap. 7. Con grande prudenza e umiltà, tuttavia con fermezza e decisione, egli si mise all’opera.

“Per mezzo della Parola”, diceva, “noi dobbiamo abbattere e distruggere quello che è stato stabilito con la violenza. Io non farò uso della forza contro chi è incredulo superstizioso. Nessuno deve essere vittima di costrizione. La libertà è l’essenza della fede” Idem, vol. 9, cap. 8.
Ben presto a Wittenberg si seppe che Lutero era ritornato e che si accingeva a predicare. La gente affluì da ogni parte e la chiesa fu affollatissima. Salito sul pulpito, egli istruì, esortò, rimproverò con bontà e avvedutezza. Parlando di alcuni che erano ricorsi a misure di violenza per abolire la messa, dichiarò: “La messa non è una cosa buona, e Dio vi si oppone. Essa dovrebbe essere abolita, e io vorrei che in tutto il mondo essa fosse sostituita dalla Cena del Vangelo. Però nessuno deve essere strappato ad essa con la forza. Dobbiamo lasciare la cosa nelle mani di Dio: è la sua Parola che deve agire, non noi. Vi chiederete perché. Ebbene, io non tengo i cuori degli uomini nelle mie mani come il vasellaio tiene l’argilla. Noi abbiamo il diritto di parlare, non quello di agire.

Predichiamo e lasciamo il resto a Dio. Se io ricorressi alla forza, che vantaggio ne trarrei? Gesti di disapprovazione, formalismo, ordinanze umane, ipocrisia… Farebbero difetto la sincerità del cuore, la fede e la carità. Ora, dove queste tre cose mancano, manca tutto, ed io non darei una lira per simile risultato… Fa più Dio con la sua Parola che io e tutto il mondo con le nostre forze riunite. Dio conquista il cuore, e quando il cuore è conquistato, la vittoria è conseguita… Io predicherò, discuterò, scriverò, ma non costringerò mai nessuno perché la fede è un atto volontario. Guardate quello che ho fatto: mi sono levato contro il papato contro le indulgenze, contro i papisti; ma l’ho fatto senza violenza, né tumulto. Io mi attengo alla Parola di Dio. Ho predicato, ho scritto: ecco tutto quello che ho fatto. Eppure, mentre io dormivo… la parola predicata ha abbattuto il papato, sì che né principi, né imperatori gli hanno arrecato altrettanto danno. Ma non ho fatto nulla, in quanto è la Parola che ha fatto tutto. Se fossi ricorso alla forza, forse tutta la Germania sarebbe stata immersa nel sangue, e con quale risultato? Rovina e desolazione nel corpo e nell’anima. Perciò io me ne sono rimasto quieto e ho lasciato che la Parola da sola corresse per tutto il mondo” Ibidem.
Giorno dopo giorno, per una settimana Lutero proseguì la sua predicazione a folle bramose di ascoltarlo. La Parola di Dio spezzò l’incantesimo dell’esaltazione fanatica, e la potenza del Vangelo ricondusse il popolo nella via della verità. Lutero non aveva alcuna intenzione di incontrarsi con i fanatici il cui comportamento aveva fatto così tanto male. Egli sapeva che erano uomini dal giudizio non sereno, animati da passioni incontrollabili, i quali, pur dicendo di essere stati illuminati dal cielo, non avrebbero accettato neppure il più bonario e amichevole consiglio o rimprovero.
Arrogandosi la suprema autorità, essi esigevano che tutti, senza discussione, riconoscessero la validità delle loro pretese. Siccome essi chiedevano un abboccamento con Lutero, questi accettò di incontrarli. Riuscì a controbattere così bene le loro affermazioni che quegli impostori si affrettarono ad abbandonare Wittenberg. Il fanatismo era stato momentaneamente debellato, ma purtroppo vari anni dopo esplose di nuovo e con maggiore violenza, dando origine a più terribili risultati. Lutero, parlando dei dirigenti di questo movimento, disse: << Per loro le Sacre Scritture sono lettera morta. Tutti gridano: “Lo Spirito, lo Spirito!”, ma io non intendo seguirli là dove lo spirito li conduce. Possa Iddio, nella sua misericordia, preservarmi da una chiesa in cui ci sono solo dei santi! Io preferisco vivere con gli umili, coi deboli, con gli ammalati, i quali riconoscono e sentono i propri peccati e gemono e gridano del continuo a Dio dall’intimo dei loro cuori per ricevere da lui consolazione e aiuto >> Idem, vol. 10, cap. 10.

Tommaso Münzer, il più attivo dei fanatici, era un uomo dotato di notevole capacità che, se ben diretta, gli avrebbe consentito di fare del bene. Purtroppo, egli non aveva assimilato neppure i primi elementi della vera religione. “Pervaso dal desiderio di riformare il mondo, egli dimenticava, come tutti gli entusiasti, che la Riforma doveva cominciare proprio da lui” Idem, vol. 9, cap. 8. Münzer ambiva occupare una posizione che gli conferisse prestigio e non voleva essere secondo a nessuno, neppure a Lutero. Affermava che i riformatori nel sostituire all’autorità del papa quella delle Sacre Scritture, non avevano fatto che istituire un’altra forma di papato. Egli stesso – aggiungeva – era stato divinamente incaricato di introdurre la vera riforma. “Chi possiede questo spirito, affermava, “possiede la vera fede, anche se in vita sua non dovesse mai vedere le Scritture” Idem, vol. 10, cap. 10. Questi insegnanti fanatici, vittime delle proprie impressioni, ritenevano che ogni loro pensiero e ogni loro impulso fossero la voce di Dio. Alcuni giunsero addirittura a bruciare la Bibbia dicendo: “La lettera uccide, ma lo spirito vivifica”. L’insegnamento di Münzer soddisfaceva il desiderio di chi andava in cerca del meraviglioso, e lusingava l’orgoglio mettendo le idee e le opinioni umane al di sopra della Parola di Dio. Le sue dottrine furono accettate da migliaia di persone. Ben presto egli finì col denunciare ogni ordine nel culto pubblico e dichiarò che l’ubbidienza ai principi equivaleva a voler servire Dio e Belial. Il popolo, che già cominciava a respingere il giogo papale, dava segni di insofferenza, dimostrando di mal sopportare le limitazioni imposte dall’autorità civile. Per conseguenza, gli insegnamenti rivoluzionari di Münzer – il quale pretendeva che essi erano approvati da Dio – indussero la gente a ignorare ogni controllo e a lasciare briglia sciolta al pregiudizio e alle passioni. Ne seguirono terribili scene di sedizione e di violenza, tali che i campi della Germania furono inondati di sangue. L’angoscia dell’anima che Lutero aveva così a lungo conosciuto a Erfurt, si faceva in lui sempre più opprimere perché i risultati del fanatismo venivano attribuiti alla Riforma.

I principi sostenitori di Roma dichiaravano – e molti erano pronti ad accettare le loro affermazioni – che la ribellione era il frutto naturale delle dottrine di Lutero. Quantunque l’accusa fosse del tutto infondata, essa fu fonte di grande tristezza per il riformatore. Che la causa della verità fosse biasimata e abbassata al livello di un meschino fanatismo, era qualcosa di più forte di quanto egli potesse sopportare. D’altra parte, i capi della rivolta odiavano Lutero perché non solo egli si opponeva alle loro dottrine e non credeva alle loro pretese di ispirazione divina, ma li aveva dichiarati ribelli all’autorità civile. Per vendicarsi, lo denunciarono come un abietto presuntuoso. Sembrava che Lutero si fosse tirato addosso l’inimicizia dei principi e del popolo. I sostenitori di Roma esultavano all’idea di vedere il rapido crollo della Riforma, e accusavano Lutero perfino degli errori che egli aveva combattuto con tanta energia. Il partito dei fanatici, poi, con la pretesa di essere stato trattato ingiustamente, riuscì ad accaparrarsi la simpatia di una larga categoria di persone e, come spesso accade a chi si schiera con l’errore, fu considerato martire. In tal modo, quanti si opponevano energicamente alla Riforma finirono con l’essere giudicati vittime dell’oppressione e della crudeltà. Questa opera di Satana era animata da uno spirito di ribellione analogo a quello che egli aveva già manifestato una volta in cielo.

Satana cerca continuamente di ingannare gli uomini e di indurli a chiamare il peccato giustizia e la giustizia peccato. La sua opera è spesso coronata dal successo. Quante volte, infatti, i fedeli servitori di Dio sono oggetto di biasimo perché difendono coraggiosamente la verità! Degli uomini, i quali altro non sono se non agenti di Satana, vengono lodati, incensati, se non addirittura considerati martiri, mentre coloro che dovrebbero essere rispettati e sostenuti per la loro fede e per la loro fedeltà a Dio, sono abbandonati e fatti segno alla sfiducia e al sospetto. La falsa santità e la falsa santificazione continuano ancora la loro opera di seduzione. Sotto varie forme esse rivelano lo stesso spirito manifestato al tempo di Lutero, inteso a distogliere le menti delle Sacre Scritture per respingere gli uomini a seguire i propri sentimenti e le proprie impressioni anziché ubbidire alla legge di Dio. E’ questa una delle più sottili astuzie cui Satana ricorre per gettare delle ombre sulla purezza e sulla verità.

Intrepido, Lutero difese la Parola di Dio, cioè, il Vangelo dei primi cristiani, quelli che al tempo di Gesù, dagli attacchi che da ogni parte gli erano mossi. Ancora una volta la parola di Dio fu un’arma potente. Con essa egli lottò contro le usurpazioni del papa, contro la filosofia scolastica, e rimase saldo come una roccia di fronte al fanatismo che tentava di allearsi alla Riforma. Questi vari elementi cercavano, ciascuno per proprio conto, di accantonare le Sacre Scritture e di esaltare la sapienza umana come fonte di verità e di conoscenza nel campo religioso. Il razionalismo idolatra la ragione e ne fa il criterio della religione. Il Cattolicesimo secolare reclama per il pontefice un’ispirazione che – discendendo in linea ininterrotta dagli apostoli – offre l’opportunità per ogni sorta di stravaganza e di deviazione sotto il manto della santità del mandato apostolico. L’ispirazione che Münzer e i suoi collaboratori pretendevano di avere derivava dalle divagazioni della loro immaginazione e non riconosceva alcuna autorità divina o umana.

Il Cristianesimo, invece, vede nella Parola di Dio il ricco forziere della verità ispirata e la pietra di paragone di ogni ispirazione. Al suo ritorno dalla Wartburg, Lutero ultimò la traduzione del Nuovo Testamento, e in breve tempo l’Evangelo poté essere dato ai tedeschi nella loro lingua madre. Questa traduzione fu accolta con gioia da tutti coloro che amavano la verità, mentre fu avversata da quanti preferivano attenersi alle tradizioni e ai comandamenti umani. I sacerdoti si allarmarono al pensiero che il popolo potesse discutere con loro i precetti della Parola di Dio e che, così venisse a galla la loro ignoranza. Le armi del loro ragionamento umano erano impotenti contro la spada dello Spirito. Roma fece appello a tutta la sua autorità per impedire la circolazione delle Scritture; ma decreti, anatemi e torture risultarono inutili. Più la chiesa condannava la Bibbia, maggiore appariva il desiderio del popolo di conoscere che cosa essa insegnasse. Tutti coloro che sapevano leggere erano bramosi di studiare da se stessi la Parola di Dio.

La portarono con sé, la leggevano, la rileggevano, e non erano soddisfatti se non quando riuscivano a impararne a mente lunghi brani. Nel vedere con quanto favore era stato accolto il Nuovo Testamento, Lutero cominciò immediatamente a tradurre anche il Vecchio Testamento e a farne pubblicare le varie porzioni di esso a mano a mano che venivano da lui ultimate. Gli scritti di Lutero erano bene accolti nelle città e nei villaggi. “Quello che Lutero e i suoi amici componevano, gli altri lo diffondevano. Dei frati, convinti dell’illegalità degli obblighi monastici e desiderosi di abbandonare una lunga vita di pigrizia per intraprenderne una attiva, riconoscendosi troppo ignoranti per poter proclamare la Parola di Dio, percorrevano le province visitando case e capanne per vendere i libri di Lutero e dei suoi amici. Non passò molto tempo che la Germania fu piena di questi baldi colportori” Idem, vol. 9, cap. 11.

Quegli scritti erano studiati con vivo interesse da ricchi e da poveri, da dotti e da ignoranti. La sera, gli insegnamenti delle scuole rurali li leggevano ad alta voce a piccoli gruppi di persone raccolte intorno a un caminetto. In tal modo molte anime furono convinte della verità, accettarono con gioia la Parola e si affrettarono a comunicarla ad altri. Si avverrò, così, quanto si legge nel Salmo 119, al versetto 130: “La dichiarazione delle tue parole illumina: dà intelletto ai semplici”. Lo studio delle Sacre Scritture operava un profondo cambiamento nelle menti e nei cuori della gente. Il dominio papale aveva imposto, a quanti gli erano soggetti, un giogo di ferro che li teneva nell’ignoranza e nella degradazione. Veniva loro richiesta una tale superstiziosa osservanza delle forme, che ben pochi mettevano nel loro culto il cuore e la mente. La predicazione di Lutero, che esponeva le chiare verità della Parola di Dio e la stessa Parola da lui posta nelle mani del popolo, avevano valso a riscuotere la facoltà assopite, a nobilitare e a purificare la natura spirituale, oltre a infondere nuovo vigore e nuovo impulso all’intelletto. Si vedevano persone di ogni ceto difendere, con la Bibbia alla mano, le dottrine della Riforma.

I papisti che avevano lasciato la cura dello studio delle Scritture ai sacerdoti e ai frati, si rivolgevano a loro perché reputassero i nuovi insegnamenti. Preti e monaci, però, nella loro ignoranza delle Scritture e della potenza di Dio che da esse deriva, finivano invariabilmente con l’essere sconfitti da quanti essi avevano considerato eretici. Un autore cattolico dichiarò: “Sfortunatamente, Lutero aveva persuaso i propri seguaci a credere solo agli oracoli delle Sacre Scritture” Idem, vol. 9, cap. 11. La folla si accalcava per ascoltare l’esposizione della verità fatta da uomini di scarsa cultura e da essi discussa perfino con dotti ed eloquenti teologi. La paese ignoranza di questi grandi uomini era resa ancora più evidente via via che i loro argomenti grandi uomini era resa ancora più evidente via via che i loro argomenti venivano ribattuti dalle semplici dichiarazioni della Parola di Dio.

Artigiani e soldati, donne e perfino bambini erano più familiari con l’insegnamento della Bibbia di quanto non lo fossero i sacerdoti e i dottori. Il contrasto fra i discepoli del Vangelo e i sostenitori della superstizione romana non era meno manifesto nelle file dei dotti che fra il popolo. “Dinanzi ai vecchi campioni della gerarchia ecclesiastica, che avevano trascurato lo studio delle lingue e la cultura letteraria… si ergevano dei giovani dalla mente aperta, dediti allo studio, i quali investigavano le Scritture e si familiarizzavano con i capolavori dell’antichità. Dotati di una mente acuta, di un’anima elevata, di un cuore intrepido, essi acquisirono ben presto una conoscenza tale che per molto tempo nessuno poté competere con loro… Per conseguenza, quando questi difensori della Riforma s’incontravano con i dottori di Roma, li affrontavano con tanta sicurezza che essi tentennavano, si sentivano imbarazzati e finivano col fare una figura meschina sotto gli occhi di tutti” Ibidem. Quando il clero romano si rese conto che le congregazioni diminuivano di numero, invocò l’aiuto dei magistrati e si sforzò di riconquistare gli uditori con ogni mezzo a sua disposizione. La gente, però, aveva ormai trovato nei nuovo insegnamenti quello che poteva soddisfare l’anima e quindi si allontanò da chi, per tanto tempo, l’aveva nutrita con la vanità di libri che insegnavano riti superstiziosi e tradizioni umane.
Allorché la persecuzione infierì contro quanti insegnavano la verità, questi si attennero alle direttive di Gesù: “E quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra” Matteo 10:23. La

luce penetrò dappertutto perché i fuggiaschi trovavano ovunque una porta ospitale che veniva loro aperta e che offriva loro l’opportunità di predicare Cristo o nella chiesa, o nelle case private, o all’aria aperta. La verità, predicata con tanta energia e sicurezza, si diffuse con irresistibile potenza. Invano le autorità ecclesiastiche e civili furono esortate a reprimere l’eresia. Invano ricorsero all’imprigionamento, alla tortura, al fuoco e alla spada. Migliaia di credenti suggellarono la loro fede col proprio sangue, ma l’opera andò avanti. La persecuzione servì solo a far diffondere la verità, mentre il fanatismo che Satana cercava di mescolare ad essa contribuì a rendere ancora più netto il divario fra l’opera di Satana e l’opera di Dio.

LA PROTESTA DEI PRINCIPI.
Una delle più nobili testimonianze che siano mai state rese alla Rivelazione, fu la solenne protesta dei principi cristiani della Germania alla dieta di Spira, nel 1529. Il coraggio, la fede e la fermezza di quegli uomini di Dio assicurò alle età successive la libertà di pensiero e di coscienza. Questa protesta, i cui principi costituiscono “la vera essenza del Protestantesimo” D’Aubignè, vol. 13, cap. 6, diede alle chiese riformate il nome di protestanti. Un giorno oscuro e gravido di minacce era spuntato per la Riforma. Nonostante l’editto di Worms, il quale dichiarava Lutero fuori legge e vietava l’insegnamento delle sue dottrine e la credenza in esse, la tolleranza religiosa era prevalsa nell’impero. La provvidenza di Dio aveva tenuto a freno le forze che si opponevano alla verità. Carlo V era propenso a estirpare la Riforma ma spesso, quando la sua mano stava per colpire, qualcosa veniva a impedire il suo gesto. La distruzione della Riforma era sembrata varie volte imminente; ma ecco che al momento critico erano comparsi alle frontiere gli eserciti turchi o il re di Francia o lo stesso papa che, geloso della crescente grandezza dell’imperatore, era deciso a fargli guerra. Così, in mezzo alle contese e al tumulto delle nazioni, la Riforma aveva avuto modo di rafforzarsi ed estendersi. Venne però il momento in cui i sovrani cattolici si decisero a fare causa comune con i riformati. La dieta di Spira, nel 1526, aveva dato a ogni stato la piena libertà religiosa in attesa che fosse convocato un concilio generale. Ma ecco che l’imperatore decise improvvisamente di convocare un concilio a Spira nel 1529 per estirpare l’eresia.

I principi dovevano essere indotti, possibilmente ricorrendo a mezzi del tutto pacifici, a schierarsi contro la Riforma. Qualora questo tentativo non avesse avuto esito, Carlo V era deciso a fare uso di spada.
I partigiani del papa esultarono e affluirono numerosissimi a Spira, manifestando apertamente la loro ostilità verso i riformatori e verso quanti li favorivano. Melantone disse: “Noi siamo diventati l’esecrazione e la spazzatura del mondo; però Cristo rivolgerà il suo sguardo verso il suo povero popolo per proteggerlo” Idem, vol. 13, cap. 5. Ai principi evangelici convenuti a Spira fu severamente proibito di far predicare le Sacre Scritture, perfino nelle loro dimore. Ma gli abitanti di Spira erano assetati della Parola di Dio e, nonostante il divieto, partecipavano a migliaia alle funzioni religiose che si tenevano nella cappella dell’elettore di Sassonia. Questo concorse ad affrettare la crisi. Un messaggio imperiale annunciò alla dieta che siccome la decisione di accordare la libertà di coscienza era stata fonte di gravi disordini, l’imperatore chiedeva che essa venisse revocata. Questo atto arbitrario suscitò indignazione e allarme in seno ai cristiani evangelici. Uno di essi dichiarò: “Cristo è nuovamente caduto nelle mani di Caiafa e di Pilato”.

I seguaci di Roma si fecero ancora più violenti. Un cattolico fanatico disse: “I turchi sono migliori dei luterani, perché osservarono giorni di digiuno mentre i luterani li vietano. Se noi dovessimo scegliere fra le Sacre Scritture di Dio e i vecchi errori della chiesa, rigetteremo quelle”. Zelantone a sua volta affermò: “Ogni giorno in piena assemblea Faber scaglia delle pietre contro di noi” Ibidem. La tolleranza religiosa era stata stabilita legalmente, per conseguenza gli stati evangelici erano decisi a opporsi alla revoca dei loro diritti. Lutero,, essendo tuttora oggetto del bando impostogli dall’editto di Worms, non poté essere presente a Spira, ma il suo posto fu preso dai suoi collaboratori e dai principi che Dio aveva suscitati a difesa della sua causa, in quel particolare frangente. Il nobile Federico di Sassonia, l’antico protettore di Lutero, era morto; ma il duca Giovanni, suo fratello e successore, aveva accolto con gioia la Riforma; e, pur essendo amico della pace, diede prova di grande energia e di grande coraggio in tutto quello che riguardava gli interessi della fede.

I preti chiedevano che gli stati che avevano aderito alla Riforma si sottomettessero implicitamente alla giurisdizione di Roma. I riformatori, dal canto loro, reclamavano la libertà che era stata loro precedentemente accordata. Essi non potevano permettere che Roma riducesse di nuovo sotto il suo controllo gli stati che con tanta gioia avevano accettato la Parola di Dio. Per giungere a un compromesso, fu finalmente suggerito che là dove la Riforma non era ancora penetrata, l’editto di Worms fosse applicato con rigore; mentre “in quegli stati in cui la gente non ne aveva tenuto conto e perciò non era possibile imporlo senza il pericolo di una ribellione non si doveva attuare nessuna riforma, né prendere in considerazione i punti controversi; la celebrazione della messa doveva essere tollerata, ma non si doveva permettere a nessun cattolico di abbracciare il Luteranesimo” Ibidem.

La dieta approvò questa proposta, con grande soddisfazione dei sacerdoti e dei prelati romani. Se questo editto fosse stato imposto, “la Riforma non avrebbe potuto estendersi… là dove ancora non era conosciuta, né consolidarsi là dove già esisteva” Ibidem. La libertà di parola sarebbe stata proibita, e nessuna conversione sarebbe stata premessa. Gli amici della Riforma erano invitati ad assoggettarsi immediatamente a queste prescrizioni e a questi divieti. “Il ristabilimento della gerarchia romana… avrebbe infallibilmente ricondotto agli antichi abusi”; e ben presto sarebbe stata creata l’occasione per “completare la distruzione di un’opera già violentemente scossa dal fanatismo e dai dissensi” Ibidem. Quando i membri del partito evangelico si riunirono per una consultazione, tutti si guardarono in faccia costernati. Essi si chiedevano l’un l’altro: “Che cosa fare?”.

Erano in gioco grandi conseguenze per il mondo. “I capi della Riforma si sarebbero sottomessi e avrebbero accettato l’editto? Sarebbe stato facile per la Riforma, in quella ora così tragica, imboccare la via che avrebbe portato a un comportamento del tutto sbagliato. D’altra parte, non mancavano i pretesti plausibili per sottomettersi. Per esempio, ai principi luterani era assicurato il libero esercizio della loro religione, e analoga facoltà veniva estesa a quanti avevano abbracciato le idee della Riforma prima della decisione proposta. Tutto ciò non era forse sufficiente? Quanti pericoli sarebbero stati evitati con la sottomissione! L’opposizione, invece, avrebbe provocato contrattempi e conflitti. Inoltre, chi poteva conoscere le opportunità che l’avvenire aveva in serbo? Abbracciare la pace, accettare il ramoscello d’olivo che Roma offriva, fasciare le ferite della Germania: ecco altrettanti argomenti con i quali i riformatori avrebbero potuto benissimo giustificare l’adozione di una linea di condotta che però, col passare del tempo, avrebbe provocato il crollo della loro causa.

<< Per fortuna, essi videro il principio che stava alla base di quella proposta e agirono mossi dalla fede. Qual era questo principio? Era il diritto che Roma si arrogava di coartare le coscienze e di vietare la libera indagine. Non dovevano essi e gli altri protestanti godere della libertà religiosa? Sì, però essa veniva concessa non già come un diritto, ma come un favore speciale. Per chiunque si trovasse fuori dell’accordo in questione, vigeva il principio della grande autorità romana, per cui la coscienza veniva eliminata e si doveva ubbidire a Roma, giudice infallibile. L’accettazione di siffatta proposta sarebbe stata la virtuale ammissione che la libertà religiosa doveva limitarsi solo alla Sassonia riformata, mentre per il resto del mondo cristiano la libera indagine e la professione di fede riformata sarebbero state dei crimini punibili col carcere e col rogo. Potevano i riformati accettare di localizzare la libertà religiosa? Potevano ammettere implicitamente che la Riforma ormai aveva fatto il suo ultimo convertito, occupato il suo ultimo palmo di terra, che là dove Roma esercitava il suo potere, questo doveva sussistere in perpetuo? Potevano i riformatori dichiararsi innocenti del sangue delle centinaia e delle migliaia di martiri che in seguito all’adorazione di questo accordo sarebbero stati messi a morte nelle terre papali? Tutto ciò sarebbe stato un vero tradimento, in quella ora così solenne, della causa del Vangelo e della libertà del Cristianesimo” Wylie, vol. 9, cap. 15.

Meglio, perciò, molto meglio “sacrificare tutto: La propria posizione, la propria corona, la propria vita” D’Aubigné, vol. 13, cap. 5. “Respingiamo questo decreto”, dissero i principi. “In materia di coscienza, la maggioranza non ha autorità”. I deputati dichiararono: “Noi dobbiamo la pace di cui il mondo gode al decreto del 1526. Abolirlo significherebbe provocare in Germania lotte e divisioni. La dieta non può fare altro che mantenere la libertà religiosa in attesa che si riunisca il concilio” Ibidem. Tutelare la libertà di coscienza è dovere dello stato e limite della sua autorità in materia di religione. Ogni governo secolare che cerchi di regolare o di imporre le osservanze di natura religiosa ricorrendo all’autorità civile, sacrifica il principio nel nome del quale i cristiani evangelici tanto nobilmente hanno lottato. I sostenitori del papa decisero di abbattere quella che essi definivano “audace ostinazione”. Cominciarono con l’adoperarsi per creare delle divisioni fra i seguaci della Riforma, e cercarono di intimidire quanti ancora non si erano dichiarati in suo favore. I rappresentanti delle città libere furono infine convocati dinanzi alla dieta e invitati a dichiarare se intendevano o no aderire alla proposta. Essi chiesero invano una dilazione. Quelli che ricusarono di sacrificare la libertà di coscienza e il diritto al libero esame, sapevano perfettamente che la loro posizione li avrebbe resi in seguito oggetto della critica, della persecuzione e della condanna. Uno dei delegati disse: “Noi dobbiamo: o rinnegare la Parola di Dio o affrontare il rogo” Ibidem.

Re Ferdinando, rappresentante dell’imperatore alla dieta, si rese conto che il decreto sarebbe stato fonte di divisione, a meno che i principi non fossero stati indotti ad accettarlo e a sostenerlo. Ricorse, perciò, alla persuasione, conscio che con tali uomini l’uso della forza avrebbe sortito l’effetto contrario. “Egli invitò i principi ad accettare, assicurandoli che l’imperatore ne sarebbe stato oltremodo compiaciuto”. Quegli uomini fedeli, però, riconoscevano un’autorità superiore a quella dei monarchi terreni e quindi risposero, con calma e fermezza: “Noi ubbidiamo all’imperatore in tutto ciò che può contribuire al mantenimento della pace e dell’onore di Dio” Ibidem. In piena dieta il re annunciò all’elettore e ai suoi amici che l’editto “stava per essere proclamato sotto forma di decreto imperiale”, e che “l’unica via da seguire era quella di sottomettersi alla maggioranza”, Detto questo, si ritirò dall’assemblea, togliendo così ai riformatori l’opportunità e di replicare. “Invano essi gli inviarono una deputazione per invitarlo a ritornare.

Alle loro rimostranze, il re rispose: “E’ cosa ormai definita; non vi rimane che sottomettervi” Ibidem. Il partito imperiale era convinto che i principi cristiani avrebbero aderito alle Sacre Scritture, considerandole superiori alle dottrine e alle esigenze degli uomini. Sapevano che ovunque fosse stato accettato questo principio, il papato sarebbe stato abbattuto. Però essi, come migliaia di altri dopo di allora, guardando solo alle “cose visibili”, si lusingavano che la causa dell’imperatore e del papa era forte, mentre i riformati erano deboli. Se i riformatori avessero contato unicamente sul soccorso umano, sarebbero stati impotenti; mentre, anche se numericamente deboli e in disaccordo con Roma, essi erano forti, in quanto si richiamavano “dal rapporto della dieta alla Parola di Dio e dall’imperatore Carlo a Cristo Gesù, il Re dei re e il Signore dei signori” Idem, vol. 13, cap. 6.

Poiché re Ferdinando aveva rifiutato di tenere conto delle loro convinzioni di coscienza, i principi decisero di non considerare, a loro nazionale, senza ritardo. Fu redatta e presentata alla dieta questa solenne dichiarazione: “Noi protestiamo dinanzi a Dio, nostro Creatore, Protettore, Redentore e Salvatore, che un giorno sarà il nostro Giudice, come anche dinanzi a tutti gli uomini e a tutte le creature, che noi, per noi e per il nostro popolo non acconsentiamo e non aderiamo in nessuna maniera al decreto proposto, in tutto ciò che è contrario a Dio, alla sua santa Parola, alla nostra coscienza e alla salvezza delle anime nostre.

“Che cosa! Ratificare questo editto? Affermare che quando l’onnipotente Iddio chiama un uomo alla sua conoscenza, questi non può giungere nonostante ciò a conoscerlo? Non esiste altra dottrina sicura se non quella che si conforma alla Parola di Dio… Il Signore proibisce l’insegnamento di un’altra dottrina… Le Sacre Scritture debbono essere spiegate con passi biblici più chiari… Questo Libro è necessario al cristiano in tutte le cose, facile da capire e atto a dissipare le tenebre. Noi, perciò, siamo decisi per grazia di Dio a mantenere la pura ed esclusiva predicazione della sua Parola, quale è contenuta nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, senza aggiungervi nulla che possa esserle contrario. Questa Parola è la sola verità, è la sicura regola di ogni dottrina e di ogni esistenza, e non può mai venir meno, né ingannare. Chi edifica su questo fondamento resisterà contro tutte le potenze dell’inferno, mentre le umane vanità che si levano contro di essa cadranno dinanzi alla faccia di Dio. “Per questa ragione noi rigettiamo il giogo che ci viene imposto”.

“Allo stesso tempo ci aspettiamo che sua Maestà imperiale si comporti nei nostri confronti come un principe cristiano che ama Dio sopra ogni altra cosa. Noi ci dichiariamo pronti a tributargli – e a tributare a voi, graziosi signori - tutto l’affetto e tutta l’ubbidienza che sono nostro giusto e legittimo dovere” Ibidem. Questa risposta produsse sulla dieta una profonda impressione. La maggioranza dei presenti erano sorpresi e allarmati per la baldanza dei protestatari. L’avvenire appariva loro incerto e minaccioso. Dissensi, contese e spargimento di sangue parevano inevitabili. I riformatori, sicuri della giustizia della loro causa e fidando nel braccio dell’Onnipotente, erano pieni di coraggio e di fermezza. << principi contenuti in questa vibrata protesta… costituiscono la vera essenza del Protestantesimo.

Questa protesta si oppone a due abusi dell’uomo in materia di fede: il primo è l’intrusione del magistrato civile; il secondo è l’autorità arbitraria della chiesa. Al posto di questi abusi, il Protestantesimo pone la forza della coscienza al di sopra del magistrato e l’autorità della Parola di Dio al di sopra della chiesa visibile. In primo luogo esso rigetta l’autorità civile nelle cose divine e afferma, con i profeti e con gli apostoli, “Noi dobbiamo ubbidire a Dio anziché agli uomini!”. Al cospetto della corona di Carlo V, esso innalza la corona di Gesù Cristo.
Ma va oltre, perché stabilisce il principio secondo cui tutto l’insegnamento umano deve essere subordinato agli oracoli di Dio >> Ibidem.

I protestanti avevano affermato il diritto di esprimere liberamente le loro convinzioni in materia di fede. Essi intendevano non solo credere e ubbidire, ma anche insegnare quello che la Parola di Dio presenta, e negavano ai sacerdoti e ai magistrati il diritto di interferire. La protesta di Spira fu una solenne testimonianza contro l’intolleranza religiosa, oltre che l’affermazione del diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza. La dichiarazione era stata fatta, era scritta nella mente di migliaia di persone e registrata nei libri del cielo, dove nessuno sforzo umano avrebbe potuto cancellarla. Tutta la Germania evangelica adottò la protesta come espressione della sua fede: ovunque gli uomini vedevano in questa dichiarazione la promessa di un’era nuova e migliore. Uno dei principi disse ai protestanti di Spira: “Possa l’Onnipotente, che vi ha fatto la grazia di confessarlo con energia e senza timore, conservarvi in questa fermezza cristiana fino al giorno dell’eternità!” Ibidem.

Se la riforma, una volta conseguito un certo successo, avesse acconsentito a temporeggiare per assicurarsi il favore del mondo, sarebbe stata infedele a Dio a se stessa, e avrebbe preparato il proprio crollo. L’esperienza di questi nobili riformati racchiude una lezione valida per tutti i secoli futuri. Il modo di procedere di Satana contro Dio e contro la sua Parola non è cambiato: egli è sempre ostile alle Scritture quali norma di vita, come lo era nel sedicesimo secolo. Oggi si nota un notevole divario dalla dottrina che esse insegnano, ed è perciò necessario un ritorno al grande principio protestante: la Bibbia, solo la Bibbia come regola di fede e di condotta. Satana è all’opera, e ricorre a ogni mezzo per poter dominare ed eliminare la libertà religiosa. La potenza anticristiana che i protestanti di Spira rigettarono agisce ancora e cerca, con rinnovato vigore, di ristabilire la perduta supremazia. Oggi l’unica speranza di riforma risiede nella stessa, inalterata adesione alla Parola di Dio che fu manifestata in quella ora critica della Riforma.

Per i protestanti si andavano profilando chiari segni di pericolo; ma allo stesso tempo si poteva notare che la mano di Dio era stessa per proteggere i fedeli. Fu verso quella epoca che “Zelantone accompagnò attraverso le vie di Spira, dirigendosi in fretta verso il Reno, il suo amico Simone Grynaeus, sollecitando ad attraversare il fiume. Grynaeus era stupito di tanta fretta, e Zelantone gli disse: “Un vecchio dall’aria grave e solenne, a me sconosciuto, mi è apparso e mi ha detto: Fra un minuto degli agenti saranno mandati da Ferdinando ad arrestare Grynaeus”. Quello stesso giorno, Grynaeus, scandalizzato dal sermone di Faber, eminente dottore papale, alla fine gli aveva fatto le sue rimostranze, accusandolo di difendere “alcuni detestabili errori”. Faber dissimulò la propria ira, ma si affrettò a ricorrere al re, il quale gli rilasciò un ordine per procedere contro l’importuno professore di Heidelberg. Zelantone era sicuro che Dio aveva salvato il suo amico mandando uno dei suoi santi angeli ad avvertirlo.

“Immobile, sulla riva del Reno, egli attese fino anche le acque del fiume non ebbero tratto in salvo l’amico, sottraendolo ai suoi persecutori. “Finalmente!”, esclamò Zelantone quando lo vide giunto sull’opposta riva. “Finalmente egli è stato sottratto alle fauci crudeli di coloro che erano assetati del suo sangue innocente!”. Ritornando a casa, seppe che gli agenti mandati alla ricerca di Grynaeus avevano perquisito l’edificio nel quale abitava, dal solaio alle cantine” Ibidem. La Riforma doveva imporsi all’attenzione dei potenti della terra. I principi evangelici, ai quali era stata rifiutata l’udienza da parte di re Ferdinando, ebbero l’opportunità di esporre la loro causa all’imperatore e ai dignitari dello stato e della chiesa. Nell’intento di eliminare i dissidi che turbavano l’impero, Carlo V, l’anno dopo la protesta di Spira, convocò una dieta ad Augusta, intenzionato a presiederla egli stesso, e alla quale furono invitati anche i capi protestanti. La Riforma era minacciata da gravi pericoli; però i suoi sostenitori avevano rimesso la loro causa nelle mani di Dio e si erano impegnati a rimanere fedeli alle Sacre Scritture. L’elettore di Sassonia fu esortato dai suoi consiglieri a non presentarsi alla dieta. L’imperatore, dicevano, esigeva la presenza dei principi per tendere loro un tranello. “Non significava forse rischiate tutto, andando a chiudersi fra le mura di una città dove c’era un nemico potente?”.

Altri, nobilmente, dichiararono: “Che i principi diano prova di coraggio, e la causa di Dio sarà salva!”. Lutero, a sua volta, affermò: Dio è fedele e non ci abbandonerà!”. Idem, vol. 14, cap. 2. L’elettore, accompagnato dal suo seguito, mosse verso Augusta. Tutti erano consapevoli dei pericoli che lo minacciavano, e non pochi procedevano oppressi, col cuore turbato. Lutero, che li accompagnò fino a Coburgo, ravvivò la loro fede col canto dell’inno da lui scritto durante il viaggio: “Forte rocca è il nostro Dio”. Molti oscuri presagi furono banditi, molti cuori presero animo nell’udire il canto di queste strofe ispirate.
I principi riformati avevano deciso di presentare alla dieta una dichiarazione dei loro punti di vista, redatta in forma sistematica e documentata da esplicite affermazioni delle Sacre Scritture. Furono incaricati di redigerla Lutero, Melantone e i loro collaboratori. I protestanti accettarono questa confessione come esposizione della loro fede, e si riunirono per firmarla. Era, quello, un momento solenne e decisivo. I riformati desideravano che la loro causa non venisse confusa con le questioni di carattere politico, e stimavano che la Riforma non dovesse esercitare altro influsso se non quello derivante dalla Parola di Dio. Quando i principi cristiani si fecero avanti per la firma, Melantone si interpose dicendo: “Spetta ai teologi e ai ministri del Vangelo proporre queste cose; mentre l’autorità dei potenti di questa terra è riservata ad altre questioni”. Giovanni di Sassonia replicò: “Dio non voglia che tu me ne escluda! Sono deciso a fare quello che è giusto, senza preoccuparmi della mia corona.

Intendo confessare al Signore: il mio cappello di elettore, il mio ermellino non mi sono preziosi quanto la croce di Gesù Cristo”. Ciò detto, appose la sua firma in calce al documento. Un altro principe, nel prendere in mano la penna, dichiarò: “Se l’onore del mio Signore Gesù Cristo lo esige, io sono pronto a rinunciare alle mie ricchezze e alla mia vita”. Quindi proseguì: “Io preferirei rinunciare ai miei sudditi, ai miei stati e perfino alla terra dei miei avi piuttosto che aderire a una dottrina diversa da quella espressa in questa confessione” Idem, vol. 14, cap. 6. Questa era la fede, questo era l’ardire di quegli uomini di Dio. Giunse il momento di comparire dinanzi all’imperatore. Carlo V, seduto sul trono, circondato dagli elettori e dai principi, diede udienza ai riformatori protestanti. Fu eletta la loro confessione di fede, e in tal modo le verità del Vangelo furono chiaramente esposte e affermate al cospetto di quella augusta assemblea, mentre venivano messi in luce gli errori della chiesa papale. Quel giorno è stato giustamente definito “il più gran giorno della Riforma, uno dei giorni più gloriosi nella storia del cristianesimo e dell’umanità” Idem, vol. 14, cap. 7. Pochi anni erano trascorsi dal giorno in cui il monaco di Wittenberg si era presentato, solo, dinanzi al concilio nazionale di Worms. Ora, al suo posto c’erano i principi più nobili e più potenti dell’impero. A Lutero non era stato consentito di presentarsi ad Augusta, però egli era presente con le sue parole e con le sue preghiere. “Io esulto di gioia”, scriveva, “per essere vissuto fino a questo momento nel quale Cristo è stato pubblicamente esaltato da confessori così illustri in un’assemblea tanto importante” Ibidem. Si adempiva, così, la dichiarazione delle Scritture: “Parlerò delle sue testimonianze dinanzi ai re” Salmo 119:46.

L’apostolo Paolo portò dinanzi ai principi e ai nobili della città imperiale quel Vangelo a cagione del quale egli era stato messo in carcere. Così, in questa occasione, quello che l’imperatore aveva proibito di predicare dal pulpito, fu predicato in un palazzo. Quello che molti stimavano non fosse degno di essere udito neppure dai servi, era ora ascoltato con meraviglia dai grandi e dai signori dell’impero. L’uditorio si componeva di re e di altri dignitari; i predicatori erano dei principi coronati, e il sermone era rappresentato dalle regali verità di Dio. “Dai tempi degli apostoli”, dice uno storico, “non c’era mai stata un’opera maggiore di questa; non c’era mai stata una confessione più grandiosa” D’Aubigné, vol. 14, cap. 7. Tutto quello che i luterani hanno detto è vero, e noi non lo possiamo negare”, affermò un vescovo cattolico. “Può lei rifiutare con valide ragioni la confessione fata dall’elettore e dai suoi alleati?”, chiese un altro al dottor Eck. Questi rispose: “Con gli scritti degli apostoli e dei profeti, no; ma con quelli dei Padri e dei concili, sì”. “Capisco”, replicò l’interlocutore. “Secondo lei i luterani sono nelle Scritture e noi ne siamo fuori” Idem, vol. 14, cap. 8. Alcuni principi della Germania furono conquistati alla fede riformata.

Lo stesso imperatore dichiarò che gli articoli presentati dai protestanti erano verità. La confessione fu tradotta in varie lingue e fatta circolare per tutta l’Europa. Nel corso delle successive generazioni essa fu accettata da milioni di persone come espressione della loro fede. I fedeli servitori di Dio non erano soli. Mentre “i principati, le podestà e gli spiriti malefici nei luoghi celesti” si coalizzavano contro di loro, il Signore non abbandonò il suo popolo. Se i loro occhi si fossero aperti, essi avrebbero visto la manifestazione della presenza e dell’aiuto di Dio, intervenire come nel passato in favore di un profeta. Quando il servo di Eliseo additò al profeta l’esercito nemico che li circondava, precludendo loro ogni possibilità di scampo, l’uomo di Dio pregò: “O Eterno, ti prego, aprigli gli occhi, affinché vegga!” 2° Re 6:17. Ed ecco il monte era pieno di cavalli e di carri di fuoco: l’esercito del cielo era là per proteggere i figliuoli di Dio. Così gli angeli protessero gli operai nella causa della Riforma. Uno dei principi più strenuamente sostenuti da Lutero era che non si doveva ricorrere né al potere temporale, né alle armi per sostenere la Riforma. Egli si rallegrava che l’Evangelo fosse confessato dai principi dell’impero; ma quando essi proposero di unirsi in una lega difensiva, egli dichiarò che “la dottrina del Vangelo doveva essere difesa solo da Dio… Meno l’uomo si fosse immischiato nell’opera, più evidente sarebbe apparso l’intervento di Dio in suo favore. Tutte le precauzioni politiche suggerite erano, secondo lui, da attribuirsi a un indegno timore e a una peccaminosa sfiducia” D’Aubigné, vol. 10, cap. 14.

Quando dei nemici potenti si univano per abbattere la fede riformata e migliaia di spade stavano per essere sguainate contro di essa, Lutero scriveva: “Satana sta sfogando tutto il suo furore; empi pontefici cospirano e noi siamo minacciati di guerra. Esortate la gente a combattere valorosamente davanti al trono di Dio con la fede e la preghiera affinché i nostri nemici, vinti dallo Spirito di Dio, siano costretti alla pace. Primo nostro bisogno, prima nostra preoccupazione è la preghiera. Sappia ognuno che noi siamo esposti alla spada e all’ira di Satana, e preghi” Ibidem. Più tardi, alludendo alla lega progettata dai principi protestanti, Lutero dichiarò che l’unica arma da usare in questa lotta era “la spada dello Spirito”. All’elettore di Sassonia scrisse: “In coscienza, noi non possiamo approvare l’alleanza proposta. Meglio morire dieci volte che vedere il nostro Vangelo provocare lo spargimento fosse pure di una sola goccia di sangue. Noi dobbiamo comportarci come agnelli menati al macello e portare la croce di Cristo. Sua Altezza non abbia timore: faremo di più noi con le nostre preghiere che tutti i nostri nemici con la loro tracotanza. Solo fate sì che le vostre mani non si macchino del sangue dei vostri fratelli. Se l’imperatore esige che noi siamo consegnati ai tribunali noi siamo pronti a presentarci. Voi non potete difendere la nostra fede: ognuno deve credere a proprio rischio e pericolo” Idem, vol. 14, cap. 1. Del santuario della preghiera derivò la potenza che, mediante la grande Riforma, vinse il mondo. I servi del Signore, appoggiandosi sulla Augusta, Lutero “non trascorse neppure un giorno senza consacrare tre ore alla preghiera, sottraendole a quelle più profittevoli per lo studio”. Nell’intimità della sua stanza, egli apriva la sua anima a Dio “con parole di adorazione, di timore e di speranza, come quando uno parla con un amico”. “Io so che tu sei nostro Padre e nostro Dio”, diceva, “e che disperderai i persecutori dei tuoi figli, perché tu stesso sei in pericolo con noi. Questo affare è tuo, ed è costretti da te che noi vi abbiamo messo la mano. Padre, difendici!” Idem, vol. 14, cap. 6.

A Melantone, oppresso dall’inquietudine, egli scriveva: “Grazia e pace in Cristo… in Cristo, dico, e non nel mondo. Amen. Io odio di un odio estremo le eccessive preoccupazioni che ti consumano. Se la causa è ingiusta, abbandoniamola; ma se è giusta, perché dubitare delle promesse di Colui che ci invita a dormire senza timore?... Cristo non verrà mai meno nella sua opera di giustizia e di verità. Egli vive, Egli regna; perciò che paura possiamo avere?” Ibidem. Dio ascoltò il grido dei suoi servitori e diede ai principi e ai ministri la grazia e il coraggio di sostenere la verità contro gli esponenti delle tenebre di questo mondo. Il Signore dice: “Ecco, io pongo in Sion la pietra del capo del cantone, eletta, preziosa; e chi crederà in essa non sarà punto svergognato” 1° Pietro 2:6 (D). I riformatori protestanti avevano edificato su Cristo, e le porte dell’inferno non potevano avere il sopravvento su di loro.

 

UNA LUCE NUOVA IN FRANCIA.
La protesta di Spira e la confessione di Augusta, che segnarono il trionfo della Riforma in Germania, furono seguite da lunghi anni di lotte e di tenebre. Indebolito da divisioni intestine, attaccato da nemici potenti, il Protestantesimo sembrava destinato a una distruzione totale. Migliaia di persone suggellarono la loro testimonianza col sangue; scoppiò la guerra civile; la causa protestante fu tradita da uno dei suoi principali aderenti; i più nobili principi riformati caddero nelle mani dell’imperatore e furono condotti prigionieri di città in città. Quando, però, pensava di festeggiare il suo trionfo, l’imperatore fu sconfitto e vide sfuggirli di mano la preda che credeva già sua. Fu costretto a concedere la tolleranza alle dottrine che si era ripromesso di annientare. Egli, che aveva impegnato il suo regno, i suoi beni e la stessa sua vita per soffocare l’eresia, vide i suoi eserciti vinti in battaglia, i suoi beni esaurirsi, i suoi numerosi regni minacciati dalla rivolta, mentre ovunque la fede, che invano si era sforzato di sopprimere, andava estendendosi sempre più. Carlo V aveva lottato contro l’Onnipotente. Dio aveva detto “Sia la luce!” e l’imperatore si era illuso di riuscire a mantenere le tenebre. Il suo progetto era fallito e, sebbene ancora relativamente giovane, stanco di tante lotte, abdicò al trono e si seppellì in un convento. In Svizzera, come in Germania, ci furono giorni oscuri per la Riforma. Mentre molti cantoni accettavano la fede riformata altri rimanevano attaccati con cieca tenacia al credo di Roma. La loro persecuzione contro coloro che desideravano accettare la verità sfociò, ala fine, nella guerra civile.

Zuinglio e molti che si erano uniti a lui nella Riforma, caddero sull’insanguinato campo di Cappel. Ecolampadio, sopraffatto da queste terribili distrette, morì di lì a poco. Roma esultava, e sembrò che in molti luoghi dovesse riconquistare ciò che aveva perduto. Ma Colui i cui consigli sono eterni, non aveva abbandonato la sua casa né i suoi figli. La sua mano ancora una volta avrebbe recato loro la liberazione: Dio aveva suscitato in altre terre degli operai che avrebbero portato avanti la Riforma. In Francia, ancor prima che il nome di Lutero fosse conosciuto come quello di un riformatore, era spuntata l’alba di un nuovo giorno. Uno dei primi a scorgere la luce fu Lefevre, uomo colto, di età avanzata, professore all’università di Parigi, sincero sostenitore del papa. Indagando nella letteratura antica, egli fu attratto dalla Bibbia e ne introdusse lo studio fra i suoi studenti. Lefevre era un entusiasta adoratore dei santi, e si era accinto a scrivere una storia dei santi e dei martiri, secondo le leggende della chiesa. Era già a buon punto di questa opera, che esigeva molto lavoro, quando pensò che la Bibbia gli avrebbe potuto fornire un valido contributo. Cominciò a studiarla a questo proposito. Trovò in essa dei santi di un genere diverso da quelli che figuravano sul calendario cattolico. Un fascio di luce divina inondò la sua mente ed egli, stupito e sdegnato, abbandonò il lavoro intrapreso e si consacrò alla Parola di Dio. Non passò molto tempo che cominciò a predicare le preziose verità che vi aveva scoperte. Nel 1512, prima ancora che Lutero e Zuinglio cominciassero l’opera della Riforma, Lefevre scrisse: “E’ Dio che per la fede ci dà quella giustizia che per grazia giustifica a vita eterna” Wylie, vol. 13, cap. 1. Considerando il mistero della redenzione, esclamò: “O ineffabile grandezza di quella sostituzione! L’innocente è condannato e il colpevole è messo in libertà. La benedizione subisce la maledizione, e colui che è maledetto gode della benedizione. La vita muore e i morti vivono. La gloria è avvolta dalle tenebre e colui che conosceva solo la confusione del volto è ammalato di gloria” D’Aubigné, vol. 12, cap. 2. Pur insegnando che la gloria

della salvezza appartiene a Dio, egli dichiarava che all’uomo incombe il dovere dell’ubbidienza. “Se tu sei un membro della chiesa di Cristo”, diceva, “sei membro del suo corpo. Se tu sei del suo corpo, sei ripieno della natura divina… Oh, se gli uomini potessero capire tutta la portata di questo privilegio, come vivrebbero puramente, castamente, santamente! Quanto stimerebbero misera la gloria di questo modo se paragonata con quella interiore che l’occhio della carne non può vedere!” Ibidem. Fra gli studenti di Lefevre ce ne furono alcuni che ascoltarono avidamente le sue parole e che, molto tempo dopo che la voce di questo maestro si era spenta, continuarono a parlare della verità. Uno di essi fu Guglielmo Farel. Figlio di genitori pii, abituato fin da piccolo ad accettare con fede implicita gli insegnamenti della chiesa, avrebbe potuto ripetere – parlando di se stesso – le parole dell’apostolo Paolo: “Secondo la più rigida setta della nostra religione, sono vissuto Fariseo” Atti 26:5. Devoto cattolico romano, era pieno di zelo, pronto a distruggere chiunque avesse osato opporsi alla chiesa. “Io digrignavo i denti come un lupo famelico”, disse più tardi parlando di quel periodo della sua vita, “ogni volta che udivo qualcuno parlare contro il papa” Wylie, vol. 13, cap. 2. Instancabile nel culto dei santi, accompagnava Lefevre nel giro delle chiese di Parigi, adorando dinanzi agli altari e recando doni ai santuari. Queste osservanze, però, non gli davano la pace dell’anima. Egli sentiva gravare su di sé la convinzione del peccato, e nulla gli poteva dare la tranquillità, nonostante tutti i suoi atti di penitenza. Come voce che scendeva dal cielo, egli ascoltava le parole del riformatore: “La salvezza è per grazia… L’innocente è condannato e il colpevole è assolto… Solo la croce di Cristo può schiudere le porte del cielo e serrare le porte dell’inferno” Ibidem. Farel accettò la verità con gioia. Con una conversione simile a quella dell’apostolo Paolo, egli si volse dalla servitù della tradizione alla libertà dei figli di Dio. “Non più col cuore omicida di un lupo rapace”, egli disse, “diventai quieto, come un agnello mansueto e inoffensivo, avendo totalmente ritirato il mio cuore dal papa per darlo a Gesù” D’Aubigné, vol. 12, cap. 3. Mentre Lefevre continuava a diffondere la luce fra i suoi studenti, Farel, zelante per la causa di Cristo quanto lo era stato per quella del papa, cominciò a proclamare la verità in pubblico. Un dignitario della chiesa, il vescovo di Meaux (Briconnet. N. d. T.) ben presto si unì a loro. Anche altri insegnanti, noti per il loro sapere e per la loro capacità, si unirono nella proclamazione del Vangelo, e questo contribuì a conquistare degli aderenti in ogni ceto: dalle umili dimore degli artigiani e dei contadini, al palazzo reale.

La sorella di Francesco I, allora monarca regnante, accettò la fede riformata. Il re stesso e la regina madre si dimostrarono per un certo tempo favorevoli alla Riforma, e questo fece nascere nei riformati la segreta speranza che un giorno la Francia sarebbe stata conquistata all’Evangelo. Le loro speranze, purtroppo, non si attuarono. Prove e persecuzioni, misericordiosamente nascoste ai loro occhi, aspettavano i discepoli di Cristo. Ci fu un periodo di pace che contribuì a far loro riprendere vigore per affrontare la tempesta, mentre la Riforma compiva rapidi progressi. Il vescovo di Meaux si adoperava con zelo nella sua diocesi per istruire il clero e il popolo. Sacerdoti ignoranti e immorali furono esonerati dal loro incarico e sostituiti, nella misura del possibile, da uomini dotti e pii. Il vescovo, che desiderava ardentemente dare a ognuno la possibilità di avere l’accesso diretto e personale alla Parola di Dio, riuscì ad attuare questo suo desiderio mediante la traduzione del Nuovo Testamento fatta da lui stesso. Presso a poco quando la tipografia di Wittenberg consegnava alla Germania la Bibbia tedesca di Lutero, a Meaux veniva pubblicato il Nuovo Testamento in lingua francese. Il vescovo non risparmiò né sforzi, né spese per la diffusione della Parola di Dio nella su diocesi, e così di lì a poco tempo gli abitanti di Meaux si trovano in possesso della Sacra Scrittura.

Simili a viandanti assetati che salutano con gioia una sorgente di acqua viva, queste anime accolsero con entusiasmo il messaggio del cielo. I contadini nel campo e gli artigiani nel laboratorio rallegravano le loro quotidiane fatiche parlando delle preziose verità bibliche. La sera, poi, anziché andare alla bettola si riunivano ora nell’una, ora nell’altra casa per leggere la Parola di Dio e per pregare. Ben presto si riscontrò un profondo mutamento in quella comunità. Pur appartenendo alla classe giorno, Berquin fu condotto al patibolo. Una folla immensa si era raccolta per assistere all’esecuzione. Molti, con meraviglia e dolore, si rendevano conto che la vittima era stata scelta fra le migliori e più nobili famiglie della Francia. Sui volti dei presenti si potevano leggere lo stupore, l’indignazione, il disprezzo e l’odio. Solo un volto rimaneva sereno: quello di Berquin. I pensieri del martire erano ben lungi da quella scena: egli sentiva solo la presenza del Signore. Non si attardava a considerare la rozza carretta sulla quale lo avevano issato, i volti corrucciati dei suoi persecutori, la spaventosa morte che lo attendeva. Colui che è morto e che vive nei secoli dei secoli, Colui che ha in mano le chiavi della morte e del soggiorno dei morti, era al suo fianco. Sul volto di Berquin risplendevano la luce e la pace del cielo. Aveva indossato “il suo abito più bello, un vestito di raso e di damasco, calze dorate e un manto di velluto” D’Aubignè, History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 2, cap. 16. Dato che si accingeva a testimoniare della sua fede al cospetto del Re dei re e dell’intero universo, nessun segno di lutto doveva turbare la sua gioia. Mentre il corteo si snodava lentamente lungo le vie affollate, la gente notava stupita la pace e la luce di trionfo che il suo sguardo e il suo portamento rivelavano. “Egli è simile”, commentavano gli astanti, a che risiede in un tempio e medita su cose sacre” Wylie, vol. 13, cap. 9. Salito sul patibolo, Berquin cercò di dire alcune parole ai presenti, ma i frati, temendo per quanto poteva derivarne, coprirono la sua voce con le loro grida, mentre i soldati facevano tintinnare le loro armi così che il clamore soffocò la voce del martire. In tal modo, la più alta autorità letteraria ed ecclesiastica della colta Parigi (la Sorbona) nel 1529 “diede al popolino del 1973 (Rivoluzione Francese. N. d. T.) il vile esempio di soffocare sul patibolo le parole sacre dei momenti” Ibidem. Berquin fu strangolato e il suo corpo dato alle fiamme. La notizia della sua morte suscitò vivo dolore fra gli amici della Riforma in tutta la Francia; ma il suo esempio non fu vano: “Anche noi”, dichiaravano i testimoni della verità, “siamo pronti ad affrontare la morte con letizia, fissando i nostri sguardi sulla vita avvenire” D‘Aubigné, History of the Reformation in Europe in The Time of Calvin, vol. 2, cap. 16.
Durante la persecuzione a Meaux, coloro che insegnavano la fede riformata furono privati della licenza di predicatori e costretti a riparare altrove. Lefevre andò in Germania a Farel ritornò al suo paese natio, nella Francia orientale, per diffondervi la luce della verità.

Egli era stato preceduto dalle notizie di quello che avveniva a Meaux, e così la verità che insegnava con fede intrepida trovò molti ascoltatori. Ben presto le autorità si mossero per farlo tacere, ed egli fu bandito dalla città. Quantunque non potesse più lavorare pubblicamente, egli percorse pianure e villaggi insegnando nelle case private e trovando rifugio nelle foreste e nelle caverne rocciose che tante volte aveva visitato durante l’infanzia. Dio lo preparava per prove maggiori. “Le croci, le persecuzioni, le macchinazioni di Satana di cui sono stato preavvertito non mancano”, egli diceva, “anzi sono ancora più severe di quanto io non pensassi. Però Dio è il Padre mio e mi ha sempre dato e sempre mi darà la forza di cui ho bisogno” D’Aubignè, History of the Reformation of the Sixteenth Century, vol. 12, cap. 9. Come ai giorni degli apostoli, la persecuzione aveva contribuito “a maggiore avanzamento dell’evangelo” Filippesi 1:12 (D). Scacciati da Parigi e da Meaux, “andavano attorno evangelizzando la parola” Atti 8:4. Così la luce penetrò in molte remote province della Francia. Dio, intanto, stava preparando altri operai per la sua casa. In una scuola di Parigi c’era un giovane riflessivo, quieto, che dimostrava di possedere una mente acuta e penetrante. Egli si distingueva per l’irreprensibilità della sua condotta, oltre che per il vigore intellettuale e la devozione religiosa. Il suo genio e la sua applicazione facevano di lui il vanto e l’orgoglio del collegio, tanto che era facile presagire che Giovanni Calvino – questo era il nome – sarebbe diventato il più abile e onorato difensore della chiesa. Ma un raggio di luce divina attraversò le tenebre della scolastica e della superstizione che avviluppavano Calvino. Egli udì parlare, rabbrividendo, delle nuove dottrine, e pensò che gli eretici erano meritevoli del fuoco nel quale vanivano gettati. Nondimeno, del tutto involontariamente egli fu indotto ad affrontare l’eresia e costretto a mettere alla prova la forza della teologia romana per combattere l’insegnamento protestante. Calvino aveva a Parigi un cugino, Olivetano, che aveva accettato la Riforma. I due si incontravano speso e discutevano sulle questioni che turbavano il mondo cristiano. “Nel mondo”, diceva Olivetano, “ci sono due soli sistemi religiosi: uno comprende le religioni inventate dagli uomini, secondo le quali la creatura si salva mediante le cerimonie e le buone opere; l’altro è la religione rivelata nella Bibbia che insegna all’uomo di cercare la salvezza unicamente dalla grazia gratuita di Dio”. “Io non voglio avere nulla a che fare con le tue nuove dottrine”, replicava Calvino. “Credi tu che io sia vissuto nell’errore tutti i miei giorni?” Wylie, vol. 13, Cap. 7.

Nella mente di Calvino erano penetrati dei pensieri che egli non riusciva più a cancellare. Nella solitudine della sua cameretta, egli rifletteva sulle parole del cugino. Sentiva la convinzione del peccato e si vedeva senza intercessore alla presenza di un Giudice santo e giusto. La mediazione dei santi, le buone opere, le cerimonie della chiesa: tutto gli appariva impotente a cancellare il peccato. Scorgeva dinanzi a sé solo tenebre e disperazione eterna. Invano i dottori della chiesa si sforzavano di rassicurarlo; inutilmente ricorreva alla confessione e alla penitenza: nulla riusciva a riconciliare la sua anima con Dio. Mentre era in preda a queste lotte infruttuose, Calvino un giorno si trovò a passare da una piazza dove assisté al rogo di un eretico. Fu colpito dall’espressione di serenità che si leggeva sul volto del martire. In mezzo alle atroci torture di quella morte spaventosa e sotto la più terribile condanna della chiesa, questi manifestava una tale fede e un tale coraggio che il giovane studente non poté fare a meno di paragonare alla disperazione e alle tenebre che non riusciva a vincere in sé, nonostante i suoi sforzi per vivere in stretta ubbidienza alla chiesa. Calvino sapeva che gli eretici basavano la loro fede sulla Bibbia, e decise di studiarla per conoscere il segreto della loro gioia. Nella Bibbia egli trovò Cristo e gridò: “Padre, il suo sacrificio ha placato la tua ira; il suo sangue ha cancellato la mia impurità; la sua croce ha rimosso la mia condanna; la sua morte ha espiato per me.

Noi avevamo escogitato vane follie, ma tu hai posto la tua Parola dinanzi a me, simile a una torcia, e hai toccato il mio cuore affinché io ritenga abominevole qualunque altro merito che non sia quello di Cristo” Martyn, vol. 3, cap. 13. Calvino era stato preparato per il sacerdozio e fin dall’età di dodici anni designato come cappellano di una piccola chiesa. Era stato tonsurato dal vescovo, secondo il canone ecclesiastico. Non avendo ancora ricevuto la consacrazione sacerdotale, egli non svolgeva le mansioni di prete, però era, di diritto, membro del clero e percepiva un assegno regolare.
Rendendosi conto ormai di non potere più diventare sacerdote, egli riprese per un po’ di tempo gli studi di giurisprudenza; ma li abbandonò poco dopo perché deciso a consacrare la propria vita all’Evangelo. Esitava ancora a diventare un predicatore perché, timido com’era, si sentiva oppresso sotto il peso della responsabilità, derivante da tale posizione. Alla fine, le calde esortazioni dei suoi amici ebbero il sopravvento. << È una cosa meravigliosa >>, diceva, << di uno di così umile origine sia innalzato a una così grande dignità! >> Wylie, vol. 13, cap. 9.
Calvino si mise quietamente all’opera: le sue parole erano come rugiada che rinfresca il suolo.

Lasciata Parigi, si recò in una cittadina di provincia, sotto la protezione della principessa Margherita che, amando l’Evangelo, ne proteggeva i discepoli. Calvino, giovane dalle maniere gentili, senza presunzione, cominciò la sua attività visitando le persone nelle loro case.
Circondato dai della famiglia, egli leggeva la Bibbia e spiegava la verità relativa alla salvezza. Gli ascoltatori, poi, comunicavano ad altri la lieta novella, e così ben presto Calvino dovette recarsi in altri villaggi e cittadine. Ovunque veniva accolto favorevolmente sia nelle capanne che nei suntuosi castelli, e poté gettare le fondamenta di chiese che in seguito diedero una intrepida testimonianza della verità. Alcuni mesi più tardi egli si ritrovò a Parigi dove regnava una insolita agitazione nel mondo dei dotti e dei letterati. Lo studio delle lingue antiche aveva richiamato l’attenzione sulla Bibbia e molti, il cui cuore non era stato toccato dalla grazia, discutevano animatamente la verità e combattevano perfino i campioni del romanesimo. Calvino, sebbene fosse un polemista abile nel campo della controversia religiosa, aveva da compiere una missione più importante di quella che interessava quei turbolenti scolastici.

Gli spiriti erano agiati, e il momento pareva adatto per la presentazione della verità. Mentre le aule universitarie echeggiavano dei clamori delle dispute teologiche. Calvino andava di casa in casa spiegando le Scritture e parlando di Cristo crocifisso. Nella provvidenza di Dio Parigi doveva ricevere un nuovo invito ad accettare l’Evangelo. L’appello di Lefevre e di Farel era stato respinto, però il messaggio doveva essere ancora predicato nella capitale a ogni categoria di persone. Il re, in seguito a considerazioni di carattere politico, non si era ancora pienamente schierato con Roma contro la Riforma. Sua sorella, la principessa Margherita, che nutriva sempre la speranza di vedere il Protestantesimo trionfare in Francia, volle che la fede riformata venisse predicata a Parigi. In assenza del re, ella diede ordine a un pastore protestante di predicare nelle chiese della città. La cosa non fu permessa delle autorità ecclesiastiche e la principessa, allora, fece aprire le porte del palazzo reale. Un appartamento venne adibito a cappella, e fu annunciato che ogni giorno a una certa ora sarebbe stato predicato un sermone al quale tutti erano invitati, senza alcuna distinzione di ceto. Una vera folla partecipò alla riunione; non solo la cappella, ma anche le anticamere e i vestiboli erano pieni di gente. Ogni giorno affluivano migliaia di persone: nobili, uomini di stato, avvocati, mercanti, artigiani. Il re, anziché proibire queste adunanze, diede ordine che fossero aperte due chiese di Parigi. Mai prima di allora la città era stata così scossa della Parola di Dio. Lo Spirito di vita sembrava aleggiare sul popolo. La temperanza, la purezza, l’ordine e l’attività prendevano il posto dell’ubriachezza, della licenziosità, dei tumulti e dell’ozio.

Le autorità ecclesiastiche, però, non se ne stettero inattive. Poiché il re non voleva intervenire per mettere fine alla predicazione, esse ricorsero alla plebaglia. Nessun mezzo fu risparmiato per suscitare timori, pregiudizi e fanatismo in seno a quelle moltitudini ignoranti e superstiziose. Cedendo ciecamente ai suoi falsi dottori, Parigi – come l’antica Gerusalemme – non conobbe il tempo della sua visitazione, né le cose che appartenevano alla sua pace. Nella capitale, la Parola di Dio fu predicata per due anni. Molti accettarono il Vangelo, ma la maggior parte del popolo e lo respinse. Francesco era stato tollerante solo per scopi personali, e così i papisti riuscirono a esercitare nuovamente su di lui il loro ascendente, col risultato che le chiese furono chiuse e il patibolo venne di nuovo eretto.
Calvino era ancora a Parigi dove, pur continuando a diffondere la luce intorno a sé, si preparava all’attività futura mediante lo studio, la meditazione e la preghiera. Segnalato alle autorità ecclesiastiche, fu condannato al rogo. Ritenendosi sicuro nel suo rifugio, egli ignorava il pericolo che lo minacciava. Se ne rese conto solo quando i suoi amici fecero irruzione nella sua stanza per avvertirlo che la polizia veniva ad arrestarlo. Proprio in quel momento si udì bussare vigorosamente al portone di casa. Non c’era tempo da perdere. Mentre alcuni amici cercavano di temporeggiare con gli agenti che stavano alla porta, altri aiutarono il riformatore a calarsi dalla finestra. Calvino si diresse rapidamente verso i sobborghi della città, entrò in casa di un operaio amico della Riforma, si fece dare un vestito, si mise una gerla sulle spalle e proseguì la sua fuga verso il sud dove trovò rifugio negli stati della principessa Margherita (Vedi D’Aubigné, History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 2, cap. 30).

Grazie alla protezione di amici potenti, egli vi rimase alcuni mesi consacrandosi come prima allo studio. Il suo cuore, però, era ormai legato all’evangelizzazione della Francia, e così si sentì di non poter rimanere più a lungo inoperoso. Non appena la tempesta si fu un poco calmata, Calvino cercò un nuovo campo di lavoro a Poitiers dove c’era una università e dove le nuove idee erano state accolte favorevolmente. Gente di ogni ceto ascoltava con letizia l’Evangelo. In assenza di un luogo pubblico per la predicazione, Calvino esponeva le parole di vita eterna a quanti desideravano ascoltarle, o in casa del magistrato della città o in casa propria o in un giardino pubblico. In seguito al costante aumento del numero degli ascoltatori, fu stimato più prudente riunirsi fuori città. Una caverna situata sul fianco di una gola stretta e profonda, nascosta da alberi e da rocce, fu scelta come luogo di raduno. La gente usciva di città a piccoli gruppi e, seguendo vie diverse, si dava convegno in quel posto, dove veniva letta e spiegata la Parola di Dio. Fu lì che i protestanti della Francia celebrarono per la prima volta la Santa Cena. Da quella piccola chiesa uscirono non pochi fedeli evangelisti. Ancora una volta Calvino ritornò a Parigi, perché non poteva rinunciare alla speranza di vedere la Francia accettare la Riforma. Purtroppo trovò quasi tutte le porte chiuse, poiché insegnare le Sacre Scritture, cioè, il Vangelo significava imboccare la via che conduceva direttamente al rogo. Alla fine, egli decise di recarsi in Germania. Aveva appena lasciato la patria che la tempesta si abbatté sui protestanti francesi. Se egli fosse rimasto, quasi sicuramente sarebbe perito nella strage generale. I riformatori francesi, ansiosi di vedere il loro paese procedere di pari passo con la Germania e con la Svizzera, avevano deciso di infliggere un violento colpo alle superstizioni di Roma e di scuotere in tal modo l’intera nazione. Una notte in tutta la Francia vennero affissi dei cartelli che attaccavano la messa.

Questo gesto inconsulto, lungi dal contribuire al progresso della Riforma, risultò dannoso non solo a chi lo aveva ideato, ma anche agli amici della Riforma in tutto il paese. Esso fornì ai cattolici il pretesto per chiedere la totale distruzione degli eretici, considerati agitatori pericolosi per la stabilità del trono e per la pace della nazione. Una mano ignota – quella di un amico indiscreto o di un perfido nemico, non si poté mai appurare - attaccò uno di questi cartelli sulla porta della camera del re. Il monarca ne rimase inorridito: quel foglio attaccava violentemente una superstizione venerata per secoli. L’incredibile ardire che osava introdurre quelle offensive dichiarazioni addirittura nell’intimità della dimora reale, suscitò l’ira del sovrano. Nella sua costernazione, egli rimase muto per un attimo, fremente di collera; quindi pronunciò le terribili parole: “Siano presi tutti indistintamente coloro che sono sospetti di luteresia. Voglio sterminarli tutti!” Idem, vol. 4, cap. 10. Il dado era tratto: il re aveva deciso: si era schierato dalla parte di Roma! Furono prese immediatamente delle misure per l’arresto di ogni luterano di Parigi. Un povero artigiano, aderente alla fede riformata, che si era preso l’incarico di convocare i credenti alle assemblee segrete, fu obbligato – sotto la minaccia di morte sul rogo – di accompagnare l’emissario del papa nelle case di tutti i protestanti della città. A quella terribile richiesta egli fremette di orrore, ma alla fine il timore del rogo ebbe il sopravvento, ed egli accondiscese a tradire i suoi fratelli. Preceduto dall’ostia, circondato da uno stuolo di preti, di portatori d’incenso, di frati e di soldati, Morin, poliziotto reale, accompagnato dal traditore, percorse lentamente e in silenzio le vie di Parigi. Ostentatamente, la manifestazione era in onore del “santo sacramento”, come atto di espiazione per l’offesa recata dai protestanti alla messa. Questo pretesto, però, celava un proposito omicida. Giunto dinanzi alla casa di un luterano, il traditore faceva un segno. La processione si fermava e gli abitanti della casa in oggetto venivano incatenati. Dopo di che il corteo riprendeva il suo cammino verso altre vittime.

“Non risparmiarono nessuna abitazione, piccola o grande che fosse, e neppure i collegi dell’università di Parigi… Morin faceva tremare tutta la città… Era il regno del terrore” Ibidem. Le vittime furono messe a morte dopo crudeli torture, in quanto era stato dato ordine che il fuoco fosse mantenuto basso per prolungare l’agonia. Esse, però, morirono eroicamente: la loro fermezza rimase inalterata e la loro pace non fu scossa. I persecutori, incapaci di vincere quella inflessibile costanza, si sentirono sconfitti. “I patiboli erano stati disseminati per tutti i quartieri di Parigi, e i condannati venivano arsi in giorni successivi nell’intento di disseminare maggiormente il terrore dell’eresia. Eppure, alla fine, l’ultime parola rimase al Vangelo, perché tutti ebbero modo di vedere che tipo di persone le nuove opinioni producevano. Non c’era pulpito paragonabile al rogo dei martiri. La serena gioia che illuminava i loro volti mentre erano in mezzo alle fiamme divampanti, il loro mansueto perdono delle ingiurie subite valsero in molti casi a trasformare l’ira in pietà, l’odio in amore e a parlare con irresistibile eloquenza in favore del Vangelo” Wylie vol. 13, cap. 20.

I sacerdoti, cattolici, per esasperare l’opinione pubblica, facevano circolare le più terribili accuse contro i protestanti, i quali venivano accusati di complottare il massacro dei cattolici, di voler rovesciare il governo e perfino di voler uccidere il re. Nessuna prova, seppure minima, poteva essere addotta a sostegno di tali affermazioni; nondimeno quelle profezie di sventura si sarebbero adempiute, sia pure in circostanze diverse e per cause di ben altra natura. Le crudeltà subite dagli innocenti protestanti per mano dei cattolici purtroppo accumularono un peso di retribuzioni che alcuni secoli dopo provocarono la tragedia che era stata predetta come immediatamente e che travolse il re, il governo e i sudditi. Essa fu provocata dagli increduli e, in certo modo, dagli stessi cattolici. Non fu lo stabilimento del protestantesimo, ma la sua soppressione che trecento anni più tardi doveva attirare sulla Francia quelle calamità. Il sospetto, la sfiducia, il terrore pervasero tutte le classi sociali.

In modo mezzo all’allarme generale si notò quale profonda presa avesse avuto l’insegnamento luterano sulle menti di uomini che si distinguevano sia per cultura che per prestigio, oltre che per eccellenza di carattere. All’improvviso erano rimasi vacanti dei posti di fiducia e di onore, perché se ne erano andati via artigiani, tipografi, studiosi, professori di università e uomini di corte. A centinaia erano fuggiti da Parigi scegliendo la via del volontario esilio e rivelando, così, di essere favorevoli alla fede riformata. I cattolici si guardavano attorno sorpresi di avere avuto in mezzo a loro, senza saperlo, degli eretici. La loro ira si sfogò su vittime meno illustri che cadevano in loro potere. Le prigioni erano affollate e l’aria sembrava oscurata dal fumo dei roghi accesi per i confessori del Vangelo.

Francesco I si era gloriato di essere alla testa del grande movimento di risveglio culturale che aveva segnato l’inizio del sedicesimo secolo, e si era compiaciuto di accogliere a corte letterati di ogni paese. Al suo amore per la cultura e al suo disprezzo per l’ignoranza e la superstizione dei frati era dovuta, almeno in parte, la sua tolleranza nei confronti della Riforma. Ora, però, che si era acceso in lui lo zelo contro stampa in tutta la Francia. Francesco I ci offre uno dei tanti esempi che rivelavano come la cultura intellettuale non sia una salvaguardia contro l’intolleranza religiosa e la persecuzione. La Francia, con una solenne cerimonia pubblica, annunciava la propria determinazione di estirpare il Protestantesimo. I sacerdoti chiedevano che l’affronto subito dal cielo in seguito agli attacchi diretti alla messa fosse lavato con sangue e che il re, a nome del popolo, annunciasse pubblicamente questa barbara iniziativa.

Il rito fu fissato per il 21 gennaio 1535. Il timore superstizioso e l’odio fanatico di tutta la nazione erano stati sollecitati, e Parigi quel giorno era affollata da grandi moltitudini provenienti dalle località circonvicine. La giornata sarebbe stata inaugurata con una imponente processione.<<Le case situate lungo il percorso seguito dal corteo erano ornate di drappi a lutto, mentre qua di là per le vie sorgevano degli altari >>. Dinanzi a ogni porta c’era una torcia accesa in onore del santo sacramento. Il corteo si formò al palazzo reale, allo spuntare del giorno. << Prima venivano le bandiere e le croci delle varie parrocchie, poi i cittadini a due a due con delle torce in mano >>. Seguivano i quattro ordini dei frati, ognuno col suo saio particolare. Veniva, quindi, una imponente collezione di famose reliquie e subito dopo seguiva una schiera di alti prelati ammantati di porpora e di scarlatto, adorni di gioielli scintillanti.

<< L’ostia era portata dal vescovo di Parigi sotto un magnifico baldacchino… sorretto da quattro principi di sangue… Dopo l’ostia vi era il re, a piedi… Francesco I quel giorno non cingeva la corona, né indossava l’abito reale. A capo scoperto, con gli occhi bassi, con in mano un cero acceso, il re di Francia appariva come un penitente >> Idem, vol. 13, cap. 21. Egli si prosternava dinanzi a ogni altare , non per i propri vizi, non per il sangue innocente che macchiava le sue mani, ma per il grave peccato che i suoi sudditi avevano commesso condannando la messa. Dopo di lui venivano la regina e i dignitari della nazione, anch’essi a due a due, con in mano una torcia accesa.

Il programma di quel giorno comprendeva anche un discorso del monarca alle alte cariche dello stato, tenuto nella grande sala del palazzo vescovile. Il re si presentò col volto abbattuto e, con parole di commossa eloquenza, deplorò << il delitto, la bestemmia, il giorno di ambascia e di dolore >> che si erano abbattuti sulla nazione. Indi rivolse un vibrante appello a ogni fedele suddito perché si adoperasse per estirpare l’eresia pestilenziale che minacciava la rovina del paese.
<< Signori >>, egli disse, << come è vero che io sono il vostro re, se io sapessi che uno degli organi del mio corpo è macchiato e infettato da questa detestabile corruzione, vi inviterei a reciderlo… Dirò di più: se io sapessi che uno dei miei figli è contaminato da essa, non lo risparmierei… Io stesso ve lo consegnerei perché venisse sacrificato a Dio >>. Le lacrime soffocarono le sue parole e tutta l’assemblea, piangendo, esclamò concorde: << Noi vivremo e morremo per la religione cattolica! >> D’Aubigné, History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 4, cap. 12.

Terribili erano le tenebre scese sulla nazione che aveva respinto la luce della verità. << La grazia salutare di Dio >> era apparsa; ma la Francia, dopo averne contemplato la potenza e la santità, dopo che migliaia dei suoi figli erano stati attratti dalla sua divina bellezza, dopo che città e villaggi erano stati rischiarati dal suo radioso fulgore, se ne era distolta e aveva preferito le tenebre alla luce. Avendo respinto il dono celeste che le veniva offerto, aveva chiamato il male bene e il bene male, col risultato che la gente aveva finito col rimanere vittima della propria seduzione. Essa poteva, è vero, credere di compiere la volontà di Dio perseguitandone il popolo; ma questa sua sincerità non diminuiva affatto la sua colpa in quanto essa aveva deliberatamente rigettato la luce che avrebbe potuto salvarla dall’inganno e sottrarla alla responsabilità del sangue versato.

Nella grande cattedrale, dove tre secoli più tardi sarebbe stato innalzato il culto alla
<< Dea Ragione >> da parte di un popolo che aveva abbandonato l’Iddio vivente, fu pronunciato il solenne giuramento di estirpare l’eresia. La processione si ricompose e i rappresentanti della Francia misero mano all’opera che si erano impegnati a compiere. << A breve distanza l’uno dall’altro furono eretti dei patiboli sui quali i cristiani protestanti sarebbero stati arsi vivi, e si fece in modo che il rogo venisse acceso proprio nel momento in cui il re si avvicinava perché, in tal modo, la processione potesse sostare e assistere al supplizio >> Wylie, vol. 13, cap. 21. I particolari delle torture inflitte a questi testimoni della verità sono troppo crudi per essere qui descritti; ad ogni modo nessuna delle vittime tentennò. Invitata ad abituare, una di esse rispose: “Io credo solo che hanno predicato i profeti e gli apostoli e a quello che hanno creduto i santi. La mia fede si fonda su Dio, il quale vincerà tutte le potenze dell’inferno” D’Aubigné, Hystory of the Reformation in Europe in The time of Calvin, vol. 4, cap. 12.

La processione si fermò successivamente nei vari luoghi di tortura e quindi, giunta al punto dove si era formata – il palazzo reale – si sciolse. Mentre la folla si disperdeva, il re e i prelati si ritirarono, congratulandosi che l’opera cominciata sarebbe stata proseguita fino alla totale eliminazione dell’eresia. L’Evangelo della pace che la Francia aveva respinto doveva essere completamente sradicato, con le terribili conseguenze che ne sarebbero derivate. Il 21 gennaio 1793, duecentocinquantotto anni dal giorno in cui la nazione si era pronunciata per la persecuzione dei riformati, un’altra processione, mossa da motivi ben diversi, attraversava le vie di Parigi. “Ancora una volta il re ne costituiva la figura principale e ancora una volta urla e tumulto erano all’ordine del giorno; ancora una volta e tumulto erano all’ordine del giorno; ancora una volta la giornata doveva concludersi con sanguinose esecuzioni: Luigi XVI, dibattendosi in mezzo ai carcerieri e ai carnefici, veniva trascinato a viva forza verso il ceppo dal quale, di lì a poco, la sua testa recisa dalla mannaia sarebbe rotolata sulla piattaforma del patibolo” Wylie, vol. 13, cap. 21.

Il re non fu la sola vittima: presso a poco in quello stesso posto, durante il regno del terrore, oltre duemilaottocento vittime caddero, decapitate dalla ghigliottina. La Riforma aveva offerto al mondo una Bibbia aperta, sottolineando i precetti della legge di Dio e additando alle coscienze le sue giuste esigenze. L’Amore infinito aveva rivelato agli uomini i principi e gli statuti del cielo dicendo: “Le osserverete dunque e le metterete in pratica; poiché quella sarà la vostra intelligenza agli occhi dei popoli i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!” Deuteronomio 4:6.

Quando la Francia respinse il dono celeste, gettò il seme dell’anarchia e della rovina, con le inevitabili conseguenze che furono le caratteristiche della Rivoluzione e del regno del terrore. Molto tempo prima della persecuzione provocata dai manifesti contro la messa, il prode e zelante Farel era stato costretto ad abbandonare la sua terra natia e a rifugiarsi in Svizzera, dove unì le sue forze quelle di Zuignlio contribuendo, in questo modo, a far, prendere il piatto della bilancia dalla parte della Riforma. Egli trascorse molti anni in terra elvetica pur continuando a esercitare un notevole influsso sulla Riforma in Francia. Durante i primi anni dell’esilio, i suoi sforzi si concentrarono sulla diffusione del Vangelo in patria. Per questo motivo trascorse non poco tempo predicando fra i suoi connazionali che abitavano vicino alla frontiera, aiutandoli nella lotta in favore della verità con parole di incoraggiamento e consigli opportuni. Coadiuvato da altri esuli, egli provvide alla traduzione in lingua francese degli scritti dei riformatori tedeschi.

Questi scritti, una volta stampati furono largamente diffusi insieme con la Bibbia in francese dai col portori, i quali li acquistavano a un prezzo ridotto e potevano, col beneficio ricavato dalla vendita, proseguire l’opera. Farel aveva intrapreso la sua attività in Svizzera in qualità di semplice insegnante. Stabilitosi in una parrocchia fuori mano, si era dato all’istruzione dei fanciulli. Oltre alle comuni materie di insegnamento, egli introdusse con cautela le verità bibliche nella speranza di poter raggiungere i genitori tramite i bambini. Alcuni, infatti, accettarono la dottrina, ma i preti si intromisero per arginare la sua opera, sobillando gli abitanti di quella zona superstiziosa e istigandoli contro di lui. “Quello non può essere l’Evangelo di Cristo”, dicevano i sacerdoti, “in quanto la sua predicazione non reca la pace, ma la guerra” Wylie, vol. 14, cap. 3.

Come i primi discepoli, egli, perseguitato in una località, si recava in un’altra. Di villaggio in villaggio e di città in città Farel proseguiva, viaggiando a piedi, soffrendo la fame, il freddo, la stanchezza, e tutto ciò a rischio della propria vita. Egli predicava sulle piazze dei mercati, nelle chiese, talvolta dal pulpito di una cattedrale. Certe volte la chiesa era quasi priva di uditori, altre volte la sua predicazione era ininterrotta da urli e da motteggi. Non di rado fu strappato con violenza dal pulpito, e più di una volta preso dalla folla e percosso quasi a morte. Nondimeno, egli continuò la sua missione. Sebbene spesso respinto, ritornava alla carica con instancabile perseveranza, ed ebbe la gioia di vedere l’una dopo l’altra città e villaggi, che un tempo erano state delle fortezze del papato, aprite le porte al Vangelo. La piccola parrocchia dove egli aveva cominciato la sua attività accettò la fede riformata. Le città di Morat e di Neuchâtel rinunciarono ai riti di Roma e tolsero dalle loro chiese le immagini pagane.

Farel aveva a lungo desiderato piantare a Ginevra il vessillo protestante. Quella città, se conquistata, sarebbe stata un centro per la Riforma in Francia, e in Svizzera e in Italia. Con questo progetto nella mente, egli aveva proseguito la sua opera fino a che numerosi villaggi e cittadine circostanti avevano accettato la verità. Alla fine si recò a Ginevra con un solo compagno, ma vi poté predicare due soli sermoni. I preti, non essendo a presentarsi dinanzi al concilio ecclesiastico al quale essi parteciparono con armi nascoste sotto le tuniche, decisi a toglierli la vita. Fuori della sala si era raccolta una folla tumultuosa, armata di bastoni e di spade per ucciderlo qualora egli fosse riuscito a sottrarsi al concilio.

Fu salvato per la presenza dei magistrati e di una schiera di soldati. L’indomani mattina, molto presto, Farel fu condotto, insieme col suo amico, sull’altra riva del lago, in un luogo sicuro. Ebbe così fine il suo primo tentativo di evangelizzare Ginevra. Per il secondo tentativo fu scelto uno strumento più modesto: Froment, un giovane dall’apparenza tanto umile che fu accolto freddamente perfino dagli amici della Riforma. Che cosa avrebbe potuto fare là dove Farel era stato respinto? Come avrebbe potuto, uno come lui con poca esperienza e relativo coraggio, affrontare la tempesta davanti alla quale il più forte e il più valoroso era stato costretto a fuggire? “Non per potenza né per forza, ma per lo spirito mio, dice l’Eterno degli eserciti” Zaccaria 4:6. “Ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savî; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti… poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” 1 Corinzi 1:27:25.

Froment cominciò la sua opera come maestro di scuola. Le verità che egli insegnava ai fanciulli erano da essi riferite a casa, e ben presto i genitori vennero per udire la spiegazione della Bibbia. Non passò molto tempo che l’aula scolastica fu gremita di attenti ascoltatori. Molte copie del Nuovo Testamento e opuscoli vennero distribuiti gratuitamente e messi nelle mani di chi non aveva avuto il coraggio di recarsi ad ascoltare le nuove dottrine. Dopo un po’ anche questo predicatore dovette fuggire, ma ormai la verità da lui insegnata aveva fatto breccia nella mente del popolo. La Riforma era stata impiantata e andò sempre più rafforzandosi ed estendendosi. I predicatori ritornarono, e per la loro attività il culto protestante finì con lo stabilirsi anche a Ginevra. La città si era già dichiarata per la Riforma, quando Calvino dopo vari viaggi e peripezie ne varcò la porta. Di ritorno da una vista al suo paese natio, ed egli era diretto a Basilea. Saputo che la via che vi conduceva direttamente era occupata dalle truppe di Carlo V, e gli fu costretto a fare un lungo giro che lo portò a Ginevra. In questa visita Farel riconobbe la mano di Dio.

Sebbene Ginevra avesse accettato la fede riformata, nondimeno rimaneva da compiere ancora un grande lavoro. Gli uomini si convertono a Dio individualmente e non in massa, per cui l’opera della rigenerazione deve compiersi nei singoli cori e nelle singole coscienze, mediante l’azione dello Spirito Santo e non già in base ai decreti dei concili. Gli abitanti di Ginevra, pur avendo rigettata l’autorità di Roma, non erano ancora pronti a rinunciare ai vizi fioriti durante il suo dominio. Stabilirvi i puri princìpi del Vangelo e preparare la gente a occupare degnamente il posto al quale la Provvidenza la chiamava, non era un’impresa facile. Farel sapeva di poter trovare in Calvino un uomo che lo avrebbe potuto affiancare in questa opera, e scongiurò il giovane evangelista, nel nome di Dio, di rimanere a Ginevra per svolgervi la sua attività.

Calvino ne rimase allarmato. Timido per natura, amante della quiete, rifuggiva il contatto con lo spirito ardito, indipendente e perfino violento dei ginevrini. D’altra parte, la sua salute cagionevole e le sue abitudini di studio lo inducevano a starsene appartato. Inoltre, egli stimava di poter meglio servire la Riforma con la sua penna, e quindi desiderava avere un rifugio tranquillo dove poter studiare in pace e di là, per mezzo della stampa, istruire ed edificare le chiese. Il solenne ammonimento di Farel, però, gli giunse come una chiamata del cielo ed egli, allora, non osò rifiutare. Gli parve “che la mano di Dio si stendesse fino a lui per afferrarlo e stabilirlo irrevocabilmente proprio in quel luogo che egli, invece, era tanto impaziente di lasciare” D’Aubigné History of the Reformation in Europe in The Time of Calvin, vol. 9, cap. 17.

A quel tempo la causa protestante era minacciata da molti pericoli: gli anatemi papali tuonavano contro Ginevra e molte nazioni potenti ne meditavano la distruzione. Quella piccola città come avrebbe potuto resistere a una potenza che non di rado aveva indotto alla sottomissione re e imperatori? Come avrebbe potuto resistere agli eserciti dei più grandi conquistatori del mondo? In tutto il mondo cristiano, il Protestantesimo era avversato da nemici minacciosi. Dopo i primi trionfi della Riforma, Roma aveva messo insieme nuove forze nell’intento di annientarla. Fu in quella epoca che nacque l’ordine dei gesuiti, che si dimostrò il più crudele, il più privo di scrupoli e il più potente fra i campioni del papato. Alieni da ogni legame terreno da ogni interesse personale, sordi ai richiami degli affetti naturali, con la coscienza e la ragione messi a tacere, essi ignoravano qualsiasi regola e vincolo che non fossero quelli del loro ordine, non conoscevano altro dovere se non quello di estenderne il potere. Il Vangelo di Cristo aveva messo i suoi aderenti in condizione di affrontare i pericoli, di sopportare le sofferenze, di sfidare il gelo, la fame, i disagi, la povertà pur di tenere alta la bandiera della verità anche di fronte al patibolo, al carcere, al rogo.

Il gesuitismo infondeva nei suoi adepti un fanatismo tale da indurli ad affrontare analoghi pericoli e apporre alla potenza della verità tutte le armi dell’inganno. Per loro non esisteva delitto troppo grande, inganno troppo grave, atteggiamento troppo difficile da assumere. Votati alla povertà e all’umiltà perpetue, era loro deliberato proposito assicurarsi la ricchezza e il potere per servirsene contro il Protestantesimo e a favore del ristabilimento della supremazia papale. Quando si presentavano nella loro veste ufficiale di membri del loro ordine, essi assumevano un’aria di santità, visitavano le carceri, gli ospedali, si occupavano degli ammalati e dei poveri, dimostravano di avere rinunciato al mondo e portavano il sacro nome di Gesù, il quale andava attorno facendo del bene. Però, sotto l’ineccepibile manto che li avvolgeva, si celavano i più criminosi e micidiali propositi. Principio fondamentale dell’ordine era: il furto, lo spergiuro, l’assassinio non solo erano perdonabili, ma addirittura raccomandabili, se contribuivano all’interesse della chiesa. In vari modi i gesuiti ascendevano alle alte cariche dello stato riuscendo a diventare consiglieri dei re e dirigendo la politica delle nazioni.

Essi si facevano servi per poter spiare i padroni; stabilivano dei collegi per i figli dei protestanti fossero indotti all’osservanza dei riti papali. Tutta la pompa esteriore e lo sfarzo del culto romano erano intesi a confondere le menti, a colpire e conquistare l’immaginazione per modo che la libertà, in favore della quale i padri si erano battuti e avevano sparso il loro sangue, fosse tradita dai figli. I gesuiti si sparsero rapidamente per l’Europa, e ovunque andarono si assisteva a un risveglio del papato. Per accrescere la loro potenza, fu emessa una bolla che ristabiliva l’Inquisizione. Nonostante la generale avversione per essa perfino nei paesi cattolici, questo terribile tribunale fu nuovamente istituito dai governanti papali, e nei segreti sotterranei furono consumate atrocità troppo orribili per poter affrontare la luce del sole. In molti paesi migliaia e migliaia di persone che costituivano il fior fiore della nazione, i più puri e nobili, i più colti e intelligenti, i pastori devoti e pii, i più puri e nobili, più culti e intelligenti, i pastori devoti e pii, i cittadini patriottici e industriosi, intellettuali e scienziati illustri, artisti di talento furono messi a morte, oppure costretti a fuggire in altri paesi.

Tali erano i mezzi escogitati da Roma per estinguere la luce della Riforma, per sottrarre agli uomini la Bibbia, per ripristinare l’ignoranza e la superstizione dei secoli oscuri. Però, per la benedizione di Dio e per l’attività di quegli uomini nobili e generosi da lui suscitati per succedere a Lutero, il Protestantesimo non fu sopraffatto. Non già per il favore dei principi o delle armi temporali, ma per la stessa sua forza. I paesi più piccoli, le nazioni più deboli e umili divennero dei baluardi: la piccola Ginevra, situata in mezzo a nemici potenti che ne complottavano la distruzione; l’Olanda, sui suoi banchi di sabbia del mare del Nord, che lottava contro la tirannia spagnola, allora il più grande e opulento dei regni; la modesta e sterile Svezia: tutte conseguirono la vittoria per la Riforma. Per circa trenta anni Calvino lavorò a Ginevra, prima di stabilirvi una chiesa che aderisse alla moralità biblica, poi per incrementare la propagazione della Riforma in tutta l’Europa.

Il suo comportamento come autorità cittadina non fu del tutto scevro da difetti, e le sue dottrine non furono prive di errori. Nondimeno, egli fu un valido strumento per la proclamazione di verità che, specie per quella epoca, erano di particolare importanza; come pure per la difesa e l’affermazione dei principi del Protestantesimo contro le riaffiorante autorità papale; nonché per l’incremento in seno alle chiese riformate della semplicità e della purezza di vita in sostituzione dell’orgoglio e della corruzione che si erano andati sviluppando dagli insegnamenti di Roma.
Da Ginevra partirono pubblicazioni e predicatori per diffondere le dottrine riformate. A questo punto, i perseguitati di ogni paese chiedevano direttive, consigli e incoraggiamenti. La città di Calvino divenne un rifugio per i riformatori perseguitati di tutta l’Europa occidentale.

Sfuggendo alle paurose tempeste che per secoli si susseguirono, i fuggiaschi giungevano alle porte di Ginevra affamati, feriti, senza casa, senza famiglia e venivano accolti calorosamente e assistiti con amore fraterno. Trovata così una nuova patria, essi la beneficiarono con la loro abilità, il loro sapere, la loro pietà. Molti, in un secondo tempo, ritornarono ai loro paesi, determinati a resistere alla tirannia di Roma. Giovanni Knox, il prode riformatore scozzese; non pochi puritani britannici; i protestanti di Olanda e di Spagna; ugonotti di Francia: tutti portarono da Ginevra la fiaccola della verità per fugare le tenebre esistenti nelle loro terre natie.

 

L’OLANDA E LA SCANDINAVIA SCOSSE DALLA RIFORMA.
In Olanda la tirannia papale suscitò, già in epoche remote, una vibrata protesta. Settecento anni prima di Lutero, due vescovi mandati come ambasciatori a Roma si resero conto del vero carattere della “santa sede” e non esitarono a rivolgere al pontefice delle parole dure: “Dio ha dato alla chiesa, sua regina e sposa, una nobile ed eterna dote per sé e per la sua famiglia; dote immarcescibile e incorruttibile: uno scettro e una corona imperituri… Tu ti appropri di questi vantaggi come un ladro. Siedi nel tempio di Dio, ma anziché pastore delle pecore sei diventato un lupo… Vorresti far credere di essere il vescovo supremo e ti comporti da tiranno… Ti autodefinisci servo dei servi e cerchi di diventare signore dei signori… Richiami il disprezzo sui comandamenti di Dio… E’ lo Spirito Santo che edifica le chiese ovunque esse esistono… La città del nostro Dio, della quale noi siamo cittadini, abbraccia tutte le regioni ed è più grande della città che i santi profeti hanno chiamato Babilonia, che si dice di origine divina, che si innalza fino al cielo, che pretende di avere una saggezza immortale e che afferma di non avere mai sbagliato, di non poter mai errare” Gerard Brandt, History of the Reformation in and about the Low Countries, vol. 1, p. 6.

Di secolo in secolo questa protesta fu ripetuta da quei primi predicatori, del tipo dei missionari valdesi, che attraversando vari paesi, conosciuti sotto diversi nomi, diffondevano dappertutto la conoscenza del Vangelo. Penetrati in Olanda, la loro dottrina si propagò rapidamente. La Bibbia valdese fu tradotta in versi nella lingua olandese. La sua superiorità - si diceva – consisteva nel fatto che “essa non conteneva né facezie, né favole, né frivolezze, né inganni, ma solo parole di verità. Vi si trovava qua e là, è vero, qualche scorza un po’ dura a spezzare, però la dolcezza del suo contenuto buono e santo era facile da scoprire” Idem, vol. 1, p. 14.

Così scrivevano nel dodicesimo secolo gli amici della fede antica. Fu intorno a quella epoca che ebbero inizio le persecuzioni di Roma. Nonostante i roghi e la tortura, i credenti aumentavano di numero e dichiaravano con intrepida fermezza che la Bibbia è l’unica e infallibile autorità in materia di religione e che “nessuno dovrebbe essere obbligato a credere, ma dovrebbe essere conquistato dalla predicazione” Martyn, vol. 2, p. 87.

Gli insegnamenti di Lutero trovarono in Olanda un terreno propizio: uomini zelanti e fedeli si misero a predicare l’Evangelo. Da una provincia di questa nazione uscì Menno Simons. Nato e cresciuto buon cattolico, ordinato sacerdote, egli ignorava totalmente la Bibbia e non voleva neppure leggerla per tema di essere trascinato all’eresia. Quando dei dubbi intorno alla dottrina della transustanziazione affioravano nella sua mente, egli li considerava tentazioni di Satana, e si sforzava di allontanarli ricorrendo alla preghiera e alla confessione. Ma tutto era inutile. Cercava, allora, di far tacere la voce ammonitrice della coscienza partecipando a scene di dissipazione. Anche questo, però, inutilmente. Alla fine si mise a studiare il Nuovo Testamento e questo, unito con gli scritti di Lutero, lo spinse ad accettare la fede riformata. Poco dopo fu testimone, in un villaggio vicino, della decapitazione di un uomo reo di essersi fatto ribattezzare. Meno studiò la Bibbia per sapere quello che essa insegnava riguardo al battesimo dei neonati, e non solo non vi trovò alcuna prova a favore, ma scoprì che le condizioni indispensabili per essere battezzati sono il pentimento e la fede.

Menno abbandonò la chiesa romana e consacrò la propria vita all’insegnamento della verità che aveva accettato. In Germania e in Olanda era sorto un gruppo di fanatici che sostenevano dottrine assurde, indecenti e sediziose. Essi non esitavano a ricorrere alla violenza e all’insurrezione. Meno vide a quali terribili conseguenze avrebbero condotto questi insegnamenti estremisti, e vi si oppose con tutte le forze, lavorando con entusiasmo e con ottimi risultati fra le vittime di questi “illuminati”, come anche in seno ai cristiani antichi, discendenti della propaganda valdese. Per venticinque anni egli viaggiò accompagnato dalla moglie e dai figli, affrontando fatiche e privazioni, spesse volte rischiando la vita. Percorse l’Olanda e la Germania settentrionale lavorando principalmente fra le classi povere ed esercitando un considerevole influsso.

Eloquente per natura, sebbene fosse di cultura limitata, fu uomo di incorruttibile rettitudine. Umile, di modi gentili, di sincera e sentita pietà, Menno esemplificava nella propria vita i precetti che insegnava, e ciò gli attirava la fiducia di quanti lo avvicinavano. I suoi discepoli, oppressi e dispersi, ebbero molto da soffrire per il fatto che venivano confusi con i fanatici di Münster. Ma i suoi tentativi determinarono un gran numero di conversioni. In nessun paese le dottrine riformate furono così generalmente accolte come in Olanda. Però, in pochi paesi i loro aderenti ebbero a soffrire più tremende per suzioni. In Germania, Carlo V aveva bandito la Riforma, e sarebbe stato felice di portare tutti i suoi aderenti sul patibolo; ma i principi avevano innalzato una barriera contro la sua tirannia. In Olanda, dove la sua potenza era maggiore, gli editti di persecuzione si susseguivano gli uni agli altri. Leggere la Bibbia, ascoltarne la lettura, dedicarla, parlarne era motivo sufficiente per incorrere nella pena di morte.

Pregare Dio in segreto, non prostrarsi dinanzi a una immagine, cantare un salmo: tutto ciò era passibile di morte. Perfino coloro che abiuravano i loro errori venivano condannati: gli uomini a morire di spada, le donne a essere sepolte vive. Migliaia furono le vittime sotto il suo regno e quello di Filippo II. Una volta un’intera famiglia fu condotta davanti agli inquisitori sotto l’accusa di non andare alla messa e di celebrare il culto a domicilio. Durante l’interrogatorio, il figlio più giovane disse: “Noi ci mettiamo in ginocchio e preghiamo Iddio che illumini le nostre mani e perdoni i nostri peccati; preghiamo per il nostro sovrano perché il suo regno sia prospero e la sua vita sia felice; preghiamo per i nostri magistrati perché Dio li protegga” Wylie, vol. 18, cap. 6. Alcuni giudici rimasero profondamente commossi; nonostante ciò, il padre e uno dei figli furono condannati al rogo. All’ira dei persecutori faceva riscontro la fede dei martiri. Non solo gli uomini, ma anche delle fragili donne, delle adolescenti, davano prova di indomito coraggio. “La moglie stava vicino al rogo del marito, e mentre egli era avvolto delle fiamme, gli sussurrava parole di conforto o cantava dei salmi per infondergli coraggio. Delle giovani scendevano nella fossa come se entrassero nelle loro camere per il riposo notturno, oppure andavano al patibolo o al rogo indossando i loro abiti migliori come si recassero a una festa nuziale” Ibidem.

Come ai tempi in cui il paganesimo cercava di distruggere l’Evangelo il sangue dei cristiani fu una semenza (vedi Tertulliano, Apologia paragrafo 50). La persecuzione valse solo ad accrescere il numero dei testimoni della verità. Anno dopo anno, il re, folle d’ira per l’incrollabile determinazione del popolo, persisté inutilmente nella sua opera crudele. Sotto il nobile Guglielmo d’Orange, la rivoluzione assicurò all’Olanda la libertà di tributare il culto a Dio. Sulle montagne del Piemonte, nelle pianure della Francia, sulle coste dell’Olanda, il progresso del Vangelo fu bagnato dal sangue dei suoi discepoli, mentre nelle terre del Nord esso penetrò pacificamente.

Alcuni studenti reduci da Wittenberg portarono alle proprie case la fede riformata: la pubblicazione degli scritti di Lutero contribuì alla diffusione della luce in Scandinavia. La gente del Nord, semplice e forte, rinunciò alla corruzione, alla pompa e alle superstizioni di Roma e accettò la purezza, la semplicità e le verità della Bibbia, verità apportatrici di vita. Tausen, il riformatore della Danimarca, era figlio di agricoltori. Fin da ragazzo diede prova di un intelletto vigoroso e di un vivo desiderio di studiare. Non poté essere soddisfatto date le precarie condizioni economiche dei genitori i quali lo fecero entrare in un chiostro dove la purezza della sua vita, la diligenza e la rettitudine della sua condotta gli valsero il favore del suo superiore. Un esame al quale venne sottoposto rivelò che egli aveva del talento, il che faceva presagire l’utilità dei suoi futuri servigi in favore della chiesa. Fu deciso di mandarlo in una università della Germania o dell’Olanda, purché non si trattasse di Wittenberg, per evitare che fosse contagiato dall’eresia.

Così dicevano i frati. Tausen andò a Colonia, che era un baluardo del Cattolicesimo. Qui egli rimase presto disgustato dal misticismo dei suoi maestri. Fu verso quel tempo che ebbe accesso agli scritti di Lutero. Li lesse, con sorpresa e diletto, desideroso di poter godere dell’istruzione personalmente impartita dal riformatore tedesco. Attuare siffatto proposito equivaleva a offendere il proprio superiore monastico e perderne l’appoggio. Ad ogni modo, egli si iscrisse all’università di Wittenberg. Ritornato in Danimarca, Tausen rientrò nel chiostro. Nessuno lo sospettava di Luteranesimo, e del resto egli non rivelò il suo segreto; ma si sforzò, senza creare pregiudizi, di indurre i suoi compagni a praticare una fede più pura e una vita più santa. Aprì la Bibbia e ne spiegò il vero significato. Infine predicò loro Cristo, giustizia del peccatore e unica sua speranza di salvezza.

Grande fu l’ira del priore il quale aveva riposto in lui non poche speranze come valido difensore di Roma. Tausen fu trasferito in un altro convento e confinato nella sua cella sotto rigida sorveglianza.
Con sgomento dei suoi nuovi guardiani, vari monaci si dichiararono ben presto convertiti al Protestantesimo. Attraverso le sbarre della sua cella, Tausen aveva comunicato ai suoi compagni la conoscenza della verità. Se quei padri danesi si fossero attenuti al piano della chiesa nei confronti dell’eresia, la voce di Tausen non si sarebbe più fatta udire. Esse, anziché seppellirlo vivo in carcere sotterraneo, lo espulsero dal convento. Erano impotenti ad agire perché un recente editto reale garantiva la protezione a quanti insegnavano la nuova dottrina. Tausen cominciò a predicare: le chiese gli furono aperte come ad altri, e la folla vi si accalcò per udire la Parola di Dio.

Il Nuovo Testamento, tradotto in lingua danese, veniva diffuso ovunque. I tentativi dei rappresentanti di Roma per impedire questa opera sortirono l’effetto contrario: contribuirono all’estensione della verità, e la Danimarca abbracciò la fede riformata. Anche in Svezia furono dei giovani, che si erano dissetati alle fonti di Wittenberg, a recare l’acqua della vita ai loro connazionali. Due capi della Riforma svedese, Olaf e Laurentius Petri, figli di un fabbro di Orebro, avevano studiato sotto la guida di Lutero e di Zelantone, e cominciarono a insegnare con entusiasmo le verità conosciute. Come il grande riformatore tedesco, Olaf scuoteva il popolo col suo zelo e con la sua eloquenza, mentre Laurentius, simile a Zelantone, era dotto, calmo, riflessivo. Tutti e due erano pii, di alto valore nel campo teologico e di invincibile coraggio per il progresso della verità. L’opposizione papale si fece sentire, e i sacerdoti cattolici non trascurarono di istigare le popolazioni ignoranti e superstiziose.

Olaf Petri fu varie volte assalito dalla folla, e a stento riuscì a mettersi in salvo. Questi riformatori, però godevano del favore e della protezione del re. Sotto il dominio della chiesa romana, la gente viveva nella miseria e gemeva sotto l’oppressione. Priva della Sacra Scrittura, con una religione fatta di forme e di riti ma vuota per l’intelletto, essa era praticamente ricaduta nelle credenze superstiziose e nelle usanze dei suoi antenati pagani. La nazione era divisa in fazioni ostili che si combattevano continuamente contribuendo, così, ad accrescere la povertà del paese. Il re, deciso a operare una riforma nello stato e nella chiesa, accolse con grande gioia la collaborazione dei due fratelli nella lotta che aveva intrapreso contro Roma. Alla presenza del sovrano e delle altre cariche della Svezia, Olaf Petri difese con abilità le dottrine della fede riformata contro i campioni di Roma, dichiarando che gli insegnamenti dei padri vanno accettati solo se risultano in armonia con le Scritture, e che le dottrine fondamentali della sono esposte nella Bibbia con tanta chiarezza e con tanta semplicità che tutti le possono capire. Cristo disse: “La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato” Giovanni 7:16. Paolo, a sua volta, dichiarò: “Ma quand’anche noi, quand’anche un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che v’abbiamo annunziato, sia egli anatema” Galati 1:8. “Perché, allora”, disse Petri, “altri presumono di insegnare dei dogmi a loro piacimento e di imporli come se fossero necessari alla salvezza?” Wylie, vol. 10, cap. 4.

Quindi dimostrò che i decreti della chiesa non hanno valore se risultano in opposizione con quanto Dio comanda, e sostenne il grande principio protestante: “La Bibbia e la Bibbia sola è regola di fede e di condotta”. Questa discussione, sebbene condotta su una scena relativamente oscura, dimostra “di quali uomini era composto l’esercito dei riformatori. Essi non erano né degli ignoranti settari, né dei turbolenti controversisti, ma degli uomini che avevano studiato la Parola di Dio e che sapevano maneggiare bene le armi fornite dall’arsenale biblico. Quanto a erudizione, essi erano all’avanguardia, tenuto conto dei tempi. Considerando solo i brillanti centri di cultura come Wittenberg e Zurigo e i personaggi illustri quali Lutero e Zuinglio, Zelantone ed Ecolompadio, si potrebbe essere indotti a ritenere che, data la loro qualità di capi, era lecito attendersi da essi grandi cose, mentre i gregari non erano alla loro portata. Invece, se consideriamo l’oscuro campo della Svezia e gli umili nomi di Olaf e Laurentius Petri, che cosa notiamo?... Erano dotti, teologi, uomini che avevano assimilato alla perfezione l’intero arco delle verità evangeliche e che potevano avere facilmente il sopravvento sui sofismi delle scuole e sui dignitari di Roma” Ibidem.

Come conseguenza della disputa, il re di Svezia abbracciò la Riforma, e poco dopo l’assemblea nazionale si dichiarò favorevole ad essa. Il Nuovo Testamento era stato tradotto in lingua svedese da Olaf Petri, e su richiesta del sovrano i due fratelli intrapresero la traduzione dell’intera Bibbia nella loro lingua materna. La dieta decretò che in tutto il regno i ministri di culto spiegassero le Sacre Scritture, e che nelle scuole si insegnasse ai bambini a leggerle. A poco a poco le tenebre dell’ignoranza e della superstizione furono dissipate della benefica luce del Vangelo. Liberata dall’oppressione romana, la nazione pervenne a una forza e a una grandezza mai conosciute prima, e diventò una vera roccaforte del Protestantesimo. Un secolo più tardi, in un’ora di grave pericolo, questo piccolo stato, fino ad allora debole, fu l’unico in Europa ad avere l’ardire di porgere una mano soccorritrice alla Germania durante la lunga e terribile lotta che fu la Guerra dei Trenta anni. Tutta l’Europa settentrionale sembrava in procinto di ricadere sotto la tirannia romana, furono proprio gli eserciti svedesi che permisero alla Germania di respingere l’ondata assalitrice di Roma e di assicurare la tolleranza ai protestanti – calvinisti e luterani – oltre che di garantire la libertà di coscienza nei paesi che avevano accettato la Riforma.

LA VERITA’ AVANZA NELLE ISOLE BRITANNICHE.
Mentre Lutero presentava al popolo tedesco il volume aperto delle Sacre Scritture Tendale si sentì spinto dallo Spirito di Dio a fare altrettanto per l’Inghilterra. La Bibbia di Wycliff era stata tradotta dal testo latino, che conteneva non pochi errori. Essa, inoltre, non era mai stata stampata, e il costo delle copie manoscritte era così elevato che solo i ricchi e i nobili erano in condizione di procurarsela. D’altra parte, siccome era strettamente proibita dalla chiesa essa aveva una circolazione limitata. Nel 1516, un anno prima che Lutero presentasse le sue celebri tesi contro le indulgenze, Erasmo aveva pubblicato una versione greca e latina del Nuovo Testamento.

Era la prima volta che la Parola di Dio veniva stampata nella sua lingua originale. In questo lavoro furono corretti molti errori di precedenti versioni. Questo contribuì a rendere più chiaro il testo e permise a numerosi esponenti delle classi colte di acquisire una migliore conoscenza della verità. Tutto ciò contribuì a dare un nuovo impulso alla Riforma. Il popolo, però, era ancora praticamente privo della Parola di Dio, e fu Tendale a completare l’opera di Wycliff, dando la Bibbia ai propri connazionali. Studioso diligente, fervido ricercatore della verità, e gli aveva ricevuto l’Evangelo tramite il Nuovo Testamento di Erasmo.

Predicando coraggiosamente le proprie convinzioni, e gli sottolineava il fatto che tutte le dottrine debbono essere provate con le Sacre Scritture. Alla pretesa romana, secondo cui la Bibbia era stata data dalla chiesa e che perciò solo la chiesa poteva spiegarla, Tyndale rispondeva: “Chi ha insegnato alle aquile a trovare la preda? Ebbene, è Dio stesso che insegna ai suoi figli a trovare il loro Padre celeste nella sua Parola. Vi, lungi dal darci le Scritture, ce le tenete nascoste; bruciate coloro che le insegnano e, se lo poteste, brucereste le Scritture stesse” D’Aubigné, History of the Reformation of the Sixteenth Century, vol. 18, cap. 4.

La predicazione di Tendale provocò vivo interesse, e molti accettarono la verità. I preti, però, stavano all’erta e non appena egli lasciava il campo si sforzavano, ricorrendo alle minacce e alle calunnie, di distruggere la sua opera; e in molti casi vi riuscirono. “Che cosa si deve fare?” diceva Tendale. “Mentre io semino in un luogo, il nemico guasta il campo da me lasciato. Io non posso essere dappertutto. Oh, se i cristiani avessero le Sacre Scritture nella loro lingua madre! Potrebbero resistere da se stessi a questi sofisti. Senza la Bibbia è impossibile affermare i laici nella verità” Ibidem. Nella sua mente nacque un nuovo progetto. “Nel tempio di Dio i Salmi erano cantati nella lingua d’Israele”, egli diceva. “Perché l’Evangelo non dovrebbe parlare fra noi la lingua inglese?... Avrebbe forse la chiesa meno luce in pieno meriggio che allo spuntar del sole?... I cristiani debbono poter leggere il Nuovo Testamento nella loro lingua materna”. I dottori e i predicatori della chiesa non si trovavano d’accordo fra loro; mediante la Bibbia, invece, gli uomini potevano discernere la verità. “Uno si attiene a questo dottore; uno si attiene a un altro… a questi dottori si smentiscono reciprocamente.

Com’è possibile sapere chi dice il vero e chi afferma il falso?... Come?... Mediante la Parola di Dio” Ibidem. Poco tempo dopo un dottore cattolico, polemizzando con lui esclamò: “Meglio essere senza legge di Dio che senza il papa!”. Tendale replicò: “Io sfido il papa e tutte le sue leggi: se Dio risparmierà la mia vita ancora per molti anni, io farò in modo che un semplice ragazzo che spinge l’aratro conosca la Bibbia meglio di voi” Anderson, Annali of the English Bible, p. 19.

Deciso più che mai ad attuare il progetto che si era messo in mente – dare al popolo il Nuovo Testamento in lingua inglese – Tendale si mise all’opera. Scacciato dalla propria casa in seguito alla persecuzione, egli andò a Londra dove, per un po’ di tempo, poté continuare indisturbato il suo lavoro. Presto però la violenza dei seguaci del papa lo costrinse alla fuga. Tutta l’Inghilterra sembrava chiudergli le porte, ed egli allora dovette riparare in Germania.

Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms, dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione. I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera. Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.

Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati, il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio. Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità. Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della sua eternità. Non c’è né re, né imperatore, né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward VI. Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della verità seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese erano uomini dotti, e la maggior par

te di essi erano stati particolarmente stimati, per zelo e per pietà, nelle comunità cattoliche romane. La loro opposizione al papato derivava dalla consapevolezza degli errori della santa sede. Inoltre, la loro conoscenza dei misteri di Babilonia dava una particolare potenza alla loro testimonianza contro di essa. “Vorrei farvi una domanda forse un po’ strana”, diceva Latimer. “Chi è il più diligente vescovo o prelato d’Inghilterra?... Vi vedo attenti, ansiosi di sapere da me il nome… Ebbene, ve lo dirò: è il diavolo. Egli non si allontana mai dalla sua diocesi… Chiamatelo quando volete: è sempre in sede… è sempre all’aratro… Non lo vedrete mai ozioso, ve lo assicuro… Dovunque egli risiede, le sue parole d’ordine sono: Abbasso i libri, evviva le candele!... Abbasso la Bibbia, evviva il rosario!... Abbasso la luce del Vangelo, evviva il lume dei ceri, anche in pieno mezzodì!... Abbasso la croce di Cristo, evviva invece il purgatorio che vuota le tasche dei fedeli!... Abbasso gli abiti per gli ignudi, i poveri, i derelitti, evviva gli ornamenti d’oro e d’argento dati a profusione a dei pezzi di legno e di pietra!... Abbasso le tradizioni di Dio e la sua santa Parola, evviva le tradizioni e leggi degli uomini!... Oh, se i nostri prelati seminassero il grano della sana dottrina con lo stesso zelo di cui dà prova Satana nel seminare la zizzania!” Latimer, Sermon of the Plough.

Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.

In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno, un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.

Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche, percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi, però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi della verità della Parola di Dio.

Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia, al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta, Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce.

La regina lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare la religione proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine di Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti. Knox rispose con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?... Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria, “mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve credere? E chi sarà il giudice?”.

“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola” disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso, si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895. Tali erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della propria vita, faceva intendere alla regina.

Con indomito coraggio egli proseguì il suo ministero pregando e combattendo la battaglia del Signore fino a che la Scozia non ebbe spezzato il giogo del papato. In Inghilterra lo stabilirsi del Protestantesimo come religione nazionale fece diminuire le persecuzioni, ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine di Roma, inoltre, erano state mantenute. Se da un lato era stata rigettata la supremazia del papa, dall’altro si era eletto il re come capo della chiesa. Anche nel culto si poteva notare un sensibile distacco dalla purezza e dalla semplicità del Vangelo. Inoltre, il grande principio della libertà religiosa non era ancora capito. Quantunque le terribili crudeltà cui era ricorsa Roma contro l’eresia fossero state raramente ripristinate dai capi della Riforma, nondimeno il diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza non era riconosciuto. Si esigeva da parte di tutti l’accettazione e l’osservanza delle forme del culto prescritte dalla chiesa stabilita.

Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni erano affollate, le famiglie disperse. Molti dovettero addirittura espatriare. Dio, però, era col suo popolo, e così le persecuzioni non impedirono la testimonianza di queste anime fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare oltre Atlantico, gettarono nel Nuovo Mondo le basi della libertà civile e religiosa, baluardo e vanto degli Stati Uniti d’America.

Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli, la persecuzione contribuì alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere, gremito di gente disonesta e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera del cielo e scrisse la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla terra della perdizione alla città celeste. Da oltre duecento anni questa voce uscita da Bedford parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di Bunyan: Pilgrim’s Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”) e Grace Abounding to the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”), hanno guidato molti lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e altri uomini di talento, colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono a difesa della fede “che è stata data ai santi una volta per tutte”. L’opera compiuta da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai grandi di questo mondo è imperitura.

Fountain of Life (“Fonte della vita”) e Method of Grace (“Metodo della grazia”) di Flavel hanno insegnato a migliaia di persone come affidare a Cristo la cura della propria anima. Reformed Pastor (“Il pastore riformato”) di Baxter è stato fonte di benedizione per quanti aspiravano a un risveglio nell’opera di Dio, e il suo volume Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno riposo dei santi”) ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo” che rimane per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre spirituali, apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i Wesley. Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era venuta a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere dal paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero e compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si facevano beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di quello che esse definivano fanatismo.

Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse in una preoccupante ignoranza e nel vizio mentre la chiesa non aveva né il coraggio né la fede necessari per sostenere la causa della verità che precipitava verso la rovina.
La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”.

Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta, l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p. 102, ediz. 1845. Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo l’opera di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria e distogliendo le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza: il sangue del Redentore crocifisso. Wesley e i suoi collaboratori giunsero a capire che la vera religione ha radice nel cuore, e che la legge di Dio non riguarda solo le azioni e le opere, ma abbraccia anche i pensieri. Convinti della necessità di avere il cuore santificato, oltre che la rettitudine del comportamento esteriore, essi vollero vivere una vita nuova. Con sforzi intensi accompagnati della preghiera, essi cercavano di vincere le tendenze del cuore naturale. Vivevano un’esistenza fatta di rinuncia, di carità, di umiltà; osservavano col massimo li potesse aiutare a raggiungere quello che ardentemente bramavano: la santità che assicurava il favore di Dio.

Essi, però, non riuscivano a raggiungere la mèta, e si affannavano invano per liberarsi dalla condanna e dalla potenza del peccato. Era una lotta uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda che tanto aveva torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità, che si era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu ravvivato dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi. Dopo la Riforma, il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde di Roma sì che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono costretti a fuggire. Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede avita, e attraverso i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono consacrati al ministero e mandati in missione in America. A bordo della nave vi era un gruppo di moravi. La traversata fu caratterizzata da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi a faccia a faccia con la morte, sentì di non avere la certezza della pace con Dio. I moravi, per contro, dimostravano una serenità e una fiducia nell’Eterno che a lui erano totalmente estranee.

“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati, colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta. Ebbero anche l’occasione di dimostrare che si erano liberati non solo dallo spirito di timore, di orgoglio, d’ira e di vendetta, ma anche da quello della paura. Durante il canto del salmo che dava inizio alla loro funzione religiosa, il mare scatenato squarciò la vela maestra e si abbatté sulla nave coprendola con le onde, tanto che pareva dovesse inghiottirci tutti. Fra gli inglesi si udì un terribile grido di angoscia, mentre i moravi continuarono a cantare. Più tardi io chiesi a uno di loro: “Eravate spaventati?”. Mi rispose: “Grazie a Dio, no”. Domandai: “Ma le vostre donne e i vostri bambini non erano impauriti?”. Con la massima semplicità egli mi disse: “No: le nostre donne e i nostri bambini non hanno paura della morte” Whitehead, Life of the Rev. John Wesley, p. 10, ediz. 1845.

Giunti a Savannah, Wesley si trattenne un po’ di tempo coi Moravi, e rimase profondamente impressionato dal loro comportamento cristiano. Parlando di una delle loro funzioni religiose, in così stridente contrasto col gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse: “La grande semplicità e la solennità dell’insieme mi fecero dimenticare i millesettecento anni che erano passati, e mi parve di trovarmi in una delle assemblee presiedute da Paolo, il fabbricatore di tende, o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era la manifestazione dello Spirito e della potenza” Idem, pp. 11,12.

Rientrato in Inghilterra, Wesley, per le istruzioni di un predicatore moravo, pervenne a una più chiara comprensione della vera fede biblica. Si convinse che bisognava rinunciare alle proprie opere come mezzo di salvezza e fidare pienamente nell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta una dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte” Idem, p. 52. Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di dure rinunce, l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare Iddio. Ora che lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante digiuni, preghiera, elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza denaro e senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua anima arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso Evangelo della grazia gratuita di Dio. “Io considero il mondo intero come mia parrocchia”, affermava Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo ritengo mio diritto, oltre che mio dovere, annunciare a quanti sono disposti ad ascoltare, la lieta notizia della salvezza” Idem, p. 74.

Egli perseverò nella sua vita di severa rinuncia, nella quale non vedeva più la condizione, ma la conseguenza della sua fede; non più la radice, ma il frutto della santità. La grazia di Dio in Cristo è il fondamento della speranza del cristiano, e questa grazia si manifesta con l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione della grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione delle grandi verità che aveva conosciute: la giustificazione per fede nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo nel cuore, il cui frutto è una vita che si conforma a quella di Gesù. Whitefield e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale convinzione del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni come buoni soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo, della derisione e della persecuzione sia all’università che nel ministero. Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni di studio increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una delle maggiori denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.

Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms, dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione. I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera. Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.

Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati, il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio. Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità. Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della sua eternità. Non c’è né re, né imperatore, né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward VI.

Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della verità seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese erano uomini dotti, e la maggior parte di essi erano stati particolarmente stimati, per zelo e per pietà, nelle comunità cattoliche romane. La loro opposizione al papato derivava dalla consapevolezza degli errori della santa sede. Inoltre, la loro conoscenza dei misteri di Babilonia dava una particolare potenza alla loro testimonianza contro di essa. “Vorrei farvi una domanda forse un po’ strana”, diceva Latimer. “Chi è il più diligente vescovo o prelato d’Inghilterra?... Vi vedo attenti, ansiosi di sapere da me il nome… Ebbene, ve lo dirò: è il diavolo. Egli non si allontana mai dalla sua diocesi… Chiamatelo quando volete: è sempre in sede… è sempre all’aratro… Non lo vedrete mai ozioso, ve lo assicuro… Dovunque egli risiede, le sue parole d’ordine sono: Abbasso i libri, evviva le candele!... Abbasso la Bibbia, evviva il rosario!... Abbasso la luce del Vangelo, evviva il lume dei ceri, anche in pieno mezzodì!... Abbasso la croce di Cristo, evviva invece il purgatorio che vuota le tasche dei fedeli!... Abbasso gli abiti per gli ignudi, i poveri, i derelitti, evviva gli ornamenti d’oro e d’argento dati a profusione a dei pezzi di legno e di pietra!... Abbasso le tradizioni di Dio e la sua santa Parola, evviva le tradizioni e leggi degli uomini!... Oh, se i nostri prelati seminassero il grano della sana dottrina con lo stesso zelo di cui dà prova Satana nel seminare la zizzania!” Latimer, Sermon of the Plough.

Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.

In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno, un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.

Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche, percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi, però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi della verità della Parola di Dio.

Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia, al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta, Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce. La regina lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare la religione proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine di Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti.

Knox rispose con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?... Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria, “mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve credere? E chi sarà il giudice?”.
“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola” disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso, si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895.

Tali erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della propria vita, faceva intendere alla regina. Con indomito coraggio egli proseguì il suo ministero pregando e combattendo la battaglia del Signore fino a che la Scozia non ebbe spezzato il giogo del papato. In Inghilterra lo stabilirsi del Protestantesimo come religione nazionale fece diminuire le persecuzioni, ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine di Roma, inoltre, erano state mantenute. Se da un lato era stata rigettata la supremazia del papa, dall’altro si era eletto il re come capo della chiesa. Anche nel culto si poteva notare un sensibile distacco dalla purezza e dalla semplicità del Vangelo.

Inoltre, il grande principio della libertà religiosa non era ancora capito. Quantunque le terribili crudeltà cui era ricorsa Roma contro l’eresia fossero state raramente ripristinate dai capi della Riforma, nondimeno il diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza non era riconosciuto. Si esigeva da parte di tutti l’accettazione e l’osservanza delle forme del culto prescritte dalla chiesa stabilita. Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni erano affollate, le famiglie disperse.

Molti dovettero addirittura espatriare. Dio, però, era col suo popolo, e così le persecuzioni non impedirono la testimonianza di queste anime fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare oltre Atlantico, gettarono nel Nuovo Mondo le basi della libertà civile e religiosa, baluardo e vanto degli Stati Uniti d’America. Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli, la persecuzione contribuì alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere, gremito di gente disonesta e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera del cielo e scrisse la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla terra della perdizione alla città celeste. Da oltre duecento anni questa voce uscita da Bedford parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di Bunyan: Pilgrim’s Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”) e Grace Abounding to the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”), hanno guidato molti lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e altri uomini di talento, colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono a difesa della fede “che è stata data ai santi una volta per tutte”.

L’opera compiuta da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai grandi di questo mondo è imperitura. Fountain of Life (“Fonte della vita”) e Method of Grace (“Metodo della grazia”) di Flavel hanno insegnato a migliaia di persone come affidare a Cristo la cura della propria anima. Reformed Pastor (“Il pastore riformato”) di Baxter è stato fonte di benedizione per quanti aspiravano a un risveglio nell’opera di Dio, e il suo volume Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno riposo dei santi”) ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo” che rimane per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre spirituali, apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i Wesley.

Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era venuta a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere dal paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero e compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si facevano beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di quello che esse definivano fanatismo. Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse in una preoccupante ignoranza e nel vizio mentre la chiesa non aveva né il coraggio né la fede necessari per sostenere la causa della verità che precipitava verso la rovina.

La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”. Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta, l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p. 102, ediz. 1845. Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo l’opera di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria e distogliendo le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza: il sangue del Redentore crocifisso.

Wesley e i suoi collaboratori giunsero a capire che la vera religione ha radice nel cuore, e che la legge di Dio non riguarda solo le azioni e le opere, ma abbraccia anche i pensieri. Convinti della necessità di avere il cuore santificato, oltre che la rettitudine del comportamento esteriore, essi vollero vivere una vita nuova. Con sforzi intensi accompagnati della preghiera, essi cercavano di vincere le tendenze del cuore naturale. Vivevano un’esistenza fatta di rinuncia, di carità, di umiltà; osservavano col massimo li potesse aiutare a raggiungere quello che ardentemente bramavano: la santità che assicurava il favore di Dio. Essi, però, non riuscivano a raggiungere la mèta, e si affannavano invano per liberarsi dalla condanna e dalla potenza del peccato.

Era una lotta uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda che tanto aveva torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità, che si era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu ravvivato dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi. Dopo la Riforma, il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde di Roma sì che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono costretti a fuggire. Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede avita, e attraverso i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono consacrati al ministero e mandati in missione in America.

A bordo della nave vi era un gruppo di moravi. La traversata fu caratterizzata da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi a faccia a faccia con la morte, sentì di non avere la certezza della pace con Dio. I moravi, per contro, dimostravano una serenità e una fiducia nell’Eterno che a lui erano totalmente estranee.
“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati, colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta.

Ebbero anche l’occasione di dimostrare che si erano liberati non solo dallo spirito di timore, di orgoglio, d’ira e di vendetta, ma anche da quello della paura. Durante il canto del salmo che dava inizio alla loro funzione religiosa, il mare scatenato squarciò la vela maestra e si abbatté sulla nave coprendola con le onde, tanto che pareva dovesse inghiottirci tutti. Fra gli inglesi si udì un terribile grido di angoscia, mentre i moravi continuarono a cantare. Più tardi io chiesi a uno di loro: “Eravate spaventati?”. Mi rispose: “Grazie a Dio, no”. Domandai: “Ma le vostre donne e i vostri bambini non erano impauriti?”. Con la massima semplicità egli mi disse: “No: le nostre donne e i nostri bambini non hanno paura della morte” Whitehead, Life of the Rev. John Wesley, p. 10, ediz. 1845. Giunti a Savannah, Wesley si trattenne un po’ di tempo coi Moravi, e rimase profondamente impressionato dal loro comportamento cristiano. Parlando di una delle loro funzioni religiose, in così stridente contrasto col gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse: “La grande semplicità e la solennità dell’insieme mi fecero dimenticare i millesettecento anni che erano passati, e mi parve di trovarmi in una delle assemblee presiedute da Paolo, il fabbricatore di tende, o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era la manifestazione dello Spirito e della potenza” Idem, pp. 11,12.

Rientrato in Inghilterra, Wesley, per le istruzioni di un predicatore moravo, pervenne a una più chiara comprensione della vera fede biblica. Si convinse che bisognava rinunciare alle proprie opere come mezzo di salvezza e fidare pienamente nell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta una dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte” Idem, p. 52.

Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di dure rinunce, l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare Iddio. Ora che lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante digiuni, preghiera, elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza denaro e senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua anima arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso Evangelo della grazia gratuita di Dio. “Io considero il mondo intero come mia parrocchia”, affermava Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo ritengo mio diritto, oltre che mio dovere, annunciare a quanti sono disposti ad ascoltare, la lieta notizia della salvezza” Idem, p. 74.

Egli perseverò nella sua vita di severa rinuncia, nella quale non vedeva più la condizione, ma la conseguenza della sua fede; non più la radice, ma il frutto della santità. La grazia di Dio in Cristo è il fondamento della speranza del cristiano, e questa grazia si manifesta con l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione della grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione delle grandi verità che aveva conosciute: la giustificazione per fede nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo nel cuore, il cui frutto è una vita che si conforma a quella di Gesù. Whitefield e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale convinzione del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni come buoni soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo, della derisione e della persecuzione sia all’università che nel ministero.

Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni di studio increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una delle maggiori denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. Nella loro qualità di membri della chiesa anglicana, essi erano molto attaccati alle sue forme di culto; però il Signore aveva loro presentato nella sua Parola un ideale molto più elevato. Lo Spirito Santo li spinse a predicare Cristo e Cristo crocifisso e la potenza dell’Altissimo accompagnava i loro lavori. Migliaia di persone furono convinte e conobbero una reale conversione. Ma era necessario che queste pecorelle fossero protette contro i lupi rapaci. Wesley non pensava di fondare una nuova denominazione e si limitò a organizzare i neo convertiti in quella che fu definita Methodist Connection (ramo della chiesa metodista. n .d .r.). L’opposizione incontrata da questi predicatori fu apra e misteriosa; ma Dio, nella sua saggezza infinita, fece sì che la Riforma avesse inizio nella chiesa stessa.

Se fosse venuta dal di fuori, essa forse non sarebbe penetrata dove più urgente si faceva sentire. Invece, dato che i predicatori erano uomini di chiesa che lavoravano sotto la sue egida dovunque se ne presentava l’opportunità, la verità poteva giungere anche dove, altrimenti, le porte sarebbero rimaste chiuse. Alcuni membri del clero furono scossi dal loro torpore morale e divennero zelanti predicatori nelle loro parrocchie. Delle chiesa che sembravano come pietrificate nel formalismo, risorsero così a vita nuova. Al tempo di Wesley, come del resto in tutti i tempi della storia della chiesa, l’opera fu compiuta da uomini dotati di doni differenti. Non sempre essi erano d’accordo fra loro su tutti i punti dottrinali, però erano tutti mossi dallo Spirito di Dio e uniti dal comune proposito di condurre le anime a Cristo. Una volta le divergenze fra Whitefield e i Wesley minacciarono di provocare una frattura tra loro; ma la mansuetudine imparata a scuola di Cristo, unita alla reciproca sopportazione e alla carità fraterna, fece sì che essi si riconciliassero. D’altra parte essi non avevano il tempo di perdersi in dispute mentre da ogni parte l’errore e l’empietà dilagavano e i peccatori precipitavano nel baratro della perdizione.

I servi del Signore calcavano un difficile sentiero: uomini dotti e influenti facevano uso della loro potenza contro di essi. Molti esponenti del clero dopo un po’ di tempo cominciarono a manifestare un’aperta ostilità, e le porte delle chiese furono chiuse alla fede pura e a coloro che la predicavano. L’atteggiamento del clero che li denunciava dall’alto dei pulpiti valse a suscitare contro di loro gli elementi deteriori delle tenebre, dell’ignoranza e dell’iniquità. Fu solo per merito di segnalati miracoli di Dio che Giovanni Wesley poté sfuggire alla morte. Una volta che l’ira della folla sembrava precludergli ogni via di scampo, un angelo in forma umana si mise al suo fianco e fece indietreggiare la folla, dando così modo al servitore di Dio di abbandonare quel luogo pericoloso. In una particolare occasione, parlando della liberazione dal furore della folla, Wesley disse: “Molti cercarono di farmi precipitare dall’alto di un sentiero sdrucciolevole che conduceva alla città, stimando che una volta che io fossi caduto non mi sarei più potuto rialzare. Io, invece, non caddi, non scivolai e riuscii a sottrarmi a loro… Molti tentarono di prendermi per il colletto o per gli abiti per farmi cadere; ma non riuscirono nel loro intento. Solo uno poté stringere saldamente un lembo del mio giubbotto e strapparlo, mentre l’altro lembo, nella cui tasca c’era del denaro, fu strappato solo a metà… Un uomo robusto che stava dietro a me tentò ripetutamente di colpirmi con un solo colpo, per nodoso. Se mi avesse raggiunto alla nuca, anche con un solo colpo, per me sarebbe stata finita.

Ogni volta, però, il suo colpo fu deviato e non so davvero perché, dato che io non mi potevo muovere né a destra né a sinistra… Un altro sopraggiunse, facendosi largo tra la folla, e giunto vicino a me levò il pugno e lo fece all’improvviso ricadere inerte, sfiorandomi la testa e dicendo: “Che capelli soffici ha!”… I primi ad avere il cuore toccato dal Vangelo di Cristo furono proprio i peggiori elementi della città, i caporioni sempre pronti a fare un buon colpo. Uno di essi era stato pugile di professione… Con quanta tenera sollecitudine Dio ci prepara per la sua opera! Due anni fa un pezzo di tegola mi sfiorò le spalle; un anno dopo, una pietra mi colpì fra gli occhi; il mese scorso ho avuto un colpo; oggi ne ho ricevuti due: uno prima di giungere in città e uno dopo che ne eravamo usciti; io però non ne ho risentito alcun danno. Sebbene uno mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho sentito più dolore di quello che avrei potuto provare se mi avessero colpito con della paglia” John Wesley, Works, vol. 3, pp. 297,298. ed. 1831.

I metodisti di quella epoca – membri e predicatori – erano oggetto di derisione e di persecuzione sia da parte dei membri della chiesa stabilita, come pure da parte di persone apertamente ostili alla religione, eccitate contro di loro da calunnie messe in giro pei confronti dei metodisti. Spesso, fatti segno a violenza da parte dei persecutori, essi venivano trascinati dinanzi ai tribunali dove la giustizia esisteva solo di nome perché di fatto, a quei tempi, era piuttosto rara. La folla andava di casa in casa, sfasciando i mobili, gli oggetti, portando via quello che più le piaceva, maltrattando uomini, donne e fanciulli. Non era infrequente il caso di leggere manifesti nei quali si invitavano quanti desiderassero partecipare alla rottura di finestre e al saccheggio di abitazioni dei metodisti, a trovarsi in un determinato luogo a una certa ora.

Queste aperte violazioni delle leggi umane e divine avvenivano senza che nessuno intervenisse per mettervi un freno! Una sistematica persecuzione fu organizzata contro un popolo la cui unica colpa consisteva nell’adoperarsi per strappare i peccatori dal sentiero della perdizione e avviarli su quello della santità. Riferendosi alle accuse che venivano mosse contro lui e i suoi seguaci, Giovanni Wesley disse: “Alcuni affermavano che le dottrine di questi uomini sono false, errate e fanatiche; dicono che sono nuove e che solo di recente se ne è udito parlare: affermano che si tratta di quacquerismo, di fanatismo, di papismo. Ebbene, la falsità di siffatte affermazioni è stata ripetutamente dimostrata in quanto ogni elemento di questa dottrina altro non è se non la chiara dottrina della Santa Scrittura interpretata dalla nostra chiesa. Per conseguenza, poiché la Bibbia è verace, è evidente che l’insegnamento non può essere né falso né errato”. “Altri dicono: “La loro dottrina è troppo stretta; essi rendono troppo angusta la via che mena al cielo”.

Questa è, in realtà, l’obiezione originale che segretamente sta alla base di migliaia di altre che si presentano sotto svariate forme. Chiediamoci, però, se essi fanno effettivamente la via del cielo più stretta di quanto la fecero Cristo e gli apostoli. Domandiamoci se la loro dottrina è più stretta di quella della Bibbia. Per avere la risposta è sufficiente prendere in esame alcuni versetti di cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua” “Or io vi dico che d’ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderai conto nel giorno del giudizio”. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcuna altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio”. “Se la loro dottrina è ancora più stretta, essi sono degni di biasimo; però voi sapete, in coscienza, che non è così. Chi osa essere meno stretto, fosse pure di un iota, corrompe la Parola di Dio.

Un depositario dei misteri di Dio può essere ritenuto fedele se cambia qualche elemento del sacro deposito affidatogli? No, egli non può né eliminare né attenuare nulla, ed è moralmente tenuto a dire a tutti gli uomini: “Io non posso adattare la Scrittura ai vostri gusti: siete voi che dovete adattarvi ad essa se non volete perire!” Questa è anche la base effettiva dell’altra accusa popolare relativa a “mancanza di carità in questi uomini”. Mancanti di carità? In che cosa? Fosse essi rifiutano di vestire gli ignudi e di nutrire gli affamati? “No, non si tratta di ciò, perché in questo essi non sono certo in difetto. Piuttosto si tratta del fatto che essi sono privi di carità nel giudicare: pensano che nessuno possa essere salvato se non fa come loro” Idem, vol. 3, pp. 152,153.

Il declino spirituale verificatosi in Inghilterra già prima di Wesley era in gran parte da attribuirsi all’insegnamento dell’antinomianismo. Molti affermavano che Cristo aveva abolito la legge morale e che, per conseguenza, i cristiani non erano più tenuti a osservarla in quanto il credente è “affrancato dalla schiavitù delle opere”. Altri, pur ammettendo la perpetuità della legge, dichiaravano che non era necessario che i ministri (di culto. N.d.T.) esortassero il popolo a osservarne i precetti, poiché “coloro che Dio aveva eletti a salvezza sarebbero stati indotti a praticare la virtù e la pietà dall’irresistibile impulso della grazia divina”, mentre coloro che erano condannati alla riprovazione eterna, “non avevano a forza di ubbidire alla legge dell’Altissimo”.
Altri, infine, sostenevano che “gli eletti non possono scadere dalla grazia, né perdere il favore divino”, e concludevano: “Le azioni empie da loro commesse, in realtà non sono peccaminose né debbono essere considerate come prova della violazione della legge di Dio; per conseguenza, essi non hanno nessun bisogno di confessare i propri peccati, né di rinunciarvi mediante il pentimento” McClintock and Strong, Cyclopedia, art. Antinomians.

Ne deducevano che certi peccati, anche quelli “universalmente riconosciuti come odiosa violazione della legge divina, non sono tali agli occhi dell’Eterno”, se commessi da un eletto, “perché una delle caratteristiche essenziali e distintive degli eletti è appunto che essi non possono fare nulla che sia disapprovato da Dio o proibito dalla legge”. Queste dottrine mostruose sono fondamentalmente le stesse che si ritrovano nell’insegnamento di alcuni teologi moderni i quali negano l’esistenza di una legge divina immutabile come norma di giustizia, affermando che l’indice della moralità è definito dalla società stessa ed è soggetto a costanti variazioni. Tutte queste idee errate derivano dal medesimo spirito: quello di colui che perfino fra gli immacolati abitanti del cielo cercò di abbattere le giuste restrizioni della legge di Dio. La dottrina dei decreti divini (anche “predestinazione”. N.d.T.) che fissano in maniera irrevocabile il carattere degli uomini, aveva indotto molti a rigettare l’autorità della legge divina. Wesley si oppose con decisione agli errori dei dottori antinomianisti, e dimostrò che la dottrina che conduce all’antinomianismo è contraria alle Scritture. “La grazia salutare di Dio è apparita a tutti gli uomini” Tito 2:11 (D).

“Questo è buono e accettevole nel cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Poiché c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, il quale diede se stesso quale prezzo di riscatto per tutti” 1 Timoteo 2:3-6. Lo Spirito di Dio è sparso copiosamente per dare a ogni uomo la possibilità di conseguire la salvezza. Così Cristo, “la vera luce che illumina ogni uomini, era per venire nel mondo” Giovanni 1:9. Solo chi respinge deliberatamente il dono della vita non giunge alla salvezza. Ecco quello che diceva Wesley in risposta all’affermazione che alla morte di Cristo i precetti del decalogo erano stati aboliti: << La legge morale, contenuta nei dieci comandamenti e raccomandata dai profeti, non è stata abolita da Cristo. Non era scopo della sua venuta revocarne neppure una minima parte, in quanto si tratta di una legge che non può essere infranta e che è “il fedele testimone che è nei cieli”… Essa esiste sino dalla fondazione del mondo, e fu scritta non su tavole di pietra, bensì nei cuori dei figlioli degli uomini quando questi uscirono dalle mani del Creatore.
(Martin Lutero, Filippo Melantone, L’imperatore Carlo V, Il principe elettore Federico il Saggio,
Erasmo da Rotterdam, Giorgio di Frundsberg, Gerolamo Savonarola, Papa Leone X.)

Benché le lettere originariamente tracciate dal dito di Dio siano state parzialmente alterate dal peccato, nondimeno esse non possono essere del tutto cancellate, perché in noi sussiste la consapevolezza del bene e del male. Ogni parte di questa legge deve rimanere in vigore per l’intera famiglia umana e per tutti i secoli. Essa, infatti, non dipende né dal tempo, né dallo spazio, né dalle circostanze mutevoli, ma dalla natura stessa di Dio e dall’uomo nei loro immutabili rapporti reciproci. “Io non sono venuto per abolire, ma per adempiere”… Senza contestazioni, il significato di queste parole (in piena armonia con il loro contesto) è: Io sono venuto per stabilirla in tutta la sua pienezza nonostante tutti i sofismi umani. Io sono venuto per mettere in piena luce ciò che ancora poteva sembrare oscuro; per affermare il vero e pieno valore di ogni sua parte e per mostrare quali siano la lunghezza, la larghezza e l’esatta portata di ogni suo comandamento, oltre che l’altezza, la profondità, la purezza incommensurabile e la spiritualità di tutti i suoi elementi” Wesley, sermone 25. Wesley affermò la perfetta armonia esistente fra la legge e l’Evangelo. Egli diceva: “Fra legge e Vangelo vi è quindi il più intimo rapporto concepibile.

Da una parte c’è la legge che continuamente prepara la via e addita l’Evangelo; dall’altra c’è l’Evangelo che incessantemente ci spinge a un più esatto adempimento della legge. La legge, per esempio, ci invita ad amare Dio e il nostro prossimo, a essere mansueti, umili e santi. Noi ci rendiamo conto di non essere capaci di farlo perché, infatti, per l’uomo tutto ciò è impossibile; ma Dio ci ha promesso di darci quello amore e di renderci umili, mansueti e santi. Noi allora, prendiamo questo Vangelo annunciatore di così liete novelle; ci viene fatto secondo la nostra fede, e si adempie in noi “la giustizia della legge” mediante la fede che è in Cristo Gesù… “Al primo posto, tra i nemici del Vangelo di Cristo”, diceva Wesley, “bisogna mettere quelli che apertamente ed esplicitamente giudicano la legge, ne parlano male e insegnano agli uomini a infrangere (nel senso di dissolvere, sopprimere, annullare) non uno – minimo o massimo che sia – ma tutti i comandamenti… Però la cosa più sorprendente in tutto ciò è che quanti agiscono in questo modo pensano di onorare Cristo annullando la sua legge, e di esaltare la sua opera demolendolo la sua dottrina. Purtroppo essi lo onorano solo come Giuda quando disse: “Salve, Maestro!”, e lo baciò.

Gesù con ragione può dire di ciascuno di loro: “Tradisci tu il Figlio dell’uomo con un bacio?”. Infatti, significa tradirlo con un bacio parlare del suo sangue e strappargli la corona; abolire una parte qualsiasi della sua legge col pretesto di far progredire l’Evangelo. No, non può sottrarsi a questa accusa chi predica la fede ed elimina, direttamente o indirettamente, l’ubbidienza a Dio; chi predica Cristo in questo modo annulla o sminuisce anche il minimo dei comandamenti dell’Altissimo” Ibidem. A quanti affermavano che “la predicazione del Vangelo prende il posto della legge”, Wesley rispondeva: “Noi lo neghiamo nel modo più assoluto! Essa, ad esempio, non si sostituisce alla legge, che ha come primo requisito quello di convincere l’uomo di peccato, di scuotere quanti ancora sono addormentati sulla soglia dell’inferno”. L’apostolo Paolo dichiara che “per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato”; e “ora è evidente che fino a che l’uomo non è convinto di peccato, non proverà il bisogno del sangue espiatorio di Cristo… “Non sono i sani che hanno bisogno del medico”, fa notare il nostro Signore, “ma gli ammalati”. Perciò è assurdo offrire l’opera del medico a chi è sano o crede di esserlo. Prima dovete convincerlo che è malato, altrimenti egli non vi sarà affatto grato dell’interessamento da voi dimostrato nei suoi confronti. E’ altrettanto assurdo offrire Cristo a coloro che non hanno ancora il cuore rotto” Idem, sermone 35. Così, pur predicando l’Evangelo della grazia di Dio, Wesley cercava, come il Maestro, di magnificare e rendere illustre la legge”.

Con fedeltà egli svolse l’opera affiatagli da Dio conseguendo risultati meravigliosi. Alla fine della sua lunga vita – egli visse più di ottanta anni – dopo oltre mezzo secolo di ministero itinerante, i suoi aderenti ufficialmente noti superavano il mezzo milione. Però, la moltitudine di coloro che nel corso della sua attività evangelistica erano stati strappati dalla rovina e della degradazione del peccato e introdotti in una vita più pura e più luminosa, e il numero di quelli che per il suo insegnamento erano pervenuti a un’esperienza più ricca e più profonda, saranno noti solo quando l’intera famiglia dei redenti sarà riunita nel Regno di Dio. La vita di Wesley insegna una lezione di valore inestimabile per ogni cristiano. Volesse il cielo che la fede, l’umiltà, l’instancabile zelo, lo spirito di rinuncia e la devozione di questo servo di Dio rivivessero nelle nostre chiese di oggi!

 

TERRORE E CASTIGO IN FRANCIA.
Nel sedicesimo secolo la Riforma, con in mano la Bibbia aperta, aveva bussato alla porta di tutte le nazioni d’Europa. Alcune la ricevettero con gioia, quale messaggera del cielo, mentre altre, influenzate dall’intervento papale, le chiusero la porta in faccia, impedendo così alla luce della conoscenza biblica di esercitare in esse la sua benefica azione. In un paese la luce penetrò, ma poi venne espulsa dalle tenebre: dopo secoli di lotta fra verità ed errore, alla fine il male ebbe il sopravvento, e la verità celeste fu respinta. “Or questa è la condanna: che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce” Giovanni 3:19 (D). Quella nazione raccolse così gli amari frutti di quello che aveva seminato. La potenza protettrice dello Spirito di Dio fu rimossa da un popolo che aveva sprezzato il dono della grazia celeste. Il male, rompendo ogni freno, ebbe modo di maturare, e il mondo poté vedere il frutto del volontariato rigetto della luce. La guerra secolare fatta dalla Francia alla Parola di Dio sfociò nelle scene della Rivoluzione.

Questa terribile vicenda fu il logico risultato della soppressione della Bibbia da parte di Roma, e fornì la più eloquente illustrazione che il mondo mai avesse avuto circa i frutti della politica papale dopo un insegnamento più che millenario. La soppressione delle Sacre Scritture durante il periodo della supremazia papale era state predetta dai profeti, e l’Apocalisse aveva preannunciato le terribili conseguenze che sarebbero derivate, specialmente per la Francia, dal dominio dell’<<uomo di peccato>>. Così disse l’angelo del Signore: “E questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi. E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio… E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso… E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra. E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè e grande spavento cadde su quelli che li videro” Apocalisse 11:2-11.

I periodi profetici qui indicati “quarantadue mesi” e “milleduecentosessanta giorni” si riferiscono a una stessa cosa: indicano, cioè, il periodo durante il quale la chiesa di Cristo avrebbe subito l’oppressione di Roma. I milleduecentosessanta anni della supremazia papale ebbero inizio nel 538 d. C., e sarebbero finiti nel 1978. Quel anno un esercito francese penetrò in Roma, fece prigioniero il papa e lo condusse in esilio, dove morì. Sebbene di lì a poco un nuovo pontefice venisse eletto, pure da allora il papato non è stato più capace di ristabilire la sua antica potenza. La persecuzione della chiesa non durò l’intero periodo dei milleduecentosessanta anni, perché Dio nella sua misericordia verso il suo popolo abbreviò il tempo della prova. Nel predire la “grande tribolazione” che la chiesa avrebbe conosciuto, il Salvatore dichiarò: “E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a cagione degli letti, quei giorni saranno abbreviati” Matteo 24:22. Per l’azione della Riforma, la persecuzione finì prima del 1798.

A proposito dei due testimoni, il profeta dichiara: “Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra” Apocalisse 11:4. “La tua parola”, dice il Salmista, “è una lampada al mio piè ed una luce sul mio sentiero” Salmo 119:105. I due testimoni rappresentano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento. Entrambe sono testimoni importanti dell’origine e della perpetuità della legge di Dio e del piano della salvezza. I tipi, i sacrifici, le profezie dell’Antico Testamento additano il Salvatore che doveva venire; gli evangeli e le epistole del Nuovo Testamento, a loro volta, parlano del Salvatore venuto esattamente nel modo predetto dai tipi e dai profeti.
<< Essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio >> Apocalisse 11: 4.

Durante la maggior parte di questo periodo, i testimoni di Dio rimasero nell’oscurità, in quanto il potere papale si sforzava di tenere celata al popolo la Parola della verità e di mettergli dinanzi dei falsi testimoni che ne contraddicessero la testimonianza. Quando la Bibbia fu proibita dalle autorità civili e religiose; quando la sua testimonianza fu pervertita e fu messo in atto ogni sforzo che uomini e demoni potessero escogitare per distogliere da essa la mente delle persone; quando chi amava la verità era perseguitato, tradito, torturato, sepolto in orride celle, martirizzato per la sua fede o costretto a fuggire su per i monti e a rifugiarsi nelle caverne, fu allora che i fedeli testimoni profetarono vestiti di sacco. In tali condizioni essi resero la loro testimonianza lungo l’arco dei milleduecentosessanta anni. Anche nelle ore più oscure si levarono uomini fedeli che avevano a cuore la Parola di Dio e l’onore dell’Altissimo. A questi fedeli servitori fu data la saggezza, la forza e l’autorità necessarie per proclamare la verità durante tutto questo tempo. “E se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera” Apocalisse 11:5.

Gli uomini non possono calpestare impunemente la Parola di Dio. Il significato di questa terribile denuncia viene espresso nel capitolo conclusivo dell’Apocalisse: “Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: Se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; e se alcuno toglie qualcosa delle parole del libro di questa profezia, Iddio gli prenderà la sua parte dell’albero della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro” Apocalisse 22: 18,19.

Tali sono gli avvenimenti dati a Dio per mettere gli uomini in guardia contro la tendenza di cambiare in qualche modo ciò che Egli ha rivelato e comandato; essi si applicano a tutti coloro che con il loro influsso inducono gli uomini a considerare con la leggerezza la legge di Dio. Queste solenni dichiarazioni dovrebbero spingere al timore e al tremore quanti affermano che, in fondo, ubbidire o meno alla legge di Dio è cosa di scarsa importanza. Chiunque metta la propria opinione al di sopra della rivelazione divina, chiunque cerchi di mutare il chiaro significato della Scrittura per adattarlo alle proprie convenienze o per conformarsi al mondo, si addossa una tremenda responsabilità.

La Parola scritta, la legge di Dio, sarà la misura del carattere di ognuno e condannerà tutti quelli che saranno stati trovati mancanti. “E quando avranno compiuta (staranno per compiere, traduzione letterale. N.d.T.) la loro testimonianza” Apocalisse 11:7. Il periodo durante il quale i due testimoni avrebbero testimoniato vestiti di cilicio doveva finire nel 1978. Verso la fine della loro attività, esercitata nell’ombra, essi sarebbero stati combattuti dal potere rappresentato da “la bestia che sale dall’abisso”. In molte nazioni europee per secoli le autorità civili ed ecclesiastiche erano state sotto il controllo di Satana il quale, per il conseguimento dei suoi fini, si serviva del papato. Qui, ora, si assiste a una nuova manifestazione della potenza satanica.
Sotto l’apparenza di ossequio alla Bibbia, Roma aveva conservato il Libro di Dio in una lingua sconosciuta nascondendolo, così, al popolo. Ma ecco sopraggiungere un’altra potenza – la bestia che sale dall’abisso – per fare apertamente guerra alla Parola di Dio.

La “grande città”, nelle cui strade furono uccisi i due testimoni e nelle quali giacquero i loro corpi morti, è chiamata spiritualmente Egitto. Di tutte le nazioni ricordate nel racconto biblico, l’Egitto è quella che più delle altre negò l’esistenza di Dio e resistette ai suoi ordini. Nessun monarca si avventurò in una ribellione più baldanzosa contro l’autorità celeste di quella del faraone di Egitto. Quando Mosè gli trasmise il messaggio di Dio, egli disse con orgoglio: “Chi è il Signore, che io ubbidisca alla sua voce, per lasciare andare Israele? Io non conosco il Signore, e anche non lascerò andare Israele!” Esodo 5:2 (D). Questo è ateismo. Orbene, la nazione qui rappresentata dall’Egitto doveva anche essa ricusare di riconoscere le esigenze dell’Iddio vivente e manifestare un identico spirito di incredulità e di sfida. La << grande città >> è anche paragonata spiritualmente a Sodoma.

La corruzione di Sodoma, che calpestò la legge di Dio, si espresse specialmente con la lussuria. Questo peccato doveva essere la caratteristica della nazione che avrebbe dimostrato di possedere i requisiti sopra indicati. Dalle parole del profeta appare che poco prima del 1798 una potenza di origine satanica si sarebbe levate per combattere la Bibbia, che è la parola del solo vero Dio.
Nel paese dove i due testimoni dovevano essere ridotti al silenzio, si sarebbe manifestato l’ateismo di Faraone e la lussuria di sodomia. Questa profezia si è adempiuta in maniera impressionante nella storia della Francia. Durante la Rivoluzione, nel 1793, << per la prima volta il mondo udì un’assemblea di uomini nati e cresciuti nella piena civiltà arrogarsi il diritto di governare una delle più nobili nazioni europee, levare la voce per negare la più solenne verità che l’anima umana possa conoscere, e rinunciare, unanimi, alla fede e all’adorazione della Deità >> Walter Scott, Life of Napoleon, vol. 1, cap. 17. << Fra tutte le nazioni del mondo delle quali si posseggono degli annali autentici, la Francia è l’unica che abbia osato levare la mano in aperta ribellione contro l’Autore dell’universo. È vero, sì, che bestemmiatori e atei ci sono sempre stati e tuttora ci sono in Inghilterra, in Germania, in Spagna e altrove; però è altrettanto vero che la Francia ci offre la visione di uno stato che per decreto della sua assemblea legislativa affermò la non esistenza di Dio e vide la maggioranza della sua popolazione, nella capitale e nelle altre città, accogliere l’annuncio con gioia e con danze >> Blackwood’s Magazine, Novembre 1870.

La Francia, inoltre, manifestò anche le caratteristiche di Sodoma. Durante la Rivoluzione ci furono immoralità e corruzione simili a quelle che provocarono la distruzione delle città della pianura. Lo stesso storico, nel narrare i fatti di quella epoca, presenta l’ateismo e la depravazione della Francia come la profezia aveva indicato: “In intima relazione con queste leggi contrarie alla religione, vi era quella che riduceva l’unione coniugale – che è l’impegno più sacro che l’uomo possa prendere e la cui permanenza conduce al consolidamento della società – alla stregua di un semplice contratto civile, di carattere transitorio, che ognuno dei due contraenti poteva stipulare o sciogliere a suo piacimento… Se dei nemici della società si fossero imposti il compito di attuare un sistema per distruggere tutto ciò che è bello, venerabile e duraturo nella vita domestica, perpetuandolo di generazione in generazione, non avrebbero potuto escogitare un piano più efficace di quello consistente nel porre il matrimonio a un così basso livello di degradazione… Sofia Arnoult, attrice famosa per il suo spirito, definì il matrimonio repubblicano “Il sacramento dell’adulterio” Scott, vol. 1, cap. 17. “Dove anche il Signor loro è stato crocifisso”.

Questa profezia si adempì in Francia. In nessun altro paese, infatti, si manifestò simile spirito di inimicizia contro Cristo. In nessun altro paese la verità incontrò tanta amara e crudele opposizione. Nella sua persecuzione contro i confessori del Vangelo, la Francia crocifisse Cristo nella persona dei suoi discepoli. Nel corso dei secoli il sangue dei santi è stato copiosamente sparso. Mentre i valdesi morivano sulle Alpi “per la Parola di Dio e per la testimonianza di Gesù”, altra testimonianza alla verità veniva data dai loro fratelli, gli albigesi di Francia. Ai tempi della Riforma, gli ugonotti erano stati uccisi dopo orribili torture. Il re e i nobili, le donne di alto lignaggio, le fragili e delicate fanciulle, orgoglio e vanto della nazione, erano stati testimoni dell’agonia dei martiri di Gesù. Battendosi per quei diritti che sono sacri al cuore umano, essi avevano sparso copiosamente il loro sangue.

I protestanti, considerati dei fuori legge sulle cui teste gravava una taglia, erano braccati come belve feroci. I pochi discendenti degli antichi cristiani che ancora esistevano in Francia nel diciottesimo secolo, conosciuti col nome di “Chiesa del deserto”, coltivavano la fede dei padri. Quanto di notte essi si avventuravano lungo i pendii dei monti o si dirigevano verso qualche luogo appartato per riunirsi e adorare Dio, venivano perseguitati dai dragoni, arrestati e condannati al carcere a vita. I più puri, i più nobili e intelligenti dei francesi furono messi in catene, mescolati con ladri e assassini, dopo essere stati oggetto di torture inaudite (vedi Wylie, vol. 22, cap. 6). Altri, trattati meno ferocemente, furono uccisi a sangue freddo mentre, inermi e inoffensivi, pregavano in ginocchio. Centinaia di vecchi, donne e fanciulli innocenti vennero lasciati, uccisi, là dove si erano riuniti per celebrare il loro culto. Percorrendo i monti e i boschi dove in generale i protestanti si radunavano, non era raro incontrare “ogni quattro passi dei cadaveri stesi al suolo oppure appesi agli alberi”.

Il paese, devastato dalla spada, dalla scure e dal rogo, “diventò un vasto e desolato deserto”. “Queste atrocità, lo si noti bene… non furono perpetrate nel fosco Medioevo, ma all’epoca brillante di Luigi XVI, epoca in cui si coltivava la scienza, fiorivano le lettere, e i teologi della corte e della capitale, dotti ed eloquenti, ostentavano grazia, mansuetudine e carità” Idem, vol. 22, cap. 7.
Ma la pagina più nera e più orribile che mai sia stata scritta nel corso dei secoli è quella relativa al massacro della notte di San Bartolomeo. Il mondo tuttora ricorda con brividi di orrore le scene di quella codarda e crudele carneficina. Il re di Francia, spinto dai prelati romani, diede la propria sanzione a quel eccidio spaventoso. Una campana, suonando a morto in piena notte, diede il segnale della strage. Migliaia di protestanti che dormivano tranquilli, fiduciosi dell’impegno di onore del re, furono presi e, senza profferir parola, trucidati a sangue freddo. Terrore e castigo in Francia.

Come Cristo fu l’invisibile condottiero d’Israele della schiavitù dell’Egitto alla libertà in terra di Canaan, così Satana fu l’invisibile capo che diresse questa spaventosa opera di sterminio. A Parigi la strage durò sette giorni, i primi tre dei quali furono caratterizzati da un inconcepibile furore. Essa non si limitò alla sola capitale. Per ordine speciale del sovrano, fu estesa a tutte le province e a tutte le città dove c’erano dei protestanti. Non ci fu rispetto alcuno né per il sesso, né per l’età. Nobili e plebei, vecchi e giovani, madri e figli vennero uccisi senza nessuna discriminazione. In tutta la Francia il massacro durò due mesi e i morti, il fior fiore della nazione, furono settantamila.

“Quando la notizia della strage giunse a Roma, l’esultanza del clero non conobbe limiti. Il cardinale di Lorena ricompensò il messaggero con un dono di mille corone; il cannone di Castel Sant’Angelo tuonò in segno di giubilo; le campane suonarono a stormo; innumerevoli fiaccolate mutarono la notte in giorno; papa Gregorio XIII, scortato dai cardinali e da altri dignitari ecclesiastici, si recò in processione alla chiesa di San Luigi, dove il cardinale di Lorena cantò il Te Deum… Fu coniata una medaglia a ricordo del massacro, e in Vaticano si possono tuttora vedere tre affreschi del Vasari: uno raffigura l’uccisione dell’ammiraglio Coligny; uno il re che col suo consiglio organizza la strage; uno che riproduce il massacro stesso. Gregorio inviò a Carlo, re di Francia, la rosa d’oro e quattro mesi più tardi… ascoltò, con vivo compiacimento, il sermone di un sacerdote francese… che illustrava quel giorno “pieno di gioia e di felicità”, in cui il “santissimo padre”, ricevuta la notizia, si era recato solennemente alla chiesa di San Luigi (dei Francesi N.d.T.) per ringraziare Iddio” Henry Whitw, The Massacre of St. Bartholomev, cap. 14, par. 34.

Lo stesso spirito malefico che aveva spinto alla strage di San Bartolomeo, presidiò anche le scene della Rivoluzione. Gesù Cristo fu da essa dichiarato “impostore”. Il grido degli atei: “Schiacciate l’infame!” alludeva a Cristo. Bestemmia e depravazione procedevano di pari passo, sì che degli uomini abietti, veri mostri di vizio e di perfidia, venivano esaltati e colmati di onori. In tutto ciò non si faceva che tributare un solenne omaggio a Satana, mentre Cristo nelle sue caratteristiche di verità, di purezza e di altruistico amore, veniva nuovamente crocifisso. “La bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà”. Il potere ateo che durante la Rivoluzione e il regno del Terrore dominò la Francia, fece una guerra senza precedenti a Dio e alla sua santa Parola. L’adorazione della Deità fu abolita dall’assemblea nazionale. Gli esemplari della Sacra Scrittura furono raccolti e dati pubblicamente alle fiamme fra grandi manifestazioni di disprezzo. La legge di Dio fu calpestata e le istituzioni bibliche vennero abolite.

Al giorno di riposo settimanale si sostituì la decade: ogni decimo giorno era consacrato alla gozzoviglia e alla bestemmia. Furono vietati il battesimo e la comunione; le iscrizioni funerarie sulle tombe definivano la morte come un sonno eterno. Il timore del Signore, che è il principio della sapienza, fu definito principio della pazzia. Venne inoltre abolito ogni culto, salvo, quello della libertà e della patria. “Il vescovo costituzionale di Parigi ebbe la parte principale in questa farsa che può essere a ragione definita la più imprudente e la più scandalosa che sia stata recitata da una rappresentanza nazionale… In piena processione, egli dichiarò dinanzi alla convenzione che la religione da lui insegnata per tanti anni era un’invenzione dei preti, senza nessuna base né nella storia né nella sacra verità. In termini espliciti e solenni, egli negò l’esistenza della Deità al cui culto era stato un tempo consacrato, e affermò che d’ora innanzi si sarebbe votato al culto della libertà, dell’uguaglianza, della virtù e della moralità. Ciò detto, depose le insegne sacerdotali e ricevette un abbracciò fraterno da parte del presidente della convenzione.

Numerosi sacerdoti apostati imitarono il suo esempio” Scott, vol. 1, cap. 17. E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra” Apocalisse 11:10. La Francia incredula aveva ridotto al silenzio la voce ammonitrice dei due testimoni di io. La Parola di Dio giaceva cadavere nelle strade quelli che odiavano le restrizioni e le esigenze della legge di Dio giubilavano. Gli uomini sfidavano pubblicamente il Re del cielo: “Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi sia conoscenza nell’Altissimo ?” Salmo 73:11. Con una sfrontatezza blasfema i limiti del credibile, uno dei sacerdoti del nuovo ordine dichiarò: “Dio, se esisti, rivendica il tuo nome che viene così ingiuriato. Io ti sfido! Tu taci e non osi scagliare i tuoi fulmini. Chi, dopo questo, potrà ancora credere alla tua esistenza ?” Lacretelle, History, vol. 2, p. 309; citato in A. Alison, in History of Europe,1, cap. 10. Sembra di udire le parole di Faraone: “Chi è l’Eterno, ch’io debba ubbidire alla sua voce ? Io non conosco l’Eterno”. “Lo stolto ha detto nel suo cuore: Non c’è Dio!” Salmo 14:1. Il Signore, parlando di quanti cercano di pervertire la sua verità, dice: “La loro stoltezza sarà manifestata a tutti” 2° Timoteo 3:9.

La Francia, dopo che ebbe rinunciato al culto dell’Iddio vivente, “l’Alto e l’Eccelso che abita l’eternità”, scivolò nella più abietta idolatria, celebrando il culto alla dea Ragione nella persona di una donna corrotta. E questo nell’assemblea rappresentativa della nazione e da parte delle autorità civili e legislative. Ricorda lo storico: “Una delle cerimonie di questo insano periodo si impone, senza tema di rivali, per la sua assurdità, oltre che per la sua empietà… Le porte della convenzione si spalancarono per lasciar entrare un gruppo di musicanti seguiti, in solenne processione, dai membri del consiglio municipale i quali cantavano un inno in onore della libertà e scortavano l’oggetto del loro futuro culto: una donna velata che essi chiamavano dea Ragione. Introdotta nel recinto, solennemente liberata dal velo che la copriva, ella prese posto alla destra del presidente. A questa donna, una danzatrice dell’Opera, considerata come il “migliore emblema” della Ragione, la convenzione nazionale di Francia tributò un pubblico omaggio. “Tale rito empio e ridicolo ebbe un seguito: l’insediamento della dea Ragione fu rinnovato e imitato in tutte quelle regioni francesi che ci tenevano a dimostrarsi all’altezza della Rivoluzione” Scott, vol. 1, cap. 17.

L’oratore che espose il culto della Ragione: i suoi occhi velati non potevano resistere al fulgore della luce. Oggi una immensa folla si è data convegno sotto queste gotiche volte che per la prima volta hanno fatto echeggiare la verità. Qui i francesi hanno celebrato il solo, vero culto: quello della Libertà e della Ragione. Qui noi abbiamo formulato voti agli idoli inanimati per la Ragione che è una immagine animata, capolavoro della natura” M. A. Thiers, History of the French Revolution, vol. 2, pp. 370,371. Quando la dea fu presentata alla convenzione, l’oratore la prese per mano e, rivolto all’assemblea, disse: “Mortali! Cessate di tremare dinanzi ai tuoni impotenti di un Dio creato dai vostri timori! D’ora innanzi voi non riconoscerete altra divinità che la Ragione. Io ve ne offro l’immagine più nobile e più pura. Se volete avere degli idoli, ebbene sacrificate solo a uno come questo!... Cadi, di fronte all’augusto Senato della Libertà, o velo della Ragione!”.

<< La dea, dopo abbracciata dal presidente, fu fatta salire su un magnifico carro e condotta, in mezzo a una immensa folla plaudente, alla cattedrale di Notre Dame per prendervi il posto della Deità. Qui ella fu insediata sopra l’altare maggiore e ricevette l’adorazione dei presenti >> Alison, vol. 1, cap. 10. Poco tempo dopo, la Bibbia fu pubblicamente bruciata. In una certa occasione la << Società popolare dei musei >> entrò in municipio gridando << Viva la Ragione! >> e sbandierando in cima a una pertica i resti semiarsi di vari libri fra i quali: breviari, messali, Antico e Nuovo Testamento, << che spiavano in un immenso falò >>, dichiarò il presidente, << tutte le follie che avevano fatto commettere al genere umano >> Journal de Paris, 1793, n. 318, citato da Buchez-Rroux, Collection of Parliamentary History, vol. 30 pp. 200,201.

L’ateismo completava l’opera iniziata dal papato. La politica di Roma aveva determinato le condizioni sociali, politiche e religiose che provocarono la rovina della Francia. Degli scrittori, alludendo agli orrori della Rivoluzione, dicono che simili eccessi vanno attribuiti al trono e alla chiesa. Per un sereno criterio di giustizia dobbiamo dire che in realtà essi vanno messi sul conto della chiesa. Il papato, purtroppo, aveva avvelenato le menti dei re contro la Riforma, definita nemica del trono, elemento di discordia, fatale alla pace e alla buona armonia del paese. Fu Roma, perciò, a ispirare le crudeltà più inaudite e l’oppressione più pesante da parte della monarchia. Lo spirito di libertà si era affermato con la Bibbia. Dovunque il Vangelo veniva accolto, le menti si svegliavano, gli uomini infrangevano i ceppi che li avevano tenuti così a lungo schiavi dell’ignoranza, del vizio e della superstizione, e cominciavano a pensare e ad agire da uomini. I sovrani se ne resero conto e tremarono per il dispotismo di cui si erano resi colpevoli. Roma, però, non trascurò di alimentare i loro gelosi timori. Parlando al reggente di Francia, nel 1525, il papa disse: “Questa mania risulta fatale anche ai principati, alle nobiltà, alle leggi, agli ordini religiosi e alle classi sociali” G. De Felice, History of the Protestants of France, vol. 1, cap. 2, par. 8. Alcuni anni più tardi un nunzio pontificio avvertì il re di Francia: “Sire, non si lasci ingannare: i protestanti sconvolgeranno ogni ordine civile e religioso… Il trono corre lo stesso pericolo dell’altare… L’introduzione di una nuova religione dovrà necessariamente produrre un nuovo governo” D’Aubigné, History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 1, cap. 36. I teologi facevano appello ai pregiudizi della gente affermando che la dottrina protestante “porta gli uomini alla novità e alla follia, deruba i re dell’affetto dei loro sudditi e devasta sia la chiesa che lo stato”. Fu così che Roma riuscì ad aizzare la Francia contro la Riforma. La spada della persecuzione fu sguainata in Francia, per la prima volta per sostenere il trono, proteggere la nobiltà e mantenere le leggi” Wylie, vol. 13, cap. 4.

I capi di governo non si rendevano conto delle conseguenze di questa loro fatale politica. Gli insegnamenti della Bibbia avrebbero inculcato nelle menti e nei cuori del popolo i principi di giustizia, di temperanza, di verità, di equità e di benevolenza che stanno alla base della prosperità nazionale. “La giustizia innalza una nazione” Proverbi 14:34. “Il trono è reso stabile con la giustizia” Proverbi 16:12. “E ciò che la giustizia opererà sarà riposo e sicurezza, in perpetuo” Isaia 32:17 (D). Chi ubbidisce alla legge divina, è automaticamente portato al rispetto delle leggi del paese e dall’ubbidienza di esse. Chi teme Dio onorerà il re nell’esercizio della sua autorità giusta e legittima. Sfortunatamente, la Francia vietò la Bibbia e ne proscrisse i suoi discepoli. Secolo dopo secolo, molti uomini integri, coscienziosi, ricchi di vigore intellettuale e morale, che avevano il coraggio delle proprie opinioni e la fede che permette di soffrire qualunque cosa per amore della verità, furono incatenati sulle galere, arsi sul rogo, lasciati marcire in orride celle. Migliaia e migliaia di altri trovarono scampo nella fuga, e la cosa durò per oltre duecentocinquanta anni dopo l’inizio della Riforma.

“Forse non c’è stata una sola generazione in Francia, durante questo lungo periodo di tempo, che non abbia visto i discepoli del Vangelo fuggire dinanzi alla furia violenta dei loro persecutori. Portando seco le arti, le industrie (nelle quali eccellevano), l’intelligenza che li caratterizzava, lo spirito di ordine al quale erano abituati, andarono ad arricchire i paesi che offrirono loro asilo, a detrimento di quello che li metteva al bando. Se tutto ciò che fu portato via fosse rimasto; se durante questi tre secoli la mano abile di questi esuli avesse coltivato il suolo nativo; se i loro talenti industriali avessero dato incremento alle officine; se il loro genio creativo e le loro capacità analitiche avessero arricchito la letteratura e curato le scienze; se la loro ben nota saggezza avesse diretto i consigli; se la loro equità avesse diretto i consigli; se la loro equità avesse collaborato alla redazione delle leggi: se la religione della Parola di Dio, l’Evangelo, avesse fortificato l’intelletto e guidato la coscienza del popolo, quanto grande sarebbe stata la gloria della Francia! (Naturalmente la parola dei vescovi, cardinali, papi, preti e frati cattolici, non è la Parola di Dio) Che paese grande, prospero, felice – vero modello dei popoli – sarebbe attualmente! “Purtroppo, un cieco e inescusabile bigottismo bandì dal suolo i predicatori della virtù, i campioni dell’ordine, i veri sostenitori del trono. Esso diceva agli uomini che avrebbero potuto dare alla Francia la fama e la gloria: Avete la scelta: o il rogo o l’esilio! Alla fine il paese conobbe una rovina totale: in esso non ci fu più nessuna coscienza da proscrivere, nessuna religione da trascinare sul rogo, nessun patriottismo da mandare in esilio” Wylie, vol. 13, cap. 20.

La conseguenza fu la Rivoluzione con tutti i suoi orrori. “Con la partenza degli ugonotti, la Francia conobbe un declino generale. Fiorenti città industriali caddero a poco a poco in decadenza; zone fertili finirono col piombare in uno stato di quasi totale abbandono; ad un periodo di progresso subentrò il marasma intellettuale seguito dal collasso morale. Parigi fu trasformata in una vera e propria “casa di beneficenza”. Si stima, infatti, che all’inizio della Rivoluzione duecentomila poveri venivano mantenuti con i sussidi della casa reale. Solo i gesuiti prosperavano in questa nazione, ormai in preda alla crisi, e dominavano con vera tirannia nelle scuole, nelle chiese, nelle prigioni e nelle galere”. Il Vangelo avrebbe recato alla Francia la soluzione di quei problemi di ordine sociale e politico che sfidavano l’abilità del suo clero, del suo re, dei suoi legislatori e che dovevano finire col trascinare il paese all’anarchia e alla rovina. Sotto il dominio di Roma, il popolo aveva dimenticato l’altruismo e l’amor fraterno. Il ricco non veniva rimproverato per l’oppressione del povero, e il povero, a sua volta, era totalmente abbandonato al suo stato di servitù e di degradazione. In tal modo l’egoismo dei ricchi e dei potenti andò gradatamente aumentando fino a diventare addirittura oppressivo. Per secoli l’ingordigia e la dissipazione dei nobili si erano concretizzate in sistematiche estorsioni sui contadini. Le conseguenze erano ora palesi: i poveri odiavano i ricchi e questi sfruttavano i poveri. In molte province le terre appartenevano ai nobili, i quali si servivano della mano d’opera delle classi lavoratrici. I latifondisti, perciò, dettavano legge, e i loro dipendenti erano costretti a soggiacere alle loro esorbitanti pretese. Il peso derivante dal dover mantenere sia lo stato oggetto di balzelli da parte delle autorità civili e religiose.

“Il beneplacito dei nobili era considerato legge suprema; se gli agricoltori morivano di fame, in fondo nessuno se ne curava… La precedenza assoluta era data agli interessi dei proprietari, per cui ogni altra considerazione passava in secondo piano. La vita degli agricoltori era fatta di incessante lavoro e di immutabile povertà. I loro lamenti venivano accolti con insolenti sarcasmi. Perfino le corti di giustizia davano invariabilmente ragione ai nobili, in quanto gli stessi giudici si lasciavano corrompere e appagavano i capricci degli aristocratici in virtù di questo sistema di generale corruzione… Del denaro strappato al popolo mediante le imposte, solo una parte affluiva nelle casse reali o vescovili; il resto veniva sprecato in dissoluta intemperanza. Coloro che, in tal modo, riducevano alla miseria i loro simili, erano esenti da tasse; e per legge o per consuetudine avevano accesso a tutte le cariche dello stato.

Le classi privilegiate contavano circa centocinquantamila membri, e per provvedere alla loro prodigalità, milioni di persone erano condannate a una vita di stenti che sembrava non dovesse conoscere nessuna via di uscita”. La corte viveva nel lusso e nella dissipazione. La sfiducia esistente fra popolo e governanti faceva sì che ogni provvedimento del governo fosse accolto con diffidenza. Per ben capire le cose bisogna ricordare che prima della Rivoluzione, per oltre mezzo secolo, il trono era stato occupato da Luigi XV, noto per la sua debolezza, la sua frivolezza e la sua sensualità. Con un’aristocrazia depravata e crudele, con una popolazione ignorante e ridotta alla miseria, lo stato si trovava in serie difficoltà economiche. I sudditi erano esasperati, e non occorreva possedere occhio profetico per prevedere una catastrofe a breve scadenza.

Agli avvertimenti dei consiglieri, il re soleva rispondere: “Cercate di fare in modo che le cose vadano avanti finché io vivo: dopo la mia morte sarà quel che sarà”. Invano si cercava di mettere in risalto la necessità di una riforma: egli vedeva benissimo i mali che affliggevano la nazione, però gli mancavano le forze e il coraggio di porvi rimedio. La Francia, perciò, era minacciata da un fato che lo stesso sovrano, senza volerlo, definì molto bene quando disse: “ Dopo di me il diluvio!”. Sfruttando la gelosia dei re e delle classi dirigenti, Roma aveva indotto gli uni e le altre a tenere il popolo in uno stato di servitù, sapendo che in tal modo lo stato si sarebbe indebolito. Questo, essa pensava, avrebbe contribuito a rafforzare ancora di più la sua autorità sulle nazioni. Con una politica lungimirante, Roma sapeva che per poter asservire gli uomini bisogna incatenare le anime; e che il mezzo più efficace per impedir loro di sottrarsi alla servitù consisteva nel renderli incapaci di libertà.

La degradazione morale derivante da tale politica era mille volte più terribile delle sofferenze fisiche da essa provocate. Privati della Bibbia, abbandonati a un insegnamento che era un tessuto di bigottismo e di fanatismo, il popolo giaceva immerso nell’ignoranza e nella superstiziose, preda del vizio e incapace di autogovernarsi. Però le conseguenze di tale stato di cose furono diverse da quelle previste da Roma. Apparve ben presto evidente che le masse, anziché rimanere ciecamente sottomesse ai dogmi romani, diventavano sempre di più incredule e rivoluzionarie. Il Romanesimo era disprezzato come clericalismo, e il clero, a sua volta, considerato come un incentivo all’oppressione e come alleato degli oppressori. Il solo dio e la sola religione conosciuta erano il dio e l’insegnamento di Roma, la cui avarizia e ingordigia erano ritenuti i frutti legittimi del Vangelo che, perciò, finiva con l’essere messo al bando di tutti. Roma aveva travisato il carattere di Dio e pervertito le sue esigenze, sì che gli uomini avevano finito col rigettare la Bibbia e il suo Autore.

Essa aveva chiesto una fede cieca ai suoi dogmi, con la pretesa che essi erano sanzionati dalle Scritture. Per reazione, Voltaire e i suoi colleghi avevano messo da parte la Parola di Dio e diffondevano ovunque il veleno dell’incredulità. Roma aveva schiacciato il popolo sotto il suo tallone di ferro; e ora le masse, degradate e abbrutite, assetate di libertà, spezzavano ogni freno. Furenti di avere tanto a lungo tributato omaggio a un inganno attraente, non volevano più saperne né della verità, né della falsità. Scambiando la licenza per libertà, gli schiavi del vizio esultavano della loro presunta indipendenza.

All’inizio della rivoluzione, per concessione reale il popolo aveva ottenuto, presso gli stati generali, una rappresentanza numericamente superiore a quella costituita dal clero e dalla nobiltà riuniti. In tal modo, il piatto della bilancia del potere aveva finito col pendere dalla sua parte. Il popolo, però, non era preparato a farne un uso savio e moderato. Nella sua ansia di riparare i torti subiti, esso decise di intraprendere la ricostruzione della società. Un popolazzo, inasprito dall’amaro ricordo delle ingiustizie patite, decise di rivoluzionare lo stato di povertà che si era andato progressivamente stabilendo e di vendicarsi di quanti erano considerati gli autori responsabili delle passate sofferenze. In tal modo gli oppressi, applicando le lezioni apprese sotto la tirannia, divennero a loro volta oppressori di coloro che li avevano precedentemente soggiogati.

La Francia raccolse nel sangue la messe di quello che aveva seminato, e terribili furono le conseguenze della sua passata sottomissione al giogo romano. Là dove, per l’influsso di Roma, era stato acceso il primo rogo all’inizio della Riforma, la Rivoluzione vi innalzò la prima ghigliottina. Sullo stesso luogo in cui nel sedicesimo secolo erano stati arsi i primi martiri della fede protestante, si ebbero le prime vittime ghigliottinate del diciottesimo secolo. Nel rigettare la Parola di Dio, la Sacra Scrittura, la Bibbia, l’Evangelo, che avrebbe assicurato la sua guarigione, la Francia aveva aperto la porta all’incredulità e alla rovina. Dove erano state disprezzate le legittime restrizioni della legge di Dio, ci si accorse che le leggi umane erano incapaci di tenere freno l’ondata delle passioni popolari, e la nazione precipitò nella ribellione e nell’anarchia.

La guerra alla Bibbia inaugurò un’era che il mondo tuttora ricorda col il nome di Regno del Terrore. La pace e la felicità furono bandite dai focolari e dai cuori; nessuno si sentiva al sicuro, perché il trionfatore di oggi poteva essere domani sospettato e condannato a morte. La violenza e la lussuria regnavano incontrastate. Il re, il clero e la nobiltà furono costretti a subire le atrocità di un popolo reso pazzo dal furore. La decapitazione del re servì solo a stimolare ancor più la sete di vendetta dei francesi, e così coloro che ne avevano decretata la morte anch’essi ghigliottinati. Una spaventosa carneficina spazzò via tutti quelli che erano sospettati di ostilità verso la Rivoluzione.

Le prigioni erano affollate, tanto che a un certo momento i carcerati furono oltre duecentomila. Le città del regno erano teatro di scene orribili. I veri patiti rivoluzionari si combattevano fra loro, e la Francia finì col diventare un immenso campo di battaglia fra masse in continua lotta, sospinte dal fuoco delle loro violente passioni. << A Parigi i tumulti si susseguivano e i cittadini erano suddivisi in una lunga teoria di fazioni che sembravano avere come unico scopo quello di annientarsi a vicenda >>. Per mettere il colmo a questa angosciosa situazione, il paese fu coinvolto in una lunga e disastrosa guerra contro le grandi potenze europee. << La nazione venne a trovarsi sull’orlo del fallimento. Gli eserciti reclamavano il loro saldo arretrato; i parigini erano ridotti alla fame e le province devastate da bande di briganti. Pareva che la civiltà dovesse estinguersi, vittima dell’anarchia e della depravazione >>.

Il popolo aveva assimilato fin troppo bene le lezioni di crudeltà e di tortura che Roma aveva impartito con tanta diligenza, e ora che era giunto il giorno della retribuzione, non erano più i discepoli di Cristo a essere gettati in prigione o trascinati sul patibolo, in quanto ormai da tempo essi o erano morti e se n’erano andati in esilio. Toccava ora a Roma provare tutta la micidiale violenza di coloro che essa aveva addestrati a commettere fatti di sangue. << L’esempio di persecuzione dato dal clero di Francia per tanti secoli si ritorceva su di esso con inaudito rigore: i patiboli erano arrossati dal sangue dei preti; le galere e le carceri, un tempo gremite di Ugonotti, erano ora piene dei loro persecutori. Incatenati al banco, affaticandosi sui remi, i membri del clero romano sperimentavano tutta la severità delle pene che un tempo essi avevano inflitte ai mansueti eretici >>. << Vennero poi i giorni nei quali il più barbaro dei tribunali applicò il più barbaro dei codici; i giorni nei quali nessuno poteva salutare il proprio vicino o dire le proprie preghiere… senza correre il rischio di essere accusato di delitto capitale; i giorni nei quali le spie erano sempre in agguato a ogni angolo, mentre la ghigliottina era all’opera fin dal mattino; i giorni nei quali le fogne di Parigi vomitavano fiumi di sangue nella Senna… Mentre quotidianamente le carrette cariche di vittime percorrevano le vie di Parigi, i proconsoli mandati dal Comitato di Salute Pubblica nei vari dipartimenti davano prova di una crudeltà ignota perfino nella capitale.

La lama della macchina micidiale saliva e scendeva troppo lentamente per espletare in pieno la sua opera di sterminio; lunghe file di prigionieri, perciò, venivano falciati dalla mitraglia, mentre per gli annegamenti in massa si ricorreva a imbarcazioni col fondo forato. Lione diventò un deserto; ad Arras fu negata ai prigionieri perfino la crudele misericordia di una morte rapida. Lungo la Loira, da Saumur al mare, folti gruppi di corvi e di avvoltoi si cibavano di cadaveri nudi, orrendamente confusi in spasmodici abbracci. Non esisteva misericordia né per il sesso, né per l’età. Ragazzi e ragazze al di sotto dei diciassette anni furono immolati a centinaia. I giacobini si lanciavano l’uno all’altro, con la punta aguzza delle loro picche, dei neonati strappati al seno materno >>. Nel breve volgere di dieci anni, intere moltitudini di esseri umani perirono di morte violenta. Tutto ciò corrispondeva al piano di Satana e agli scopi da lui perseguiti attraverso i secoli. La sua politica si basa sull’inganno, e la sua mèta è di opprimere il genere umano sotto il peso di tutti i mali; di deformare e contaminare l’opera di Dio; di osteggiare il divino piano di bontà e di amore; di contristare il cielo. Per le sue arti seduttrici, egli riesce a confondere le menti degli uomini e a provocare il risentimento contro Dio, che viene ritenuto responsabile di quello che accade, come se ciò fosse il risultato naturale del piano creativo dell’Altissimo. Quando poi coloro che sono stati avviliti e abbrutiti dal suo potere crudele conquistano la libertà, egli spinge a commettere eccessi e atrocità che i tiranni e gli oppressori definiscono come conseguenza della libertà.

Allorché l’errore è smascherato sotto una delle sue forme, Satana ricorre ad altri camuffamenti, affinché le moltitudini lo accettino con lo stesso favore di prima. Vedendo che il Romanesimo era stato smascherato e che, per conseguenza, non poteva più servirsene per indurre il mondo e a trasgredire le leggi divine, Satana fece credere che tutta la religione fosse menzognera e che la Bibbia fosse una favola. Le masse, allora, rigettarono gli statuti divini e si abbandonarono a una sfrenata iniquità. L’errore fatale che attirò sulla Francia tante calamità derivò dall’ignoranza di questa grande verità: la vera libertà si trova nell’ubbidienza alla legge di Dio. << Oh, avessi tu pure atteso a’ miei comandamenti! La tua pace sarebbe stata come un fiume, e la tua giustizia come le onde del mare… Non vi è alcuna pace per gli empi, ha detto il Signore >> Isaia 48:18,22(D). << Ma chi mi ascolta abiterà in sicurtà e viverà in riposo, fuor di spavento di male >>Proverbi 1:33 (D). Gli atei, gli increduli e gli apostati respingono e combattono la legge di Dio, ma i risultati dimostrano che il benessere umano dipende dall’ubbidienza agli statuti divini. Coloro che non leggono le lezioni insegnate dal Libro di Dio le leggeremo, poi, nella storia dell’umanità.

Quando Satana si serviva della chiesa di Roma per distogliere gli uomini dall’ubbidienza a Dio, agiva nell’ombra affinché la sua opera nascosta, la degradazione e la miseria morale non fossero riconosciute come frutto della trasgressione. La sua potenza però, era ostacolata dallo Spirito di Dio, e così egli non riuscì a mandare in pieno e a effetto i suoi propositi. La gente non seppe risalire dagli effetti alla causa, e quindi non riuscì a scoprire quale fosse la fonte dei suoi mali. Però alla Rivoluzione la legge di Dio venne apertamente posta al bando dall’Assemblea Nazionale, e durante il Regno del Terrore ognuno poté stabilire il rapporto che intercorreva tra la causa e gli effetti. Quando la Francia pubblicamente rigettò Iddio e mise al bando la Bibbia, gli empi esultarono perché avevano raggiunto il loro scopo: un regno svincolato dalle restrizioni della legge divina. << Siccome la sentenza contro una mala azione non si eseguisce prontamente, il cuore dei figliuoli degli uomini è pieno della voglia di fare il male >> Ecclesiaste 8:11.

Nondimeno la trasgressione di una legge giusta non può non provocare disordini e rovina, e il castigo – anche se non segue immediatamente la trasgressione – è sicuro. Secoli di apostasia e di crimini avevano accumulato un tesoro d’ira per il giorno della retribuzione, sì che quando l’iniquità giunse al colmo, gli schernitori di Dio si accorsero, troppo tardi, che è cosa spaventevole mettere a dura prova la pazienza dell’Eterno. Il potere mitigatore dello Spirito di Dio, che arginava l’azione crudele di Satana, fu parzialmente rimosso, e così colui che si diletta nelle sventure degli uomini poté operare a suo piacimento. Chi aveva scelto la ribellione ne raccolse il frutto, e il paese fu pieno di delitti troppo orribili per poterli descrivere. Alle province devastate e dalle città in rovina salì un grido di amare ambascia. La Francia fu scossa come da un terremoto. Religione, legge, ordine sociale, famiglia, stato chiesa: tutto fu abbattuto dall’empia mano che si era levata contro le leggi dell’Onnipotente. Giustamente il Savio aveva detto: “L’empio cade per la sua empietà”. “Quantunque il peccatore faccia cento volte il male e pur prolunghi i suoi giorni, pure io so che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore nel suo cospetto”. “Il bene non sarà per l’empio” Proverbi 11:5; Ecclesiate 8:12.

“Perciocché hanno odiata la scienza, e non hanno eletto il timor del Signore… Perciò, mangeranno del frutto delle loro vie, e saranno saziati dei loro consigli” Proverbi 1:29,31 (D). Sebbene immolati dal potere blasfemo che “sale dall’abisso”, i testimoni di Dio non dovevano rimanere a lungo silenziosi. “E in capo di tre giorni e mezzo, lo Spirito della vita, procedente da Dio, entrò in loro, e si rizzarono in piè, e grande spavento cadde sopra quelli che li videro” Apocalisse 11:11 (D). Nel 1793, l’assemblea francese emanò un decreto che aboliva la religione cristiana e metteva la Bibbia al bando. Tre anni e mezzo più tardi, una delibera della stessa assemblea nazionale annullò tale decreto, dichiarando che le Sacre Scritture erano tollerate. Il mondo, sgomento dinanzi all’enormità delle colpe derivanti dal rigetto dei sacri oracoli, riconosceva la necessità della fede in Dio e nella sua Parola come fondamento della virtù e della moralità.
Sta scritto: “Chi hai tu insultato e oltraggiato? Contro chi hai tu alzata la voce e levati in alto gli occhi tuoi? Contro il Santo d’Israele.” Isaia 37:23.

“Perciò, ecco… questa volta farò loro conoscere la mia mano e la mia potenza; e sapranno che il mio nome è l’Eterno” Geremia 16:21. Riguardo ai due testimoni, il profeta aggiunge: “Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro” Apocalisse 11:12. Dacché la Francia ha fatto guerra ai due testimoni di Dio, questi sono stati onorati più che mai. Nel 1804 nacque la Società Biblica Britannica e Forestiera, seguita poi da altre organizzazioni consimili in tutta l’Europa. Nel 1816 fu fondata la Società Biblica Americana. Quando venne organizzata la Società Biblica Britannica, le Sacre Scritture erano stampate in cinquanta lingue; oggi esse lo sono in centinaia e centinaia di lingue e dialetti. Ne corso dei cinquanta anni che precedettero il 1792, ben scarsa attenzione era stata data alle missioni estere. Nessuna nuova società era stata fondata, e poche erano le chiese che compivano qualche sforzo per la diffusione del cristianesimo in terra pagana. Verso la fine del diciottesimo secolo si verificò un notevole cambiamento.

Gli uomini, per nulla soddisfatti del razionalismo, si rendevano conto della necessità di una rivelazione divina e di una religione sperimentale. Da allora l’opera delle missioni ebbe uno sviluppo senza precedenti.
I progressi effettuati nel campo della stampa diedero un nuovo impulso alla diffusione della Bibbia. Le accresciute facilitazioni nelle comunicazioni fra i paesi, la scomparsa delle vecchie barriere di pregiudizi e di esclusivismo nazionalistico, la caduta del potere temporale dei pontefici romani spalancarono le porte alla Parola di Dio. Sono anni ormai che la Bibbia viene venduta senza alcuna restrizione nelle vie di Roma, ed essa va sempre più diffondendosi nelle religioni abitate del mondo. Lo scettico Voltaire una volta ebbe a dire, con baldanzosa presunzione: “Sono stanco di sentire che dodici uomini hanno stabilito la religione cristiana. Io dimostrerò che un solo uomo è sufficientemente per abbatterla”. Voltaire è morto da circa due secoli [morì nel 1778], e da allora milioni di uomini hanno fatto, come lui, guerra alla Bibbia.

Tutti i loro tentativi sono risultati vani. Là dove al tempo di Voltaire forse si contavano cento copie della Bibbia, oggi ce ne sono diecimila; che dico? centomila! Ripeteremo qui le parole di un riformatore: “La Bibbia è un’incudine che ha consumato molti martelli!”. Il Signore afferma: “Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà; e ogni lingua che sorgerà in giudizio contro di te, tu la condannerai” Isaia 54:17. “La parola del nostro Dio sussiste in eterno” Isaia 40:8. “Le opere delle sue mani sono verità e con dirittura” Salmo 111:7,8. Tutto ciò che si basa sull’autorità dell’uomo sarà abbattuto, mentre quello che si fonda sulla roccia dell’immutabile Parola di Dio dimora eternamente.

 

ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ NEL NUOVO MONDO.
I riformatori inglesi, pur abbandonando la religione romana, avevano conservate molte delle sue forme. Così, quantunque l’autorità e il credo di Roma fossero stati respinti, si notavano nella chiesa anglicana non pochi dei suoi costumi e delle sue cerimonie. Si riteneva che tali cose non avessero nulla a che fare con la coscienza e che, anche se non ordinate nelle Scritture, non erano neppure proibite; perciò non potevano essere considerate perniciose, in quanto non essenziali. La loro osservanza, del resto, contribuiva a ridurre la distanza fra le chiese riformate e Roma, il che poteva agevolare ai cattolici romani l’accettazione della fede riformata. Ai conservatori e agli opportuni tali argomenti apparivano conclusivi; però vi era un’altra categoria di persone che non la pensava così. Il fatto che questi costumi “tendevano a diminuire la distanza fra Roma e la Riforma” Martyn, vol. 5, p. 22, non era secondo loro un valido argomento per continuare a praticarli.

Anzi stimavano addirittura che essi costituissero la prova della schiavitù dalla quale si erano liberate e nella quale non intendevano assolutamente ritornare. Dicevano che Dio nella sua Parola ha stabilito i requisiti del culto che gli è dovuto, e che gli uomini, perciò, non hanno alcun diritto di aggiungere o di togliere niente. L’inizio della grande apostasia era stata proprio questa tendenza a sostituire l’autorità della chiesa all’autorità di Dio. Roma aveva cominciato con l’imporre quello che Dio non proibiva, e aveva finito col vietare ciò che Dio espressamente comanda. Molti, i quali desideravano ardentemente un ritorno alla purezza e alla semplicità che avevano caratterizzato la chiesa primitiva, e consideravano tanti costumi della chiesa anglicana veri e propri monumenti eretti all’idolatria, in coscienza non potevano unirsi al suo culto.

La chiesa però, sostenuta dalle autorità civili, non consentiva nessuna deviazione dalle forme da essa stabilite. La partecipazione alle sue funzioni era imposta per legge, e le riunioni di carattere religioso non autorizzate erano vietate sotto pena di carcere, di esilio e perfino di morte. All’inizio del diciassettesimo secolo, il monarca asceso al trono d’Inghilterra manifestò la decisione di indurre i puritani a “conformarsi… sotto pena di esilio o di qualcosa di peggio” Gorge Bancroft, History of the United States of America, parte I, cap. 12, par. 6. Braccati, perseguitati, gettati in carcere, essi non vedevano nessuna prospettiva di giorni migliori, e molti si convinsero che “l’Inghilterra non era più abitabile per chi intendeva servire Iddio secondo la propria coscienza” J. G. Palfrey, History of the New England, cap. 3, par. 43. Alcuni perciò decisero di cercare rifugio in Olanda.

Nonostante le difficoltà, le perdite materiali, i tradimenti e altre non piccole contrarietà, essi perseverarono, finirono col trionfare di ogni ostacolo e raggiunsero felicemente le rive ospitali della repubblica olandese. Fuggendo, dovettero abbandonare case, beni e mezzi di sussistenza. Stranieri, in un paese sconosciuto, in mezzo a un popolo di lingua e costumi differenti dai loro, per guadagnarsi da vivere furono costretti a svolgere un’attività totalmente diversa da quella svolta fino allora. Uomini di mezza età, che avevano trascorso la vita coltivando il suolo, dovettero imparare un nuovo mestiere; però seppero accettare la situazione senza rimpianti o recriminazioni. Sebbene spesso ridotti alla povertà, ringraziavano Dio per i benefici di cui godevano, e si rallegravano di poter praticare liberamente la loro fede. “Sapevano di essere dei pellegrini e perciò non si preoccupavano di certe cose; alzavano gli occhi al cielo, verso la loro patria diletta, e si sentivano consolati” Bancroft, Idem, parte I, cap. 12, par. 15.

Qui diede inizio alla stampa del Nuovo Testamento in inglese. Per due volte il lavoro dovette essere interrotto; ma quando la stampa gli veniva proibita in una città, egli si trasferiva altrove. Finalmente andò a Worms, dove alcuni anni prima Lutero aveva difeso il Vangelo dinanzi alla dieta. In quella antica città vi erano molti nemici della Riforma, e così Tyndale poté continuare la sua opera senza ulteriori ostacoli. Furono stampate tremila copie del Nuovo Testamento, che si esaurirono in poco tempo e lo stesso anno ne seguì una seconda edizione. Tendale proseguì la sua attività con grande zelo e perseveranza. Nonostante le autorità inglesi sorvegliassero i porti con la massima attenzione, la Parola di Dio raggiunse Londra per vie segrete, e di là poté circolare in tutta la nazione. I papisti invano cercarono di sopprimere la verità. Il vescovo di Durham acquistò da un libraio, amico di Tendale, un’intera partita di Bibbie per distruggerle e intralciare, così, notevolmente l’opera. Raggiunse l’effetto contrario, perché il denaro da lui fornito permise l’acquisto di altro materiale per una nuova edizione, migliore della precedente, che altrimenti non avrebbe potuto essere stampata.

Quando più tardi Tendale fu arrestato e gli venne offerta la libertà a condizione che rivelasse i nomi di quanti lo avevano aiutato a pagare le spese di stampa della Bibbia, egli rispose che il vescovo di Durham aveva contribuito più di tutti, avendo pagato un prezzo elevato per i libri acquistati, il che gli aveva consentito di proseguire la sua opera con rinnovato coraggio. Tendale, tradito e consegnato nelle mani dei nemici, dopo alcuni mesi di carcere suggellò la sua testimonianza col martirio. Però l’arma da lui preparata fornì altri soldati i quali attraverso i secoli, e fino ai nostri giorni, seppero portare avanti validamente la causa della verità. Latimer, dall’alto del pulpito sosteneva che la Bibbia dovrebbe essere letta nella lingua del popolo. “Dio stesso”, egli disse, “è l’autore delle Sacra Scrittura: essa partecipa della sua potenza e della sua eternità. Non c’è né re, né imperatore, né magistrato, né governante che non sia tenuto a ubbidire alla sua santa Parola. Non seguiamo vie traverse; lasciamoci guidare dalla sua Parola di Dio; non calchiamo le orme dei nostri padri e non preoccupiamoci di sapere quello che essi hanno fatto, ma cerchiamo piuttosto di sapere quello che essi avrebbero dovuto fare” Latimer, First sermon preached bifore king Edward VI. Barnes e Frith, due fedeli amici di Tendale, si levarono in difesa della verità seguiti dai Ridley e Cranmer. Questi capi della Riforma inglese erano uomini dotti, e la maggior parte di essi erano

stati particolarmente stimati, per zelo e per pietà, nelle comunità cattoliche romane. La loro opposizione al papato derivava dalla consapevolezza degli errori della santa sede. Inoltre, la loro conoscenza dei misteri di Babilonia dava una particolare potenza alla loro testimonianza contro di essa. “Vorrei farvi una domanda forse un po’ strana”, diceva Latimer. “Chi è il più diligente vescovo o prelato d’Inghilterra?... Vi vedo attenti, ansiosi di sapere da me il nome… Ebbene, ve lo dirò: è il diavolo. Egli non si allontana mai dalla sua diocesi… Chiamatelo quando volete: è sempre in sede… è sempre all’aratro… Non lo vedrete mai ozioso, ve lo assicuro… Dovunque egli risiede, le sue parole d’ordine sono: Abbasso i libri, evviva le candele!... Abbasso la Bibbia, evviva il rosario!... Abbasso la luce del Vangelo, evviva il lume dei ceri, anche in pieno mezzodì!... Abbasso la croce di Cristo, evviva invece il purgatorio che vuota le tasche dei fedeli!... Abbasso gli abiti per gli ignudi, i poveri, i derelitti, evviva gli ornamenti d’oro e d’argento dati a profusione a dei pezzi di legno e di pietra!... Abbasso le tradizioni di Dio e la sua santa Parola, evviva le tradizioni e leggi degli uomini!... Oh, se i nostri prelati seminassero il grano della sana dottrina con lo stesso zelo di cui dà prova Satana nel seminare la zizzania!” Latimer, Sermon of the Plough.

Il grande principio rivendicato da questi riformatori – lo stesso che era stato predicato dai valdesi, da Wycliff, da Giovanni Huss, da Lutero, da Zuinglio e dai loro collaboratori e discepoli – era l’infallibile autorità delle Sacre Scritture come regola di fede e di condotta. Essi negavano ai papi, ai concili, ai Padri e ai re il diritto di dominare sulle coscienze in materia di religione. La Bibbia era loro autorità e costituiva la pietra di paragone di tutte le dottrine e di tutte le pretese. Questi santi uomini di Dio erano sorretti dalla fede nell’Eterno e nella sua Parola quando, sul rogo, suggellarono la loro missione in mezzo alle fiamme. “Vi conforti la certezza”, disse Latimer a quanti condividevano il suo martirio mentre le fiamme stavano per soffocare la loro voce, “che oggi, per grazia di Dio noi accendiamo in Inghilterra una fiaccola che, ne sono certo, non sarà mai spenta! Works of the Hugh Latimer, vol. 1, p. XIII.

In Scozia il seme della verità recato da Colombano e dai suoi collaboratori non era mai stato completamente distrutto. Alcuni secoli dopo che le chiese d’Inghilterra erano soggette a Roma, quelle della Scozia conservavano ancora la loro libertà. Nel dodicesimo secolo, però, il papato vi si stabilì e vi esercitò un potere assolutistico come in nessun altro paese. In nessun altro posto si ebbero tenebre più fitte. Nondimeno, un raggio di luce sopraggiunse a squarciare il buio e a far presagire la promessa di un nuovo giorno. I lollardi venuti dall’Inghilterra con la Bibbia e gli insegnamenti di Wycliff, si adoperarono al massimo per conservarvi la conoscenza delle Sacre Scritture. Ogni secolo successivo ebbe, poi, i suoi testimoni e i suoi martiri. Con l’avvento della grande Riforma si ebbero gli scritti di Lutero, e quindi il Nuovo Testamento di Tendale.

Questi messaggeri, all’insaputa delle autorità ecclesiastiche, percorrendo silenziosamente monti e valli, alimentarono la fiaccola della verità che sembrava stesse per spegnersi in Scozia, e demolirono l’opera compiuta dalla chiesa romana in quattro secoli di oppressione. Fu poi il sangue dei martiri a dare nuovo impulso al movimento. I capi di Roma resisi improvvisamente consapevoli del pericolo che minacciava la loro causa, non esitarono a trascinare sul rogo alcuni fra i più nobili e onorati figli della Scozia. In tal modo essi, però, senza rendersene conto, innalzarono un pulpito dal quale la parola di questi testimoni echeggiò per essere udita in tutto il paese, scuotendo le anime della gente e facendo nascere in loro il vivo desiderio di sbarazzarsi dei ceppi di Roma. Hamilton e Wishart, nobili di carattere quanto lo erano di nascita, conclusero la loro vita sul rogo, seguiti da un folto gruppo di discepoli più umili. Però dal luogo dove Wishart morì, sorse uno che le fiamme non poterono ridurre al silenzio, e che sotto la guida di Dio doveva infliggere al cattolicesimo scozzese un colpo mortale. Giovanni Knox aveva abbandonato le tradizioni e il misticismo della chiesa cattolica per nutrirsi della verità della Parola di Dio.

Gli insegnamenti di Wishart rafforzarono in lui la determinazione di lasciare Roma e di unirsi ai riformatori perseguitati. Sollecitato dai suoi compagni ad assumersi da tanta responsabilità, e fu solo dopo molti giorni di meditazione e di dura lotta con se stesso che alla fine acconsentì. Una volta accettato l’incarico, egli andò avanti con inflessibile determinazione e con indomito coraggio sino alla fine della sua vita. Questo intrepido riformatore non temeva gli uomini, e i fuochi del martirio che vedeva divampare intorno a sé valsero solo ad accrescere il suo zelo e a renderlo ancora più intenso. Pur sentendo sempre sulla propria testa la minaccia della scure del tiranno, egli rimase impavido al suo posto menando colpì a destra e a sinistra per abbattere l’idolatria. Convocato davanti alla regina di Scozia, al cui cospetto la baldanza di non pochi capi del Protestantesimo si era spenta, Giovanni Knox rese una decisa testimonianza alla verità, e non si lasciò né vincere dalle lusinghe, né intimorire dalle minacce.

La regina lo accusò di eresia: egli aveva insegnato al popolo ad accettare la religione proibita dallo stato, ella diceva, trasgredendo così l’ordine di Dio che ingiunge ai sudditi l’ubbidienza ai loro governanti. Knox rispose con precisione: “La vera religione non riceve forza e autorità dai principi temporali, ma dall’Eterno Dio. Per conseguenza, gli uomini non sono tenuti a modellare la propria religione ispirandosi ai capricci dei principi, tanto più che non di rado questi sono più ignoranti degli altri per quel che riguarda la vera religione di Dio… Se tutti i figli di Abrahamo avessero abbracciato la religione di Faraone, del quale furono per secoli sudditi, io le domando, Signora, quale sarebbe stata la religione del mondo? Oppure, se al tempo degli apostoli gli uomini avessero aderito alla religione degli imperatori romani, quale religione avrebbe regnato sulla terra?... Perciò, Signora, se è vero che i sudditi debbono ubbidire ai loro principi, non sono però tenuti a praticarne la religione”. “Voi interpretate le Scritture in un modo”, replicò la regina Maria, “mentre essi [i dottori] le interpretano in un altro modo. A chi si deve credere? E chi sarà il giudice?”.
“Bisogna credere a Dio, il quale parla chiaramente nella sua Parola” disse Knox. “Al di là di quello che la Parola insegna, non si deve credere né all’uno, né all’altro. Essa è sufficientemente chiara di per se stessa, e se per caso si nota qualche oscurità da una parte, lo Spirito Santo, che non è mai in contraddizione con se stesso, si esprime più chiaramente altrove, per cui il dubbio rimane solo in coloro che intendono restare ostinatamente nell’ignoranza” David Laing, The Collected works of John Knox, vol. 2, pp. 281,284, ediz. 1895.

Tali erano le verità che l’intrepido predicatore, a rischio della propria vita, faceva intendere alla regina. Con indomito coraggio egli proseguì il suo ministero pregando e combattendo la battaglia del Signore fino a che la Scozia non ebbe spezzato il giogo del papato. In Inghilterra lo stabilirsi del Protestantesimo come religione nazionale fece diminuire le persecuzioni, ma non le eliminò del tutto. Molte dottrine di Roma, inoltre, erano state mantenute. Se da un lato era stata rigettata la supremazia del papa, dall’altro si era eletto il re come capo della chiesa. Anche nel culto si poteva notare un sensibile distacco dalla purezza e dalla semplicità del Vangelo. Inoltre, il grande principio della libertà religiosa non era ancora capito. Quantunque le terribili crudeltà cui era ricorsa Roma contro l’eresia fossero state raramente ripristinate dai capi della Riforma, nondimeno il diritto di ogni uomo di adorare Iddio secondo i dettami della propria coscienza non era riconosciuto. Si esigeva da parte di tutti l’accettazione e l’osservanza delle forme del culto prescritte dalla chiesa stabilita.

Chi dissentiva era perseguitato in misura più o meno grande. La cosa si protrasse per alcuni secoli. Nel diciassettesimo secolo migliaia di pastori furono destituiti. Al popolo era vietato, sotto pena di multe, di carcere e perfino del bando, di partecipare a riunioni di carattere religioso che non fossero quelle sancite dalla chiesa. Quelle anime fedeli che desideravano riunirsi per adorare Iddio, erano costrette a farlo in angusti violetti, in oscure soffitte o, in determinate stagioni, di notte nei boschi. Nel folto di boschi accoglienti che formavano un tempio naturale, quanti figliuoli di Dio perseguitati e dispersi si incontravano per pregare e per lodare l’Eterno! Però, nonostante le precauzioni prese, molti ebbero a soffrire per la loro fede. Le prigioni erano affollate, le famiglie disperse. Molti dovettero addirittura espatriare. Dio, però, era col suo popolo, e così le persecuzioni non impedirono la testimonianza di queste anime fedeli. Numerosi credenti, costretti a riparare oltre Atlantico, gettarono nel Nuovo Mondo le basi della libertà civile e religiosa, baluardo e vanto degli Stati Uniti d’America.

Ancora una volta, come ai tempi degli apostoli, la persecuzione contribuì alla diffusione del Vangelo. In un oscuro carcere, gremito di gente disonesta e corrotta, Giovanni Bunyan respirò l’atmosfera del cielo e scrisse la meravigliosa allegoria del cristiano in viaggio dalla terra della perdizione alla città celeste. Da oltre duecento anni questa voce uscita da Bedford parla con potenza al cuore degli uomini. Le opere di Bunyan: Pilgrim’s Progress (“Il pellegrinaggio del cristiano”) e Grace Abounding to the Chief of Sinners (“Grazia abbondante”), hanno guidato molti lungo il sentiero della vita. Baxter, Flavel, Alleine e altri uomini di talento, colti e di profonda esperienza cristiana, si levarono a difesa della fede “che è stata data ai santi una volta per tutte”. L’opera compiuta da questi uomini proscritti e messi fuori legge dai grandi di questo mondo è imperitura. Fountain of Life (“Fonte della vita”) e Method of Grace (“Metodo della grazia”) di Flavel hanno insegnato a migliaia di persone come affidare a Cristo la cura della propria anima. Reformed Pastor (“Il pastore riformato”) di Baxter è stato fonte di benedizione per quanti aspiravano a un risveglio nell’opera di Dio, e il suo volume Saint’s Everlasting Rest (“L’eterno riposo dei santi”) ha fatto conoscere ai suoi numerosi lettori il “riposo” che rimane per il popolo di Dio. Un secolo dopo, in un periodo di grandi tenebre spirituali, apparvero dei nuovi portatori della luce di Dio: Whitefield e i Wesley.

Sotto il dominio della chiesa stabilita, l’Inghilterra si era venuta a trovare in un tale stato religioso che era difficile poterlo distinguere dal paganesimo. La religione naturale costituiva lo studio favorito del clero e compendiava quasi totalmente la teologia. Le classi più elevate si facevano beffe della pietà e si lusingavano di essere al di sopra di quello che esse definivano fanatismo. Le classi inferiori, a loro volta, erano immerse in una preoccupante ignoranza e nel vizio mentre la chiesa non aveva né il coraggio né la fede necessari per sostenere la causa della verità che precipitava verso la rovina.
La grande dottrina della giustificazione per fede, chiaramente insegnata da Lutero, era stata quasi del tutto perduta di vista e sostituita dal principio romano che consisteva nel confidare nelle buone opere per essere salvati. Whitefield e Wisley, membri della chiesa ufficiale sinceri ricercatori della grazia di Dio, avevano imparato a trovarla in una vita virtuosa e nell’osservanza dei riti religiosi. Una volta che Carlo Wesley, gravemente ammalato, temeva di essere ormai prossimo alla fine, un amico gli chiese quali fossero le basi sulle quali poggiava la sua speranza di vita eterna. Wesley rispose: “Io ho cercato di fare il meglio che mi fosse possibile per servire Dio”. Poiché l’amico non sembrava essere troppo convinto della risposta, l’ammalato si chiese: “Come? I miei tentativi non sono una sufficiente base di speranza? Vorrebbe egli privarmi dei miei meriti? Ma se io non ho altro in cui confidare!” John Whitehead, Life of the Rev. Charles Wesley, p. 102, ediz. 1845.

Tali erano le tenebre che avevano invaso la chiesa, nascondendo l’opera di espiazione di Gesù e defraudando Cristo della sua gloria e distogliendo le menti degli uomini dalla loro unica speranza di salvezza: il sangue del Redentore crocifisso. Wesley e i suoi collaboratori giunsero a capire che la vera religione ha radice nel cuore, e che la legge di Dio non riguarda solo le azioni e le opere, ma abbraccia anche i pensieri. Convinti della necessità di avere il cuore santificato, oltre che la rettitudine del comportamento esteriore, essi vollero vivere una vita nuova. Con sforzi intensi accompagnati della preghiera, essi cercavano di vincere le tendenze del cuore naturale. Vivevano un’esistenza fatta di rinuncia, di carità, di umiltà; osservavano col massimo li potesse aiutare a raggiungere quello che ardentemente bramavano: la santità che assicurava il favore di Dio.

Essi, però, non riuscivano a raggiungere la mèta, e si affannavano invano per liberarsi dalla condanna e dalla potenza del peccato. Era una lotta uguale a quella conosciuta da Lutero a Erfurt; era la domanda che tanto aveva torturato l’anima del riformatore tedesco: “E come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?” Giobbe 9:2. Il fuoco della verità, che si era quasi del tutto spento sull’altare del Protestantesimo, fu ravvivato dalla fiaccola tramandata di secolo in secolo dai cristiani boemi. Dopo la Riforma, il Protestantesimo in Boemia era stato calpestato dalle orde di Roma sì che quanti rifiutarono di rinunciare alla verità furono costretti a fuggire. Alcuni, rifugiatisi in Sassonia, serbarono intatta la fede avita, e attraverso i loro discendenti, i moravi, la luce giunse a Wesley furono consacrati al ministero e mandati in missione in America. A bordo della nave vi era un gruppo di moravi. La traversata fu caratterizzata da violente tempeste, e Giovanni Wesley, trovatosi a faccia a faccia con la morte, sentì di non avere la certezza della pace con Dio. I moravi, per contro, dimostravano una serenità e una fiducia nell’Eterno che a lui erano totalmente estranee.

“Io avevo a lungo osservato”, egli dice, “la grande serietà della loro condotta e l’umiltà di cui davano prova nel rendere umili servirgli agli altri passeggeri, che nessun inglese avrebbe acconsentito a compiere e per i quali essi non ricevevano, né accettavano, nessun compenso. Dicevano che ciò era utile per i loro cuori orgogliosi, e che il loro amato Salvatore aveva fatto ben altro per loro. Ogni giorno veniva loro offerta l’occasione di dare prova di mansuetudine alle ingiurie. Se urtati, colpiti o addirittura gettati a terra, essi si rialzavano e se ne andavano senza che dalle loro labbra uscisse una sola parola di protesta. Ebbero anche l’occasione di dimostrare che si erano liberati non solo dallo spirito di timore, di orgoglio, d’ira e di vendetta, ma anche da quello della paura. Durante il canto del salmo che dava inizio alla loro funzione religiosa, il mare scatenato squarciò la vela maestra e si abbatté sulla nave coprendola con le onde, tanto che pareva dovesse inghiottirci tutti. Fra gli inglesi si udì un terribile grido di angoscia, mentre i moravi continuarono a cantare. Più tardi io chiesi a uno di loro: “Eravate spaventati?”. Mi rispose: “Grazie a Dio, no”. Domandai: “Ma le vostre donne e i vostri bambini non erano impauriti?”.

Con la massima semplicità egli mi disse: “No: le nostre donne e i nostri bambini non hanno paura della morte” Whitehead, Life of the Rev. John Wesley, p. 10, ediz. 1845. Giunti a Savannah, Wesley si trattenne un po’ di tempo coi Moravi, e rimase profondamente impressionato dal loro comportamento cristiano. Parlando di una delle loro funzioni religiose, in così stridente contrasto col gelido formalismo della chiesa inglese, egli scrisse: “La grande semplicità e la solennità dell’insieme mi fecero dimenticare i millesettecento anni che erano passati, e mi parve di trovarmi in una delle assemblee presiedute da Paolo, il fabbricatore di tende, o da Pietro, il pescatore, nelle quali c’era la manifestazione dello Spirito e della potenza” Idem, pp. 11,12. Rientrato in Inghilterra, Wesley, per le istruzioni di un predicatore moravo, pervenne a una più chiara comprensione della vera fede biblica. Si convinse che bisognava rinunciare alle proprie opere come mezzo di salvezza e fidare pienamente nell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

Nel corso di una riunione della società morava di Londra, fu letta una dichiarazione di Lutero relativa all’opera che lo Spirito di Dio compie nel cuore del credente. “Sentii che dovevo confidare in Cristo, solo in Cristo per la mia salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva cancellati i miei peccati e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte” Idem, p. 52. Nel corso dei lunghi anni di faticosi sforzi, di umiliazione, di dure rinunce, l’unica mèta di Wesley era stato quella di cercare Iddio. Ora che lo aveva trovato si rendeva conto che la grazia cercata mediante digiuni, preghiera, elemosine e atti di abnegazione, era un dono accordato “senza denaro e senza prezzo”. Una volta affermata nella fede di Cristo, la sua anima arse dal desiderio di diffondere dappertutto la conoscenza del meraviglioso Evangelo della grazia gratuita di Dio.

“Io considero il mondo intero come mia parrocchia”, affermava Wesley, “nel senso che ovunque mi trovo ritengo mio diritto, oltre che mio dovere, annunciare a quanti sono disposti ad ascoltare, la lieta notizia della salvezza” Idem, p. 74. Egli perseverò nella sua vita di severa rinuncia, nella quale non vedeva più la condizione, ma la conseguenza della sua fede; non più la radice, ma il frutto della santità. La grazia di Dio in Cristo è il fondamento della speranza del cristiano, e questa grazia si manifesta con l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione della grandi l’ubbidienza. Wesley consacrò la sua vita alla predicazione delle grandi verità che aveva conosciute: la giustificazione per fede nel sangue di Cristo e la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo nel cuore, il cui frutto è una vita che si conforma a quella di Gesù.

Whitefield e i Wesley erano stati preparati alla loro missione dalla personale convinzione del proprio stato di condanna. Per poter sopportare le afflizioni come buoni soldati di Cristo, essi erano passati attraverso la fornace del disprezzo, della derisione e della persecuzione sia all’università che nel ministero. Essi e i loro simpatizzanti furono chiamati per disprezzo, dai compagni di studio increduli, “metodisti”, nome di cui si onora oggi una delle maggiori denominazioni religiose dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. Nella loro qualità di membri della chiesa anglicana, essi erano molto attaccati alle sue forme di culto; però il Signore aveva loro presentato nella sua Parola un ideale molto più elevato. Lo Spirito Santo li spinse a predicare Cristo e Cristo crocifisso e la potenza dell’Altissimo accompagnava i loro lavori. Migliaia di persone furono convinte e conobbero una reale conversione. Ma era necessario che queste pecorelle fossero protette contro i lupi rapaci. Wesley non pensava di fondare una nuova denominazione e si limitò a organizzare i neo convertiti in quella che fu definita Methodist Connection (ramo della chiesa metodista. n .d .r.).

L’opposizione incontrata da questi predicatori fu apra e misteriosa; ma Dio, nella sua saggezza infinita, fece sì che la Riforma avesse inizio nella chiesa stessa.
Se fosse venuta dal di fuori, essa forse non sarebbe penetrata dove più urgente si faceva sentire. Invece, dato che i predicatori erano uomini di chiesa che lavoravano sotto la sue egida dovunque se ne presentava l’opportunità, la verità poteva giungere anche dove, altrimenti, le porte sarebbero rimaste chiuse. Alcuni membri del clero furono scossi dal loro torpore morale e divennero zelanti predicatori nelle loro parrocchie. Delle chiesa che sembravano come pietrificate nel formalismo, risorsero così a vita nuova.

Al tempo di Wesley, come del resto in tutti i tempi della storia della chiesa, l’opera fu compiuta da uomini dotati di doni differenti. Non sempre essi erano d’accordo fra loro su tutti i punti dottrinali, però erano tutti mossi dallo Spirito di Dio e uniti dal comune proposito di condurre le anime a Cristo. Una volta le divergenze fra Whitefield e i Wesley minacciarono di provocare una frattura tra loro; ma la mansuetudine imparata a scuola di Cristo, unita alla reciproca sopportazione e alla carità fraterna, fece sì che essi si riconciliassero. D’altra parte essi non avevano il tempo di perdersi in dispute mentre da ogni parte l’errore e l’empietà dilagavano e i peccatori precipitavano nel baratro della perdizione.

I servi del Signore calcavano un difficile sentiero: uomini dotti e influenti facevano uso della loro potenza contro di essi. Molti esponenti del clero dopo un po’ di tempo cominciarono a manifestare un’aperta ostilità, e le porte delle chiese furono chiuse alla fede pura e a coloro che la predicavano. L’atteggiamento del clero che li denunciava dall’alto dei pulpiti valse a suscitare contro di loro gli elementi deteriori delle tenebre, dell’ignoranza e dell’iniquità. Fu solo per merito di segnalati miracoli di Dio che Giovanni Wesley poté sfuggire alla morte. Una volta che l’ira della folla sembrava precludergli ogni via di scampo, un angelo in forma umana si mise al suo fianco e fece indietreggiare la folla, dando così modo al servitore di Dio di abbandonare quel luogo pericoloso. In una particolare occasione, parlando della liberazione dal furore della folla, Wesley disse: “Molti cercarono di farmi precipitare dall’alto di un sentiero sdrucciolevole che conduceva alla città, stimando che una volta che io fossi caduto non mi sarei più potuto rialzare.

Io, invece, non caddi, non scivolai e riuscii a sottrarmi a loro… Molti tentarono di prendermi per il colletto o per gli abiti per farmi cadere; ma non riuscirono nel loro intento. Solo uno poté stringere saldamente un lembo del mio giubbotto e strapparlo, mentre l’altro lembo, nella cui tasca c’era del denaro, fu strappato solo a metà… Un uomo robusto che stava dietro a me tentò ripetutamente di colpirmi con un solo colpo, per nodoso. Se mi avesse raggiunto alla nuca, anche con un solo colpo, per me sarebbe stata finita. Ogni volta, però, il suo colpo fu deviato e non so davvero perché, dato che io non mi potevo muovere né a destra né a sinistra… Un altro sopraggiunse, facendosi largo tra la folla, e giunto vicino a me levò il pugno e lo fece all’improvviso ricadere inerte, sfiorandomi la testa e dicendo: “Che capelli soffici ha!”… I primi ad avere il cuore toccato dal Vangelo di Cristo furono proprio i peggiori elementi della città, i caporioni sempre pronti a fare un buon colpo.

Uno di essi era stato pugile di professione… Con quanta tenera sollecitudine Dio ci prepara per la sua opera! Due anni fa un pezzo di tegola mi sfiorò le spalle; un anno dopo, una pietra mi colpì fra gli occhi; il mese scorso ho avuto un colpo; oggi ne ho ricevuti due: uno prima di giungere in città e uno dopo che ne eravamo usciti; io però non ne ho risentito alcun danno. Sebbene uno mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia colpito in pieno petto con tutta la forza e l’altro mi abbia colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho colpito la bocca con tale violenza da farne uscire il sangue, io non ho sentito più dolore di quello che avrei potuto provare se mi avessero colpito con della paglia” John Wesley, Works, vol. 3, pp. 297,298. ed. 1831.

I metodisti di quella epoca – membri e predicatori – erano oggetto di derisione e di persecuzione sia da parte dei membri della chiesa stabilita, come pure da parte di persone apertamente ostili alla religione, eccitate contro di loro da calunnie messe in giro pei confronti dei metodisti. Spesso, fatti segno a violenza da parte dei persecutori, essi venivano trascinati dinanzi ai tribunali dove la giustizia esisteva solo di nome perché di fatto, a quei tempi, era piuttosto rara. La folla andava di casa in casa, sfasciando i mobili, gli oggetti, portando via quello che più le piaceva, maltrattando uomini, donne e fanciulli. Non era infrequente il caso di leggere manifesti nei quali si invitavano quanti desiderassero partecipare alla rottura di finestre e al saccheggio di abitazioni dei metodisti, a trovarsi in un determinato luogo a una certa ora.

Queste aperte violazioni delle leggi umane e divine avvenivano senza che nessuno intervenisse per mettervi un freno! Una sistematica persecuzione fu organizzata contro un popolo la cui unica colpa consisteva nell’adoperarsi per strappare i peccatori dal sentiero della perdizione e avviarli su quello della santità. Riferendosi alle accuse che venivano mosse contro lui e i suoi seguaci, Giovanni Wesley disse: “Alcuni affermavano che le dottrine di questi uomini sono false, errate e fanatiche; dicono che sono nuove e che solo di recente se ne è udito parlare: affermano che si tratta di quacquerismo, di fanatismo, di papismo. Ebbene, la falsità di siffatte affermazioni è stata ripetutamente dimostrata in quanto ogni elemento di questa dottrina altro non è se non la chiara dottrina della Santa Scrittura interpretata dalla nostra chiesa.

Per conseguenza, poiché la Bibbia è verace, è evidente che l’insegnamento non può essere né falso né errato”. “Altri dicono: “La loro dottrina è troppo stretta; essi rendono troppo angusta la via che mena al cielo”. Questa è, in realtà, l’obiezione originale che segretamente sta alla base di migliaia di altre che si presentano sotto svariate forme. Chiediamoci, però, se essi fanno effettivamente la via del cielo più stretta di quanto la fecero Cristo e gli apostoli. Domandiamoci se la loro dottrina è più stretta di quella della Bibbia. Per avere la risposta è sufficiente prendere in esame alcuni versetti di cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua” “Or io vi dico che d’ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderai conto nel giorno del giudizio”. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcuna altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio”. “Se la loro dottrina è ancora più stretta, essi sono degni di biasimo; però voi sapete, in coscienza, che non è così. Chi osa essere meno stretto, fosse pure di un iota, corrompe la Parola di Dio. Un depositario dei misteri di Dio può essere ritenuto fedele se cambia qualche elemento del sacro deposito affidatogli? No, egli non può né eliminare né attenuare nulla, ed è moralmente tenuto a dire a tutti gli uomini: “Io non posso adattare la Scrittura ai vostri gusti: siete voi che dovete adattarvi ad essa se non volete perire!” Questa è anche la base effettiva dell’altra accusa popolare relativa a “mancanza di carità in questi uomini”. Mancanti di carità? In che cosa? Fosse essi rifiutano di vestire gli ignudi e di nutrire gli affamati? “No, non si tratta di ciò, perché in questo essi non sono certo in difetto. Piuttosto si tratta del fatto che essi sono privi di carità nel giudicare: pensano che nessuno possa essere salvato se non fa come loro” Idem, vol. 3, pp. 152,153.

Il declino spirituale verificatosi in Inghilterra già prima di Wesley era in gran parte da attribuirsi all’insegnamento dell’antinomianismo. Molti affermavano che Cristo aveva abolito la legge morale e che, per conseguenza, i cristiani non erano più tenuti a osservarla in quanto il credente è “affrancato dalla schiavitù delle opere”. Altri, pur ammettendo la perpetuità della legge, dichiaravano che non era necessario che i ministri (di culto. N.d.T.) esortassero il popolo a osservarne i precetti, poiché “coloro che Dio aveva eletti a salvezza sarebbero stati indotti a praticare la virtù e la pietà dall’irresistibile impulso della grazia divina”, mentre coloro che erano condannati alla riprovazione eterna, “non avevano a forza di ubbidire alla legge dell’Altissimo”.
Altri, infine, sostenevano che “gli eletti non possono scadere dalla grazia, né perdere il favore divino”, e concludevano: “Le azioni empie da loro commesse, in realtà non sono peccaminose né debbono essere considerate come prova della violazione della legge di Dio; per conseguenza, essi non hanno nessun bisogno di confessare i propri peccati, né di rinunciarvi mediante il pentimento” McClintock and Strong, Cyclopedia, art. Antinomians. Ne deducevano che certi peccati, anche quelli “universalmente riconosciuti come odiosa violazione della legge divina, non sono tali agli occhi dell’Eterno”, se commessi da un eletto, “perché una delle caratteristiche essenziali e distintive degli eletti è appunto che essi non possono fare nulla che sia disapprovato da Dio o proibito dalla legge”.

Queste dottrine mostruose sono fondamentalmente le stesse che si ritrovano nell’insegnamento di alcuni teologi moderni i quali negano l’esistenza di una legge divina immutabile come norma di giustizia, affermando che l’indice della moralità è definito dalla società stessa ed è soggetto a costanti variazioni. Tutte queste idee errate derivano dal medesimo spirito: quello di colui che perfino fra gli immacolati abitanti del cielo cercò di abbattere le giuste restrizioni della legge di Dio. La dottrina dei decreti divini (anche “predestinazione”. N.d.T.) che fissano in maniera irrevocabile il carattere degli uomini, aveva indotto molti a rigettare l’autorità della legge divina. Wesley si oppose con decisione agli errori dei dottori antinomianisti, e dimostrò che la dottrina che conduce all’antinomianismo è contraria alle Scritture. “La grazia salutare di Dio è apparita a tutti gli uomini” Tito 2:11 (D).

“Questo è buono e accettevole nel cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Poiché c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, il quale diede se stesso quale prezzo di riscatto per tutti” 1 Timoteo 2:3-6. Lo Spirito di Dio è sparso copiosamente per dare a ogni uomo la possibilità di conseguire la salvezza. Così Cristo, “la vera luce che illumina ogni uomini, era per venire nel mondo” Giovanni 1:9. Solo chi respinge deliberatamente il dono della vita non giunge alla salvezza. Ecco quello che diceva Wesley in risposta all’affermazione che alla morte di Cristo i precetti del decalogo erano stati aboliti: << La legge morale, contenuta nei dieci comandamenti e raccomandata dai profeti, non è stata abolita da Cristo. Non era scopo della sua venuta revocarne neppure una minima parte, in quanto si tratta di una legge che non può essere infranta e che è “il fedele testimone che è nei cieli”… Essa esiste sino dalla fondazione del mondo, e fu scritta non su tavole di pietra, bensì nei cuori dei figlioli degli uomini quando questi uscirono dalle mani del Creatore.
(Martin Lutero, Filippo Melantone, L’imperatore Carlo V, Il principe elettore Federico il Saggio,
Erasmo da Rotterdam, Giorgio di Frundsberg, Gerolamo Savonarola, Papa Leone X.)

Benché le lettere originariamente tracciate dal dito di Dio siano state parzialmente alterate dal peccato, nondimeno esse non possono essere del tutto cancellate, perché in noi sussiste la consapevolezza del bene e del male. Ogni parte di questa legge deve rimanere in vigore per l’intera famiglia umana e per tutti i secoli. Essa, infatti, non dipende né dal tempo, né dallo spazio, né dalle circostanze mutevoli, ma dalla natura stessa di Dio e dall’uomo nei loro immutabili rapporti reciproci. “Io non sono venuto per abolire, ma per adempiere”… Senza contestazioni, il significato di queste parole (in piena armonia con il loro contesto) è: Io sono venuto per stabilirla in tutta la sua pienezza nonostante tutti i sofismi umani. Io sono venuto per mettere in piena luce ciò che ancora poteva sembrare oscuro; per affermare il vero e pieno valore di ogni sua parte e per mostrare quali siano la lunghezza, la larghezza e l’esatta portata di ogni suo comandamento, oltre che l’altezza, la profondità, la purezza incommensurabile e la spiritualità di tutti i suoi elementi” Wesley, sermone 25.

Wesley affermò la perfetta armonia esistente fra la legge e l’Evangelo. Egli diceva: “Fra legge e Vangelo vi è quindi il più intimo rapporto concepibile. Da una parte c’è la legge che continuamente prepara la via e addita l’Evangelo; dall’altra c’è l’Evangelo che incessantemente ci spinge a un più esatto adempimento della legge. La legge, per esempio, ci invita ad amare Dio e il nostro prossimo, a essere mansueti, umili e santi. Noi ci rendiamo conto di non essere capaci di farlo perché, infatti, per l’uomo tutto ciò è impossibile; ma Dio ci ha promesso di darci quello amore e di renderci umili, mansueti e santi. Noi allora, prendiamo questo Vangelo annunciatore di così liete novelle; ci viene fatto secondo la nostra fede, e si adempie in noi “la giustizia della legge” mediante la fede che è in Cristo Gesù… “Al primo posto, tra i nemici del Vangelo di Cristo”, diceva Wesley, “bisogna mettere quelli che apertamente ed esplicitamente giudicano la legge, ne parlano male e insegnano agli uomini a infrangere (nel senso di dissolvere, sopprimere, annullare) non uno – minimo o massimo che sia – ma tutti i comandamenti… Però la cosa più sorprendente in tutto ciò è che quanti agiscono in questo modo pensano di onorare Cristo annullando la sua legge, e di esaltare la sua opera demolendolo la sua dottrina.

Purtroppo essi lo onorano solo come Giuda quando disse: “Salve, Maestro!”, e lo baciò. Gesù con ragione può dire di ciascuno di loro: “Tradisci tu il Figlio dell’uomo con un bacio?”. Infatti, significa tradirlo con un bacio parlare del suo sangue e strappargli la corona; abolire una parte qualsiasi della sua legge col pretesto di far progredire l’Evangelo. No, non può sottrarsi a questa accusa chi predica la fede ed elimina, direttamente o indirettamente, l’ubbidienza a Dio; chi predica Cristo in questo modo annulla o sminuisce anche il minimo dei comandamenti dell’Altissimo” Ibidem. A quanti affermavano che “la predicazione del Vangelo prende il posto della legge”, Wesley rispondeva: “Noi lo neghiamo nel modo più assoluto! Essa, ad esempio, non si sostituisce alla legge, che ha come primo requisito quello di convincere l’uomo di peccato, di scuotere quanti ancora sono addormentati sulla soglia dell’inferno”. L’apostolo Paolo dichiara che “per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato”; e “ora è evidente che fino a che l’uomo non è convinto di peccato, non proverà il bisogno del sangue espiatorio di Cristo… “Non sono i sani che hanno bisogno del medico”, fa notare il nostro Signore, “ma gli ammalati”.

Perciò è assurdo offrire l’opera del medico a chi è sano o crede di esserlo. Prima dovete convincerlo che è malato, altrimenti egli non vi sarà affatto grato dell’interessamento da voi dimostrato nei suoi confronti. E’ altrettanto assurdo offrire Cristo a coloro che non hanno ancora il cuore rotto” Idem, sermone 35. Così, pur predicando l’Evangelo della grazia di Dio, Wesley cercava, come il Maestro, di magnificare e rendere illustre la legge”. Con fedeltà egli svolse l’opera affiatagli da Dio conseguendo risultati meravigliosi. Alla fine della sua lunga vita – egli visse più di ottanta anni – dopo oltre mezzo secolo di ministero itinerante, i suoi aderenti ufficialmente noti superavano il mezzo milione.

Però, la moltitudine di coloro che nel corso della sua attività evangelistica erano stati strappati dalla rovina e della degradazione del peccato e introdotti in una vita più pura e più luminosa, e il numero di quelli che per il suo insegnamento erano pervenuti a un’esperienza più ricca e più profonda, saranno noti solo quando l’intera famiglia dei redenti sarà riunita nel Regno di Dio. La vita di Wesley insegna una lezione di valore inestimabile per ogni cristiano. Volesse il cielo che la fede, l’umiltà, l’instancabile zelo, lo spirito di rinuncia e la devozione di questo servo di Dio rivivessero nelle nostre chiese di oggi!

 

TERRORE E CASTIGO IN FRANCIA.
Nel sedicesimo secolo la Riforma, con in mano la Bibbia aperta, aveva bussato alla porta di tutte le nazioni d’Europa. Alcune la ricevettero con gioia, quale messaggera del cielo, mentre altre, influenzate dall’intervento papale, le chiusero la porta in faccia, impedendo così alla luce della conoscenza biblica di esercitare in esse la sua benefica azione. In un paese la luce penetrò, ma poi venne espulsa dalle tenebre: dopo secoli di lotta fra verità ed errore, alla fine il male ebbe il sopravvento, e la verità celeste fu respinta. “Or questa è la condanna: che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce” Giovanni 3:19 (D). Quella nazione raccolse così gli amari frutti di quello che aveva seminato. La potenza protettrice dello Spirito di Dio fu rimossa da un popolo che aveva sprezzato il dono della grazia celeste. Il male, rompendo ogni freno, ebbe modo di maturare, e il mondo poté vedere il frutto del volontariato rigetto della luce. La guerra secolare fatta dalla Francia alla Parola di Dio sfociò nelle scene della Rivoluzione.

Questa terribile vicenda fu il logico risultato della soppressione della Bibbia da parte di Roma, e fornì la più eloquente illustrazione che il mondo mai avesse avuto circa i frutti della politica papale dopo un insegnamento più che millenario. La soppressione delle Sacre Scritture durante il periodo della supremazia papale era state predetta dai profeti, e l’Apocalisse aveva preannunciato le terribili conseguenze che sarebbero derivate, specialmente per la Francia, dal dominio dell’<<uomo di peccato>>. Così disse l’angelo del Signore: “E questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi. E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio… E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso… E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra. E in capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè e grande spavento cadde su quelli che li videro” Apocalisse 11:2-11.

I periodi profetici qui indicati “quarantadue mesi” e “milleduecentosessanta giorni” si riferiscono a una stessa cosa: indicano, cioè, il periodo durante il quale la chiesa di Cristo avrebbe subito l’oppressione di Roma. I milleduecentosessanta anni della supremazia papale ebbero inizio nel 538 d. C., e sarebbero finiti nel 1978. Quel anno un esercito francese penetrò in Roma, fece prigioniero il papa e lo condusse in esilio, dove morì. Sebbene di lì a poco un nuovo pontefice venisse eletto, pure da allora il papato non è stato più capace di ristabilire la sua antica potenza. La persecuzione della chiesa non durò l’intero periodo dei milleduecentosessanta anni, perché Dio nella sua misericordia verso il suo popolo abbreviò il tempo della prova. Nel predire la “grande tribolazione” che la chiesa avrebbe conosciuto, il Salvatore dichiarò: “E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a cagione degli letti, quei giorni saranno abbreviati” Matteo 24:22. Per l’azione della Riforma, la persecuzione finì prima del 1798.

A proposito dei due testimoni, il profeta dichiara: “Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra” Apocalisse 11:4. “La tua parola”, dice il Salmista, “è una lampada al mio piè ed una luce sul mio sentiero” Salmo 119:105. I due testimoni rappresentano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento. Entrambe sono testimoni importanti dell’origine e della perpetuità della legge di Dio e del piano della salvezza. I tipi, i sacrifici, le profezie dell’Antico Testamento additano il Salvatore che doveva venire; gli evangeli e le epistole del Nuovo Testamento, a loro volta, parlano del Salvatore venuto esattamente nel modo predetto dai tipi e dai profeti.

<< Essi profeteranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio >> Apocalisse 11: 4. Durante la maggior parte di questo periodo, i testimoni di Dio rimasero nell’oscurità, in quanto il potere papale si sforzava di tenere celata al popolo la Parola della verità e di mettergli dinanzi dei falsi testimoni che ne contraddicessero la testimonianza. Quando la Bibbia fu proibita dalle autorità civili e religiose; quando la sua testimonianza fu pervertita e fu messo in atto ogni sforzo che uomini e demoni potessero escogitare per distogliere da essa la mente delle persone; quando chi amava la verità era perseguitato, tradito, torturato, sepolto in orride celle, martirizzato per la sua fede o costretto a fuggire su per i monti e a rifugiarsi nelle caverne, fu allora che i fedeli testimoni profetarono vestiti di sacco. In tali condizioni essi resero la loro testimonianza lungo l’arco dei milleduecentosessanta anni. Anche nelle ore più oscure si levarono uomini fedeli che avevano a cuore la Parola di Dio e l’onore dell’Altissimo.

A questi fedeli servitori fu data la saggezza, la forza e l’autorità necessarie per proclamare la verità durante tutto questo tempo. “E se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’ei sia ucciso in questa maniera” Apocalisse 11:5. Gli uomini non possono calpestare impunemente la Parola di Dio. Il significato di questa terribile denuncia viene espresso nel capitolo conclusivo dell’Apocalisse: “Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: Se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro; e se alcuno toglie qualcosa delle parole del libro di questa profezia, Iddio gli prenderà la sua parte dell’albero della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro” Apocalisse 22: 18,19.

Tali sono gli avvenimenti dati a Dio per mettere gli uomini in guardia contro la tendenza di cambiare in qualche modo ciò che Egli ha rivelato e comandato; essi si applicano a tutti coloro che con il loro influsso inducono gli uomini a considerare con la leggerezza la legge di Dio. Queste solenni dichiarazioni dovrebbero spingere al timore e al tremore quanti affermano che, in fondo, ubbidire o meno alla legge di Dio è cosa di scarsa importanza. Chiunque metta la propria opinione al di sopra della rivelazione divina, chiunque cerchi di mutare il chiaro significato della Scrittura per adattarlo alle proprie convenienze o per conformarsi al mondo, si addossa una tremenda responsabilità. La Parola scritta, la legge di Dio, sarà la misura del carattere di ognuno e condannerà tutti quelli che saranno stati trovati mancanti. “E quando avranno compiuta (staranno per compiere, traduzione letterale. N.d.T.) la loro testimonianza” Apocalisse 11:7. Il periodo durante il quale i due testimoni avrebbero testimoniato vestiti di cilicio doveva finire nel 1978.

Verso la fine della loro attività, esercitata nell’ombra, essi sarebbero stati combattuti dal potere rappresentato da “la bestia che sale dall’abisso”. In molte nazioni europee per secoli le autorità civili ed ecclesiastiche erano state sotto il controllo di Satana il quale, per il conseguimento dei suoi fini, si serviva del papato. Qui, ora, si assiste a una nuova manifestazione della potenza satanica.
Sotto l’apparenza di ossequio alla Bibbia, Roma aveva conservato il Libro di Dio in una lingua sconosciuta nascondendolo, così, al popolo. Ma ecco sopraggiungere un’altra potenza – la bestia che sale dall’abisso – per fare apertamente guerra alla Parola di Dio. La “grande città”, nelle cui strade furono uccisi i due testimoni e nelle quali giacquero i loro corpi morti, è chiamata spiritualmente Egitto. Di tutte le nazioni ricordate nel racconto biblico, l’Egitto è quella che più delle altre negò l’esistenza di Dio e resistette ai suoi ordini. Nessun monarca si avventurò in una ribellione più baldanzosa contro l’autorità celeste di quella del faraone di Egitto. Quando Mosè gli trasmise il messaggio di Dio, egli disse con orgoglio: “Chi è il Signore, che io ubbidisca alla sua voce, per lasciare andare Israele? Io non conosco il Signore, e anche non lascerò andare Israele!” Esodo 5:2 (D).

Questo è ateismo. Orbene, la nazione qui rappresentata dall’Egitto doveva anche essa ricusare di riconoscere le esigenze dell’Iddio vivente e manifestare un identico spirito di incredulità e di sfida. La << grande città >> è anche paragonata spiritualmente a Sodoma. La corruzione di Sodoma, che calpestò la legge di Dio, si espresse specialmente con la lussuria. Questo peccato doveva essere la caratteristica della nazione che avrebbe dimostrato di possedere i requisiti sopra indicati. Dalle parole del profeta appare che poco prima del 1798 una potenza di origine satanica si sarebbe levate per combattere la Bibbia, che è la parola del solo vero Dio.

Nel paese dove i due testimoni dovevano essere ridotti al silenzio, si sarebbe manifestato l’ateismo di Faraone e la lussuria di sodomia. Questa profezia si è adempiuta in maniera impressionante nella storia della Francia. Durante la Rivoluzione, nel 1793, << per la prima volta il mondo udì un’assemblea di uomini nati e cresciuti nella piena civiltà arrogarsi il diritto di governare una delle più nobili nazioni europee, levare la voce per negare la più solenne verità che l’anima umana possa conoscere, e rinunciare, unanimi, alla fede e all’adorazione della Deità >> Walter Scott, Life of Napoleon, vol. 1, cap. 17. << Fra tutte le nazioni del mondo delle quali si posseggono degli annali autentici, la Francia è l’unica che abbia osato levare la mano in aperta ribellione contro l’Autore dell’universo. È vero, sì, che bestemmiatori e atei ci sono sempre stati e tuttora ci sono in Inghilterra, in Germania, in Spagna e altrove; però è altrettanto vero che la Francia ci offre la visione di uno stato che per decreto della sua assemblea legislativa affermò la non esistenza di Dio e vide la maggioranza della sua popolazione, nella capitale e nelle altre città, accogliere l’annuncio con gioia e con danze >> Blackwood’s Magazine, Novembre 1870.

La Francia, inoltre, manifestò anche le caratteristiche di Sodoma. Durante la Rivoluzione ci furono immoralità e corruzione simili a quelle che provocarono la distruzione delle città della pianura. Lo stesso storico, nel narrare i fatti di quella epoca, presenta l’ateismo e la depravazione della Francia come la profezia aveva indicato: “In intima relazione con queste leggi contrarie alla religione, vi era quella che riduceva l’unione coniugale – che è l’impegno più sacro che l’uomo possa prendere e la cui permanenza conduce al consolidamento della società – alla stregua di un semplice contratto civile, di carattere transitorio, che ognuno dei due contraenti poteva stipulare o sciogliere a suo piacimento… Se dei nemici della società si fossero imposti il compito di attuare un sistema per distruggere tutto ciò che è bello, venerabile e duraturo nella vita domestica, perpetuandolo di generazione in generazione, non avrebbero potuto escogitare un piano più efficace di quello consistente nel porre il matrimonio a un così basso livello di degradazione… Sofia Arnoult, attrice famosa per il suo spirito, definì il matrimonio repubblicano “Il sacramento dell’adulterio” Scott, vol. 1, cap. 17. “Dove anche il Signor loro è stato crocifisso”.

Questa profezia si adempì in Francia. In nessun altro paese, infatti, si manifestò simile spirito di inimicizia contro Cristo. In nessun altro paese la verità incontrò tanta amara e crudele opposizione. Nella sua persecuzione contro i confessori del Vangelo, la Francia crocifisse Cristo nella persona dei suoi discepoli. Nel corso dei secoli il sangue dei santi è stato copiosamente sparso. Mentre i valdesi morivano sulle Alpi “per la Parola di Dio e per la testimonianza di Gesù”, altra testimonianza alla verità veniva data dai loro fratelli, gli albigesi di Francia. Ai tempi della Riforma, gli ugonotti erano stati uccisi dopo orribili torture. Il re e i nobili, le donne di alto lignaggio, le fragili e delicate fanciulle, orgoglio e vanto della nazione, erano stati testimoni dell’agonia dei martiri di Gesù. Battendosi per quei diritti che sono sacri al cuore umano, essi avevano sparso copiosamente il loro sangue.

I protestanti, considerati dei fuori legge sulle cui teste gravava una taglia, erano braccati come belve feroci. I pochi discendenti degli antichi cristiani che ancora esistevano in Francia nel diciottesimo secolo, conosciuti col nome di “Chiesa del deserto”, coltivavano la fede dei padri. Quanto di notte essi si avventuravano lungo i pendii dei monti o si dirigevano verso qualche luogo appartato per riunirsi e adorare Dio, venivano perseguitati dai dragoni, arrestati e condannati al carcere a vita. I più puri, i più nobili e intelligenti dei francesi furono messi in catene, mescolati con ladri e assassini, dopo essere stati oggetto di torture inaudite (vedi Wylie, vol. 22, cap. 6).

Altri, trattati meno ferocemente, furono uccisi a sangue freddo mentre, inermi e inoffensivi, pregavano in ginocchio. Centinaia di vecchi, donne e fanciulli innocenti vennero lasciati, uccisi, là dove si erano riuniti per celebrare il loro culto. Percorrendo i monti e i boschi dove in generale i protestanti si radunavano, non era raro incontrare “ogni quattro passi dei cadaveri stesi al suolo oppure appesi agli alberi”. Il paese, devastato dalla spada, dalla scure e dal rogo, “diventò un vasto e desolato deserto”. “Queste atrocità, lo si noti bene… non furono perpetrate nel fosco Medioevo, ma all’epoca brillante di Luigi XVI, epoca in cui si coltivava la scienza, fiorivano le lettere, e i teologi della corte e della capitale, dotti ed eloquenti, ostentavano grazia, mansuetudine e carità” Idem, vol. 22, cap. 7.

Ma la pagina più nera e più orribile che mai sia stata scritta nel corso dei secoli è quella relativa al massacro della notte di San Bartolomeo. Il mondo tuttora ricorda con brividi di orrore le scene di quella codarda e crudele carneficina. Il re di Francia, spinto dai prelati romani, diede la propria sanzione a quel eccidio spaventoso. Una campana, suonando a morto in piena notte, diede il segnale della strage. Migliaia di protestanti che dormivano tranquilli, fiduciosi dell’impegno di onore del re, furono presi e, senza profferir parola, trucidati a sangue freddo. Terrore e castigo in Francia.

Come Cristo fu l’invisibile condottiero d’Israele della schiavitù dell’Egitto alla libertà in terra di Canaan, così Satana fu l’invisibile capo che diresse questa spaventosa opera di sterminio. A Parigi la strage durò sette giorni, i primi tre dei quali furono caratterizzati da un inconcepibile furore. Essa non si limitò alla sola capitale. Per ordine speciale del sovrano, fu estesa a tutte le province e a tutte le città dove c’erano dei protestanti. Non ci fu rispetto alcuno né per il sesso, né per l’età. Nobili e plebei, vecchi e giovani, madri e figli vennero uccisi senza nessuna discriminazione. In tutta la Francia il massacro durò due mesi e i morti, il fior fiore della nazione, furono settantamila.

“Quando la notizia della strage giunse a Roma, l’esultanza del clero non conobbe limiti. Il cardinale di Lorena ricompensò il messaggero con un dono di mille corone; il cannone di Castel Sant’Angelo tuonò in segno di giubilo; le campane suonarono a stormo; innumerevoli fiaccolate mutarono la notte in giorno; papa Gregorio XIII, scortato dai cardinali e da altri dignitari ecclesiastici, si recò in processione alla chiesa di San Luigi, dove il cardinale di Lorena cantò il Te Deum… Fu coniata una medaglia a ricordo del massacro, e in Vaticano si possono tuttora vedere tre affreschi del Vasari: uno raffigura l’uccisione dell’ammiraglio Coligny; uno il re che col suo consiglio organizza la strage; uno che riproduce il massacro stesso. Gregorio inviò a Carlo, re di Francia, la rosa d’oro e quattro mesi più tardi… ascoltò, con vivo compiacimento, il sermone di un sacerdote francese… che illustrava quel giorno “pieno di gioia e di felicità”, in cui il “santissimo padre”, ricevuta la notizia, si era recato solennemente alla chiesa di San Luigi (dei Francesi N.d.T.) per ringraziare Iddio” Henry Whitw, The Massacre of St. Bartholomev, cap. 14, par. 34. Lo stesso spirito malefico che aveva spinto alla strage di San Bartolomeo, presidiò anche le scene della Rivoluzione.

Gesù Cristo fu da essa dichiarato “impostore”. Il grido degli atei: “Schiacciate l’infame!” alludeva a Cristo. Bestemmia e depravazione procedevano di pari passo, sì che degli uomini abietti, veri mostri di vizio e di perfidia, venivano esaltati e colmati di onori. In tutto ciò non si faceva che tributare un solenne omaggio a Satana, mentre Cristo nelle sue caratteristiche di verità, di purezza e di altruistico amore, veniva nuovamente crocifisso. “La bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà”. Il potere ateo che durante la Rivoluzione e il regno del Terrore dominò la Francia, fece una guerra senza precedenti a Dio e alla sua santa Parola. L’adorazione della Deità fu abolita dall’assemblea nazionale. Gli esemplari della Sacra Scrittura furono raccolti e dati pubblicamente alle fiamme fra grandi manifestazioni di disprezzo. La legge di Dio fu calpestata e le istituzioni bibliche vennero abolite.

Al giorno di riposo settimanale si sostituì la decade: ogni decimo giorno era consacrato alla gozzoviglia e alla bestemmia. Furono vietati il battesimo e la comunione; le iscrizioni funerarie sulle tombe definivano la morte come un sonno eterno. Il timore del Signore, che è il principio della sapienza, fu definito principio della pazzia. Venne inoltre abolito ogni culto, salvo, quello della libertà e della patria. “Il vescovo costituzionale di Parigi ebbe la parte principale in questa farsa che può essere a ragione definita la più imprudente e la più scandalosa che sia stata recitata da una rappresentanza nazionale… In piena processione, egli dichiarò dinanzi alla convenzione che la religione da lui insegnata per tanti anni era un’invenzione dei preti, senza nessuna base né nella storia né nella sacra verità. In termini espliciti e solenni, egli negò l’esistenza della Deità al cui culto era stato un tempo consacrato, e affermò che d’ora innanzi si sarebbe votato al culto della libertà, dell’uguaglianza, della virtù e della moralità. Ciò detto, depose le insegne sacerdotali e ricevette un abbracciò fraterno da parte del presidente della convenzione. Numerosi sacerdoti apostati imitarono il suo esempio” Scott, vol. 1, cap. 17.

E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentati gli abitanti della terra” Apocalisse 11:10. La Francia incredula aveva ridotto al silenzio la voce ammonitrice dei due testimoni di io. La Parola di Dio giaceva cadavere nelle strade quelli che odiavano le restrizioni e le esigenze della legge di Dio giubilavano. Gli uomini sfidavano pubblicamente il Re del cielo: “Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi sia conoscenza nell’Altissimo ?” Salmo 73:11. Con una sfrontatezza blasfema i limiti del credibile, uno dei sacerdoti del nuovo ordine dichiarò: “Dio, se esisti, rivendica il tuo nome che viene così ingiuriato. Io ti sfido! Tu taci e non osi scagliare i tuoi fulmini. Chi, dopo questo, potrà ancora credere alla tua esistenza ?” Lacretelle, History, vol. 2, p. 309; citato in A. Alison, in History of Europe,1, cap. 10. Sembra di udire le parole di Faraone: “Chi è l’Eterno, ch’io debba ubbidire alla sua voce ? Io non conosco l’Eterno”. “Lo stolto ha detto nel suo cuore: Non c’è Dio!” Salmo 14:1. Il Signore, parlando di quanti cercano di pervertire la sua verità, dice: “La loro stoltezza sarà manifestata a tutti” 2° Timoteo 3:9.

La Francia, dopo che ebbe rinunciato al culto dell’Iddio vivente, “l’Alto e l’Eccelso che abita l’eternità”, scivolò nella più abietta idolatria, celebrando il culto alla dea Ragione nella persona di una donna corrotta. E questo nell’assemblea rappresentativa della nazione e da parte delle autorità civili e legislative. Ricorda lo storico: “Una delle cerimonie di questo insano periodo si impone, senza tema di rivali, per la sua assurdità, oltre che per la sua empietà… Le porte della convenzione si spalancarono per lasciar entrare un gruppo di musicanti seguiti, in solenne processione, dai membri del consiglio municipale i quali cantavano un inno in onore della libertà e scortavano l’oggetto del loro futuro culto: una donna velata che essi chiamavano dea Ragione. Introdotta nel recinto, solennemente liberata dal velo che la copriva, ella prese posto alla destra del presidente. A questa donna, una danzatrice dell’Opera, considerata come il “migliore emblema” della Ragione, la convenzione nazionale di Francia tributò un pubblico omaggio. “Tale rito empio e ridicolo ebbe un seguito: l’insediamento della dea Ragione fu rinnovato e imitato in tutte quelle regioni francesi che ci tenevano a dimostrarsi all’altezza della Rivoluzione” Scott, vol. 1, cap. 17.

L’oratore che espose il culto della Ragione: i suoi occhi velati non potevano resistere al fulgore della luce. Oggi una immensa folla si è data convegno sotto queste gotiche volte che per la prima volta hanno fatto echeggiare la verità. Qui i francesi hanno celebrato il solo, vero culto: quello della Libertà e della Ragione. Qui noi abbiamo formulato voti agli idoli inanimati per la Ragione che è una immagine animata, capolavoro della natura” M. A. Thiers, History of the French Revolution, vol. 2, pp. 370,371. Quando la dea fu presentata alla convenzione, l’oratore la prese per mano e, rivolto all’assemblea, disse: “Mortali! Cessate di tremare dinanzi ai tuoni impotenti di un Dio creato dai vostri timori! D’ora innanzi voi non riconoscerete altra divinità che la Ragione. Io ve ne offro l’immagine più nobile e più pura. Se volete avere degli idoli, ebbene sacrificate solo a uno come questo!... Cadi, di fronte all’augusto Senato della Libertà, o velo della Ragione!”.

<< La dea, dopo abbracciata dal presidente, fu fatta salire su un magnifico carro e condotta, in mezzo a una immensa folla plaudente, alla cattedrale di Notre Dame per prendervi il posto della Deità. Qui ella fu insediata sopra l’altare maggiore e ricevette l’adorazione dei presenti >> Alison, vol. 1, cap. 10. Poco tempo dopo, la Bibbia fu pubblicamente bruciata. In una certa occasione la << Società popolare dei musei >> entrò in municipio gridando << Viva la Ragione! >> e sbandierando in cima a una pertica i resti semiarsi di vari libri fra i quali: breviari, messali, Antico e Nuovo Testamento, << che spiavano in un immenso falò >>, dichiarò il presidente, << tutte le follie che avevano fatto commettere al genere umano >> Journal de Paris, 1793, n. 318, citato da Buchez-Rroux, Collection of Parliamentary History, vol. 30 pp. 200,201.

L’ateismo completava l’opera iniziata dal papato. La politica di Roma aveva determinato le condizioni sociali, politiche e religiose che provocarono la rovina della Francia. Degli scrittori, alludendo agli orrori della Rivoluzione, dicono che simili eccessi vanno attribuiti al trono e alla chiesa. Per un sereno criterio di giustizia dobbiamo dire che in realtà essi vanno messi sul conto della chiesa. Il papato, purtroppo, aveva avvelenato le menti dei re contro la Riforma, definita nemica del trono, elemento di discordia, fatale alla pace e alla buona armonia del paese. Fu Roma, perciò, a ispirare le crudeltà più inaudite e l’oppressione più pesante da parte della monarchia.

Lo spirito di libertà si era affermato con la Bibbia. Dovunque il Vangelo veniva accolto, le menti si svegliavano, gli uomini infrangevano i ceppi che li avevano tenuti così a lungo schiavi dell’ignoranza, del vizio e della superstizione, e cominciavano a pensare e ad agire da uomini. I sovrani se ne resero conto e tremarono per il dispotismo di cui si erano resi colpevoli. Roma, però, non trascurò di alimentare i loro gelosi timori. Parlando al reggente di Francia, nel 1525, il papa disse: “Questa mania risulta fatale anche ai principati, alle nobiltà, alle leggi, agli ordini religiosi e alle classi sociali” G. De Felice, History of the Protestants of France, vol. 1, cap. 2, par. 8. Alcuni anni più tardi un nunzio pontificio avvertì il re di Francia: “Sire, non si lasci ingannare: i protestanti sconvolgeranno ogni ordine civile e religioso… Il trono corre lo stesso pericolo dell’altare… L’introduzione di una nuova religione dovrà necessariamente produrre un nuovo governo” D’Aubigné, History of the Reformation in Europe in the Time of Calvin, vol. 1, cap. 36.

I teologi facevano appello ai pregiudizi della gente affermando che la dottrina protestante “porta gli uomini alla novità e alla follia, deruba i re dell’affetto dei loro sudditi e devasta sia la chiesa che lo stato”. Fu così che Roma riuscì ad aizzare la Francia contro la Riforma. La spada della persecuzione fu sguainata in Francia, per la prima volta per sostenere il trono, proteggere la nobiltà e mantenere le leggi” Wylie, vol. 13, cap. 4. I capi di governo non si rendevano conto delle conseguenze di questa loro fatale politica. Gli insegnamenti della Bibbia avrebbero inculcato nelle menti e nei cuori del popolo i principi di giustizia, di temperanza, di verità, di equità e di benevolenza che stanno alla base della prosperità nazionale. “La giustizia innalza una nazione” Proverbi 14:34. “Il trono è reso stabile con la giustizia” Proverbi 16:12. “E ciò che la giustizia opererà sarà riposo e sicurezza, in perpetuo” Isaia 32:17 (D).

Chi ubbidisce alla legge divina, è automaticamente portato al rispetto delle leggi del paese e dall’ubbidienza di esse. Chi teme Dio onorerà il re nell’esercizio della sua autorità giusta e legittima. Sfortunatamente, la Francia vietò la Bibbia e ne proscrisse i suoi discepoli. Secolo dopo secolo, molti uomini integri, coscienziosi, ricchi di vigore intellettuale e morale, che avevano il coraggio delle proprie opinioni e la fede che permette di soffrire qualunque cosa per amore della verità, furono incatenati sulle galere, arsi sul rogo, lasciati marcire in orride celle. Migliaia e migliaia di altri trovarono scampo nella fuga, e la cosa durò per oltre duecentocinquanta anni dopo l’inizio della Riforma. “Forse non c’è stata una sola generazione in Francia, durante questo lungo periodo di tempo, che non abbia visto i discepoli del Vangelo fuggire dinanzi alla furia violenta dei loro persecutori.

Portando seco le arti, le industrie (nelle quali eccellevano), l’intelligenza che li caratterizzava, lo spirito di ordine al quale erano abituati, andarono ad arricchire i paesi che offrirono loro asilo, a detrimento di quello che li metteva al bando. Se tutto ciò che fu portato via fosse rimasto; se durante questi tre secoli la mano abile di questi esuli avesse coltivato il suolo nativo; se i loro talenti industriali avessero dato incremento alle officine; se il loro genio creativo e le loro capacità analitiche avessero arricchito la letteratura e curato le scienze; se la loro ben nota saggezza avesse diretto i consigli; se la loro equità avesse diretto i consigli; se la loro equità avesse collaborato alla redazione delle leggi: se la religione della Parola di Dio, l’Evangelo, avesse fortificato l’intelletto e guidato la coscienza del popolo, quanto grande sarebbe stata la gloria della Francia! (Naturalmente la parola dei vescovi, cardinali, papi, preti e frati cattolici, non è la Parola di Dio) Che paese grande, prospero, felice – vero modello dei popoli – sarebbe attualmente!

“Purtroppo, un cieco e inescusabile bigottismo bandì dal suolo i predicatori della virtù, i campioni dell’ordine, i veri sostenitori del trono. Esso diceva agli uomini che avrebbero potuto dare alla Francia la fama e la gloria: Avete la scelta: o il rogo o l’esilio! Alla fine il paese conobbe una rovina totale: in esso non ci fu più nessuna coscienza da proscrivere, nessuna religione da trascinare sul rogo, nessun patriottismo da mandare in esilio” Wylie, vol. 13, cap. 20. La conseguenza fu la Rivoluzione con tutti i suoi orrori. “Con la partenza degli ugonotti, la Francia conobbe un declino generale. Fiorenti città industriali caddero a poco a poco in decadenza; zone fertili finirono col piombare in uno stato di quasi totale abbandono; ad un periodo di progresso subentrò il marasma intellettuale seguito dal collasso morale. Parigi fu trasformata in una vera e propria “casa di beneficenza”. Si stima, infatti, che all’inizio della Rivoluzione duecentomila poveri venivano mantenuti con i sussidi della casa reale.

Solo i gesuiti prosperavano in questa nazione, ormai in preda alla crisi, e dominavano con vera tirannia nelle scuole, nelle chiese, nelle prigioni e nelle galere”. Il Vangelo avrebbe recato alla Francia la soluzione di quei problemi di ordine sociale e politico che sfidavano l’abilità del suo clero, del suo re, dei suoi legislatori e che dovevano finire col trascinare il paese all’anarchia e alla rovina. Sotto il dominio di Roma, il popolo aveva dimenticato l’altruismo e l’amor fraterno. Il ricco non veniva rimproverato per l’oppressione del povero, e il povero, a sua volta, era totalmente abbandonato al suo stato di servitù e di degradazione. In tal modo l’egoismo dei ricchi e dei potenti andò gradatamente aumentando fino a diventare addirittura oppressivo. Per secoli l’ingordigia e la dissipazione dei nobili si erano concretizzate in sistematiche estorsioni sui contadini. Le conseguenze erano ora palesi: i poveri odiavano i ricchi e questi sfruttavano i poveri. In molte province le terre appartenevano ai nobili, i quali si servivano della mano d’opera delle classi lavoratrici.

I latifondisti, perciò, dettavano legge, e i loro dipendenti erano costretti a soggiacere alle loro esorbitanti pretese. Il peso derivante dal dover mantenere sia lo stato oggetto di balzelli da parte delle autorità civili e religiose. “Il beneplacito dei nobili era considerato legge suprema; se gli agricoltori morivano di fame, in fondo nessuno se ne curava… La precedenza assoluta era data agli interessi dei proprietari, per cui ogni altra considerazione passava in secondo piano. La vita degli agricoltori era fatta di incessante lavoro e di immutabile povertà. I loro lamenti venivano accolti con insolenti sarcasmi. Perfino le corti di giustizia davano invariabilmente ragione ai nobili, in quanto gli stessi giudici si lasciavano corrompere e appagavano i capricci degli aristocratici in virtù di questo sistema di generale corruzione… Del denaro strappato al popolo mediante le imposte, solo una parte affluiva nelle casse reali o vescovili; il resto veniva sprecato in dissoluta intemperanza. Coloro che, in tal modo, riducevano alla miseria i loro simili, erano esenti da tasse; e per legge o per consuetudine avevano accesso a tutte le cariche dello stato. Le classi privilegiate contavano circa centocinquantamila membri, e per provvedere alla loro prodigalità, milioni di persone erano condannate a una vita di stenti che sembrava non dovesse conoscere nessuna via di uscita”. La corte viveva nel lusso e nella dissipazione.

La sfiducia esistente fra popolo e governanti faceva sì che ogni provvedimento del governo fosse accolto con diffidenza. Per ben capire le cose bisogna ricordare che prima della Rivoluzione, per oltre mezzo secolo, il trono era stato occupato da Luigi XV, noto per la sua debolezza, la sua frivolezza e la sua sensualità. Con un’aristocrazia depravata e crudele, con una popolazione ignorante e ridotta alla miseria, lo stato si trovava in serie difficoltà economiche. I sudditi erano esasperati, e non occorreva possedere occhio profetico per prevedere una catastrofe a breve scadenza. Agli avvertimenti dei consiglieri, il re soleva rispondere: “Cercate di fare in modo che le cose vadano avanti finché io vivo: dopo la mia morte sarà quel che sarà”. Invano si cercava di mettere in risalto la necessità di una riforma: egli vedeva benissimo i mali che affliggevano la nazione, però gli mancavano le forze e il coraggio di porvi rimedio. La Francia, perciò, era minacciata da un fato che lo stesso sovrano, senza volerlo, definì molto bene quando disse: “ Dopo di me il diluvio!”.

Sfruttando la gelosia dei re e delle classi dirigenti, Roma aveva indotto gli uni e le altre a tenere il popolo in uno stato di servitù, sapendo che in tal modo lo stato si sarebbe indebolito. Questo, essa pensava, avrebbe contribuito a rafforzare ancora di più la sua autorità sulle nazioni. Con una politica lungimirante, Roma sapeva che per poter asservire gli uomini bisogna incatenare le anime; e che il mezzo più efficace per impedir loro di sottrarsi alla servitù consisteva nel renderli incapaci di libertà. La degradazione morale derivante da tale politica era mille volte più terribile delle sofferenze fisiche da essa provocate. Privati della Bibbia, abbandonati a un insegnamento che era un tessuto di bigottismo e di fanatismo, il popolo giaceva immerso nell’ignoranza e nella superstiziose, preda del vizio e incapace di autogovernarsi. Però le conseguenze di tale stato di cose furono diverse da quelle previste da Roma. Apparve ben presto evidente che le masse, anziché rimanere ciecamente sottomesse ai dogmi romani, diventavano sempre di più incredule e rivoluzionarie.

Il Romanesimo era disprezzato come clericalismo, e il clero, a sua volta, considerato come un incentivo all’oppressione e come alleato degli oppressori. Il solo dio e la sola religione conosciuta erano il dio e l’insegnamento di Roma, la cui avarizia e ingordigia erano ritenuti i frutti legittimi del Vangelo che, perciò, finiva con l’essere messo al bando di tutti. Roma aveva travisato il carattere di Dio e pervertito le sue esigenze, sì che gli uomini avevano finito col rigettare la Bibbia e il suo Autore. Essa aveva chiesto una fede cieca ai suoi dogmi, con la pretesa che essi erano sanzionati dalle Scritture. Per reazione, Voltaire e i suoi colleghi avevano messo da parte la Parola di Dio e diffondevano ovunque il veleno dell’incredulità. Roma aveva schiacciato il popolo sotto il suo tallone di ferro; e ora le masse, degradate e abbrutite, assetate di libertà, spezzavano ogni freno. Furenti di avere tanto a lungo tributato omaggio a un inganno attraente, non volevano più saperne né della verità, né della falsità.

Scambiando la licenza per libertà, gli schiavi del vizio esultavano della loro presunta indipendenza. All’inizio della rivoluzione, per concessione reale il popolo aveva ottenuto, presso gli stati generali, una rappresentanza numericamente superiore a quella costituita dal clero e dalla nobiltà riuniti. In tal modo, il piatto della bilancia del potere aveva finito col pendere dalla sua parte. Il popolo, però, non era preparato a farne un uso savio e moderato. Nella sua ansia di riparare i torti subiti, esso decise di intraprendere la ricostruzione della società. Un popolazzo, inasprito dall’amaro ricordo delle ingiustizie patite, decise di rivoluzionare lo stato di povertà che si era andato progressivamente stabilendo e di vendicarsi di quanti erano considerati gli autori responsabili delle passate sofferenze. In tal modo gli oppressi, applicando le lezioni apprese sotto la tirannia, divennero a loro volta oppressori di coloro che li avevano precedentemente soggiogati.

La Francia raccolse nel sangue la messe di quello che aveva seminato, e terribili furono le conseguenze della sua passata sottomissione al giogo romano. Là dove, per l’influsso di Roma, era stato acceso il primo rogo all’inizio della Riforma, la Rivoluzione vi innalzò la prima ghigliottina. Sullo stesso luogo in cui nel sedicesimo secolo erano stati arsi i primi martiri della fede protestante, si ebbero le prime vittime ghigliottinate del diciottesimo secolo. Nel rigettare la Parola di Dio, la Sacra Scrittura, la Bibbia, l’Evangelo, che avrebbe assicurato la sua guarigione, la Francia aveva aperto la porta all’incredulità e alla rovina. Dove erano state disprezzate le legittime restrizioni della legge di Dio, ci si accorse che le leggi umane erano incapaci di tenere freno l’ondata delle passioni popolari, e la nazione precipitò nella ribellione e nell’anarchia. La guerra alla Bibbia inaugurò un’era che il mondo tuttora ricorda col il nome di Regno del Terrore. La pace e la felicità furono bandite dai focolari e dai cuori; nessuno si sentiva al sicuro, perché il trionfatore di oggi poteva essere domani sospettato e condannato a morte. La violenza e la lussuria regnavano incontrastate. Il re, il clero e la nobiltà furono costretti a subire le atrocità di un popolo reso pazzo dal furore.

La decapitazione del re servì solo a stimolare ancor più la sete di vendetta dei francesi, e così coloro che ne avevano decretata la morte anch’essi ghigliottinati. Una spaventosa carneficina spazzò via tutti quelli che erano sospettati di ostilità verso la Rivoluzione. Le prigioni erano affollate, tanto che a un certo momento i carcerati furono oltre duecentomila. Le città del regno erano teatro di scene orribili. I veri patiti rivoluzionari si combattevano fra loro, e la Francia finì col diventare un immenso campo di battaglia fra masse in continua lotta, sospinte dal fuoco delle loro violente passioni. << A Parigi i tumulti si susseguivano e i cittadini erano suddivisi in una lunga teoria di fazioni che sembravano avere come unico scopo quello di annientarsi a vicenda >>. Per mettere il colmo a questa angosciosa situazione, il paese fu coinvolto in una lunga e disastrosa guerra contro le grandi potenze europee. << La nazione venne a trovarsi sull’orlo del fallimento. Gli eserciti reclamavano il loro saldo arretrato; i parigini erano ridotti alla fame e le province devastate da bande di briganti. Pareva che la civiltà dovesse estinguersi, vittima dell’anarchia e della depravazione >>.

Il popolo aveva assimilato fin troppo bene le lezioni di crudeltà e di tortura che Roma aveva impartito con tanta diligenza, e ora che era giunto il giorno della retribuzione, non erano più i discepoli di Cristo a essere gettati in prigione o trascinati sul patibolo, in quanto ormai da tempo essi o erano morti e se n’erano andati in esilio. Toccava ora a Roma provare tutta la micidiale violenza di coloro che essa aveva addestrati a commettere fatti di sangue. << L’esempio di persecuzione dato dal clero di Francia per tanti secoli si ritorceva su di esso con inaudito rigore: i patiboli erano arrossati dal sangue dei preti; le galere e le carceri, un tempo gremite di Ugonotti, erano ora piene dei loro persecutori. Incatenati al banco, affaticandosi sui remi, i membri del clero romano sperimentavano tutta la severità delle pene che un tempo essi avevano inflitte ai mansueti eretici >>.

<< Vennero poi i giorni nei quali il più barbaro dei tribunali applicò il più barbaro dei codici; i giorni nei quali nessuno poteva salutare il proprio vicino o dire le proprie preghiere… senza correre il rischio di essere accusato di delitto capitale; i giorni nei quali le spie erano sempre in agguato a ogni angolo, mentre la ghigliottina era all’opera fin dal mattino; i giorni nei quali le fogne di Parigi vomitavano fiumi di sangue nella Senna… Mentre quotidianamente le carrette cariche di vittime percorrevano le vie di Parigi, i proconsoli mandati dal Comitato di Salute Pubblica nei vari dipartimenti davano prova di una crudeltà ignota perfino nella capitale. La lama della macchina micidiale saliva e scendeva troppo lentamente per espletare in pieno la sua opera di sterminio; lunghe file di prigionieri, perciò, venivano falciati dalla mitraglia, mentre per gli annegamenti in massa si ricorreva a imbarcazioni col fondo forato. Lione diventò un deserto; ad Arras fu negata ai prigionieri perfino la crudele misericordia di una morte rapida. Lungo la Loira, da Saumur al mare, folti gruppi di corvi e di avvoltoi si cibavano di cadaveri nudi, orrendamente confusi in spasmodici abbracci. Non esisteva misericordia né per il sesso, né per l’età. Ragazzi e ragazze al di sotto dei diciassette anni furono immolati a centinaia. I giacobini si lanciavano l’uno all’altro, con la punta aguzza delle loro picche, dei neonati strappati al seno materno >>.

Nel breve volgere di dieci anni, intere moltitudini di esseri umani perirono di morte violenta. Tutto ciò corrispondeva al piano di Satana e agli scopi da lui perseguiti attraverso i secoli. La sua politica si basa sull’inganno, e la sua mèta è di opprimere il genere umano sotto il peso di tutti i mali; di deformare e contaminare l’opera di Dio; di osteggiare il divino piano di bontà e di amore; di contristare il cielo. Per le sue arti seduttrici, egli riesce a confondere le menti degli uomini e a provocare il risentimento contro Dio, che viene ritenuto responsabile di quello che accade, come se ciò fosse il risultato naturale del piano creativo dell’Altissimo. Quando poi coloro che sono stati avviliti e abbrutiti dal suo potere crudele conquistano la libertà, egli spinge a commettere eccessi e atrocità che i tiranni e gli oppressori definiscono come conseguenza della libertà.

Allorché l’errore è smascherato sotto una delle sue forme, Satana ricorre ad altri camuffamenti, affinché le moltitudini lo accettino con lo stesso favore di prima. Vedendo che il Romanesimo era stato smascherato e che, per conseguenza, non poteva più servirsene per indurre il mondo e a trasgredire le leggi divine, Satana fece credere che tutta la religione fosse menzognera e che la Bibbia fosse una favola. Le masse, allora, rigettarono gli statuti divini e si abbandonarono a una sfrenata iniquità. L’errore fatale che attirò sulla Francia tante calamità derivò dall’ignoranza di questa grande verità: la vera libertà si trova nell’ubbidienza alla legge di Dio. << Oh, avessi tu pure atteso a’ miei comandamenti! La tua pace sarebbe stata come un fiume, e la tua giustizia come le onde del mare… Non vi è alcuna pace per gli empi, ha detto il Signore >> Isaia 48:18,22(D).

<< Ma chi mi ascolta abiterà in sicurtà e viverà in riposo, fuor di spavento di male >>Proverbi 1:33 (D). Gli atei, gli increduli e gli apostati respingono e combattono la legge di Dio, ma i risultati dimostrano che il benessere umano dipende dall’ubbidienza agli statuti divini. Coloro che non leggono le lezioni insegnate dal Libro di Dio le leggeremo, poi, nella storia dell’umanità. Quando Satana si serviva della chiesa di Roma per distogliere gli uomini dall’ubbidienza a Dio, agiva nell’ombra affinché la sua opera nascosta, la degradazione e la miseria morale non fossero riconosciute come frutto della trasgressione. La sua potenza però, era ostacolata dallo Spirito di Dio, e così egli non riuscì a mandare in pieno e a effetto i suoi propositi. La gente non seppe risalire dagli effetti alla causa, e quindi non riuscì a scoprire quale fosse la fonte dei suoi mali. Però alla Rivoluzione la legge di Dio venne apertamente posta al bando dall’Assemblea Nazionale, e durante il Regno del Terrore ognuno poté stabilire il rapporto che intercorreva tra la causa e gli effetti. Quando la Francia pubblicamente rigettò Iddio e mise al bando la Bibbia, gli empi esultarono perché avevano raggiunto il loro scopo: un regno svincolato dalle restrizioni della legge divina. << Siccome la sentenza contro una mala azione non si eseguisce prontamente, il cuore dei figliuoli degli uomini è pieno della voglia di fare il male >> Ecclesiaste 8:11.

Nondimeno la trasgressione di una legge giusta non può non provocare disordini e rovina, e il castigo – anche se non segue immediatamente la trasgressione – è sicuro. Secoli di apostasia e di crimini avevano accumulato un tesoro d’ira per il giorno della retribuzione, sì che quando l’iniquità giunse al colmo, gli schernitori di Dio si accorsero, troppo tardi, che è cosa spaventevole mettere a dura prova la pazienza dell’Eterno. Il potere mitigatore dello Spirito di Dio, che arginava l’azione crudele di Satana, fu parzialmente rimosso, e così colui che si diletta nelle sventure degli uomini poté operare a suo piacimento. Chi aveva scelto la ribellione ne raccolse il frutto, e il paese fu pieno di delitti troppo orribili per poterli descrivere. Alle province devastate e dalle città in rovina salì un grido di amare ambascia. La Francia fu scossa come da un terremoto. Religione, legge, ordine sociale, famiglia, stato chiesa: tutto fu abbattuto dall’empia mano che si era levata contro le leggi dell’Onnipotente. Giustamente il Savio aveva detto: “L’empio cade per la sua empietà”.

“Quantunque il peccatore faccia cento volte il male e pur prolunghi i suoi giorni, pure io so che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore nel suo cospetto”. “Il bene non sarà per l’empio” Proverbi 11:5; Ecclesiate 8:12. “Perciocché hanno odiata la scienza, e non hanno eletto il timor del Signore… Perciò, mangeranno del frutto delle loro vie, e saranno saziati dei loro consigli” Proverbi 1:29,31 (D). Sebbene immolati dal potere blasfemo che “sale dall’abisso”, i testimoni di Dio non dovevano rimanere a lungo silenziosi. “E in capo di tre giorni e mezzo, lo Spirito della vita, procedente da Dio, entrò in loro, e si rizzarono in piè, e grande spavento cadde sopra quelli che li videro” Apocalisse 11:11 (D). Nel 1793, l’assemblea francese emanò un decreto che aboliva la religione cristiana e metteva la Bibbia al bando. Tre anni e mezzo più tardi, una delibera della stessa assemblea nazionale annullò tale decreto, dichiarando che le Sacre Scritture erano tollerate. Il mondo, sgomento dinanzi all’enormità delle colpe derivanti dal rigetto dei sacri oracoli, riconosceva la necessità della fede in Dio e nella sua Parola come fondamento della virtù e della moralità.

Sta scritto: “Chi hai tu insultato e oltraggiato? Contro chi hai tu alzata la voce e levati in alto gli occhi tuoi? Contro il Santo d’Israele.” Isaia 37:23. “Perciò, ecco… questa volta farò loro conoscere la mia mano e la mia potenza; e sapranno che il mio nome è l’Eterno” Geremia 16:21. Riguardo ai due testimoni, il profeta aggiunge: “Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro” Apocalisse 11:12. Dacché la Francia ha fatto guerra ai due testimoni di Dio, questi sono stati onorati più che mai. Nel 1804 nacque la Società Biblica Britannica e Forestiera, seguita poi da altre organizzazioni consimili in tutta l’Europa.

Nel 1816 fu fondata la Società Biblica Americana. Quando venne organizzata la Società Biblica Britannica, le Sacre Scritture erano stampate in cinquanta lingue; oggi esse lo sono in centinaia e centinaia di lingue e dialetti. Ne corso dei cinquanta anni che precedettero il 1792, ben scarsa attenzione era stata data alle missioni estere. Nessuna nuova società era stata fondata, e poche erano le chiese che compivano qualche sforzo per la diffusione del cristianesimo in terra pagana. Verso la fine del diciottesimo secolo si verificò un notevole cambiamento. Gli uomini, per nulla soddisfatti del razionalismo, si rendevano conto della necessità di una rivelazione divina e di una religione sperimentale. Da allora l’opera delle missioni ebbe uno sviluppo senza precedenti.

I progressi effettuati nel campo della stampa diedero un nuovo impulso alla diffusione della Bibbia. Le accresciute facilitazioni nelle comunicazioni fra i paesi, la scomparsa delle vecchie barriere di pregiudizi e di esclusivismo nazionalistico, la caduta del potere temporale dei pontefici romani spalancarono le porte alla Parola di Dio. Sono anni ormai che la Bibbia viene venduta senza alcuna restrizione nelle vie di Roma, ed essa va sempre più diffondendosi nelle religioni abitate del mondo. Lo scettico Voltaire una volta ebbe a dire, con baldanzosa presunzione: “Sono stanco di sentire che dodici uomini hanno stabilito la religione cristiana. Io dimostrerò che un solo uomo è sufficientemente per abbatterla”. Voltaire è morto da circa due secoli [morì nel 1778], e da allora milioni di uomini hanno fatto, come lui, guerra alla Bibbia. Tutti i loro tentativi sono risultati vani. Là dove al tempo di Voltaire forse si contavano cento copie della Bibbia, oggi ce ne sono diecimila; che dico? centomila! Ripeteremo qui le parole di un riformatore: “La Bibbia è un’incudine che ha consumato molti martelli!”. Il Signore afferma: “Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà; e ogni lingua che sorgerà in giudizio contro di te, tu la condannerai” Isaia 54:17. “La parola del nostro Dio sussiste in eterno” Isaia 40:8. “Le opere delle sue mani sono verità e con dirittura” Salmo 111:7,8. Tutto ciò che si basa sull’autorità dell’uomo sarà abbattuto, mentre quello che si fonda sulla roccia dell’immutabile Parola di Dio dimora eternamente.

 

ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ NEL NUOVO MONDO.
I riformatori inglesi, pur abbandonando la religione romana, avevano conservate molte delle sue forme. Così, quantunque l’autorità e il credo di Roma fossero stati respinti, si notavano nella chiesa anglicana non pochi dei suoi costumi e delle sue cerimonie. Si riteneva che tali cose non avessero nulla a che fare con la coscienza e che, anche se non ordinate nelle Scritture, non erano neppure proibite; perciò non potevano essere considerate perniciose, in quanto non essenziali. La loro osservanza, del resto, contribuiva a ridurre la distanza fra le chiese riformate e Roma, il che poteva agevolare ai cattolici romani l’accettazione della fede riformata. Ai conservatori e agli opportuni tali argomenti apparivano conclusivi; però vi era un’altra categoria di persone che non la pensava così. Il fatto che questi costumi “tendevano a diminuire la distanza fra Roma e la Riforma” Martyn, vol. 5, p. 22, non era secondo loro un valido argomento per continuare a praticarli. Anzi stimavano addirittura che essi costituissero la prova della schiavitù dalla quale si erano liberate e nella quale non intendevano assolutamente ritornare. Dicevano che Dio nella sua Parola ha stabilito i requisiti del culto che gli è dovuto, e che gli uomini, perciò, non hanno alcun diritto di aggiungere o di togliere niente.

L’inizio della grande apostasia era stata proprio questa tendenza a sostituire l’autorità della chiesa all’autorità di Dio. Roma aveva cominciato con l’imporre quello che Dio non proibiva, e aveva finito col vietare ciò che Dio espressamente comanda. Molti, i quali desideravano ardentemente un ritorno alla purezza e alla semplicità che avevano caratterizzato la chiesa primitiva, e consideravano tanti costumi della chiesa anglicana veri e propri monumenti eretti all’idolatria, in coscienza non potevano unirsi al suo culto.

La chiesa però, sostenuta dalle autorità civili, non consentiva nessuna deviazione dalle forme da essa stabilite. La partecipazione alle sue funzioni era imposta per legge, e le riunioni di carattere religioso non autorizzate erano vietate sotto pena di carcere, di esilio e perfino di morte. All’inizio del diciassettesimo secolo, il monarca asceso al trono d’Inghilterra manifestò la decisione di indurre i puritani a “conformarsi… sotto pena di esilio o di qualcosa di peggio” Gorge Bancroft, History of the United States of America, parte I, cap. 12, par. 6. Braccati, perseguitati, gettati in carcere, essi non vedevano nessuna prospettiva di giorni migliori, e molti si convinsero che “l’Inghilterra non era più abitabile per chi intendeva servire Iddio secondo la propria coscienza” J. G. Palfrey, History of the New England, cap. 3, par. 43. Alcuni perciò decisero di cercare rifugio in Olanda.

Nonostante le difficoltà, le perdite materiali, i tradimenti e altre non piccole contrarietà, essi perseverarono, finirono col trionfare di ogni ostacolo e raggiunsero felicemente le rive ospitali della repubblica olandese. Fuggendo, dovettero abbandonare case, beni e mezzi di sussistenza. Stranieri, in un paese sconosciuto, in mezzo a un popolo di lingua e costumi differenti dai loro, per guadagnarsi da vivere furono costretti a svolgere un’attività totalmente diversa da quella svolta fino allora. Uomini di mezza età, che avevano trascorso la vita coltivando il suolo, dovettero imparare un nuovo mestiere; però seppero accettare la situazione senza rimpianti o recriminazioni. Sebbene spesso ridotti alla povertà, ringraziavano Dio per i benefici di cui godevano, e si rallegravano di poter praticare liberamente la loro fede. “Sapevano di essere dei pellegrini e perciò non si preoccupavano di certe cose; alzavano gli occhi al cielo, verso la loro patria diletta, e si sentivano consolati” Bancroft, Idem, parte I, cap. 12, par. 15.


PARALELLISMO STORICO E CRONOLOGICO DELLE VISIONI DI APOCALISSE.
| Secolo …………| Le sette …………| I sette ……………| Le sette Trombe | Le tre Bestie e i tre…|
| dell’era Cristiana | .lettere Cap. 1a3 | Sigilli Cap. 4a7 ….| Cap. 8a11…….| messaggi Cap. 2a14 ..|
| I° Secolo ………| EFESO …………| Cavallo bianco ….| Cap. 8,9 ……….| ……………..……|
| ……….………..| (desiderabile) ……| Chiesa Apostolica | I°. II°. III°. IV°…| IL DRAGONE…| |II° e III° Secolo .| SMIRNE ……….| Cavallo rosso ……| TROMBE ……..| LE DIECI …………|
| …………………| (amarezza) ……..| (persecuzione) ……| VISIGOTI 400 .| CORNA O ROMA .|
| …………………| …………………..| inizio apostasia …..| VANDALI 429 .| IMPERIALE…….|
| IV° e V° Secolo .| PERGAMO …….| Cavallo nero la …..| UNNI ……451..| …(Cap. 12) ……...|
| …………………| (elevazione) …….| Chiesa si unisce ….| ERULI …..476..| ……………………|
| …………………| …………………..| allo stato …………| …………………| …………………..|
| dal VI° al XVI°..| TIATIRI (incenso.| Cavallo giallo ……| V° TROMBA …| LA BESTIA A….|
| SECOLO ………| pestato consuma=.| apostata la Chiesa ..| Saraceni o Arabi.| DIECI CORNA.|
|………………….| zione delle vittime)| perseguitata durante | 630-700 ………| o Roma papale …|
|………………….| …………………..| i 1260 anni ………..| …………………| erede dell’Impero |
| XVI°- XVII° …..| SARDI ………….| Le anime sull’altare.| VI° TROMBA…| (Cap. 13:1-10)…..|
| XVIII° …………| (canto di gioia)….| La riforma ……….| I Turchi ottomani .| O mare di petrolio |
| SECOLO……….| …………………..| ……………………| 1449-1840 ……..|……IRAQ…….|
| XIX° ……….…..| FILADELFIA…..| I segni della fine …| Il piccolo libro ….| LA BESTIA A ..|
| SECOLO ………| (amore dei ………| nel cielo e sulla ….| aperto (Cap. 10)…| DUE CORNA…|
|………………….| . fratelli)…………| terra……………….| I DUE Testimoni..| STATI UNITI…|
| …………………| …………………..| ……………………| (Cap. 11:1-14)…..| D’AMERICA…|
| …………………| …………………..| ……………………| …………………..| (Cap.13-11-18).|
| XX° ……………| LAODICEA…….| 144.000 segnati …..| …………………..| Il grido dei tre ..|
| SECOLO ………| (popolo giusto)….| ……………………| …………………..| angeli ...............|
| ............................| .........................….| Silenzio nel cielo …| …………………..| Cap. 14:1-13….|
|………………….| …………………..| …………………….| …………………..| Mietitura e….|
|………………….| …………………..| …………………….| VII° TROMBA.…| vendemmia …..|
|………………….| …………………..| …………………….| (Cap. 11:15-19)…| (Cap.14:14-20).|
| FINE DEL TEMPO DI GRAZIA..………………………………..| I mari che sorgono dalla terra,
| I sette flagelli (Cap. 15-16) – Il giudizio di Babilonia (Cap.17-18).| sono il petrolio ?
| Il re dei re appare (Cap. 19) ……(o Cristo o Satana, scegli)…….. | Nuova terra e nuovi cieli, si va
| Il giudizio millenario universale (Cap. 20) ………………………..| su marte ?
| La nuova terra – La nuova Gerusalemme (Cap. 21,22)……………| Noi dobbiamo scegliere se star
| L’ETERNITA’, AMEN……………………………………………| con il bene o con il male.

UN CONFRONTO TRA LA BIBBIA E LA VERSIONE INGANNATRICE DELLA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO

LA SACRA BIBBIA_______________LA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO

 

I Quattro Pericoli dell'Organizzazione dei Testimoni di Geova


I Testimoni di Geova dichiarano di essere l’unico vero gruppo cristiano nel mondo intero. Essi affermano che tutte le altre chiese, Cattolici o Protestanti che siano, insegnano false dottrine e che coloro che non sono Testimoni di Geova saranno distrutti da Dio. Comunque, i fatti dimostrano che questa organizzazione è una setta ingannatrice. Qui sotto elenchiamo quattro motivi per cui bisognerebbe evitarli.


1. I Testimoni di Geova rifiutano gli insegnamenti centrali della Bibbia.
I Testimoni di Geova negano che Gesù Cristo è Dio. Essi insegnano che Gesù Cristo è un angelo creato da Dio.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che Gesù Cristo, il Figlio è Dio. Per esempio, Ebrei 1:8 dice: “parlando del Figlio dice: “Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo...”. Inoltre tanti altri versetti parlano di questo, vedi: Giovanni 1:1, 1:14, 20:26-28; Atti 20:28; Romani 9:5; Ebrei 1:3, 8-9; 2 Pietro 1:1.


I Testimoni di Geova rifiutano la resurrezione fisica di Gesù Cristo. Essi insegnano che il corpo di Cristo fu dissolto in stato gassoso. Charles Taze Russel, fondatore dell’organizzazione affermò che, “la persona di Gesù è morta, per sempre morta” (Studies in the Scriptures, Vol. 5, 1899, p. 454).
Invece la Bibbia chiaramente insegna che il corpo di Gesù resuscitò in vita. Per esempio, Luca 24:39 dice: “Guardate le mie mani e i miei piedi, perchè sono proprio io; toccatemi e guardate; perchè un fantasma non ha carne e ossa come vedete che ho io”. Guarda inoltre: Giovanni 2:19-21, 20:26-28; 1 Corinzi 15:6, 15:14.
I Testimoni di Geova rifiutano che lo Spirito Santo sia Dio. Essi insegnano che lo Spirito Santo è una forza impersonale, come l’elettricità.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che lo Spirito Santo è Dio. Atti 5:3-4 dice: “Ma Pietro disse: “Anania, perchè Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo...tu non hai mentito agli uomini ma a Dio”. Guarda inoltre: Giovanni 14:16-17, 16:13-15; Romani 8:26-27; 2 Corinzi 3:6, 3:17-18; Efesini 4:30.


I Testimoni di Geova rifiutano che la Salvezza sia un dono dato gratuitamente da Dio. Essi insegnano che la salvezza debba essere guadagnata e meritata. Per ottenere la salvezza e scampare dal giudizio divino, ogni persona dovrebbe unirsi e compiere le opere descritte e create dall’organizzazione dei Testimoni di Geova.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che la Salvezza non può essere meritata e guadagnata, la Salvezza è un dono da parte di Dio. Efesini 2:8-9 dice: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti.” Guarda inoltre: Romani 4:1-4; Galati 2:16; Tito 3:5


I Testimoni di Geova negano il giudizio finale dei malvagi. Essi insegnano che le persone non giuste verrano estinte e cesseranno di esistere.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che c’è un giudizio finale per i malvagi. Matteo 25:41, 25:46 dice: “Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli...Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna.” Guarda inoltre: Matteo 18:8; 2 Tessalonicesi 1:8-9; Apocalisse 14:10-11, 20:10, 20:15.


I Testimoni di Geova rifiutano che gli esseri umani abbiano uno spirito che esisterà dopo la morte. Essi insegnano che come gli animali, la vita di una persona cesserà di esistere dopo la morte.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che lo spirito dell’uomo continuerà ad esistere coscientemente dopo la morte. 2 Corinzi 5:8 dice: “Ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore”.
Guarda inoltre: Luca 16:19-31; Filippesi 1:23-24, Apocalisse 6:9-11.


I Testimoni di Geova insegnano che la vita eterna nella presenza di Dio sarà solo per poche selezionate persone. Essi affermano che solo un gruppo speciale di 144.000 Testimoni di Geova possono nascere di nuovo e vivere per sempre con Dio in paradiso; tutti gli altri Testimoni di Geova vivranno sulla terra.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che tutti coloro che ripongono la propria fede in Gesù Cristo avranno vita eterna e vivranno alla presenza di Dio. La Bibbia si riferisce a queste persone come una innumerevole moltitudine. Apocalisse 7:9, 7:15 dice: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello...Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel Suo tempio”. Guarda inoltre: Giovanni 3:15, 5:24, 12:26; Efesini 2:19; Filippesi 3:20; Colossesi 3:1; Ebrei 3:1, 12:22; 2 Pietro 1:10-11.


I Testimoni di Geova rifiutano la Tre in Una natura di Dio (la Trinità) e insegnano che Satana abbia creato la dottrina della Trinità. Essi rinnegano tutti i passi nella Bibbia che identificano Gesù Cristo come Dio e lo Spirito Santo come Dio.
Invece la Bibbia chiaramente insegna che il Figlio e lo Spirito Santo, come il Padre sono tutte e tre Dio (Giovanni 1:1, 20:28; 1 Giovanni 5:20; Atti 5:3-4).
La Bibbia inoltre insegna con chiarezza che c’è un solo unico Dio (Isaia 43:10, 44:6-8; ecc.). Inoltre insegna che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno (Matteo 28:19; 1 Corinzi 12:4-6; 2 Corinzi 13:14; 1 Pietro 1:2).
Alla luce di tutto questo, non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che non si basa sugli insegnamenti centrali della Bibbia?

2. I Testimoni di Geova hanno manipolato la Bibbia.

L’organizzazione dei Testimoni di Geova ha creato la loro propria versione della Bibbia. Questa versione è chiamata la Traduzione del Nuovo Mondo. Essa contiene cambiamenti deliberati di molti versetti delle Scritture. Queste modificazioni sono state attuati per nascondere il fatto che gli insegnamenti dei Testimoni di Geova sono antibiblici e falsi.

Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che manipola la Sacra Scrittura?

3. I Testimoni di Geova hanno storia di profezie che non si sono realizzate.

I leader dei Testimoni di Geova dichiarano di parlare per mezzo di Geova Dio con autorità profetiche. Essi hanno detto tante profezie che non si sono mai realizzate. Per esempio, essi hanno predetto che l’Armageddon e la fine del mondo si sarebbe verificata nel 1975.
Per coprire il mancato avvenimento di questa profezia, molti Testimoni di Geova oggi rinnegano tale fatto anche se molta della loro propria letteratura ne parla.
I Testimoni di Geova inoltre avevano predetto che la fine del mondo sarebbe avvenuta nel 1914, 1915, 1918, 1925 e 1942. Avevano predetto anche che Abramo, Isacco e Giacobbe sarebbero ritornati in vita e su questa terra nel 1935. Erano nell’errore ogni volta. La Bibbia dichiara che la profezia non realizzata è un segno del falso profeta (Deuteronomio 18:21-22).

Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che ha storia di profezie che non si sono realizzate?

4. I Testimoni di Geova abusano della loro autorità.

Nonostante le loro innumerevoli non realizzate profezie, l’Organizzazione dei Testimoni di Geova insegna che essa è la sola vera religione, e solo i suoi membri sono veri Cristiani. Dichiara che nessuno può raggiungere la verità spirituale se non tramite loro. Insegna inoltre che la salvezza si può ottenere solo entrando nella loro organizzazione e che tutti coloro che non sono Testimoni di Geova saranno distrutti nel giorno di Armageddon.
L’Organizzazione dei Testimoni di Geova richiede che ogni membro debba ubbidire e accettare senza nessuna domanda, ogni ordine e interpretazione biblica data dalla organizzazione.

Per esempio, l’Organizzazione dei Testimoni di Geova proibisce di usare trasfusioni di sangue. Le persone dell’organizzazione sono obbligati a morire e lasciar morire i propri figli, piuttosto che non rispettare questo comandamento, anche se da nessuna parte nella Bibbia troviamo che le trasfusioni del sangue sono sbagliate. A tutti coloro che disubbidiscono a questa regola viene detto che saranno distrutti nel giorno dell’Armageddon, annientati nel giorno del giudizio.
In questo modo i leader dell’Organizzazione cercano di tenere i membri ubbidienti attraverso la paura e l’intimidazione. I leader dei Testimoni di Geova hanno anche usato le loro profezie riguardo la fine del mondo, per mettere timore e paura nei cuori dei loro seguaci.

Non è quindi pericoloso seguire un’organizzazione che abusa della sua autorità?

Questi quattro punti dimostrano quanto sia pericolosa un’organizzazione come i Testimoni di Geova. Forse ti stai chiedendo “Qual è la buona novella nella Bibbia?” I seguenti quattro punti presentano il vero vangelo di Gesù Cristo come si trova nella Bibbia.

Come trovare pace con Dio

Il messaggio della Bibbia può essere riassunto in quattro semplici punti:

1. I nostri peccati ci separano dal vero e vivente Dio.

Romani 3:23 “Perchè tutti hanno peccato e sono privi della Gloria di Dio”.
Romani 6:23 “Perchè il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Gesù Cristo il Signore”.

2. Non possiamo salvare noi stessi.

Romani 3:20 “Perchè mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a Lui; infatti la legge dà soltanto conoscenza del peccato.”
Tito 3:5 “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la Sua misericordia”

3. Gesù Cristo è il rimedio che Dio ha mandato sulla terra per il nostro peccato.

Giovanni 3:16 “Poichè Iddio ha tanto amato il mondo che ha mandato il Suo unigenito figliolo affinchè chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna”.
1 Pietro 3:18a “Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio”.

4. Dobbiamo personalmente ricevere Gesù Cristo nella nostra vita per fede, per ottenere il perdono dai peccati e la vita eterna.

Giovanni 1:12 “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome”.
Romani 10:9 “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvato”.

Se queste verità tratte dalla Parola di Dio hanno toccato il tuo cuore, puoi chiedere proprio adesso a Dio di perdonare i tuoi peccati e darti nuova vita in Cristo. Questa semplice preghiera può aiutarti ad esprimere la tua fede in Cristo Gesù per essere salvato.

 

 

LA VERITÀ?

 

 

Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso, capisco di aver peccato contro di te con le mie azioni, parole e pensieri. Non posso salvare me stesso e grazie per aver mandato il Tuo figlio Gesù Cristo, a versare il Suo prezioso sangue per me. Ti chiedo perdono dei miei peccati, e rimetto la mia fiducia in Gesù Cristo, colui che è morto al mio posto e resuscitò dalla morte. Amen.